TORTE, DOLCI e la loro storia

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  1. gheagabry
     
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    LA CHARLOTTE



    La Charlotte è un dolce al cucchiaio costituito da una crema bavarese “imprigionata” in una “gabbia” di biscotti savoiardi insieme a pezzi di frutta (fragole, ananas, pesche, mele) dal cui nome deriverà quello del dessert. Sembra che il noto dolce inglese sia stato creato in omaggio alla regina Carlotta, moglie di Giorgio III, non in seguito ad una tresca amorosa poiché la regina Charlotte Sophia di Mecklenburg-Strelitz, moglie del celeberrimo re d’Inghilterra Giorgio III e madre di 15 figli, fu una sovrana amata e rispettata, nota benefattrice e mecenate delle arti e della botanica. La regina ebbe una vita serena, turbata solo dalla pazzia del marito qualche anno prima della sua morte. Godette del favore dei sudditi ed ottenne diverse dediche. Tra queste l’opera K3 da parte di un giovanissimo Mozart e la bellissima specie della pianta strelizia, battezzata Strelitzia reginae in suo onore.

    Alla sua nota passione per la botanica, infatti, pare sia dovuta secondo l’Oxford Companion to Food, famosa enciclopedia del cibo britannica, la dedica del dolce Charlotte, evoluzione del più semplice bread pudding inglese. Sembrerebbe, infatti, che questa versione del budino di pane cotto al forno farcita di mele sia stata ispirata all’amore della regina per gli alberi di mele. Secondo l’Oxford English Dictionary, la prima citazione su carta stampata della Charlotte risale al 1796, quando la regina era ancora in vita, nella poesia “Hasty Pudding” di J. Barlow, scherzosa celebrazione delle delizie culinarie della nuova Inghilterra, in cui egli la descrive con queste parole:

    “the charlotte brown, within whose crusty sides, a belly soft the pulpy apple hides”

    “la charlotte dorata, nei cui fianchi croccanti si nasconde un ventre morbido di mele”.






    Per la prima ricetta stampata bisognerà aspettare circa un decennio. In origine, infatti, questo dolce era costituito da una purea di frutta racchiusa da pane raffermo, magari intinto nel burro, e poi cotto in forno. La torta Charlotte giunta ai nostri giorni, costituita da un guscio di biscotti spugnosi che racchiudono una bavarese alla vaniglia, è un'invenzione da attribuire al cuocofrancese Marie Antonin Careme, uno dei più grandi e colti cuochi della storia che introdusse nella cucina, quello che in pittura si chiama il “valore”, comprendendo per la prima volta che i sapori e gli odori devono essere giudicati non in assoluto, ma nei loro reciproci rapporti. Egli incarnò l'ideale del cuoco perfetto, poiché non fu solamente un abile esecutore di ricette, ma anche uno studioso di storia della gastronomia, e molte delle sue opere, tra cui la più celebre è“L'Art de la Cuisine Française”, fanno ancora oggi testo in materia. Egli lavorava presso la corte inglese di Giorgio III e preparò in onore della moglie questo dolce particolare e delicato, di cui poi affinò ulteriormente la ricetta quando si trasferì alla corte dello Zar Alessandro I di Russia a San Pietroburgo.

    La crema bavarese, che costituisce la base della classica Charlotte, si prepara partendo da una crema inglese cui si amalgama gelatina o colla di pesce e alla quale si incorpora la panna alla fine. Questa crema, pur avendo origini francesi, prende il nome dalla regione tedesca della Baviera. Comunemente si tende ad utilizzare il nome bavarese preceduto dall'articolo femminile, sottintendendo la parola crema: la bavarese. Tuttavia il termine corretto è al maschile, in quanto deriva dal francese bavarois e perché potrebbe essere sottintesa la parola budino: budino bavarese. La sua preparazione segue le stagioni e vede l'aggiunta, a seconda di quanto è disponibile, di ingredienti diversi: frutta fresca o candita, confettura o marmellata, cioccolato o aromi diversi dalla vaniglia, caffè e così via. Può essere servita come dolce al cucchiaio, essere usata come farcitura o fare da base per preparazioni più elaborate. La Charlotte è un dolce che difficilmente si trova in commercio o nei nostri ristoranti, ma se preparato bene è molto delizioso. Potrete eventualmente bagnare i savoiardi nel latte o nel liquore, a seconda che preferiate darle un gusto più cremoso o forte. Si tratta di un dessert facile da preparare e dove potrete utilizzare la frutta che avrete a disposizione.



    Charlotte all’ananas

    Ingredienti per la crema bavarese:

    250 g di latte intero
    150 g di zucchero
    4 tuorli d'uovo
    250 g di panna fresca
    8 fogli di gelatina

    Preparazione
    Ammorbidite i fogli di gelatina nell’acqua fredda. In una ciotola sbattete i tuorli d'uovo con lo zucchero amalgamando bene in modo da ottenere una crema chiara e spumosa. Nel frattempo, in un pentolino scaldate il latte con la vanillina o con una bacca di vaniglia e, appena il latte inizia a bollire, spegnere il fuoco e lasciate riposare 5 minuti. Dopo aver tolto la bacca di vaniglia, aggiungere uno alla volta le uova mescolando in continuazione. Rimettere il tutto sul fuoco e portare ad ebollizione continuando a mescolare con un cucchiaio di legno. Appena comincia a bollire, spegnete nuovamente il fuoco, unite i fogli di gelatina uno alla volta mescolando continuamente e lasciate raffreddare. Quando il composto di uova, latte e zucchero si sarà raffreddato, montate a neve la panna ed incorporatela fino ad ottenere un composto omogeneo. Lasciate da parte in attesa di montare la charlotte.

    Ingredienti per la Charlotte

    Crema bavarese
    Una confezione di savoiardi da 500 g
    Una scatola di ananas sciroppato
    Bagna al maraschino (facoltativa)
    Ciliegine candite
    Una pentola dal bordo alto quanto un savoiardo posto in verticale(o un apposito stampo per Charlotte)
    Carta da forno

    Preparazione

    Bagnate la carta da forno con acqua e stropicciatela in modo da renderla “plasmabile”. Foderate la pentola prescelta interamente con la carta. Ponete l’ananas a scolare in uno scolapasta avendo cura di conservarne il liquido (se usate ananas fresco potete acquistare a parte il succo). Unitevi due cucchiai di bagna al maraschino e mescolate. Intingete rapidamente i savoiardi nello sciroppo d’ananas e cominciate a foderare lo stampo partendo prima dal fondo, avendo cura di non lasciare spazi vuoti. Una volta foderato tutto lo stampo, tagliate l’ananas a pezzi, e unitelo alla crema bavarese mescolando in modo da distribuirlo in maniera omogenea. Versate metà della crema all’interno dello stampo, quindi ricopritela con uno strato di savoiardi intinti nello sciroppo e versate la restante crema. Ricoprite la superficie con altri savoiardi ammorbiditi in modo da non lasciare alcuno spazio vuoto. Ponete in frigorifero per 4 -5 ore. Al momento di servire ponete sul bordo della pentola il piatto da portata in modo da farlo aderire perfettamente e capovolgetela. Una volta estratto il dolce, eliminate delicatamente la carta forno. Decorate con le ciliegine candite e servite subito.



    Manuela Zanni

    sceltedigusto.it
     
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    Pan di spezie

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    La sua lontana origine potrebbe essere indiana o persiana. Gli antichi Greci ne erano golosi: sappiamo che lo chiamavano “melitales”, ma è impossibile stabile quali spezie entrassero in questo impasto di cereali dolcificato con il miele.
    Secondo la leggenda, il pan di spezie si diffuse nell’Europa occidentale nel X sec. ad opera di san Gregorio, vescovo d’Armenia rifugiatosi in Francia, che era solito offrirlo a tutti coloro che gli facevano visita.
    Il pan di spezie si impose rapidamente nell’Europa del Medioevo. L’impasto era elaborato con farina di segale, miele, anice, coriandolo, cannella, zenzero (gli inglesi lo chiamano ancora ginger bread, pane allo zenzero), e altre spezie a seconda di gusti e disponibilità.
    Si diffuse l’uso di dare ai pani le forme più disparate, spesso oscene, come falli per guarire l’impotenza, seni per garantire il latte alle puerpere. I venditori di pan di spezie erano presenti in tutte le fiere e i mercati. Alcuni ordini religiosi elaboravano la propria ricetta speciale, dando ai pani la forma di monache o fraticelli.
    L’antica tradizione del pan di spezie è ancora oggi viva nell’Europa del Nord e nell’Europa centrale. Nelle fiere di paese di queste aree e facile trovare pan di spezie a forma di cuore o maialino.
    Tutt’oggi in Ungheria si fanno cuori di pan speziati con un piccolo specchio al centro: ogni innamorato ne regala uno alla sua bella perché possa vedere riflesso il volto di colei che regna nel suo cuore.

