PAPI nella storia

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  1. gheagabry
     
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    PAPA FORMOSO

    Il “sinodo del cadavere”




    Un amara sorpresa toccò in sorte a quei pescatori romani che ritrovarono il cadavere di papa Formoso nel Tevere. La salma dello sventurato pontefice, protagonista di uno degli episodi più bizzarri e raccapricciante della storia del papato, era sta dissepolta nove mesi dopo la sua morte per essere sottoposta a un macabro processo postumo. Lo storico prussiano ottocentesco Ferdinand Gregorovius avrebbe definito l’avvenimento come “ una fato di barbarie inaudito, di cui nessuna età vide mai l’eguale”. La fosca vicenda si colloca sulla sfondo convulso della Roma della fine del IX secolo: basta pensare ai numerosi papi che si avvicendarono al soglio pontificio per comprendere come la Città Eterna fosse tutt’altro che un’oasi di pace. Tra l’872 e il 965 si susseguirono a Roma ben 24 papi, 9 di questi nel lasso di solo 8 anni, dall’896 al 904. Molti dei quali furono assassinato o destituiti. Vi furono pontefici avvelenati, come Giovanni VIII, relegati in carcare appena un mese dopo l’elezione, come Leone V, o giunti al potere a soli 18 anni come Giovanni XII.

    A quel tempo Roma era in balia di alcune potenti famiglie consta temente impegnate in sanguinose lotte per la conquista del trono papale. Tali conflitti derivavano dalla lotta per la supremazia della Penisola; vedeva protagonisti gli imperatori carolingi, i quali si fregiavano del titolo di re d’Italia e di protettori della Chiesa, e alcune influenti casate aristocratiche italiane. Tra queste vi erano i duchi di Spoleto e i marchesi del Friuli, che si contendevano il possesso del territorio coincidente con l’antico regno longobardo. Formoso si trovò coinvolto in tali conflitti fin dall’864, anno della sua nomina a vescovo di Porto, una diocesi che dalla foce del Tevere arrivava a Civitavecchia. Da allora egli svolse molte missioni diplomatiche al servizio della Santa Sede, che lo portarono in Bulgaria, a Costantinopoli e alla corte di Carlo il Calvo, re dei Franchi occidentali. Tuttavia, l’uomo cadde in disgrazia sotto il papa Giovanni VIII, il quale aveva inteso liberare l’amministrazione pontificia da alcuni membri dell’aristocrazia laica che vi avevano acquistato troppo importanza. Formoso che era legato a questa fazione, fu accusato di aver tessuto intrighi contro il pontefice per usurpare il trono apostolico: così, fuggito da Roma insieme ai suoi seguaci, nell’876 fu condannato in contumacia, ridotto allo stato laicale e scomunicato. Formoso si rifugiò dapprima alla corte del duca di Spoleto, poi in Francia, in attesa di tempi migliori. Questi sarebbero giunti con l’elezione del nuovo pontefice, Marino I, che nell’883 revocò l’anatema contro Formoso e gli restituì il vescovato di Porto. Sotto i due pontefici successivi, l’effimero Adriano III e Stefano V. Formoso conservò il suo incarico episcopale, fino a quando, nell’891, alla morte di Stefano V, non ascese al soglio pontificio.



