PERSONAGGI, INVESTIGATORI NELLA LETTURATURA e NEL CINEMA

S.HOLMES, POIROT ...e 007

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. gheagabry
     
    .

    User deleted



    « [...] il suo sguardo era acuto e penetrante; e il naso sottile aquilino conferiva alla sua espressione un'aria vigile e decisa. Il mento era prominente e squadrato, tipico dell'uomo d'azione. Le mani, invariabilmente macchiate d'inchiostro e di scoloriture provocate dagli acidi, possedevano un tocco straordinariamente delicato, come ebbi spesso occasione di notare quando lo osservavo maneggiare i fragili strumenti della sua filosofia. »


    SHERLOCK HOLMES


    La famiglia di Sherlock Holmes discendeva da signorotti di campagna, e una sua nonna era sorella del grande pittore francese Vernet; altro non sappiamo. La data di nascita del grande detective inglese, opera di Sir Arthur Conan Doyle, è alquanto dubbia. Gli unici riferimenti si trovano nel racconto "Il suo ultimo saluto", quando a Holmes (che però era travestito) venne attribuita un'apparente età di 60 anni, e in "I misteri di valle Boscombe", in cui Holmes si autodefinì "di mezza età". Da questo viene dedotto, in modo piuttosto arbitrario, che sia nato nel 1854. Quanto alla data di nascita del 6 gennaio, festeggiata oggi in tutto il mondo dagli sherlockiani, essa si basa su un'illazione di Baring-Gould, che sostiene che Holmes citò due volte "La dodicesima notte" di Shakespeare perché corrisponderebbe alla data del suo compleanno.
    Sherlock aveva un fratello, Mycroft Holmes, di sette anni più grande di lui, Frequentò il college e l'università, almeno per due anni, anche se non sappiamo quale, e neppure la facoltà in questione. A quell'epoca non era molto socievole: "preferivo starmene a fantasticare in camera mia, elaborando per mio conto i miei particolari metodi di analisi, senza mai unirmi ai ragazzi della mia età". Aveva un solo vero amico, Trevor, conosciuto incidentalmente, poiché Holmes fu morso dal suo cane.
    Lasciò gli studi ufficiali per dedicarsi a quelli che fino a quel momento aveva considerato passatempi, e che sarebbero stati la sua professione.
    Prima di conoscere Watson, abitava a Londra in Montague Street. Non era però del tutto un isolato: sappiamo che frequentava Douglas Maberley, che più tardi definì "una conoscenza superficiale". L'inizio della carriera non fu facile, se dovette dividere l'appartamento di Baker Street, che all'inizio gli sembrava troppo caro da poterselo permettere da solo: del resto la clientela che lo frequentava era all'epoca solo di bassa condizione sociale. Ma già nel 1889 ("Il Mastino dei Baskerville") aveva investigato su circa 500 casi "di capitale importanza", che divennero 1000 nel 1891. Nello stesso anno fu creduto morto nella lotta col temibile professor Moriarty e girovagò sotto falso nome, forse per motivi politici. Nel 1894 riprese il suo posto a Londra e la collaborazione con Watson, affrontando centinaia di nuovi casi e fondando una piccola ma efficiente agenzia. Holmes non era un detective privato, come altri, ma l'unico Consulting Detective, la corte d'appello dei casi disperati ("Uno studio in rosso"): a lui ricorreva non solo la polizia, ma anche altri detective quando avevano un problema irresolubile.
    Si ritirò nel 1904 ("L'avventura dell'uomo carponi") in un cottage del Sussex, vicino al mare, ma, di nuovo, la storia del suo completo ritiro è probabilmente un falso, visto che almeno dal 1912 si impegnò in una campagna, cominciata negli Stati Uniti e durata due anni, contro il servizio segreto di Berlino. Watson, comunque, dice che la sua attività durò 23 anni, e che egli collaborò col detective per 17 di questi, e dunque sembra considerare la carriera di Holmes solo fino al 1904. Se scriverete a Baker Street vi arriverà una lettera molto cortese, a firma della segretaria della Sherlock Holmes Society di Londra, che vi avvertirà che Mr. Holmes è dolente, ma si è ritirato e non può occuparsi del vostro caso.
    Sebbene Holmes abbia sempre parlato, a proposito del suo metodo, di deduzione, sarebbe più corretto definire il suo procedimento logico "ipotetico-deduttivo" o, secondo la definizione di Charles S. Peirce, "abduttivo". Holmes, dunque, utilizzando l'abduzione, adottava provvisoriamente una spiegazione dei fatti che doveva in seguito sottoporre a verifica sperimentale, per provarne la validità. E nello scegliere la giusta ipotesi, si avvaleva, anche se lo talvolta lo ha negato, della sua creatività.
    (Jay W., sherlockholmesforum)