    ...la ricetta...

    Ingredienti

    450 gr. di farina, 60 gr. di miele, 60 gr. di zucchero, 120 g. di burro, 3 uova, 3 tuorli, 1 cucchiaio di cannella, 10 chiodi di garofano, 20 gr. di anice in polvere, semi di cumino.

    Preparazione

    Mescolate, in una terrina, la farina con lo zucchero e il miele. Aromatizzate con la cannella in polvere e i chiodi di garofano tritati finemente. Unite quindi le uova intere ed i tuorli ed infine il burro sciolto in precedenza a bagnomaria e lasciato intiepidire. Impastare energicamente il tutto fino a rendere l'impasto omogeneo. Fatelo a palla e lasciatelo riposare per una notte in ambiente fresco.
    Stendete la pasta su una spianatoia infarinata. Prendete la sagoma in cartoncino della forma desiderata, adagiatele sulla pasta e incidetela lungo il bordo con un coltello. Collocate i panetti su una teglia foderata con carta da forno e cuocete a temperatura dolce per circa 30 minuti




    Pane certosino

    Certosino-dolce-natale-bologne




    Detto anche panspeziale, alimento a lunga conservazione a base di frutta secca e candita, mangiato a fette sottili.
    La ricetta originale è molto antica e risale al Medioevo quando era fatta dagli speziali. Successivamente, in seguito al passaggio della sua preparazione ai frati certosini di Bologna, il dolce avrebbe cambiato nome prendendo quello della comunità monastica.
    Questa è la torta tradizionale bolognese di Natale, la cui fattura dovrebbe iniziare almeno un mese prima delle festività per offrire il meglio dei suoi aromi.
    È documentato dal 1740 che un gigantesco pane certosino veniva inviato dai monaci seguaci di San Brunone a papa Benedetto XIV.
    Molte sono le varianti familiari della ricetta, spesso arricchita di cioccolato fondente.


    .....la ricetta....

    Tagliuzzare grossolanamente delle mandorle già pelate, fate a pezzetti della frutta candita, ammorbidite dell’uvetta di Corinto, pestate chiodi di garofano, sbriciolate finemente del cioccolato fondente.
    Versate in una ciotola del miele e mescolando continuamente aggiungete acqua bollente, del bicarbonato di sodio, zucchero e semi di anice. Lasciate cadere lentamente della farina sopra l’impasto amalgamando per alcuni minuti.
    Unite pinoli, cannella, un po’ della frutta candita, i chiodi di garofano, l’uvetta ben scolata, il cioccolato, le mandorle, e lavorate bene il composto. Ricopritelo con un panno e lasciatelo riposare per lungo tempo in luogo secco.
    Versate il preparato in uno stampo unto di burro, appiattite la superficie aiutandovi con un cucchiaio di legno, e distribuitevi sopra la frutta candita rimasta. Passate in forno caldo per quaranta minuti.
    Consigliamo di consumare il Pane Certosino dopo almeno due giorni, tagliato a fette sottili.






    taccuini storici
     
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    Mozartkugeln – Le Palle di Mozart



    Era il 1884, quando Paul Fürst aprì la sua pasticceria a Salisburgo, in Brodgasse 13. Si vantava – giustamente – di avere fatto lunghi anni di esperienza nelle più importanti pasticcerie di Vienna, Budapest, Nice ecc.
    Nel 1890, dopo numerose prove e tentativi, Paul creò il Mozartkugel. Gli ingredienti principali sono: il marzapane, i pistacchi, la crema di nocciole e la copertura di cioccolato fondente di ottima qualità.
    Nel 1905 Fürst ricevette, per i suoi cioccolatini, una medaglia d'oro alla fiera internazionale di Parigi.

    Mozart nomina spesso il cioccolato, nei suoi scritti privati e nello stesso Don Giovanni. Onore dunque (e gloria, parafrasando un verso del Don Giovanni) a Paul Fürst, per essersene rammentato e per avere aggiunto questa ennesima fonte di ricchezza (materiale) alle ricchezze artistiche recate da Mozart alla città di Salisburgo. E' un punto fermo nella storia del marketing applicato alla gola. Infatti il suo inventore lo chiamandolo fin da subito “Mozartkugel” intuì i principi di marketing oggi banali, ma allora del tutto all’avanguardia. Del resto gli austriaci, poveri di altre risorse, avevano già intuito che dal culto del mito mozartiano si poteva estrarre ricchezza. Si pensi, per fare un esempio, che il primo museo dedicato a Mozart era già stato aperto a Salisburgo da 10 anni (è del 1880) quando il dolcetto vide la luce per la prima volta.

    Le Mozartkugeln, "palle" di marzapane e cioccolato Nacquero quindi dalla creatività di Paul Fürst, pasticciere di Salisburgo, formatosi a Vienna e che dimenticò di "brevettarli" per proteggerne la ricetta (a danno del suo pronipote Norbert, tuttora vivente). Nell'anno 1996 la suprema corte di giustizia austriaca ha deciso che il pronipote Norbert, non poteva avere il monopolio sul nome Mozartkugeln, ma è l'unico a poter utilizzare la qualifica "originale". Se quindi volete comprare i cioccolatini originali, dovete scovarli nella pasticceria Fürst in Mirabellen Platz. Norbert Fürst ha quattro negozi a Salisburgo, dove vende i "Mozartkugeln" originali. Con tre dipendenti produce più di un milione di questi cioccolatini all'anno. Vende un cioccolatino a più di un Euro, mentre quelli degli altri produttori normalmente costano tra i 50 e i 70 Cent.




    La Ricetta:


    Ingredienti:

    - gr 450 crema spalmabile al cacao e nocciole tenuta per una notte in frigo
    - gr 60 marzapane
    - gr 30 pistacchi
    - colorante verde per alimenti
    - gr 150 cioccolato fondente


    Esecuzione:

    Scottate i pistacchi sgusciati per un attimo in acqua bollente, poi scolateli e strofinateli con un telo per eliminare la pellicina esterna. Frullateli nel mixer e uniteli al marzapane e a 2 gocce di colorante alimentare verde. Con le mani formate delle palline grandi quanto il nocciolo di una ciliegia.
    Immergete uno scavino nella ciotola di crema spalmabile e prendete una semisfera di crema. Inserite una pallina verde in questa metà e poi prelevate dal barattolo, sempre usando lo scavino, un’altra semisfera, per ottenere una sfera completa di cioccolato. Disponete le palline così formate su un vassoio foderato di carta da forno e via via mettetele in freezer.
    Fate fondere a bagnomaria il cioccolato fondente, infilzate una sfera alla volta in uno spiedo e immergetela nel cioccolato, ricoprendola uniformemente e lasciatele sul vassoio, stavolta in frigorifero, fino al momento di servire.



    dal web
     
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  5. gheagabry
     
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    La PESCA MELBA






    La Pesca Melba fu inventata da August Escoffier (torneremo a parlare di lui) nel 1899 in onore della leggendaria soprano australiana Nellie Melba, da lui molto ammirata. Il vero nome della cantante era Helen Porter Mitchell, ma aveva scelto il più facile “Melba” come contrazione e citazione di Melbourne, la sua città natale.
    Escoffier l’aveva particolarmente apprezzata in una interpretazione del Lohnengrin di Wagner e ne conosceva i gusti poiché la diva alloggiava al Carlton, l’hotel in cui lui lavorava. Escoffier sapeva quindi che pesche e lamponi erano i suoi frutti preferiti come pure il gelato di vaniglia, che la diva si concedeva poco per timore di ripercussioni sulla gola.
    Così, il giorno dopo a cena le fece trovare il dolce inventato in suo onore:
    “Ripensando al maestoso cigno mitico che apparve nel primo atto del Lohengrin, le feci servire, al momento opportuno, delle pesche disposte su di un letto di gelato alla vaniglia, all’interno di una coppa d’argento incastrata tra le ali di un superbo cigno scolpito in un blocco di ghiaccio e ricoperto da un velo di zucchero filato.
    L’effetto prodotto fu sorprendente e la signora Melba si mostrò estremamente colpita dalla mia attenzione. La grande artista, che di recente mi è capitato di rivedere all’Hôtel Ritz di Parigi, mi ha ricordato la serata delle famose “pesche al cigno” (Auguste Escoffier, Ricordi inediti, Slow Food Editore)
    Successo e risonanza furono grandissimi e il dolce divenne ben presto molto popolare e imitato, anche troppo liberamente, offendendo così la memoria del grande maestro. Gli ingredienti erano solo “pesche tenere e mature al punto giusto, gelato alla vaniglia e purea di lamponi zuccherata”



    Ricetta originale della Pesca Melba

    per 6 persone

    6 pesche Montreuil ben mature
    1 litro di gelato alla vaniglia molto cremoso
    250 gr di lamponi freschi
    150 gr di zucchero in polvere
    Mandorle fresche e zucchero filato per decorare


    Scottare le pesche per 2 secondi in acqua bollente, quindi scolarle e versarle immediatamente nell’acqua ghiacciata. Pelarle, disporle su di un piatto, spolverale leggermente di zucchero e tenere al fresco.
    A parte preparare una purea setacciata di lamponi e zuccherare.
    Servire le pesche su di un letto di gelato alla vaniglia e ricoprire con lo sciroppo ai lamponi. A scelta, si potranno decorare con delle mandorle fresche in scaglie e con un poco di zucchero filato.






