TORTE, DOLCI e la loro storia

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  1. gheagabry
     
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    Il vero lusso d'una mensa sta nel dessert. Tutte quelle squisite e rare cose dilettavano la vista, oltre il palato, disposte con arte in piatti di cristallo guarniti d'argento. I fauni intrecciati di camelie e di violette s'incurvavano tra i pampinosi candelieri del XVIII secolo, animati dai fauni e dalle ninfe.
    (Gabriele D'Annunzio)


    La storia della TORTA


    Anticamente il "dolce" consisteva soprattutto nella degustazione della frutta matura, che, nel tempo, fu trattata per essere poi conservata. La pratica dolciaria di Greci e Romani ebbe inizio con l'arte panificatoria, conosciuta in seguito alla conquista ellenica: da allora sorsero numerosissimi forni pubblici tanto è vero che a Roma nel 168 a.C. e ai tempi di Augusto se ne contavano circa 400 e venne istituita la corporazione dei pistores. I pistores (fornai) erano schiavi provenienti dalla Grecia appena conquistata. Fino ad allora i Romani avevano mangiato, oltre alla galletta, così dura da essere usata come piatto, una purea di cereali chiamata puls. Le focacce azzime iniziarono poi ad essere sostituite da pagnotte, pani in cassetta, bastoni fatti all'olio, al latte, allo zafferano, al rosmarino, ai capperi. Ai Romani, ed esattamente a Vitruvio, deve essere riconosciuto l' immenso merito di aver sostituito la macina a pietra azionata dall'energia umana o animale, con il mulino (pistor) mosso dalla forza idrica. Durante l'Impero la panificazione divenne un servizio pubblico, ma le invasioni barbariche successive alla caduta dell' Impero Romano, rasero al suolo i forni e la panificazione fu confinata all'ambito domestico e le uniche panetterie che riuscirono a sopravvivere furono quelle esistenti all'interno dei monasteri. Nell'antichità le prime torte furono semplici focacce di acqua e farina alle quali si incorporavano miele, uova, spezie, burro, cereali, panna e latte, mentre fino ad epoche recenti le torte 'di campagna' erano fatte di pasta di pane arricchita in modi diversi, dalla frutta alla marmellata, dai liquori alle spezie.

    Durante il feudalesimo i signori fecero in modo di avere la gestione dei forni e dei mulini, impedendo ai propri sudditi di fabbricarli ad uso personale. Le prime elementari preparazioni dolci furono per molto tempo riservate esclusivamente alle grandi solennità, e spesso venivano sagomate a forma di animale, come offerte votive per gli dei. I primi ingredienti utilizzati per le preparazioni dolci furono miele, uova, farina di grano o avena, latte e vino e, a seconda dell'area geografica , frutta secca, datteri, fichi, mele cotogne o formaggio. Catone descrive un particolare dolce simile alla focaccia e chiamato placenta composto da una pasta a base di farina, cacio e miele, mentre Apicio racconta diverse ricette per la preparazione di dolci a base di miele.; lo zucchero, infatti, ingrediente fondamentale della moderna pasticceria, ebbe bisogno di molto tempo per affermarsi sul miele, poiché il suo costo era proibitivo. Nell'alto Medioevo i dolci non subirono sostanziali modifiche, a parte l'introduzione dell'utilizzo delle essenze e dei profumi distillati. All'interno dei monasteri, che avevano conservato il privilegio della panificazione, oltre alla pratica dell'apicoltura e all'utilizzo delle spezie, si cominciarono ad elaborare, nel basso Medio Evo, dolci più complessi come cialde e marzapane. Fino al 1400, i ricettari parlano soltanto di ofelle (biscotti dall'inconfondibile forma ovale con le estremità appuntite) e frittelle, mentre altre fonti parlano di confetti, mostaccioli e qualche dolce commemorativo. Nel Seicento, la produzione di dolci cominciò a diffondersi, dapprima con la confezione di conserve e gelatine di frutta e poi con l'inserimento di paste, come pasta frolla, sfoglia all'uovo, al lievito, con aggiunta di crema e di cacao. Alla fine del Seicento, nei primi negozi laboratorio , fecero la loro comparsa i primi dolci farciti e, all'inizio del 1700 fu esposta la più antica delle torte con l'impasto di burro, la Linz o Viennese; all'inizio del 1800 fece la sua comparsa la più famosa delle torte a base di uova, la Sacher, e , sempre nel corso dello stesso secolo, speziali e farmacisti persero l'appannaggio sulla pasticceria, dando così la possibilità agli artigiani di organizzarsi e far diventare la pasticceria una vera e propria attività.
    La storia e la cultura, del resto, hanno sempre influenzato il gusto per le torte, e si può dire che tutte le più grandi cucine del mondo abbiano proposto nuove ricette. Alle torte divenute celebri perché veri e propri capolavori di raffinatezza e creatività, molte delle quali create da pasticceri al servizio di un principe o di una grande casa regnante, si accostano oggi le ricette classiche care all'uomo comune ..come la torta Margherita.
    (dal web)

    ..... i pasticcini....