    « Quando hai eliminato l'impossibile, qualsiasi cosa resti,
    per quanto improbabile, deve essere la verità. »
    (Holmes parlando con Watson in Sherlock Holmes dà una dimostrazione, sesto capitolo di Il segno dei quattro)


    "Se ne stava con un mezzo ghigno, sprofondato in poltrona, immobile. Stava lì, così staticamente fermo e rigido... che quasi lo si sarebbe potuto confondere con una delle tante cianfrusaglie che popolavano il suo studio, dall'ordine decisamente "astratto". Nulla sembrava trovare una collocazione razionale, in quello spazio, eppure... nulla era priva di posto in cui stare...Perfino lui sembrava essere fatto per stare esattamente lì, su quella poltrona, con indosso quella vestaglia logora, con quella pipa fra le labbra, il cui filo di fumo rappresentava l'unica figura mobile e con quell'espressione indecifrabile dipintagli sul volto.Come una stramba statua o come il dipinto d'un uomo eccentrico.E mille e più cose gli passavano per la mente: glielo si leggeva chiaro e tondo in quei suoi profondi occhi scuri, ora vuoti, sbarrati nel vuoto...
    Ai suoi piedi, il giornale di quella mattina, portatogli come sempre dal fido amico Watson..."


    .

    Edited by gheagabry - 8/10/2012, 20:38
     
    Top
    .
  2. gheagabry
     
    .

    User deleted



    « La distruzione del denaro è l'unico autentico sacrilegio di cui ci sia stato tramandato l'orrore »
    (Nero Wolfe, di Rex Stout)


    NERO WOLFE


    Nero Wolfe nasce nel 1893, il 17 aprile ed è di origine montenegrina. Nei primi romanzi il luogo di nascita è Trenton (New Jersey), in seguito Stout decise di farlo diventare montenegrino a tutti gli effetti e in The black mountain ("Nero Wolfe fa la spia") vediamo Wolfe tornare al suo villaggio natale nel Montenegro.
    L'io narrante dei romanzi di Nero Wolfe è il suo assistente e tuttofare Archie Goodwin, ormai abituato al suo eccentrico datore di lavoro che definisce "mio signore e donno".
    « Wolfe alzò il testone. Mi soffermo su questo, poiché ha una testa così grossa che l'atto di sollevarla dà l'impressione di una fatica non indifferente. In realtà dev'essere ancora più grossa di quel che sembra; infatti il resto della sua persona è così enorme che qualunque testa, che non fosse la sua, scomparirebbe letteralmente su quel corpo.»
    Nero Wolfe pesa intorno ai 150 kg ("un settimo di tonnellata"), è un raffinato buongustaio, assai pignolo, e considera il lavoro alla stregua di un indispensabile fastidio che gli consente di tenere un alto tenore di vita; è moderatamente iroso, non parla di lavoro a tavola e, pur avendo una vasta clientela femminile, è fortemente misogino; coltiva rare orchidee nel giardino pensile della sua casa (un elegante palazzo in arenaria) situata al numero 918 della 35a strada ovest di New York. Conduce orari di lavoro rigidissimi (non dedica infatti a tale attività un minuto in più del previsto, cosa che sottrarrebbe tempo alle altre attività, la coltivazione delle orchidee e il mangiare).
    È specializzato nella risoluzione di intricati casi di omicidio che scioglie stando comodamente seduto a rimuginare sull'ampia poltrona del suo studio o beatamente affaccendato a curare le proprie piantine. Infatti l'investigatore non lascia quasi mai la propria abitazione (se non in pochissimi casi e mai per lavoro), abituato com'è a spostarsi tra tre vani ben distinti: la cucina, lo studio, ed esclusivamente tra le 9 e le 11 e tra le 16 e le 18, la serra privata (all'ultimo piano dell'abitazione). La disposizione dei vani, così come degli arredi e suppellettili, sono rigorosamente descritti da Stout, ed insieme alle inviolabili e immutabili abitudini, orari e regole di casa Wolfe, sono nel loro insieme una caratteristica fondamentale e comune di tutti i romanzi di Nero Wolfe.
    È quindi Archie Goodwin a recarsi sui luoghi del delitto, a interrogare testimoni o parenti della vittima (salvo i casi in cui questi siano disponibili a recarsi alla casa di Nero Wolfe per essere sentiti da lui direttamente), tenere sotto controllo e pedinare sospetti, e molto altro svolgendo quindi le funzioni di "gambe" e "occhi" del suo principale. Di tanto in tanto Stout ha prodotto romanzi ambientati al di fuori della famosa casa di arenaria (Alta cucina, La guardia al toro... ), ma in essi è sempre ben specificato come Wolfe si sia mosso dal suo domicilio per una causa ben diversa (un'esposizione floreale, un congresso di chef... ) e poi rimanga coinvolto in un'inchiesta.
    Gli altri personaggi abituali dei romanzi di Nero Wolfe sono il giardiniere Theodore Horstmann, che con Wolfe si occupa della cura delle orchidee, il fido cuoco svizzero Fritz Brenner (alter ego culinario dell'investigatore dell'alta cucina del delitto). Tutti questi, come anche Archie Goodwin, vivono nella casa di Nero Wolfe. Collaboratori occasionali sono gli investigatori Saul Panzer, Fred Durkin e Orrie Cather. Dopo la morte di Stout (1975), il personaggio di Wolfe è stato ripreso da Robert Goldsborough in sette romanzi, pubblicati anche in Italia.
    Più volte nella comunità di giallisti e fan del corpulento detective, è emersa la curiosa teoria che Wolfe sia figlio di Sherlock Holmes e Irene Adler[senza fonte], la scaltra e spregiudicata avventuriera che riesce a beffare l'investigatore di Baker Street nel racconto "Uno scandalo in Boemia". L'ipotesi di un figlio "segreto" di Holmes e della Adler appariva anche nel film per la televisione "Sherlock Holmes a New York" (con Roger Moore e Patrick McNee) dove però questi non veniva chiaramente indicato come Wolfe.