    L’attenzione del nuovo pontefice fu subito catturata dalle intricate vicende politiche della Penisola. Nell’889, Guido da Spoleto, duca e marchese del Friuli, era stato incoronato re d’Italia a Pavia e due anni dopo aveva costretto Stefano V a incoronarlo imperatore. Formoso dovette riconoscere il ruolo di Guido e incoronare anche il figlio di quest’ultimo, Lamberto, che fu così associato ala trono imperiale. Tuttavia, Formoso mal tollerava la supremazia del nuovo re d’Italia e si rivolse ad Arnolfo di Carinzia, re di Germania, perché liberasse l’Italia e la Santa Sede dai “cattivi cristiani”. Alla fine dell’893 Arnolfo scese nella penisola; Milano e Pavia gli resero omaggio ma, una volta giunto a Piacenza, il re tornò indietro. In seguito alla morte di Guido rese possibile un riavvicinamento tra Lamberto e Formoso. La tregua, però, fu breve e nell’895 il papa si appellò di nuovo ad Arnolfo. Il sovrano tornò in Italia e marciò su Roma, dove ne frattempo era entrata, con un corpo dell’esercito spoletino, l’imperatrice madre Ageltrude. Quest’ultima prese prigioniero Formoso e lo rinchiuse in Castel Sant’Angelo, ma alla fine fu costretta alla fuga dal re di Germania, nel febbraio dell’896. Il pontefice fu liberato e dopo pochi giorni incoronò Arnolfo imperatore rinnegando apertamente Lamberto. Pochi mesi dopo, Formoso, reo di aver invitato in Italia uno straniero, morì a 80 anni, probabilmente avvelenato. In un’epoca così turbolenta, densa di intrighi e rancori, l’esito della vicenda non poteva essere questo. Gli succedette Bonifacio VI, che spirò dopo soli quindici giorni di pontificato. Fu allora eletto Stefano VI, un antico rivale di Formoso e sostenitore di Lamberto di Spoleto, il quale, approfittando della debolezza di Arnolfo, colpito nel frattempo da apoplessia, entrò trionfalmente a Roma con la madre Ageltrude. Secondo un ipotesi controversa, furono proprio i due sovrani della dinastia spoletina a esigere la condanna di Formoso e, dunque l’annullamento di tutti gli atti del suo pontificato, oltre alla pubblica umiliazione dell’acerrimo nemico. Il fatto che quest’ultimo fosse morto e sepolto non rappresentò alcun ostacolo: il defunto pontefice venne processato, anche se a tal fine fu necessario riesumare la salma. La farsa venne organizzata fin nei minimi particolari. A principio dell’897, Stefano VI fece dissotterrare il cadavere di Formoso e ordinò di portarlo in una delle principali basiliche romane, forse la Basilica lateranense dove comparve di fronte ad un concilio, presieduto da un cardinale, i vescovi e numerosi alti dignitari ecclesiastici. Il corpo, abbigliato con i paramenti pontefici, fu messo a sedere su un seggio e un diacono ebbe l’incarico di rispondere, in nome del defunto, alle accuse scagliate contro lui. L’avvocato di Stefano VI si rivolse alla salma, notificandole i capi d’accusa. Innanzitutto,si contestava a Formoso di aver contravvenuto alle disposizioni canoniche, che proibivano la traslazione da una sede vescovile a un’altra, passando da Porto a Roma: la sua elezione a pontefice era dunque illegale. Si narra che il papa vivente chiese al morto con furia sconsiderata: “ Come hai potuto, per la tua folle ambizione, usurpare il seggio apostolico, tu che pure eri già vescovo di Porto?” probabilmente, l’avvocato difensore non osò replicare, in ogni caso la sentenza fu inappellabile. Il sinodo sottoscrisse l’atto di deposizione di Formoso, dannò il papa in eterno e annullò tutti i suoi atti, al punto che tutti coloro ai quali egli aveva conferito gli ordini sacerdotali dovettero essere consacrati di nuovo.

    Eppure, ciò non era ancora sufficiente: il suo corpo fu spogliato delle vesti pontificali e gli furono recise le tre dita della destra, con cui impartiva la benedizione. Poi il cadavere fu trascinato via lungo le strade di Roma e gettato infine nel Tevere tra le grida di una folla immensa. L’inaudito oltraggio, però, non rimase impunito a lungo. Nell’agosto dello stesso anno, travolto da una sommossa, lo stesso Stefano VI fu destituito e morì strangolato in carcere. L’anno dopo, Giovanni IX riabilitò Formoso e proibì ogni futuro processo contro persone morte. Nel frattempo, le spoglie del defunto papa, miracolosamente ritrovate, avevano fatto ritorno nella Basilica di San Pietro. La fosca vicenda del suo processo sarebbe rimasta impressa nella memoria collettiva come uno dei più oscuri capitoli nella storia della Chiesa.
    (Alberto Reche Ontillera, università autonoma di Barcellona – Storica Maggio 2014)

     
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