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    IL CANNOLO SICILIANO



    Marco Tullio Cicerone, prima di diventare console romano fu questore in Sicilia dove, narrano le cronache, conobbe ed apprezzò il: "Tubus farinarius, dulcissimo, edulio ex lacte factus", ovverosia il "cannolo farinaceo fatto di latte per un dolcissimo cibo". Non era ancora il cannolo come lo conosciamo noi, ma ci si avvicinava parecchio.

    Andando più avanti nel tempo, una leggenda narra che la nascita dei cannoli sarebbe avvenuta a Caltanissetta, l'antica "Kalt El Nissa", "Castello delle donne", sede di numerosi harem di emiri saraceni. Si ipotizza che le donne, per passare il tempo, si dedicassero alla preparazione di prelibate pietanze ma soprattutto di dolci. Durante uno dei tanti esperimenti culinari si suppone che abbiano "inventato" il cannolo, ad imitazione di un dolce arabo, simile per forma ad una banana, ripieno di ricotta, mandorle e miele. Un'altra fonte, invece, tramanda che i cannoli siano stati preparati per la prima volta in un convento siciliano vicino a Caltanissetta. Si racconta che, in occasione del Carnevale, le monache "inventarono" un dolce caratterizzato da un involucro (‘a scorcia) preparato con farina, uova, strutto e zucchero, e da una farcia preparata con una crema di ricotta e zucchero ed arricchita con "cucuzzata" di pezzetti di cioccolato e granella di mandorle.
    Sposando le due leggende alla fine della dominazione araba in Sicilia, gli harem si svuotarono; una o più donne, ormai libere, convertitesi al Cristianesimo, entrarono in convento dove potrebbero avere riprodotto alcune delle ricette preparate per gli Emiri, tra le quali quella dei "cannoli".

    Nel 1635 un sacerdote dell'isola esalta in un'ottava la magnificenza del cannolo con le metafore "scettru di ogni re e virga di Moisè".

    Certo è che anche un verseggiatore dell'800 inneggiava al mitico cannolo siciliano, nato come dolce di carnevale ma divenuto presto immancabile squisitezza di tutto l'anno: "Beddi cannuola di Carnivali... su biniditti spisi li dinari... ogni cannolu è scettru di Re..." .

    La leggenda narra che il cannolo prenda il suo nome dalla parola volgare “canna”, ossia “rubinetto” in Siciliano. Ed è proprio così, come dimostratoci anche da vari documenti dell’epoca che attestano senza ombra di dubbio che il collegamento tra il dolce e i rubinetti..Uno scherzo, come si suol dire, da preti, nato in un dimenticato monastero e successivamente propagato dalla pasticceria palermitana: un motteggio carnevalesco del tempo faceva uscire da un rubinetto (cannolo in siciliano, il termine molto antico e riscontrato in documenti che attestano il significato della parola canna, la quale serviva da cannella per abbeveratoi e fontane) crema di ricotta invece dell'acqua.

     
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  7. gheagabry
     
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    LA MERINGA




    Nel corso dei secoli, la pasticceria si è sempre più specializzata in sezioni ben definite come pasticceria al cucchiaio, le paste col lievito, i budini, le croste, le creme, le praline e via via con numerose altre specialità. Ma uno dei punti più alti di questa storia è rappresentato appunto dalle meringhe, raffinatissime nuvole di bianco d'uovo e zucchero, la vera essenza della pasticceria più remota. In epoca rococò anche le facciate dei palazzi tendevano ad assomigliare alle forme spumeggianti della meringa e a mimare quel soffice e casuale accumulo di dolcezza aerea. Vincenzo Corrado nel 1786 dettava di farla nel modo seguente:

    "Cotta una libra di zucchero asciutto in modo che attacchi tra le dita, ed addensata, dimenandola con mestola di legno, si mescolerà con cinque chiare d'uova montate, e poi si disporrà a bocconi sopra un foglio di carta, i quali assodati per poco al forno, si serviranno uniti a due a due ripieni di marmellata, o pure semplici.".

    La ricetta, a parte la descrizione, è rimasta più o meno la stessa e non era solo appannaggio della maestrìa di cuochi o di laboratori, ma era entrata anche nelle case, quando ancora non si buttava via niente e quando, dopo aver fatto la crema, si usavano le chiare per farci le meringhe. Col tempo le meringhe si sono codificate a seconda del modo di lavorarle e oggi abbiamo una curiosa classificazione: meringa ordinaria o francese, che è la più conosciuta ed usata in Italia; meringa italiana, la più conosciuta ed usata in Francia; e infine la meringa sarda, che si differenzia dalle altre per l'aggiunta di mandorle tritate. (gelatodessai.it)





    Sembra che l'amore sia la ragione per cui tale prelibatezza sia nata. Si narra che l'inventore, il pasticciere di origini italiane Gasperini, nel XVIII secolo abbia creato questa delizia per conquistare il cuore della principessa Maria Leszczyńska, promessa sposa di Luigi XV. La fanciulla, figlia del re polacco Stanislaus Leszczynski, fu talmente entusiasta del dolce che volle conoscere di persona il pasticciere. I due si incontrarono nella città di Meiringen, da cui deriva il nome di meringa.

    Anche Maria Antonietta fu amante di questo pasticcino ed era solita consumarlo, all'interno della Reggia di Versailles, accompagnandolo con la crema chantilly. Era il suo dolce preferito tanto che al Trianon aveva sempre pronto il necessario per prepararle in qualsiasi momento.


    La regina Elisabetta d'Inghilterra è la sostenitrice per eccellenza di questo tripudio di zucchero. La prima volta che l'assaggiò, esclamò: "Oh, that's like a kiss!", un modo molto diretto per affermare la bontà di un dolce effettivamente povero e semplice. Visto poi il carattere burbero e difficile della regina, l'intera vicenda si poté definire un successo e da quel momento storico in poi la meringa non fece altro che affermarsi ancora di più nel mondo della pasticceria mondiale.

    Se il celebre dolce derivi da Meiringen o Mehrinyghen, o addirittura dalla parola fiorentina merenda, è una questione tuttora dibattuta tra gli esperti.





    Le varietà di meringa maggiormente celebrate sono quella italiana, quella francese e quella svizzera, tenendo in considerazione la variante sarda e i già citati marshmallows americani.

    La meringa francese, detta anche ordinaria, è la più diffusa nel nostro Paese e prevede l'aggiunta dello zucchero a freddo. Questa si caratterizza per la forma a schiaffo, ossia circolare con un piccolo ciuffo sulla superficie oppure a piattino, spianata e simile a un disco. Montare a neve ferma con lo zucchero che dovrà essere il doppio rispetto all’albume ed un pizzico di sale. Disporre il composto aiutandosi con una sacca da pasticceria in forno e “cuocere” a calore lievissimo (50°), sufficiente a far sì che evapori l’umidità all’interno della meringa fino a che non risulterà asciutta e leggerissima.



    La ricetta della meringa italiana prevede la cottura dello zucchero il quale, di conseguenza, va aggiunto alla preparazione quando è caldo e liquido. Si montano gli albumi a neve fin che capovolgendo il contenitore, questi non cadranno ma resteranno ben fermi nel contenitore capovolto, si scalda lo zucchero in una pentola, meglio se di rame, portandolo a 112 °/116 °, si unisce lo zucchero bollente agli albumi, si lavora con attenzione e poi si utilizza per dolci che non richiedano una particolare consistenza della meringa.

    La caratteristica fondamentale per la preparazione della classica meringa svizzera consiste nel cuocere gli albumi ad una temperatura non superiore ai 60 gradi. Montare gli albumi con lo zucchero a bagno maria alla temperatura di 60°. Questo viene fatto al fine di poter cuocere il composto a temperatura più elevata (120°). Le proporzioni sono sempre le stesse, anche qui dunque lo zucchero dovrà essere il doppio dell’albume.

    La versione sarda prevede la presenza delle mandorle.

    La Meringa alla Giapponese, altro non è che una meringa francese a cui si aggiungerà amido di mais e farina di mandorle, la sua struttura diviene così molto resistente, si cuocerà a temperature superiori ai 150°.