    "Se c'era qualcosa che mi faceva sentire bolscevico (!) , era quella di dovermi occupare delle orchidee del sig.Wolfe nel bel mezzo di un'importante indagine"
    (Archie)


    ..interviste impossibili...


    “Sono a New York nella trentacinquesima strada, di fronte alla famosissima casa di arenaria dove vive Nero Wolfe. Sono in anticipo di una ventina di minuti, ma fa freddo e nevica; decido di non aspettare. Busso....La porta si apre e compare un esile ed impeccabile figura:
    – Mi chiamo Archie Goodwin. E voi?
    – Buona sera a lei, sono Guido De Vidi mi manda la redazione di Orchids Club Italia, gradirei conversare col signor Wolfe a riguardo di quell’introvabile orchidea nera e della famosa ricetta “salsicce mezzanotte” che tanto lo deliziò da giovane.
    A.G. – Il signor Wolfe non è in casa, è fuori sede per partecipare al convegno culinario dei quindici migliori cuochi del mondo – sono spiacente.
    Guido - Non fa niente, leggeremo le avventure di questo viaggio, nel suo prossimo romanzo”…

    Nero Wolfe, quando non è impegnato a mangiare, a curare le sue orchidee o a leggere i suoi libri, è un genio nello smascherare i criminali, senza mai dover uscire dalla sua casa di arenaria sulla trentacinquesima strada ovest di New York, comodamente seduto alla sua scrivania a sorseggiare birra o impegnato con le sue orchidee nella serra al terzo piano.
    Solo quella ed unica volta era fuori casa per presenziare al convegno di alta cucina…
    Nero Wolfe sul treno diretto al convegno culinario
    …..”Non mi resta ancora molto da vivere, non ho più molti libri da leggere, ironie da cogliere, pranzi da gustare – Sospirò a occhi semichiusi, poi li riaprì. – Cinquemila dollari. Odio mercanteggiare“.
    Con un mix di perentorietà e di sornionesco pietismo verso se stesso, Nero Wolfe, il ciclopico investigatore-gourmet creato da Rex Stout, su quel treno che lo sta portando verso il convegno dei quindici migliori cuochi del mondo, tenta il tutto per tutto. L’oggetto del desiderio sono le “salsicce mezzanotte”, di cui si era deliziato un giovane Nero Wolfe, all’inizio della carriera; la controparte è Jéròme Bérin, il creatore della ricetta segreta, a suo tempo inseguito attraverso il Mediterraneo sino al Cairo fino a perderne le tracce.
    Il destino sembra ora favorirlo, facendoglielo ritrovare sullo stesso convoglio e diretto alla stessa meta. Ma siamo solo all’inizio del romanzo dal promettente titolo, “Alta cucina”, e l’epilogo gastronomico non avverrà che all’ultimo respiro del giallo, quando il nodo delittuoso sarà sciolto, naturalmente ad opera di Wolfe. Ma allora sull’altro piatto della bilancia ci sarà un peso ben diverso: Jéròme Bérin, sospettato dell’omicidio di uno degli chef partecipanti al simposio, deve infatti la vita all’investigatore che, scendendo a livelli di mero mercanteggiamento, non si lascia sfuggire l’opportunità di farlo pesare, previo un sottile gioco psicologico. “- Be’…- Wolfe sospirò. – Se non volete accettarlo come gesto di amicizia, sia pure. In questo caso l’unica cosa che posso fare è presentarvi il conto. Il che è semplice. Se fosse possibile fare una valutazione precisa dei servizi professionali che vi ho reso dovrebbe essere altissima, poiché i servizi sono stati eccezionali. Così… visto che insistete per pagare… mi dovete la ricetta della salsicce mezzanotte”. Le spire del Nero pitone si avvolgono inesorabilmente intorno al collo della vittima, che tenta di divincolarsi: ” - Cosa? -Bérin gli lanciò un’occhiataccia. - Puah! Ridicolo“. Ma il pitone non allenta la presa… “- Come ridicolo? Mi avete chiesto voi cosa mi dovevate. E io ve l’ho detto” …se non quel tanto per lasciare il fiato di sigillare la trattativa.