    Usare il termine pasticcini o piccola pasticceria per parlare delle primissime preparazioni dolci è sicuramente azzardato: si trattava in realtà di impasti di pane, addolciti con miele, che nel Medioevo prendevano nomi diversi e si presentavano come piccoli dolci cotti in stampi o su placche di metallo. Nei conventi, dove gli ingredienti adatti in genere non mancavano, i religiosi elaboravano piccole preparazioni dolci da vendere ai pellegrini di passaggio, a scopo benefico. Si trattava di dolcetti molto semplici, a base di miele, vino e marmellata. I biscotti, per esempio, erano ricavati da una pasta di pane a bassissima lievitazione, addolcita e sottoposta a una doppia cottura in tempi diversi, allo scopo di eliminare completamente l'umidità e consentire una lunga conservazione del prodotto finito, molto utile a quei tempi.
    Fu l'arrivo degli Arabi, con la loro grande esperienza applicata all'arte dolciaria e l'apporto di nuovi e sfiziosi ingredienti, quali il dattero, la melagrana e l'arancia amara, a cui si aggiungevano essenze distillate e aromi, a scatenare notevoli cambiamenti nella pasticceria europea. Ancora oggi numerose ricette hanno evidenti radici orientali, come per esempio gli squisiti cannoli siciliani e le cassate. Bisogna comunque aspettare il XIV secolo perché si diffonda una pasticceria più elaborata. In Francia entrano in uso cialde e oublies; le prime erano spesso farcite con creme e frutta e realizzate con una pastella che veniva poi cotta tra due forme di ferro, calde e unte. Dimensioni e consistenza variavano secondo il Paese: in Inghilterra, per esempio, le cialde erano più croccanti e prendevano il nome di wafer.
    Offelle, mostaccioli e frittelle in genere facevano parte della pasticceria più comune, anche se nei ricettari del tempo non sono citati. In questi volumi si parla invece diffusamente della riscoperta del marzapane che, inventato in epoca greco-romana, quando veniva offerto agli dei sotto forma di piccoli dolci celebrativi, diventa assieme una delle creazioni italiane all'origine del Rinascimento gastronomico. Realizzato soprattutto dai pasticcieri veneziani, famosi per la loro abilità, era un misto di uova, mandorle tritate e zucchero che si trasformava in un impasto molto duttile, tanto da venire utilizzato per ottenere le creazioni coreografiche più incredibili, sia nella forma sia nelle dimensioni. Nascono in Francia i pasticcini di Saint-Denis e i biscotti di Reims; Luigi XI si fa preparare speciali dolcetti al formaggio di cui va pazzo; Caterina de' Medici porta in Francia la ricetta dei nostri amaretti italiani decretandone il successo; nel convento di Nancy si sfornano i famosi amaretti che ne portano il nome. I religiosi nei monasteri rimangono a lungo tra i creatori più prolifici di ricette dolci. Vengono prodotti dalle monache piemontesi, nel XVI secolo, i Biscottini di Novara, seguiti dalle altrettanto famose sfogliatine.
    L'utilizzo di burro e cioccolato garantisce risultati d'eccellenza alla pasticceria con brioche e cornetti, le cui ricette erano già descritte nel volume Le pastissier françois. Pasticcini veri e propri, ormai hanno ben pochi segreti, poiché le paste base, come sablée, frolla, sfoglia, assieme con la pasta brioche e quella dei bignè, sono ben note, come del resto anche le creme, dalla pasticciera alla frangipane, allo zabaione. Anche gli impasti dolci, lievitati, provenienti dalla tradizione dell'Austria, della Slesia e della Polonia, sono entrati nell'uso comune in tutta Europa, con numerosi dolci dalle varianti infinite.
    (leonardo.it)

     
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  2. gheagabry
     
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    Chi l’ha inventata? Il signor Sacher o il signor Demel? E la marmellata va messa soltanto sotto la glassa di cioccolato o anche a metà della torta? Inettogativi che nella storia della gastronomia hanno a lungo accompagnato la vita di questa famosa e squisita torta. Il primo è stato risolto addirittura dai giudici di un tribunale. Il secondo, come vedremo, continua invece a far discutere....


    La storia della SACHER TORTE


    L’Europa si era appena lasciata alle spalle la rivoluzione francese e le successive vicende napoleoniche. Vienna è la capitale dell’impero austro-ungarico. Alla corte del principe cancelliere austriaco Klemenz Wenzel Lothar von Metternich Winnesburg, noto per la sua fama di goloso e gourmet raffinatissimo, nonché grande amante della cucina a base di cioccolato, lavora il giovane pasticcere Franz Sacher, un'apprendista pasticciere di 16 anni...Per soddisfare il palato goloso del suo datore di lavoro, il giovane Sacher era solito inventare ogni giorno una creazione diversa senza però riuscire a suscitare nel principe alcun tipo di emozione, cosicché un giorno decise di preparare una torta leggera, morbida, non stucchevole…nacque così la Sacher Torte, composta da farina, uova, zucchero e cioccolato con l’aggiunta di marmellata di albicocche. Era l’anno 1832 quando la torta venne servita per la prima volta alla tavola del principe di Metternich. Fu un successo. Nel 1866 Sacher inaugurò, insieme al figlio Edward, un negozio di delicatessen e negli anni successivi i due aprirono un albergo destinato a diventare uno tra i più ricercati alloggi di Vienna, anche grazie alla frequentazione assidua della nobiltà, degli ufficiali dell’esercito, nonché di noti artisti e teste coronate, i quali contribuirono a decantare ogni dove quella torta al cioccolato così gustosa e leggera.Il successo della Sacher Torte fu enorme e ben presto divenne famosissima in tutta l’Austria, ma con la popolarità ne nacque una disputa legale che durò ben sette anni: la guerra dei dolci sette anni. La contesa verteva su chi aveva il diritto di ornare questa torta col nome Sacher, l' albergo Sacher o il pasticciere Demel che aveva comprato da Eduard Sacher, nipote di Franz, il privilegio di mettere nella sua torta di cioccolato, leggermente modificata da quella di Franz, il sigillo. "Originale Sacher torte". Dopo ben sette anni l'albergo Sacher vinse la causa. La sentenza stabilì la verità, racchiusa in una lettera che viene custodita nell'Hotel Sacher. Datata maggio 1888, si scoprì in questa lettera che già allora la torta Sacher aveva 56 anni..Questa lettera racchiude una lagnanza: in un articolo giornalistico infatti, nell'elencare tutte le specialità gastronomiche viennesi, fu dimenticata proprio la "torta Sacher".
    Per rimediare ad una tale svista, lo Chef di una "laboriosa casa" (Hotel Sacher, Wien) inserì in un successivo articolo la "storia della torta Sacher", nel quale è testualmente scritto: "La torta Sacher è una invenzione di mio padre, egli vive ancora. Egli stesso da giovane aveva messo insieme questo dolce e fatto apparire sulla tavola di Metternich già 56 anni fa, dove incontrò molto successo da parte dello stesso principe. Da allora questa torta fu allestita in tutti i posti dove mio padre ha lavorato, ma ora si può trovare 'solamente' nel mio albergo." Sebbene la ricetta originaria venga tenuta segreta gli addetti ai lavori sono riusciti a trarne ricette abbastanza simili, ecco spiegato il perché la ricetta si chiami “torta tipo Sacher”.
    Quanto al secondo interrogativo sulla gelatina di albicocche da spalmare secondo alcuni solo sotto la glassa di cioccolato e secondo altri anche nel mezzo del dolce, la risposta è: nella Sacher la gelatina è sia sotto la glassa sia nel mezzo della torta.
    Questa torta la cui ricetta originale è segreta, viene sempre servita nell'albergo Sacher di Vienna.