    La meringa, chiamata comunemente anche spumiglia, viene impiegata in pasticceria come dolce autonomo o come componente in alcuni dolci più complessi. Nel primo caso basta pensare agli spumoni o alle dita di dama, gustati semplicemente con un po' di cioccolato sopra. Nel secondo caso l'esempio più popolare è la meringata, formata da due dischi di meringa che vengono ornati con panna montata e crema pasticcera.

    Questa prelibatezza può essere proposta in diverse varianti, con l'aggiunta di ingredienti che ne alterano le qualità cromatiche. Per esempio, basta un estratto di carota viola per rendere l'impasto rosa pallido o, se privo di limone, azzurro chiaro.(mychef.tv)


     
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  8. gheagabry
     
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    I MACARONS



    I Macarons sono tra i dolci più famosi della cucina francese. Si tratta di piccoli pasticcini composti da due soffici meringhe che racchiudono un ripieno morbido… somigliano ad un piccolo panino imbottito. La ricetta ha innumerevoli varianti, ma la base per la preparazione dei Macarons è composta da albume d’uovo, farina di mandorle e zucchero a velo. Al tutto va aggiunto un colorante alimentare che serve a dare ai dolcetti la tipica colorazione accesa e diversa per ogni gusto. Verdi, viola, gialli, rosa o marroni, ogni Macaron ha un ripieno diverso (marmellate di ogni genere, burro, crema al cioccolato…) e un sapore unico.

    Benché la loro origine francese sia la più comunemente riconosciuta, una teoria sostiene che la preziosa ricetta fu importata nell’Esagono da Caterina de’ Medici e dai suoi pasticceri italiani, quando nel lontano 1533 sposò Enrico II di Francia. Probabilmente è proprio per questa discendenza italiana che portano questo nome, tanto simile al nostro “maccarone”!
    Ma la versione moderna dei Macarons nacque agli inizi del secolo scorso per mano del pasticciere Pierre Desfontaines, che lavorava per la Pâtisserie Laudrée. A Parigi, nel 1871, quella che al 16 di Rue Royale esisteva la panetteria di Louis Ernest Ladurée che si riconfigurò come pasticceria, a seguito di un incendio. Premessa provvidenziale perché poi la moglie di Ernest Ladurée, Jeanne Souchard, potè svilupparvi un'intuizione tutta femminile: aprirvi una sala da thé, tra le prime della città, dove le donne possano riunirsi in assoluta spensieratezza. Segno dei tempi, di una modernità incipiente che si culla tra le nascenti avanguardie artistiche e gli ultimi splendori del Secondo Impero. Nel 1930 la già gloriosa storia di quella sala da thé si arricchisce di una nuova delizia. La storia del macaron Ladurée nasce con Pierre Desfontaines, cugino di Louis Ernest, che verso la metà del Novecento ebbe l’idea di unire i gusci di meringa con un ripieno di cioccolato fuso e panna. Et voilà i macarons come li conosciamo oggi. Dal cioccolato alla vaniglia fino alle farciture più insolite, come la rosa o la menta. Questi dolci, secondo la tradizione Ladurée, non sono soltanto dei pasticcini, ma delle icone. È l'inizio di un successo incontrastato che rende i macarons, da soli, emblemi della maison parigina. Prelibatezza che ha popolato l'immaginario di ogni arte, dalla moda al cinema, capace di sedurre col suo gusto unico menti di filosofi e di impeccabili esteti. Il richiamo di quel luogo magico, dalla rarefatta atmosfera fin de siécle, è tanto potente da ammaliare David Holder e suo padre Francis, fondatore del Gruppo Holder. (dal web)
     
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  9. gheagabry
     
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    I MOSTICCIOLI



    Sinonimi di "mastazzola", "mustazzoli" o "nzudde", sono biscotti duri, compatti, pesanti, delle forme più svariate, decorati da carta stagnola colorata.
    Cinquanta le forme tradizionali più diffuse volgarmente note come "a parma" "u panaru", "a grasta", "u cori", "u pisci spada", "a sirena", ossia la palma, il paniere, la pianta, il cuor, il pesce spada e la sirena. Alla voce "Mustazzuòlu o mostacciolo" (Vocabolario del dialetto calabrese (1977) di Luigi Accattatis) riporta la definizione di : "dolce introdotto dagli arabi e che si fa di fior di farina impastata con miele o con vino cotto, condito di varie spezie e cotto in forno. Il popolo usa questo specie berlingozzo, più che altre occasioni nei maritaggi" e ancora Giovan Battista Marzano nel Dizionario etimologico (1928): "i mostaccioli sono dolci caserecci fatti con farina, miele, mosto cotto, conditi di droghe, in forma romboidali a pupattoli, panieri e simili; il nome deriva dal latino mustaceus ovvero mustaceum, da mustacea, antica focaccia per nozze preparata mescolando farina, mosto cotto, n condimento grasso, cacio, anice, cotta sopra foglia di lauro" ed infine Gerhard Rohlfs, studioso tedesco, nel Dizionario dialettale delle tre Calabrie (1934) li cataloga come "specie di dolci di farina impastata con miele e mosto cotto".

    Tenuta da sempre segreta e mai svelata neanche nei libri di ricette, è un dolce tradizionale di Soriano Calabro, e Serra san Bruno.
    Il dolce ha origini antichissimi è un intreccio tra storia e leggenda tramandata negli anni da padre in figlio in generazioni.... forse araba anche se il nome deriva dal latino "mustacea", antica focaccia nuziale o forse magno - greca prima delle cannamele (zucchero di canna).

    La leggenda ne assegna la diffusione ad un monaco misterioso, apparso all’improvviso e sparito nel nulla,che li avrebbe offerti generosamente ad una popolazione contadina e povera come quella di Soriano. Su questi dolci animati aveva vegliato a lungo S. Domenico, il cui santuario era meta di pellegrinaggio e di culto, che ne diviene patrono dei mastazzolari e il maestro artigiano viene chiamato "u monacu".

    Per la storia invece , l’introduzione dei mostaccioli si attribuisce ai monaci certosini del centro di S. Stefano in Bosco vicino Serra S. Bruno. Poi ai Domenicani del convento appunto di S. Domenico , sorto nel 1510 che hanno insegnato , sostenuto tra gli artigiani locali l’arte pasticcera, fiorente tra il 600 ed il 700 infatti tante sono di svariate forme riprodotte dai ( mastazzolari) cosi detti quelli che lavorano con le mani un comune impasto. Quest’arte e questa manifattura dolciaria estrinseca la sua massima espressione nel corso della festa di S. Domenico, proclamato patrono principale del Regno di Napoli nel 1640, fissata per il 15 settembre.
    Quando, però, nel 1653 Soriano venne distrutto da un terremoto, le aspettative taumaturgiche dei fedeli non decaddero e così meta di pellegrinaggio e di venerazione divenne S. Rocco del vicino santuario di Gerocarne; qui ancora oggi, come allora, a chiusura della festa del patrono che si celebra il 16 agosto si svolge un coinvolgente rito cristiano che vede i mostaccioli donati dai miracolati, acquistati all’incanto in un’asta pubblica e il cui incasso è devoluto per opere pie e per beneficenza.

    Le idee che poi vengono trasformate in immagini fantastiche , espressione di vita quotidiana, di oggetti comuni, di leggende, sono simboli del fluire del tempo , della superstizione, di miti di ricorrenze e di culto. Molte sono le forme riprodotte dai mastazzolari e tante le idee che vengono trasformate in immagini fantastiche. Le forme tradizionali si possono enucleare in gruppi di animali, forme libere, figure religiose ed umane ed ex voto.
    Una collezione delle forme classiche di questi speciali biscotti è raccolta presso il Museo di Palmi, il Museo nazionale delle arti e mestieri di Roma e trentasei forme sono state fotografate e custodite presso il Centro Culturale del folklore e delle tradizioni popolari di Soriano. Qui si conserva pure un presepe realizzato con tutti i personaggi di pasta dolce, recentemente presentato presso la Mostra d’Oltremare a Napoli.(cogalmonteporo.net)

    L'impasto dei bisctti si presenta di colore scuro, molto dolce e dal sapore piuttosto deciso, la glassatura, che la tradizione vorrebbe al cioccolato, ha subito modifiche e modernizzazioni nel tempo, proponendo varianti al cioccolato bianco, all'arancia e alla nocciola, che impreziosiscono i dolcetti, rendendoli ancora più sfiziosi ed invitanti. Il loro nome deriva dall'abitudine contadina di aggiungere nell'impasto del mosto, per conferire a questi biscotti un sapore più dolce e deciso, essendo poi i mostaccioli dei dolci molto diffusi in varie regioni d'Italia, sono numerose le varianti dialettali.