    ” - Bah! - Sbuffò Bérin. - È un ricatto”. Obtorto collo, e a patto che la ricetta non sia rivelata a nessuno al mondo, Bérin si decide a rivelare la magica alchimia. Solo nel 1938, dopo cinque anni dalla morte di Jéròme Bérin, Fritz, il cuoco svizzero a servizio di Wolfe, la usa in “Orchidee nere”, ma assolutamente priva di dosi.
    (orchids)
     
    Top
    .
  3. gheagabry
     
    .

    User deleted



    ELLERY QUEEN


    Come notò Oreste Del Buono, il 1929 è un anno di grazia per la letteratura gialla. È l'anno in cui nascono Sam Spade e il commissario Maigret.

    È l'anno che vede alla ribalta della narrativa poliziesca una nuova firma destinata a una lunga e fortunata carriera: Ellery Queen, pseudonimo dietro il quale si sono nascosti per anni i due cugini Frederic Dannay e Manfred B. Lee (ma anche questi sono pseudonimi...).
    Ed è infine l'anno del debutto - in Roman Hat Mystery - di un nuovo personaggio, Ellery Queen, appunto, che porta lo stesso nome del suo creatore.
    Ellery ha un padre col quale spesso lavora, l'ispettore Richard Queen della Squadra Omicidi di New York, un poliziotto abile ed esperto, stimato da colleghi e superiori; è modesto ma anche capace di imporsi; fiuta abitualmente tabacco e possiede una ricca collezione di tabacchiere antiche.
    Ellery fa lo scrittore di romanzi gialli e iI suo interesse per il crimine Io porta spesso a collaborare con l'ispettore in casi particolarmente difficili. A differenza del padre, piuttosto basso di statura, Ellery è alto, atletico, e non si direbbe un intellettuale, un bibliofilo: oltre a tutto (almeno nei libri, alla tv...) porta degli anacronistici occhiali a pince-nez che continuamente aggiusta, toglie, pulisce, rimette. Forse è per questo insolito mix che viene considerato fascinoso dalle donne, e probabilmente è lui stesso che ha studiato questa immagine insolita e accattivante, anche se non lo ammetterebbe mai.
    Ellery, che fin dagli esordi è stato definito l'erede di Sherlock Holmes (l'ennesimo!), ha una mente deduttiva ed analitica, ma, naturalmente, dotata di fantasia ed intuizione: non solo per risolvere brillantemente i casi criminali, ma anche per riuscire gradevole al pubblico.
    Il rapporto padre - figlio è raccontato in modo piuttosto tradizionale (qualche volta litigano, ma poi, al momento di smascherare il cattivo di turno, sono in perfetta sintonia), e addirittura i due abitano sotto lo stesso tetto, insieme a Djuna, il cameriere meticcio.
    Nel 1966 Ellery Queen vivrà una delle sue avventure più affascinanti: viene in possesso di un manoscritto sconosciuto del dottor Watson in cui si narra di come Sherlock Holmes abbia scoperto l'identità di Jack lo Squartatore! Fra gli innumerevoli libri in cui si riprende il personaggio di Conan Doyle, questo A Study in Terror (Uno studio in nero) è sicuramente uno dei migliori.