    «Cioè, lei non ha mai assaggiato la Sachertorte?»
    «No.»
    «Va beh. Continuiamo così. Facciamoci del male!» »
    (Nanni Moretti, Bianca)


    In Italia la torta Sacher è protagonista della scena del film Bianca di Nanni Moretti; in tale scena il protagonista, interpretato dallo stesso Moretti, si mostra visibilmente sorpreso del fatto che uno dei suoi interlocutori con cui si sta intrattenendo a pranzo non conosca la Sachertorte, sottolineando la gravità, a suo giudizio, di tale mancanza con la frase: «Continuiamo così. Facciamoci del male!». La scena divenne in breve tempo paradigmatica del cinema di Moretti, tanto che questi, quando nel 1987 fondò insieme ad Angelo Barbagallo la propria casa di distribuzione cinematografica, la chiamò Sacher Film, e nel 1989 istituì un riconoscimento per premiare il migliore film dell'anno, il Premio Sacher; infine, più tardi, nel 1991, acquisita la gestione del Nuovo Cinema, una vecchia sala di proiezione dei Monopoli di Stato a Roma nel rione di Trastevere, lo ribattezzò Nuovo Sacher.
     
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  3. gheagabry
     
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    UL "PAN TRAMVAI" panettone dei poveri



    Nel secolo scorso il panettone faceva la sua apparizione solamente a Natale e sul desco di un limitato numero di benestanti, se non vogliamo dire ricchi.
    Il panettone a Busto non veniva venduto, ma distribuito come "dafesta" dai fornai di "bianco" ai loro abituali clienti, consumatori di pane di frumento. Il panettone veniva fabbricato dagli stessi fornai sotto la sorveglianza di qualche operaio specializzato. Farina tre zeri, burro fresco, uova, zibibbo, cedro. I clienti ricevevano un panettone grosso, mezzano o piccolo in ragione del quantitativo di pane prelevato durante l'anno. Qualche pezzo di panettone, ben accartocciato veniva messo da parte per San Biagio, giorno della benedizione della gola.
    Nelle famiglie povere il panettone a Natale veniva sostituito con il " pan tramvai ", per il quale i bambini andavano matti. Il vero " pan tramvai " era fatto con fior di farina di frumento, impastato con zibibbo di prima scelta; formato bastone della lunghezza di due spanne, della larghezza di una e dell'altezza di tre quarti. Il segreto della bontà era quello di essere ben cotto, croccante ed elastico a larga spugna, quale mangiano gli angioli in paradiso.
    Gli eventi di due guerre hanno fatto scomparire, per via dei tesseramenti, il " pan tramvai " per lunghi anni. Da qualche temmpo lo si vede ancora in alcune vetrine di rivendita sotto la denominazione di " pane con l'uva "; ma tra questo ed il " pan tramvai " corre la differenza che sta tra un pappagallo e un fagiano dorato. A proposito, corre la mania di alterare i nomi originali dialettali nella stupida illusione di italianizzarli, con il risultato di renderli grotteschi.

    La faccenda del mangiare è complicatissima ad incominciare dal pane. Che sembra il più semplice, in quanto fatto con solo farina, pane ed acqua. Ma le farine non sono tutte uguali, le acque differiscono da luogo a luogo e poi c'è quell'imponderabile che deriva dal coefficiente aria. E ciò indipendentemente dal modo di lavorazione e dal dato di cottura. Il " pane misto " è un segreto di Busto, così come il " pane di Como " è un segreto di quella città. Dal grosso pane di pasta dura dell'Emilia, che basta una micca per profumarti una intera contrada, ai sottili e delicati grissini torinesi, corre tutta una gamma di ottimo sapore e buon gusto. E l'un l'altro sono differenti e l'un l'altro sono inimitabili. Così il " pan tramvai ".

    Per sapere come mai il pane con il zibibbo prese il nome di" pan tramvai " bisogna andare indietro nel tempo, allorchè fece la sua apparizione il tram a vapore. La sua velocità era condizionata dalla concessione della Provincia di Milano nel limite massimo di 15 Km.all'ora per evitare lo spavento degli animali, quando viaggiava in sede propria lontano dall'abitato ed a passo d'uomo, annunciato da un trombettiere quando attraversava i centri abitati.
    A Busto il tramvai veniva prelevato dal " trombettiere " a metà di Strà Balon ed accompagnato fino alla Madonna da Prà quando il tram veviva da Milano ed in senso inverso quando veviva da Gallarate. Con questa velocità il tramvai, che partiva alle 5 da piazza Garibaldi, arrivava intorno alle 10 a Milano a Porta Tenaglia. Solitamente bambini e donne, dopo qualche ora di viaggio, avvertivano gli stimoli dell'appetito. Il pane con il zibibbo serviva a lenire gli stimoli ed era pane e pietanza. Era il pane che veniva comperato allorchè la gente andava a Milano utlizzando il tramvai. Invece per Gallarate o Legnano, la cui distanza era pur breve, c'era da scegliere, data la scarsità di denaro, tra il prendere il tramvai a stomaco vuoto o andare a piedi con un pezzo di pane di zibibbo da " sgagnare " un boccone alla volta. Questo pane suppliva al tramvai da cui resta chiarita l'origine del " pan tramvai ".
    Ancor oggi, chi vuol servirsi del cavallo di San Francesco viene etichettato con lo spregiativo di " tramvai a pè ". Pure i pigri, i trepidi ed i posapiano.
    (Giorgio Giacomelli, storia bustocca)
     