    ..la ricetta..

    Ingredienti Mostaccioli calabresi

    1 litro di miele di fichi
    1 cucchiaio colmo di miele d’api
    750 ml di latte
    2 uova intere
    200 gr di zucchero
    1 cucchiaino ben colmo di bicarbonato
    1 cucchiaino ben colmo di sugna
    3 kg di farina

    Preparazione

    Su una spianatoia disponete la farina a fontana. Al centro mettere le uova e lo zucchero e cominciare ad amalgamare questi 2 ingredienti. Una volta che le uova e lo zucchero sono diventati un’unico composto, versare il miele di fichi. Amalgamare con le mani. Dopo aver aggiunto il miele di fichi, aggiungete una cucchiaiata di miele d’api e il latte. Amalgamate il tutto sempre con le mani.
    Ora dovrete aggiungere soltanto il cucchiaino di bicarbonato e il cucchiaino di sugna. Amalgamate per bene tutti gli ingredienti che sono al centro della fontana di farina. Poi pian piano incorporate la farina, fino ad ottenere un composto morbido ma asciutto. Formate una palla.
    Da questa palla andrete a togliere un pò di impasto alla volta e formerete dei cordoncini. Da questi cordoncini, potrete dare la forma che più vi piace ai vostri mostaccioli.
    Fate cuocere in forno preriscaldato a 200° per 15 minuti. Saranno cotti quando di formerà una crosticiana scura sulla superficie del mostacciolo.
    (timangio.com)

     
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    LA STORIA DEL PANCAKE



    Il pancake è un dolce tradizionale per la prima colazione nell'America settentrionale e, con altre varianti, in altre parti del mondo. La versione nordamericana è simile alle crêpes ma sono spesse circa 12-20 mm. La ricetta prevede l'impiego di burro, farina, latte, zucchero e uova. Esistono alcune varianti, che vedono anche l'aggiunta di cannella o vaniglia o l'uso dello yogurt al posto del latte. Lo spessore è ottenuto per la consistenza dell'impasto e per la presenza del bicarbonato di sodio o di un altro lievito chimico. Generalmente sono dolci, accompagnati da sciroppo d'acero, confettura o miele. Possono essere anche salati con del burro fuso sul pancake caldo, uova o bacon.
    Negli Stati Uniti, i pancake sono anche chiamati hotcakes, griddlecakes o flapjacks. In Gran Bretagna e in Irlanda, il pancake è una specie di crêpe che britannici e irlandesi mangiano tradizionalmente durante il Martedì Grasso,il "Pancake Tuesday". Sono simili a quelli nordamericani, ma più piccoli e vengono chiamati Scottish pancakes. In Scozia, vengono raramente serviti a colazione, vengono invece considerati dolci o dessert. In Australia e Nuova Zelanda si chiamano pikelets. Vengono serviti con panna e marmellata o solo col burro. Negli states questo tipo viene chiamato silver dollar pancakes.
    I francesi hanno la loro propria denominazione sulle frittelle, chiamando i loro sottili dischi, crepes che possono essere riempite con qualsiasi cosa da uova al formaggio e anche gli spinaci e pesce. Nei Paesi Bassi la parola pannenkoek è traduzione letterale di pancake. Gli ingredienti sono gli stessi delle crêpes francesi, ma si cucinano meno sottili. In Polonia sono diffusi i naleśniki, ripieni per esempio di spinaci. La variante russa si chiama blini ed è un piatto salato (farcite per esempio con caviale). In Romania sono dette clătită e sono salate o dolci. In Cina sono molto diffusi i Bing Zi. In Argentina, Cile ed Uruguay sono molto diffusi e si riempiono con dolce di latte o manjar e vengono chiamati panqueque.

    ..la storia..


    La storia senza tempo della frittella è iniziata nei tempi antichi, quando la forma più semplice di cucinare era far riscaldare la pastella in una padella o su una pietra a fuoco diretto. I pancakes, una delle prime forme di pane, non sono stati chiamati frittelle fino alla fine del 1800. Eppure, qualunque sia stato il nome, le frittelle erano apprezzato in tutto il mondo e lo sono ancora oggi.
    Dal VI secolo, le frittelle sono state una parte importante della colazione di ogni greco. La prima menzione scritta di frittelle viene dal Cratino, poeta che ha descritto frittelle calde in uno dei suoi scritti. In Grecia, le frittelle sono chiamati taginites. Una ricetta di frittella appare in un vecchio libro di cucina di Apicio dell'antica Roma.

    I pancake rientrano nella cultura gastronomica inglese da tanto di quel tempo da essere considerati un piatto tipico. In realtà non è certo che la ricetta sia originale inglese, una certa scuola li vuole statunitensi, un'altra li attribuisce ai tedeschi che, emigrati negli Stati Uniti, li hanno diffusi anche lì. Pare che la prima ricetta scritta, in inglese, risalga al 1434 (prima della scoperta dell'America quindi...), difficile però stabilire a quale paese vada la paternità di questa focaccina a base di latte ed uova, variamente farcita una volta cotta.

    Kaiserschmarrn è un piatto popolare frittella che ha avuto origine in Austria-Ungheria. Gli studiosi concordano sul fatto che la prima kaiserschmarrn era probabilmente servito a dell'imperatore austriaco Francesco Giuseppe I. Questo tipo di frittella è tagliata in pezzi ed unito con altri ingredienti come bacche, noci e uva passa. Questo pancake è di solito mangiato come un dolce e servito con mele o salsa di prugne.

    Uno degli alimenti di prima colazione di George Washington erano frittelle che venivano letteralmente inzuppate nello sciroppo d'acero.

    ..miti e leggende..


    Frittelle e festival che sono spesso collegati tra loro. In Francia, il principale giorno cerimoniale per mangiare pancake è Candelora, il 2 febbraio. Durante questa festa, i bambini francesi indossano maschere e chiedono frittelle.
    In Provenza, se si tiene una moneta con la mano sinistra mentre si lancia una frittella, sarai ricco. E nella Brie, il primo pancake viene sempre dato alla gallina dalle uova che hanno fatto la frittella. E 'sempre considerato sfortuna lasciar cadere la frittella sul pavimento mentre la si lancia. La leggenda narra che Napoleone, amava fare e mangiare i pancake tanto che la colpa del fallimento della sua campagna russa fosse dovuto alla caduta, anni prima al Malmaison durante la Candelora, di una frittella.

    Nei paesi anglosassoni Martedì grasso è spesso indicato come "Pancake Day", era usanza finire entro questo giorno tutti i cibi grassi, vietati durante la Quaresima, le massaie usavano tutte le uova ed il burro che avevano in casa per preparare delle deliziose frittelle (delicious pancakes). Si narra che il martedì grasso del 1444, nel tardo pomeriggio, suonasse la campana della Chiesa che chiamava a raccolta i fedeli per la confessione prima del lungo periodo di Quaresima. Questo suono risultò poco tempestivo per una massaia che era ancora intenta a preparare i pancake con la sua padella. Ma la casalinga anglosassone non si perse certo d'animo, uscì con pantofole, grembiule e... padella! Andò in Chiesa correndo con la padella in mano in cui faceva saltare i pancake, curandosi, tra l'altro, di consumarli prima possibile poiché in Quaresima non è contemplato il consumo di dolci.
     
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    "I dolci hanno la forma della luna,
    e un ripieno morbido e profumato."
    (Su Dongpo)



    I DOLCI DELLA LUNA



    In Cina, l'etnia Han ha l'usanza di consumare i dolci della luna in occasione del XV giorno dell'ottavo mese del calendario lunare cinese in occasione della "Festa di Mezzo Autunno", chiamata anche festa della riunione, perché si ritiene che la luna quella sera sia più rotonda. Durante la festa si mangiano "i dolci della luna", sono paste rotonde con un ricco ripieno, molto diverse dalle normali tortine, recano impresse sulla superficie immagini di leggende mitiche come "Chang'E vola sulla luna", "Fiori belli e luna rotonda" e "Buon raccolto e lunga vita". Dopo la cerimonia, la famiglia suddivide e consuma i dolci della luna, col senso della riunione.
    I gusti dei dolci della luna differiscono secondo le località tra cui spiccano: il gusto di Pechino, il gusto dell'est, caratterizzato dai dolci di Suzhou, il gusto del sud, caratterizzato dai dolci del Guangdong, e quello di Chaozhou, della zona omonima. Di pari passo con il miglioramento del livello della vita popolare, i ripieni presentano dei cambiamenti. Oltre a zucchero, pasta di giuggiole, fagioli rossi, prosciutto e pasta di semi di loto, ci sono anche il rosso di uova d'anatra salate, frutta e crema di cacao. I dolci della luna si regalano anche durante le visite a parenti e amici.