    Nato nel 1929, il personaggio di Ellery Queen divenne così famoso che i suoi autori decisero di fondare la rivista Ellery Queen's Mystery Magazine (nota in italiano come La rivista di Ellery Queen), considerata a lungo una delle più influenti pubblicazioni di letteratura poliziesca in lingua inglese dell'ultimo mezzo secolo. Il personaggio fu creato in occasione del concorso indetto da una rivista per premiare con la pubblicazione la miglior opera prima poliziesca. Dannay e Lee, due cugini ebrei di Brooklyn, decisero di inviare un lavoro firmato con lo stesso nome dato al loro personaggio e vinsero, ma prima che il loro romanzo potesse venir pubblicato, la testata fu ceduta a un altro proprietario, il quale preferì pubblicare il romanzo di un'altra concorrente. I due non si persero d'animo e inviarono il loro romanzo, La poltrona n. 30 (The Roman Hat Mystery, 1929) a svariati editori, fino a trovare quello giusto, Stokes.

    .... in T V ....

    Il telefilm, ispirato alla celeberrima raccolta di romanzi polizieschi omonimi scritti negli anni ‘30 da Frederik Dannay e Manfred B. Lee, andò in onda per la prima volta nel 1975 appassionando tutto il mondo.
    Protagonista è il giovane ed intelligentissimo Ellery Queen (Jim Hutton, padre dell’attore Timothy), laureato all’università di Harvard, che nella serie affianca il padre Richard (David Wayne), capo della Squadra Omicidi della polizia di New York, come investigatore dilettante.
    Curioso e attentissimo, Ellery conduce le indagini sui casi più intricati e alla fine di ogni episodio si rivolge direttamente allo spettatore per svelare l’identità del colpevole; mentre al padre non rimane altro che verificare la correttezza delle ipotesi del figlio!
    Ellery Queen è un telefilm composto da 22 episodi più un pilota e fu ideato dagli stessi creatori di Colombo e La Signora in giallo.

     
    Top
    .
  4. gheagabry
     
    .

    User deleted



    AUGUSTE DUPIN


    Auguste Dupin è un personaggio fittizio, nato dall'immaginazione di Edgar Allan Poe. Apparì per la prima volta nel racconto poliziesco I delitti della Rue Morgue (pubblicato nel 1841 sul Graham's Magazine). Compare anche nei racconti Il mistero di Marie Roget e La lettera rubata. Auguste Dupin, erede di una illustre ma decaduta famiglia, si diletta a risolvere misteri, senza complesse indagini sul campo, ma applicando magistralmente il “metodo deduttivo” ed analizzando razionalmente le informazioni che ogni indizio reca necessariamente in sé. Lettura dei giornali, analisi psicologica, confronto delle testimonianze: a tutto si applica la lucida intelligenza del protagonista, per condurlo di volta in volta all’unica, sorprendente possibile soluzione.

    Il personaggio di Poe può essere considerato il geniale capostipite di una fitta schiera che è giunta fino ai nostri giorni, si tratti di letteratura oppure di cinema o televisione.
    L'ingegno di Dupin, come avverte il suo stesso inventore, è di carattere puramente analitico e il suo ragionamento ha stile matematico dove deduzione e induzione si alternano al senso preciso dell'osservazione. Egli è capace di destreggiarsi con grande abilità anche dove la polizia non riesce a trovare soluzioni.
    Il ragionamento di Dupin è, in un certo senso, scientifico ed egli riesce a completare con estrema facilità il mosaico inserendo degli indizi, solo apparentemente contradditori, al giusto posto o a vincere una vera e propria battaglia tra caos e senso geometrico dell'ordine lasciando l'intelligenza come forza primaria del personaggio.
    Non manca a Dupin il senso dello humor, un leggero filo di malinconia capace di sorridere di fronte alla cecità umana. Il contributo di Dupin è quel tocco di umanità in un mondo abbruttito dal delitto più feroce che un essere umano possa commettere. Dall'umanità di Dupin nasce tutto il resto, compreso l'io narratore del suo anonimo amico, fedele testimone di una serie di fatti e misfatti che compongono il mistero.