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  4. gheagabry
     
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    Il PANFORTE



    A Siena è fiorita in tempi antichi un’arte dolciaria, che ha prodotto nei secoli una
    grande varietà di specialità, legate soprattutto alle ricorrenze religiose e festive. La storia del primo dolce manufatto nasce dalla mescolanza del miele con la farina; si comincia così dal melatello, da cui discende tutta la famiglia dei dolci senesi. Il dolce senese che storicamente ha le radici più antiche è senz’altro il panforte, la cui ricetta odierna è il risultato di una graduale trasformazione del primitivo “pane melato”, focaccia preparata con farina di grano, miele e frutta.
    L’origine più accreditata del nome “panforte” sembra essere legata al gusto acido e quindi “forte” (dal latino “fortis” che vuol dire acido) conferito al dolce dal velo di muffa generato dallo strato di umidità che si creava, quando l’impasto del “pan melato” non era cotto a puntino o la frutta non era perfettamente asciutta. L’arrivo dall’Oriente delle spezie, nella seconda metà del XIII secolo, ed il loro utilizzo estensivo nelle vivande, soprattutto del pepe, portò alla nascita dei primi pani speziati o “panes pepatos”. Tra i più antichi preparatori di pani speziati furono i religiosi, come le suore camaldolesi di Montecelso, e solo più tardi essi faranno bella mostra di sé sui banchi degli speziali. Nella Miscellanea storica senese, in alcune testimonianze del 1205 a favore del Monastero di Montecellesi , si cita che i servi e i coloni erano tenuti a portare alle monache, come censo, un certo numero di panes melatos et pepatos, ricchi di miele, pepe e chiodi di garofano. Una romantica leggenda vuole che l’inserimento di spezie e del pepe nel dolce senese si debba ad una certa suor Ginevra, chiusasi per amore in un convento. Mentre era intenta alla preparazione del panmelato, sentì giungere dalla strada sotto al monastero la voce dell’amato, Messer Giannetto da Perugia, da lei creduto morto durante le Crociate: per l’emozione cominciò a buttare in modo incontrollato nel consueto impasto, insieme a frutta secca e canditi, spezie e pepe, creando un dolce dal gusto piccante e dall’intenso profumo. Ritroviamo l’antico nome del panforte nello Statuto della Corporazione dei forni e panettieri, redatto a Siena intorno al 1280. La consuetudine della produzione del panforte ad opera dei farmacisti, insieme a tutti gli altri dolci senesi, verrà continuata nei secoli tanto che dalle più antiche farmacie di Siena, come la Parenti, la Sapori e la Pepi sono derivate le attuali industrie dolciarie. Il panforte da noi conosciuto è ricco di ingredienti: miele, mandorle, noci, cannella, noce moscata, chiodi di garofano, zucca candita, cedro e scorza d’arancia canditi. Nel tempo, la ricetta tradizionale del “panpepato” ha subito diverse correzioni, che l’hanno reso più dolce e meno speziato.
     
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  5. gheagabry
     
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    La storia del CROISSANT



    1638, Vienna. Dopo il primo assedio del 1529 la città austriaca viene circondata una seconda volta dalle truppe ottomane che, partite da Istanbul stanno serrando l’Europa in una forbice che passa per la Spagna e i Balcani.
    Da quei giorni dice essere presi alla sprovvista proprio perché durante un assedio, le due parti basarono le sorti della battaglia sulle provviste. L’assediato cerca di demoralizzare gli assedianti sfoggiando noncuranza e abbondanza di cibo e armi. Gli assedianti, cui quella posizione porta via tempo, energie e denaro fanno di tutto per sfiancare l’avversario tagliano per prime le vie di rifornimento ai generi alimentari di prima necessità.
    I viennesi, che a mostrarsi in difficoltà non ci stanno, attaccarono il morale dei turchi sedendo cavalcioni sugli spalti della città e ingozzandosi platealmente con paste a base di burro e farina, costose e prelibate. E’ l’antenato dei croissant, un pane al burro chiamato kipferl.
    Una leggenda questa che in realtà, nasconde il merito dei fornai viennesi che per primi diedero l’allarme accorgendosi dell’arrivo del nemico durante il loro lavoro notturno, impedendo così che la città fosse presa alla sprovvista, appunto. Che la leggenda sia vera o che i kipferl siano stati preparati durante l’assedio per festeggiarne la fine, poco importa. Ciò che qui ci interessa è la potenza di un simbolo e della sua capacità di penetrare la cultura e le abitudini di mezza Europa.
    La leggenda continua e narra anche di come i turchi in fuga si lascino alle spalle le loro scorte di caffè. Verranno scoperte da un ufficiale polacco di origini ungheresi, Jerzy Franciszek Kulczycki che, apprezzando l’aroma dei chicchi che bruciavano negli incendi della disfatta aprirà la prima caffetteria viennese.
    La forma di mezza luna, che in arabo si chiama hilal (quarto di luna) ha un’origine molto antecedente alla nascita dell’Islam, risalente al IV secolo a.C., quando Filippo II di Macedonia, nell’anno 340 o 341 a.C. mise sotto assedio la città di Bisanzio. Favorite da una notte particolarmente scura, le truppe macedoni si avvicinarono silenziosamente alle mura della città, con l’intenzione di scalarle e cogliere il nemico di sorpresa. Mentre attuavano il piano, un vento improvviso disperse le nuvole e la luce diffusa dalla luna crescente (croissant in francese) bastò alle sentinelle per rendersi conto dell’attacco e dare l’allarme. La reazione immediata e vigorosa dei difensori e l’ormai troppa vicinanza alle mura degli assalitori causò forti perdite nelle file dei Macedoni che furono costretti a desistere e togliere l’assedio. Il simbolo della luna crescente fu quindi scolpito in moltissimi manufatti in pietra della città, quale ringraziamento alla divinità. I Turchi Ottomani che diciotto secoli più tardi conquistarono Bisanzio, dopo l’assedio del 1453, videro questo simbolo impresso in ogni parte della città e lo adottarono, supponendolo dotato di grande potenza magica.

    La ricetta e il nome del croissant così come lo conosciamo oggi ci arriva dalla Francia dove August de Zong, un ufficiale austriaco, nel 1736 importò il sapere della pasticceria viennese, compresa la preparazione dei kipferl aprendo una Boulangerie Viennoise al numero 92 di rue de Richelieu, a Parigi. Dall’osservazione della pasta che cresce e dal matrimonio con gli ingredienti francesi, ecco il croissant.
    Pur largamente apprezzato dai cittadini di Parigi il croissant dovrà attendere il 1891 prima di essere menzionato in un libro di ricette e addirittura il 1938 prima di essere ufficializzato dalla bibbia della cucina francese: il La Rousse Gastronomique.
    In Italia arriverà invece nel 1738, dopo la pace di Acquisgrana che sancirà la fine della guerra di successione austriaca. La sua storia passa per l’Emilia-Romagna, più precisamente da Parma, dove Maria Amalia d’Asburgo Lorena, viennese, aveva portato con se, in preda ad uno dei suoi tanti capricci, il pasticcere Francesco Mimlich incaricato della preparazione del pane per la duchessa. Perso il dominio dell’Italia settentrionale gli austriaci si ritirano e Mimlich è costretto a cercarsi un altro lavoro. Aprirà una bottega in corso Garibaldi (allora contrada Santa Barbara) in cui confezionerà i suoi famosi pani al burro italianizzati, “chifferi”, e tipicamente abbinati al prosciutto parmigiano.
    (Vito Gionatan Lassandro)


     
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  6. gheagabry
     
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    STORIE di TORTE...