    ..la storia..



    Secondo la leggenda, l'usanza risale alla dinastia Tang (618-907). Nel libro "Fatti di Luoyang" si legge che durante la festa di mezzo autunno, i letterati risultati primi all'esame imperiale festeggiavano accanto al fiume, e l'imperatore Tang Xizong fece portare loro in dono dei dolci della luna. In epoca Yuan, il popolo della parte centrale della Cina, non sopportando il crudele dominio della dinastia Yuan, si ribellò. Zhu Yuanzhang, il futuro primo imperatore della dinastia Ming, riunì le forze ribelli, preparandosi ad attaccare. Tuttavia i soldati della corte esercitarono uno stretto controllo, ed era difficile far passare i messaggi. Il famoso consigliere militare Liu Bowen ebbe un'idea. Fece diffondere la voce che d'inverno si sarebbe diffusa un'epidemia, e che per evitarla, tutti dovevano comprare i dolci della luna alla festa di mezzo autunno. Dopo averli comprati, la gente trovò all'interno dei foglietti di carta con la scritta: la sera della festa di mezzo autunno uccidiamo i mongoli e diamo il benvenuto alle truppe ribelli! Arrivato il giorno dell'azione, tutti i ribelli si riunirono e misero a ferro e fuoco le pianure centrali. La ribellione fu coronata da successo. Zhu Yuanzhang ordinò di festeggiare la festa di mezzo autunno con i dolci della luna.

    ....LA FESTA DELLA LUNA....



    La Festa di Metà Autunno è una delle festività più importanti del calendario cinese, subito dopo la Festa di Primavera (o capodanno cinese) ed il solstizio d'inverno..ed è strettamente associata alla leggenda di Houyi e Chang'e, essendo quest'ultima la dea lunare dell'immortalità. La tradizione colloca le due figure della mitologia cinese attorno al 2200 a.C., durante il regno del leggendario Imperatore Yao, successore dell'Imperatore Giallo. Diversamente dalle divinità lunari in altre culture, che personificano la luna stessa, Chang'e non rappresenta l'astro ma vi vive sopra.
    Ad accompagnare le celebrazioni figurano alcune tradizioni culturali od usi regionali, tra cui:
    La consumazione dei mooncakes, o torte lunari; Matchmaking. In alcune parti della Cina, si tengono delle danze per aiutare i giovani a trovarsi un partner. "Una alla volta, le giovani donne vengono spinte a lanciare tra la folla i propri fazzoletti. Il giovane che raccoglierà il fazzoletto di una ragazza e glielo renderà avrà una chance di iniziare una storia d'amore"; Si usa portare lanterne accese, accendere lanterne su alte torri oppure farle volare; Si brucia dell'incenso in onore di divinità quali Chang'e, la dea della luna; Nel sud della Cina, soprattutto nelle zone di Guangzhou, Hong Kong ecc, si usa appendere delle lanterne su dei pali di bambù, per poi posizionare questi ultimi su un punto elevato come tetti delle case, terrazzi o alberi; Si collezionano petali di tarassaco per poi distribuirli equamente tra i membri della famiglia; Si pratica la Danza del leone.
    L'icona tradizionale è il "coniglio lunare"...Secondo la tradizione cinese, il Coniglio di Giada avrebbe il compito, insieme alla signora della luna Chang'e, di pestare le erbe medicinali per gli dèi. Altre versioni della leggenda dichiarano che il Coniglio di Giada è solo una forma assunta dalla stessa Chang'e, in quanto le aree oscure che si vedono sulla luna durante la luna piena possono essere assemblate a formare un coniglio. Le orecchie dell'animale si troverebbero nella parte superiore a destra, mentre a sinistra si notano due grandi aree circolari che rappresenterebbero la testa ed il corpo.

    ...in VIETNAM...



    In Vietnam, la Festa di Metà Autunno viene chiamata "Tết Trung Thu". Secondo la versione vietnamita, la leggenda che dà origine alla festività narra che la moglie di un uomo chiamato Cuội un giorno urinò casualmente su un albero di fico sacro. Subito dopo aver dissacrato l'albero, la donna si sedette su uno dei tre rami principali, il fico iniziò a crescere ininterrottamente fino a raggiungere la luna. La moglie di Cuội si ritrovò, perciò, confinata lassù. Ogni anno, durante la Festa di Metà Autunno, i bambini accendono delle lanterne a forma di stella e si muovono in processione, in modo di mostrare alla moglie di Cuội la strada per tornare sulla Terra. Oltre alla leggenda dell'albero di fico, altre storie si intrecciano a formare la base di questa festività, tra queste la storia della Signora della Luna e la leggenda della carpa che voleva diventare un drago.
    In Vietnam, le torte lunari hanno una tipica forma quadrata piuttosto che rotonda, sebbene quelle tonde si possano trovare sporadicamente. Un evento importante, durante la Festa, è la Danza del leone. Tale danza viene effettuata sia da gruppi amatoriali di bambini, sia da gruppi professionali. I danzatori si esibiscono per le strade, e bussano alle case chiedendo il permesso di intrattenere le famiglie al loro interno. Se l'ospite acconsente, il "leone" inizia una danza rituale che serve come augurio di buona fortuna per la famiglia. In cambio, la famiglia ospitante dona al gruppo un compenso simbolico come segno di gratitudine.

    ...leggenda....



    Tanto tempo fa esistevano nel cielo dieci soli la cui luce fortissima impediva di vedere, il cui calore faceva ribollire i mari, aprire gigantesche crepe nel terreno e che sgretolavano le montagne come sabbia. Non vi era alcuno scampo a questo inferno. La gente sulla terra non riusciva più sopportare il caldo e la siccità che ormai continuavano da diversi anni. Hou Yi era un valente membro della Guardia Imperiale del leggendario imperatore Yao (2000 a.c. circa) che maneggiava un arco magico e scoccava frecce magiche. L’imperatore decise allora di chiamare Hou Yi ordinandogli di tirare ai "soli" in soprannumero per eliminarli dal cielo e soccorrere così la popolazione. Hou Yi, grazie al suo arco rosso, fece scoccare delle portentose frecce bianche, eliminando per sempre nove soli e lasciandone uno a splendere e a dettare i ritmi di una nuova vita. Chiare fresche e dolci acque tornarono a scorrere facendo bagnare l'erba da piogge di fiori. Il popolo iniziò a vivere in maniera prospera e gioiosa.
    Un giorno Chang’e, una donna molto affascinante, passeggiava verso casa lungo un ruscello tenendo in mano un recipiente di bamboo quando un uomo, andandole incontro, le chiese di poter bere. Chang’e vedendo che il giovane portava un arco rosso e delle frecce bianche con sé riconobbe in questo Hou Yi e colse un meraviglioso fiore porgendoglielo in segno di rispetto. Hou Yi dopo aver bevuto qualche sorso le donò una pelliccia di volpe argentea. Per innamorarsi bastò un'ora e fu così che la scintilla di questo incontro fece esplodere il loro amore portandoli a unirsi presto in matrimonio. Quando si e' felici però la vita si avvicina molto più velocemente alla sua fine perciò Hou Yi, preoccupato di doversi un giorno allontanare dall'amatissima moglie, si mise alla ricerca di un elisir di lunga vita e si mise in cammino verso i monti Kunlun dove viveva la Regina Madre d'Occidente. La Regina premiò il salvatore dell'umanità con una polvere finissima costituita dai frutti dell'albero dell'eternità e gli disse che se avesse condiviso con la moglie l'elisir avrebbero goduto entrambi di una vita eterna ma se solo uno avesse preso l'intera dose questo sarebbe asceso al Cielo per divenire un immortale. Ritornato a casa Hou Yi riferì il tutto alla moglie e insieme decisero di prendere l'elisir quando la luna e' piena e il suo chiarore inonda la terra, il quindicesimo giorno dell'ottavo mese lunare.
    Feng Meng, uomo malvagio e senza scrupoli, di nascosto scoprì le loro intenzioni e invidioso della bravura e saggezza di Hou Yi volle rubare il magico elisir. L'occasione per attuare il suo diabolico piano arrivò mentre sorgeva una luna piena e brillante nel cielo. Allora Feng Meng sorprese Hou Yi di ritorno dalla caccia e lo stordì. Quindi corse in fretta al palazzo di Hou Yi per costringere Chang’e a dargli l'elisir e soddisfare le sue brame ma questa, senza un attimo di esitazione, lo bevve tutto d'un fiato. E improvvisamente sentì poco dopo il suo corpo iniziare a fluttuare verso il Cielo.
    Hou Yi chiama disperato il nome dell'amata nella notte colma dei raggi della luna piena, vedendone nelle sue ombre la sagoma esatta di Chang’e, ma piu' l'eroe cerca di avvicinarsi alla luna, piu' questa si ritrae, più se ne allontana, piu' questa gli si fa incontro. Chang’e vive ormai nel palazzo della Luna nel cui giardino vive anche Wu Gang che per espiare gli errori fatti nella ricerca di una vita immortale e' stato spedito la' a tagliare l'albero di cassia, dai fiori profumatissimi, che però' ricresce sempre ad ogni potatura.
    Da allora e’ conosciuta come la dea della Luna e ogni volta che e’ piena significa che sta elargendo amore e unione per le famiglie e le coppie. Hou Yi si costruì un palazzo sul sole ed essi si vedono l’un l’altro il 15° giorno dell’ottavo mese lunare, appunto durante il Moon Festival. Chang’e e Hou Yi, simboli, rispettivamente della luna e del sole, sono divenuti espressione di yin e yang, negativo e positivo, buio e luce, femminile e maschile, ossia della dualità che governa l’universo.
     