    ....l'APPLE PIE....


    La torta di mele (Apple Pie) era in origine un dolce tipicamente inglese. Con lo sbarco nel nuovo mondo, l’Apple Pie divenne un piatti tipico della zona Nord-Orientale degli Stati Uniti (il cosiddetto New England, appunto). Con il passare del tempo, tuttavia, questo dolce ebbe un tale successo in tutti gli States, da essere oggi considerato un vero e proprio dolce nazionale, tanto da essere spesso denominato semplicemente “American Pie“. E’ nato addirittura un detto che si usa per definire qualcuno dalle profonde radici americane, un americano “doc”: “American as an apple pie” (cioè “Americano come la torta di mele”).
    Solitamente, la torta di mele era in origine consumata, nella tradizione del New England alla fine della cena e quello che avanzava, essendo molto difficile conservarlo senza i moderni frigoriferi, veniva tenuto per la colazione del mattino seguente. La torta di mele era spesso preparata dalle cuoche del tempo soprattutto per ovviare a problemi di conservazione delle mele e, più in generale, di tutta la frutta. In questo modo, si cuoceva la frutta nel forno, mettendola direttamente sopra l’impasto. Col tempo si prese l’abitudine di sovrapporre sopra la frutta un ulteriore strato di impasto. In questo modo nacque la torta di mele, composta da due strati di pasta ed in mezzo un preparato a base di mele.


    ...la TARTE TATIN...


    La Tarte tatin è un classico dolce della tradizione francese nato all'inizio del secolo grazie all'inventiva delle sorelle Carolina e Stephanie Tatin albergatrici a Loret-Cher, in Francia.
    In realtà sembra che, come di solito accade, questa buonissima torta sia nata a causa (sarebbe meglio dire per merito) di uno sbaglio.
    Le due sorelle Tatin, avevano nell'albergo due ruoli diversi, mentre la giovane Carolina si occupava di accogliere i clienti, Stephanie, cuoca provetta, si occupava della cucina: in particolar modo era apprezzata la sua buonissima torta di mele.
    La leggenda narra che, un giorno in cui l'albergo era pieno di cacciatori che aspettavano di poter pranzare, Stephanie si accorse di non aver preparato la sua torta di mele; senza farsi prendere dal panico corse in cucina, imburrò e cosparse di zucchero una tortiera, ci mise dentro le mele e la infornò. Solo dopo si rese conto di non aver foderato la tortiera con la pasta brisè! Ancora una volta Stephanie prese in pugno la situazione, ricoprì la tortiera con un solo strato di pasta e rimise tutto in forno. La storia finisce, naturalmente, con il lieto fine: infatti terminata la cottura, Stephanie rovesciò la torta su un piatto e la portò in sala dove fu letteralmente divorata. Era nata così la tarte tatin.
    Successivamente, visto il discreto successo riscosso, la tarte tatin fu adottata dal celebre ristorante parigino Maxim's che ne fece uno dei suoi cavalli di battaglia.
    (giallozafferano)

    ....lo STRUDEL....



    Lo strudel è un dolce delizioso e molto delicato che può essere realizzato in modi diversi più o meno semplici.
    Le sue origini sono particolarissime. Si pensa che questo dolce abbia origini tirolesi, o germaniche, ma non è così. Questa dolcezza ha origini antiche e nacque in Turchia.
    Lo strudel è una variante di un antico dolce, ancor oggi molto comune in Turchia, chiamato Baclava che nel corso dei secoli ha mantenuto la sua ricetta originale. E' un impasto di noci, frutta secca e pane, ammorbidito con un liquore piuttosto forte. Il tutto è avvolto in una pasta e poi cotto al forno. Lo strudel lasciò il suo territorio natio per avvicinarsi all'Europa moltissimi anni fa.
    Si narra che ciò avvenne nel XVI secolo, quando nel 1526 il sultano Sülayman il Legislatore, sconfiggeva gli Ungheresi nella battaglia di Mohacs nella quale morì anche Luigi II di Ungheria, preparando l'annessione di gran parte dell'Ungheria, e giungendo nel 1529 perfino ad assediare Vienna. Fu quello un periodo particolarmente difficile e delicato per le potenze europee che si vedevano seriamente minacciate più che da un esercito, da una cultura con la quale la convivenza era spesso stata difficile. Solo con il trattato di Karlowitz del 1699 la situazione si placa.
    Nei quasi duecento anni di dominazione turca l'Ungheria assorbì oltre alla religione musulmana tutta una serie di ricette e tradizioni culinarie proprio della Turchia. Fu proprio durante questo scambio di cultura gastronomica tra Ungheria e Turchia che lo strudel apparve e poté farsi apprezzare nel suo delicato e gustoso gusto.
    Il dolce turco Baclava fu però leggermente modificato e agli ingredienti fu aggiunto uno che oggi è determinante: le mele. L'incontro tra la cultura turca e quella austro-ungarica, pur così differenti, portò alla nascita di un nuovo dolce a base, però, di un frutto nuovo per i turchi quale la Mela. "Strudel" in austriaco significa "dolce arrotolato".
     
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  7. gheagabry
     
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    Il bavarese



    Il nome maschile identifica un dolce importante di consistenza leggera e delicata simile a quella di un budino.
    Oggi in Italia si usa spessa considerare il nome al femminile, ma ciò può generare confusione. La bavarese è infatti una bevanda con parecchie varianti, di solito calda, a base di tè, latte e alcol, molto diffusa in Francia e presente nei principali trattati di cucina d’oltralpe anche come mangia e bevi. Pare che sia stata importata verso i primi del ‘700 dai cuochi francesi al servizio dei Wittelsbach, casa regnante di Baviera; poi il caffettiere e gelataio italiano Procopio dei Coltelli contribuì a lanciarla a Parigi.



    Per il dolce invece, che si affermò i primi dell'800 quale derivato della bevanda, è più corretta la forma maschile del nome originale francese “bavarois”.... la ricetta venne citata per la prima volta all’inizio dell’800 dal grande cuoco francese Marie-Antonie Careme.Un tempo chiamato anche formaggio bavarese per l'aspetto molto simile ad un formaggio fresco, il bavarese è il classico dolce che segue le stagioni, perchè ha una base di crema inglese e panna montata, alla quale possono essere aggiunti di volta in volta: frutta fresca o candita, confettura o marmella, cioccolato o aromi diversi dalla vaniglia, caffè o altro.

    Il bavarese è un dolce composto da una base di crema inglese ( variante della crema pasticcera che usa come addensanti solo le uova ottenendo pertanto un composto piuttosto liquido utilizzato come salsa di accompagnamento per dolci al cucchiaio e da forno e come base nella preparazione del gelato e di alcuni dolci al cucchiaio come il bavarese) addensata con gelatina, a cui viene aggiunta la panna montata , che lo rende soffice e spugnoso. La versione originale del bavarese prevede solo crema inglese, panna montata e vaniglia, con l'eventuale aggiunta di uno strato di pan di Spagna inzuppato con uno sciroppo alcolico.

    La ricetta tradizionale del bavarese è molto calorica in quanto la crema inglese ha oltre 200 kcal per 100 grammi e la quantità di panna da utilizzare è pari a quella della crema, per un totale di 300 kcal per 100 grammi di bavarese, decisamente una quantità enorme per un dolce al cucchiaio! .









    Ricetta originale del bavarese:

    Ingredienti

    - 250 g di latte intero

    - 150 g di zucchero

    - 4 tuorli d'uovo

    - 250 g di panna fresca

    - dai 6 ai 10 fogli di gelatina a seconda della consistenza desiderata

    Preparazione del bavarese:

    Per prima cosa occorre far ammorbidire i fogli di gelatina in acqua fredda.
    In una ciotola sbattete i tuorli d'uovo con lo zucchero amalgamando bene in modo da ottenere una crema chiara e spumosa . Nel frattempo, in un pentolino scaldare il latte con la vanillina o con una bacca di vaniglia e , appena il latte inizia a bollire, spegnere il fuoco lasciando riposare 5 minuti. Dopo aver tolto la bacca di vaniglia, aggiungere poco alla volta le uova mescolando in continuazione. Rimettere il tutto sul fuoco e portare ad ebollizione mescolando in continuazione con un cucchiaio di legno. Appena comincia a bollire, spegnere nuovamente il fuoco, incorporare i fogli di gelatina uno alla volta mescolando in continuazione e lasciar raffreddare. Quando il composto di uova, latte e zucchero si sarà raffreddato, montare a neve la panna ed incorporarla fino ad ottenere un composto omogeneo. A questo punto versare nelle coppette o in una tortiera e far rassodare in frigorifero per almeno 2 ore prima di servire. Sformare e servire quando il dolce risulta cremoso.




     
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    MADELEINE

    madeleine1


    Piccolo, delicato biscotto di pasta friabile a base d’uovo, burro, zucchero e farina, cotto in tipici stampini decorativi a forma di conchiglia. E’ una classica specialità francese, in particolare dell’Alsazia, la cui originaria elementare preparazione risalirebbe al lontano ‘700.
    Alcune fonti, incluso il New Oxford American Dictionary, riportano che le madeleine sono chiamate così in onore di Madeleine Paulmier, una pasticciera del XIX secolo. Altre fonti riportano Madeleine Paulmier come una cuoca vissuta nel XVIII secolo che aveva lavorato per Stanisław Leszczyński. La cronaca del tempo ricorda che al re di Polonia, ospite del genero re Luigi XV, furono servite, confezionate per la prima volta da una vecchia cuoca, delle madeleine delicatamente profumate di arancia e bergamotto, golosità molto apprezzate alla corte di Versailles.

    Il biscotto è famoso anche perché lo scrittore francese Marcel Proust, nella suo libro “Recherche du temps perdu” (ricerca del tempo perduto), lo cita nel primo capitolo. Qui il protagonista ancora ragazzino, assaporando una tazza di the nella quale è inzuppato un dolce molto particolare, corto e gonfio che si chiama “madeleine”, tocca uno stato di felicità e quasi di estasi.

    marcel_proust_visto_tullio_pericoli

    “[...] in una giornata d’inverno, rientrando a casa, mia madre, vedendomi infreddolito, mi propose di prendere, contrariamente alla mia abitudine, un po’ di tè. Rifiutai dapprima, e poi, non so perché, mutai d’avviso. Ella mandò a prendere uno di quei biscotti pienotti e corti chiamati Petites Madeleines, che paiono aver avuto come stampo la valva scanalata d’una conchiglia di San Giacomo. Ed ecco macchinalmente oppresso dalla giornata grigia e dalla previsione d’un triste domani, portai alle labbra un cucchiaino di tè, in cui avevo inzuppato un pezzetto di Madeleine. Ma, nel momento stesso che quel sorso misto a briciole di biscotto toccò il mio palato, trasalii, attento a quanto avveniva in me di straordinario. Un piacere delizioso m’aveva invaso, isolato, senza nozione della sua causa. M’aveva subito resi indifferenti le vicissitudini della vita, le sue calamità, la sua brevità illusoria, nel modo stesso in cui agisce l’amore, colmandomi d’un’essenza preziosa [...] Ma nello stesso istante in cui il liquido al quale erano mischiate le briciole del dolce raggiunse il mio palato, io trasalii, attratto da qualcosa di straordinario che accadeva dentro di me. Una deliziosa voluttà mi aveva invaso, staccata da qualsiasi nozione della sua causa. Di colpo aveva reso indifferenti le vicissitudini della vita, inoffensivi i suoi disastri, illusoria la sua brevità, agendo nello stesso modo dell’amore, colmandomi di un’essenza preziosa: o meglio, quell’essenza non era dentro di me, IO ero quell’essenza. Avevo smesso di sentirmi mediocre, contingente, mortale. Da dove era potuta giungermi una gioia così potente? Sentivo che era legata al sapore del tè e del dolce, ma lo superava infinitamente, non doveva condividerne la natura. Da dove veniva? Bevo una seconda sorsata nella quale non trovo nulla di più che nella prima, una terza che mi dà un po’ meno della seconda. E’ tempo che mi fermi, la virtù del filtro sembra diminuire. E’ chiaro che la verità che cerco non è lì dentro, ma in me.”
    (Proust)