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  13. gheagabry
     
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    "La ricetta è come uno spartito:
    va interpretata mantenendo l'essenza della tradizione"
    (G. Ballerini)



    LA STORIA DELLA CROSTATA




    La crostata è forse il dolce italiano più antico, in quanto non esiste un riferimento storico da cui si possa trarre la sua genesi, la tradizione popolare, però, riporta una leggenda che lo fa risalire a prima dell’era cristiana.

    La "tarte" medioevale era principalmente farcita di frutta, mentre le "tourtes" erano farcite di prodotti vari. Il termine Tarte era originario della langue d'oil e derivava dal tedesco "tart" o "torte" che voleva dire "delicatezza".
    Il termine tartellette invece appare come dici tu nel XIV secolo nel Viandier di Taillevent ma il ripieno era di crema pasticcera fredda, dorata con burro e zucchero e poi cosparsa di mandorle sfilettate.
    La Tourte invece risale all'epoca gallo.romana come abbreviazione di "torta panis".
    (da libro Toussaint-Samat, La très belle et très exquise histoire des gateaux et des friandises, Flammarion)


    Sembra che una preparazione simile a base di pasta frolla fosse già conosciuta a Venezia, dopo l'anno mille, quando si cominciò ad utilizzare lo zucchero importato dall'Oriente. Probabilmente la prima ricetta codificata risale al XIV sec. inserita da Taillevent nel suo manoscritto Le Viandier.




    La leggenda racconta di un rito pagano in onore della sirena Partenope. Infatti, Partenope aveva stabilito la sua dimora nel golfo di Napoli, e ad ogni primavera risorgeva dalle acque ed allietava le popolazioni del luogo col suo canto. Gli abitanti, per ringraziarla, decisero di farle dono delle cose più preziose che avessero. Incaricarono sette fanciulle di consegnare i doni, tutti simbolicamente rappresentativi: la farina (forza e ricchezza), ricotta (lavoro e frutto), uova (rinnovamento della vita), grano tenero bollito nel latte (a simbolo dei due regni), l’acqua di fiori d’arancio (simboleggiante il ringraziamento della natura), le spezie (rappresentanti i popoli lontani) e lo zucchero (simbolo della dolcezza del canto di partenope). In realtà, a pensarci bene, questa leggenda può essere interpretata in altro modo. Innanzitutto la ricotta e lo zucchero non sono altro che la trasposizione culinaria del latte e miele presente nelle offerte votive delle prime cerimonie cristiane. Le uova, poi, simboleggiano il ritorno alla vita e l’acqua di fiori d’arancio, rappresenta il risveglio della natura. E dunque il tutto a simboleggiare il ritorno della primavera. Comunque la leggenda si conclude con Partenope che pone i doni ricevuti ai piedi degli dei, i quali apprezzando, le restituiscono il dolce. A quel punto la sirena, contenta dell’apprezzamento anziché mangiarlo, lo dona agli abitanti che avevano mostrato tanta generosità.
    Meno leggendaria e più realista, risulta la storia che vuole la creazione della pastiera da parte di una suora nell’antichissimo convento di S.Gregorio Armeno. La creatrice della pastiera moderna, in realtà combinò gli ingredienti nella maniera che oggi conosciamo, partendo dalla ricetta popolare che già esisteva. Diede alla sua interpretazione culinaria un significato mistico, in quanto simboleggiante la Resurrezione di Cristo. Da qui anche l’usanza di preparare questo dolce il Venerdì Santo e di consumarlo durante la Pasqua.
    Essendo un dolce “povero”, la pastiera non vide mai i fasti della cucina cortigiana partenopea. Un giorno, però, tale Marchese De Rubis, in viaggio verso Napoli, ebbe la sventura di rompere la ruota della carrozza che colà lo trasportava. Essendo quasi notte, dovette chiedere ospitalità ad una famiglia di contadini. Fu così che assaggiò questo dolce e ne rimase ammaliato, tanto che si fece dare la ricetta e, quindi, lo introdusse alla corte dei borboni.
    L’ultimo episodio che ha per protagonista la pastiera, stavolta documentato, riguarda proprio i Borboni. Si racconta che la regina Mariateresa D’Austria, moglie del re Ferdinando II di Borbone, era soprannominata “la Regina che non sorride mai”, un giorno, cedendo alle insistenze del marito buontempone, accondiscese ad assaggiare una fetta di pastiera e non poté far a meno di sorridere, compiaciuta alla bonaria canzonatura del Re che sottolineava la sua evidente soddisfazione, nel gustare la specialità napoletana. A questo punto il Re esclamò: “Per far sorridere mia moglie ci voleva la Pastiera, ora dovrò aspettare la prossima Pasqua per vederla sorridere di nuovo”.
    Nel recente passato, il tipico dolce pasquale, ha rappresentato un rito familiare cui era difficile sottrarsi. Mio nonno, mi racconta sempre che la preparazione iniziava qualche giorno prima del venerdì santo, poiché si prendeva il grano e lo si metteva a bagno nell’acqua per qualche giorno. Poi il giovedì santo, ai giovani di casa spettava l’ingrato compito di mescolare la ricotta e lo zucchero. L’operazione apparentemente semplice, diveniva noiosa in quanto si preparavano tante pastiere quante erano le persone più care, partendo dai familiari per finire ai vicini di casa. Alla fine se ne preparavano anche 20. E, la cosa bella, è che donandola se ne riceveva un’ altra in regalo. Insomma una sorta di scambio di doni, solo un po’ monotematico. Per questo motivo, si diffusero una miriadi di varianti: col riso, con gli spaghetti, col farro, con la crema pasticcera, con la cioccolata. Alla fine ognuno interpretò la crostata modo suo, come si può vedere dalle molte diverse ricette che esistono in circolazione.




    "Senza tempo, eterna e mai vecchia, la crostata è una certezza. È un ricordo, una carezza, un odore, la scatola di latta che la conteneva a pezzettini o la prima volta che hai impastato la frolla e fino all’ultimo hai pensato che non sarebbe mai stata insieme.
    La crostata è distintiva, si divide per famiglie. Mai uguali, mai una precisa successione, mai le stesse dosi. È quella che tua madre non ha mai saputo fare, quella troppo dura di tua nonna, quella buona che hai mangiato alla festa di un amico, quella della panetteria sotto casa che compri per affezione troppo gialla e surreale. La crostata è le strisce di frolla decorative che ti lasciavano fare e che a tua volta tu lascerai fare a qualcun altro.
    È senza stagioni o di tutte, dipende dalla confettura. È il dolce perfetto, informale quando vuole, tradizionale sempre o moderna e nuova se ci inventa un nuovo abbinamento. Con lei non si sbaglia mai, si regala, si propone come dessert a fine pasto, al tè delle cinque, si mangia fredda o tiepida quando, prima di andare a dormire, devi aspettare che si raffreddi e non ce fai. Mai. Perché lei invade la casa con la sua fragranza di burro e limone, aroma dolce di confettura, aspro di marmellata d’arance amare, profumata.
    Riesce ad essere persino pretenziosa, è perfetta se perfetto è l’equilibrio tra spessore della frolla e quantità di ciò che la ricopre. Le strisce sembrano solo decorazione, invece tu li hai visti con i tuoi occhi, gli amanti dell’angolino con tante strisce o quelli che con indifferenza seriale pescano il pezzo con più marmellata."(Cristina Scateni EVERGREEN 27 luglio 2012 ore 07:20, www.dissapore.com/)


    ...dall.antica Roma...





    La crostata di zucca.... la ricetta di torta alla zucca più antica della storia, si trova nel De Re Culinaria di Marcus Gavius Apicius, citato anche da Seneca per le sue doti in cucina.

    Ingredienti:

    500 g di polpa di zucca
    250 g di pasta frolla
    150 g di zucchero di canna
    120 g di panna
    2 uova
    cannella
    noce moscata

    Preparazione:
    Adagiate la pasta frolla su una teglia rotonda per crostate ricordandovi di mettere sotto della carta da forno per far sì che non si attacchi, quindi cuocete la sola frolla nel forno per 15 minuti a 180 gradi. Per evitare che la pasta si alzi e non rispetti la forma, potete bucherellarla o metterci su della carta di alluminio e dei legumi secchi, in modo che il peso dei legumi le impedisca di alzarsi e sostituisca la funzione di appiatimento del ripieno. Mentre la vostra pasta frolla si sta cuocendo, sbollentate la polpa di zucca e ritiratela prima che diventi troppo morbida e si disfi nella pentola. Poggiatela in un piatto fondo e schiacchiatela con la forchetta. Unitela al resto degli ingredienti e montate la zucca insieme alle uova, la panna con lo zucchero di canna, mezzo cucchiaino di cannella e un pizzico di noce moscata. Usate la crema di zucca che avrete ottenuto per farcire la pasta frolla, che in questo momento non sarà del tutto cotta. Reinfornate la vostra crostata per altri venti minuti alla stessa temperatura facendo attenzione a non bruciarla. Quando vi pare che abbia assunto un bel colore dorato sfornatela, lasciatela raffreddare.





    ..la pasta frolla...

    La pasta frolla è una ricetta molto antica, pare che una pasta molto simile fosse già conosciuta attorno all’anno Mille e che venisse prodotta dopo l’introduzione della canna da zucchero dal Medio Oriente. Tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento la ricetta venne perfezionata e utilizzata nelle più svariate ricette.

    Come dice il nome è friabile e fragile ma non dura, fatta con farina, burro, zucchero e uova mescolati in proporzione variabile e poi cotta in forno. È il burro che regala alla pasta la sua tipica friabilità (più ne mettiamo e più è morbida) dato che la preparazione è priva di lievito. Le uova sono responsabili della consistenza: se usiamo solo i tuorli sarà più friabile mentre se la desideriamo un po’ più croccante aggiungeremo un albume. Attenzione anche alla scelta della farina, che non deve essere quella da panificazione (quella che viene definita farina forte). La pasta deve essere lavorata velocemente per non scaldarla troppo con le mani, cosa che la renderebbe poi più difficile da stendere e meno friabile una volta cotta.






    ..dall'ARTUSI .. famoso ricettario del passato ..

    Vi descrivo tre differenti ricette di pasta frolla per lasciare a voi la scelta a seconda dell'uso che ne farete; ma, come più fine, vi raccomando specialmente la terza per le crostate.

    RICETTA A

    Farina, grammi 500.
    Zucchero bianco, grammi 220.
    Burro, grammi 180.
    Lardo, grammi 70.
    Uova intere, n. 2 e un torlo.

    RICETTA B

    Farina, grammi 250.
    Burro, grammi 125.
    Zucchero bianco, grammi 110.
    Uova intere, n. 1 e un torlo.

    RICETTA C

    Farina, grammi 270.
    Zucchero, grammi 115.
    Burro, grammi 90.
    Lardo, grammi 45.
    Rossi d'uovo, n. 4.
    Odore di scorza di arancio.

    Se volete tirar la pasta frolla senza impazzamento, lo zucchero pestatelo finissimo (io mi servo dello zucchero a velo) e mescolatelo alla farina; e il burro, se è sodo, rendetelo pastoso lavorandolo prima, con una mano bagnata, sulla spianatoia. Il lardo, ossia strutto, badate che non sappia di rancido. Fate di tutto un pastone maneggiandolo il meno possibile, ché altrimenti vi si brucia, come dicono i cuochi; perciò, per intriderla, meglio è il servirsi da principio della lama di un coltello. Se vi tornasse comodo fate pure un giorno avanti questa pasta, la quale cruda non soffre, e cotta migliora col tempo perché frolla sempre di più.
    Nel servirvene per pasticci, crostate, torte, ecc., assottigliatela da prima col matterello liscio e dopo, per più bellezza, lavorate con quello rigato la parte che deve stare di sopra, dorandola col rosso d'uovo. Se vi servite dello zucchero a velo la tirerete meglio. Per lavorarla meno, se in ultimo restano dei pastelli, uniteli insieme con un gocciolo di vino bianco o di marsala, il quale serve anche a rendere la pasta più frolla.


     
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  14. gheagabry
     
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    LA STORIA DE...

    I BACI DI DAMA


    I baci di dama sono dei biscottini di forma sferica uniti da un ripieno di cioccolata, come dei piccoli panini. Sono originari del Piemonte, in particolare della zona di Tortona.
    L'impasto tradizionale dei Baci di Dama prevede la lavorazione di nocciole, mandorle, farina di Frumento, zucchero e burro. Una volta composti dando una forma forma sferoidale vengono cotte in forno. I piccoli biscotti ottenuti vengono uniti a due a due con una goccia di cioccolato prendendo le sembianze delle labbra di una "Dama".
    Ci sono varie opinioni sulla raffigurazione alcuni vedono l'unione delle labbra, altri basandosi sugli ingredienti che lo compongono, collegano il nome alla bocca femminile.

    La leggenda narra che i baci di dama nacquero in una sera di novembre del 1852 in seguito ad una richiesta di Vittorio Emanuele II, che, desideroso d'assaporare qualcosa di nuovo chiese al suo cuoco di creare un dolce. Questi trovando solo mandorle, armelline, burro, cioccolata e zucchero, li usò per confezionare i "baci di dama". Da allora sempre presenti sulle tavole reali d'Italia e d'Europa. Sembra però che questa si solo una leggenda, molte sono infatti le prove che ne attribuiscono la paternità a Tortona in provincia di Alessandria. A sostenere questa tesi è stato in questi ultimi anni il ricercatore documentarista ed esperto di storia tortonese Carlo Sterpone. Anni di ricerca lo hanno portato a raccogliere numerose testimonianze, comprese quelle relative alla diatriba che, nel 1903, vide fortemente contrapposti due laboratori di pasticceria cittadini, impegnati a rivendicare la propria autorizzazione alla produzione. Dalla documentazione raccolta, poi presentata nell'ambito del progetto Dertona Eccellenze, avviato nel 2010 per la valorizzazione delle produzioni agroalimentari del tortonese appare evidente; i Baci di Dama sono nati a Tortona. Attualmente i baci di dama di Tortona hanno ottenuto il riconoscimento di Prodotto Agroalimentare Tradizionale della regione Piemonte. Essi devono essere prodotti esclusivamente a Tortona e paesi limitrofi con i seguenti ingredienti: mandorle, burro, zucchero, farina e cioccolato. Va però detto che nel secolo scorso venivano utilizzate le nocciole, più facili da reperire e meno costose. L'uso delle mandorle, è infatti frutto di un’attenta ricerca di qualità e perfezionamento dei pasticceri tortonesi sin dall’Ottocento. Sarà infatti il cavalier Stefano Vercesi sul finire del 1810 a modificare la ricetta sostituendo le nocciole con le mandorle, aggiungendovi anche una spolverata di cacao. Nacquero così i ” baci dorati” vincitori nel 1906 della medaglia d’oro. Massimo riconoscimento dell’epoca. Oggi giorno diverse son le varianti di questa celebre ricetta copiata un po in tutto il mondo, ma se volete quelli autentici dovete recarvi a Tortona. (Damiano Gasparetto - Cuoco a domicilio, dal web)
     
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  15. gheagabry
     
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    Marmellate o confetture


    Marmellate e confetture - Pasticceria Marlene.

    Già Nostradamus, medico e astrologo di Caterina de’ Medici, nel 1555 parlava di “segreto” a proposito della trasformazione e conservazione con lo zucchero delle sostanze periture, creando ricette per frutta candita o marmellate asciutte. Nasceva così la “confiture” dal verbo “confettare”. Le prime vere conserve alimentari, però, sarebbero opera del pasticcere e inventore francese Nicolas Appert che, due secoli dopo, mise a punto un metodo di conservazione basato sulla bollitura di frutta e vegetali, imbottigliamento e successiva sterilizzazione dei contenitori sigillati. La marmellata d’arance fu inventata invece per Caterina d’Aragona, moglie di Enrico VIII, che in Inghilterra non poteva più deliziarsi con la frutta della solare Spagna. Da allora si definisce marmellata solo la conserva di agrumi. Per le altre si parla di confetture.

    Quella delle conserve è una pratica antichissima anche in tutto il Mediterraneo: il pesce, i sughi, la frutta e le verdure dell’estate saranno a tavola anche in inverno. In Egitto la gelatina di melograno è fra le preparazioni più tradizionali, come in Algeria o Tunisia la pasta di Harissa. Il Grecia è sottolio anche la feta.



    tratto da http://food24.ilsole24ore.com/
     
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