    In Francia viene confezionata anche una tipica “madeleine glacée”, composta da frutti canditi macerati con il kirsch, mescolati con gelato alla vaniglia e panna montata, e disposti nel classico stampo a congelare.




    big_madeleine5


    In una casseruola sciogliere a bagnomaria del burro e lasciar intiepidire. Mescolare insieme farina bianca e un pizzico di lievito in polvere. In una ciotola, sbattere assieme a lungo un uovo, più un tuorlo e dello zucchero fino ad ottenere un composto gonfio e quasi bianco. Aggiungere un pizzico di scorza di limone (o arancia e bergamotto) finemente grattugiata, un pizzico di vaniglia, poi della farina fatta scendere a pioggia da un setaccio; amalgamare delicatamente con un cucchiaio di legno; infine unire il burro fuso ancora tiepido.
    Lasciar riposare la pasta al fresco per un quarto d’ora. Imburrare degli stampini da madeleine, poi versarvi il composto, senza riempirli completamente.
    Mettere in forno già caldo a cuocere per una decina di minuti. Sfornare, togliere dagli stampi, spolverizzare a piacere le madeleine con zucchero a velo, e lasciar raffreddare su una griglia.




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    Il gattò sardo



    Lo scrittore Alexandre Dumas nel suo “Il Grande dizionario di cucina”, alla voce gateau, scrive:

    “E’ quasi sempre di forma rotonda, preparato con farina, uova, burro; lo si prepara anche con il riso. Il nome deriva senz’altro dall’abitudine di viziare (gater significa viziare) i bambini distribuendo loro dolci come ricompensa o incoraggiamento gastronomico”.

    In Italia il nome francese viene storpiato e lo si scrive come lo si legge “gattò”. Le interpretazioni italiane del piatto sono diverse: a Napoli è un piatto salato, con patate lessate e schiacciate, condite con salumi, formaggio e cotto in forno..




    In Sardegna il gattò è dolce, un’evoluzione di antichi dolci sardi, e medievali spagnoli e diventa un croccante. Inizialmente era fatto di ceci tostati (metodo già conosciuto nel mondo antico per preparare dolci rituali e dolcificati con miele o saba) e zucchero, ancor oggi preparato, ma il più raffinato e moderno è con le mandorle, zucchero e scorza di limone.
    In diversi paesi dell’isola, come il piccolo e delizioso Asuni, in provincia di Oristano, il dolce è diventato occasione di una sagra promossa dalla locale Pro Loco, nel mese di maggio. La rassegna viene intitolata “Gattou”, forse per una ulteriore storpiatura dialettale del nome francese. Un’anziana maestra asunese, Dora Macis, ha recuperato le tecniche di preparazione e prima che se ne perdesse memoria ha realizzato i dolci nelle più svariate forme artistiche, coinvolgendo le signore del paese. I gattò dai piccoli formati si presentano come gioielli, che richiamano le composizioni delle famose porcellane di Capodimonte; si presentano come dei mazzi di fiori, dove petali e foglie sono di mandorle tostate e tagliate secondo l’uso, poi sono incollate con zucchero caramellato. Nell’appagare la lussuriosa voglia di gustarli non si può non rompere, con gusto, i meravigliosi gioielli e con voluttà mangiare arte.
    (taccuini storici)




    ...la ricetta...

    Ingredienti:
    300 g di Mandorle Dolci Sarde
    260 g. di Zucchero Semolato
    1 Limone Bio
    Foglie di Limone


    Fate sciogliere lo zucchero in un tegame di alluminio (non antiaderente!) con il succo di mezzo limone. Aspettate che assuma un bel colore dorato, quindi unitevi le mandorle precedentemente spellate e tagliuzzate e la buccia grattugiata di un limone e rimescolate con energia finché lo zucchero si caramella. Nel cuocere lo zucchero abbassate la fiamma perché un calore troppo forte porterebbe rapidamente lo zucchero da un colore biondo a un colore bruno scuro acquistando un sapore di bruciato. Togliete dal fuoco e rovesciate il composto su un ripiano con carta da forno, spianate e pareggiate tutto, mettete sopra un altro foglio di carta da forno e appiattite aiutandovi con un mattarello, dovete ottenere uno strato di circa ½ cm. di spessore. Tagliate a rombi appena si raffredda (ma non troppo altrimenti diventa troppo duro e tagliarlo sarà impossibile!). Ricavatene tanti rombi di media grandezza, sistemateli su delle foglie di limone che acuiscono l’aroma e lasciate raffreddare.


     
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    IL MIELE NELLE TORTE




    La storia dei dolci è antichissima. Ancor prima dell’utilizzo dello zucchero già si preparavano presso gli egizi dei pani dolcificati con miele che senz’altro sono gli antenati di ciò che noi gustiamo oggi. Come sempre i greci e romani non restarono indietro in questa preparazione così particolare e crearono le prime versioni di dolci con frutta e uva passa e fichi o altri frutti di cui la natura aveva riccamente fornito le loro terre. Certo molte di queste preparazioni erano votive e quindi venivano create a forma di animali per donarli agli dei durante i sacrifici (anche se per gli stampi veri e proprii si dovrà aspettare la metà del 1600!). Ci sono arrivate diverse ricette attraverso scrittori antichi: perfino il il severo Catone ( si proprio quello tremendo del "delenda Cathago!!) ci parla di una focaccia, probabilmente di origine etrusca e utilizzata molto dai greci, creata a base di farina ricotta fresca e miele (Catone, De agri cultura, 76 del 160 a.C.), la placenta, che aromatizzata con foglie di alloro, doveva essere ben cotta in forno caldo, coperta da un coccio e circondata da carbone bollente e poi, una volta cotta (ci consiglia Catone di controllare due o tre volte, per sicurezza) spalmata ancora calda con altro miele. E non contento poco dopo ci svela anche la ricetta di un'altra, più semplice torta di formaggio (il Savillm, De agri cultura, 94).....
    Ma intanto dalle isole polinesiane era giunto in India e in Cina e poi tramite i persiani di Dario fino ad Alessandro Magno, che lo definì "miele che non aveva bisogno di api", lo zucchero (ricavato dalla canna da zucchero) che i Genovesi e i Veneziani cominciarono ad importare… sempre poco, però, perché costoso e quindi non per tutti. Ma la scoperta dell’America incrementò moltissimo l’arte della pasticceria: infatti arrivarono, oltre a maggiori quantità di zucchero (gli spagnoli importarono nelle Americhe la canna da zucchero che rese meglio che in Europa) che arrivò quasi a sostituire completamente il miele, il cacao, il cibo degli dei, al burro, alle spezie, al latte e al caffè. Alla fine del 1600 si cominciò, partendo dal nord Europa, ad avere quindi una pasticceria ancor più ricca di sapori e più “moderna” (Linz primi 1700 e poi Sacher primi 1800, tanto per citare solo le più celebri). Pensate che per avere lo zucchero di barbabietola, quello che usiamo oggi, bisogna aspettare fino al 1750 quando un chimico tedesco scoprì che si poteva ricavare uno zucchero simile a quello di canna anche da questo ortaggio, più semplice da coltivare anche al nord, rendendo meno costoso il prezioso elemento.

    La torta di miele è carica di tradizione. Variazioni di dolci zuccherati col miele esistono da migliaia di secoli e in luoghi lontani, dall’ antico Egitto, a Roma, alla Cina. Recenti scoperte archeologiche di alveari a Tel Rehov, Israele, suggeriscono anche che la terra d'Israele biblica era davvero una terra di latte e miele. Secondo il libro di Stephen Buchmann, “Letters From the Hive: An Intimate History of Bees, Honey, and Humankind” (Bantam, 2005)" i pellegrini tedesco-cristiani hanno sviluppato un gusto per la torta di miele nei loro viaggi in Terra Santa durante il Medio Evo . Hanno apprezzato il piatto abbastanza da portarlo a casa, dove si è sviluppato nel corso del tempo nella sua forma contemporanea.
    […] nell’Europa dell'Est, dove gli ebrei festeggiano con dolci al miele il (?) simkhot (le felici occasioni) e le festività simili. Secondo Marks, l'uso complessivo del miele come ingrediente è calato nella in cucina orientale nel corso del 17 ° secolo, ma è rimasto popolare in quella ebraica.



    TORTA DI MIELE



    Ingredienti per 10-12
    3 e 1 / 2 tazze di farina (400 gr)
    1 cucchiaio di lievito in polvere
    1 cucchiaino di bicarbonato di sodio
    1 / 2 cucchiaino di sale
    4 cucchiaini di cannella
    1 / 2 cucchiaino di zenzero in polvere
    1 / 2 cucchiaino di pimento (allspice)
    1 / 8 cucchiaino di noce moscata
    1 tazza di olio vegetale (235 ml)
    1 tazza di miele di colore chiaro (ad esempio, fiori d'arancio, 0 acacia )(225 gr)
    1 tazza di zucchero(225 gr)
    1 / 2 tazza di zucchero di canna (115 gr)
    2 uova grandi
    1 cucchiaino di estratto di vaniglia
    1 tazza di caffè caldo o forte tè fermentato (io 2 tazzine di caffè forte e non zuccherato ovviamente)
    3 / 4 tazza di succo d'arancia (non da concentrato) (100 ml)
    1 / 2 cucchiaino di scorza d'arancia
    1 / 2 tazza di mandorle tostate a fette, optional (40 gr)
    zucchero a velo per spolverare, opzionale



    1. Preriscaldate il forno a 180 gradi, e ungete in modo uniforme uno stampo con il buco al centro tipo budino, con burro, o uno stampo da plum cake da 23 x 5 cm (9 x 2 in) . In una grande ciotola, mescolate insieme la farina, il lievito, il bicarbonato, sale e spezie.
    2. Fate un buco nel centro e aggiungete l'olio, il miele, entrambi gli zuccheri, uova, vaniglia, caffè, succo d'arancia e la scorza. Utilizzando una frusta o uno sbattitore elettrico a bassa velocità, unite gli ingredienti per ottenere una pastella soda.

    3. Versate la pastella nello stampo preparato. Infornate , e cuocere per circa 50 minuti - 1 ora , finchè risulti elastica al tatto (Fare attenzione a non passare la giusta cottura.). Lasciar riposare la torta per 15 minuti prima di toglierla dallo stampo. Poi rovesciatela su una gratella a raffreddare prima di tagliarla. Servire decorata con mandorle e spolverata con zucchero a velo, se lo si desidera.

    Un’ulteriore suggerimento tratto da qui : Preparate una glassa : fate bollire insieme 1 e 1 / 2 tazze di miele, succo di limone, scorza di limone e acqua. Quando la glassa raggiunge una consistenza densa, togliete dal fuoco e cospargete sulla torta. Cospargete poi con scaglie di mandorle.
    Mentre la torta è ancora calda, fare la glassa mescolando lo zucchero a velo (55 gr.) e 1 cucchiaio di miele chiaro insieme a 2-3 cucchiai di acqua calda. Spargete sopra la torta in qualsiasi disegno che più vi piace.




    Torta al miele
    ( Svezia inizi XVII sec.)




    1 dl e mezzo di miele
    4 uova
    1 dl di zucchero
    2 cucchiai (o più) di zenzero
    1 cucchiaio di pepe di Giamaica (ho aggiunto una grattugiatina di noce moscata)
    4 dl di farina di grano

    Ungere una pirofila di circa 1 ½ litri di dimensione. Scaldare il miele in modo che si può facilmente mescolate con un cucchiaio. Montare le uova finchè non sei bianco, mescolarle con il miele e spezie. Infine, mescolate la farina e versate il tutto nella tortiera. Cuocere in forno per circa 30 - 40 minuti a 175 ° C. Toglierla, lasciarla per un giorno e servire con burro.
    Ora alcuni suggerimenti : io ho diviso i tuorli dalle chiare, poi le ho montate da sole a neve ben ferma con un pizzico di sale e qualche goccia di limone... e solo alla fine le ho unite al composto che risulta piuttosto sodo.
    Per servire la torta è ottimo del burro, naturalmente , ma è veramente squisita accompagnata da un filo di miele, della marmellata o un po' di golden syrup. E' una torta perfetta da presentare con una tazza di te, aromatico, come l'earl grey o speziato, a seconda dei gusti, o con della cioccolata o, e le mie figlie sottoscrivono questa versione, con una tazza di latte freddo. Siccome era una torta di una certa "importanza" ho preferito presentarla cotta in stampi più eleganti e, in questo caso vanno cotte solo 25 minuti, o comunque appena risultano dorate e superano la prova stuzzicadenti.





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