    Dupin: "La polizia parigina, tanto decantata per il suo acume, è astuta e nulla più. Talvolta ottiene risultati sorprendenti, ma questi sono raggiunti di solito semplicemente grazie alla diligenza e all'operosità dei suoi funzionari. Quando queste doti non servono, tutti i disegni falliscono. Vidocq a esempio, era un abile deduttore e un individuo perseverante, ma non avendo educato il proprio pensiero, sbagliava continuamente per l'ardore stesso delle sue ricerche. Infirmava la sua visione delle cose tenendo l'oggetto troppo vicino, riusciva a vedere magari un punto o due con perspicacia non comune, ma nel far questo perdeva naturalmente l'effetto insieme..."



    La tecnica base di un buon racconto poliziesco è quella di riuscire a mettere in moto tutta una serie di fatti ed osservazioni, tali da consentire al lettore, aspirante detective, di risolvere in proprio la vicenda. Questo, Poe dimostra di saperlo fare molto bene e, pur fondendo temi già frequenti nella cultura precedente e contemporanea, li investe di una luce nuova creando i motivi classici della detective story.
    Egli, o meglio il suo io narrante, comincia a presentarci i fatti quali sono accaduti di fronte al comune senso della curiosità. In seguito, quasi in sovrapposizione, comincia ad esporre gli stessi in una luce differente, ricca di inventiva e di intelligenza. Si tratta appunto delle osservazioni di Auguste Dupin, il quale, per smontare il falso edificio di impressioni e illazioni, propone una vera e propria ipotesi di lavoro per mettere in movimento il suo personale e razionale metodo di analisi.

    Assassinio della Rue Morgue (The mystery in the Morgue) del 1841: è lì che incontriamo per la prima volta il detective protagonista, Monsieur Auguste Dupin, di cui Poe dà ampia descrizione: personaggio affascinante ed inquietante, "innamorato della notte", lucido ragionatore e solutore di misteri. A quest'ultimo proposito, Poe individua all'inizio del racconto nella capacità di analisi la principale dote della mente umana e osserva che "la facoltà di risolvere un problema è probabilmente molto rinforzata dallo studio delle matematiche e in modo particolare dell'altissimo ramo di questa scienza che - impropriamente e solo in ragione delle sue operazioni in senso retrogrado - è chiamato analisi, come se fosse proprio l'analisi per l'eccellenza". E così, per questa via, la Matematica fa subito capolino nella storia del giallo, anche se Poe tiene a distinguere l'analisi che ha in mente da quella che veniva e viene comunemente chiamata Analisi matematica la quale, a dir la verità, in quegli anni (nel 1841, come detto) muoveva appena i suoi primi passi come disciplina autonoma. Per spiegare dunque a quale analisi si riferisce, Poe si dilunga in varie considerazioni, descrivendola, ad esempio, differente dal puro calcolo o dall'ingegnosità, che ne sono solo aspetti particolari: "come l'uomo forte gode della sua potenza fisica e si compiace degli esercizi che mettono in azione i suoi muscoli, così l'analista si gloria dell'attività di risolvere e trova piacere anche nelle occupazioni più comuni purché diano gioco al suo talento. Così gli piacciono gli enigmi, i rebus, i geroglifici: e nelle soluzioni dimostra un acume che al discernimento volgare appare soprannaturale: i risultati, abilmente dedotti dalla stessa essenza e anima del suo metodo, hanno veramente tutta l'aria dell'intuito". Nel racconto "I delitti della Rue Morgue", Poe concede al suo personaggio tutti quei procedimenti capaci di eliminare tutte le possibilità ritenute a torto valide, in modo che la soluzione proposta, per quanto incredibile, non può essere che quella esatta. L'esame delle finestre da cui è entrato e uscito l'assassino è un vero pezzo di bravura in cui si chiarisce la superiorità del poliziotto dilettante, su fatti e cose, sulla polizia ufficiale. In questo racconto appare per la prima volta lo schema narrativo di un mistero composto da un crimine e risolto attraverso un procedimento intellettivo.

    Auguste Dupin, il poliziotto dilettante, è l'eroe di un genere per quei tempi assolutamente nuovo. Egli, più che un personaggio è un simbolo e il suo antagonista non è tanto il criminale quanto il mistero.



    Facsimile of Poe's original manuscript for "The Murders in the Rue Morgue", the first appearance of C. Auguste Dupin

     
    Top
    .
  5. gheagabry
     
    .

    User deleted



    A quale altro detective letterario somiglia? «A nessuno. La grande trovata di Simenon è l’aver costruito un poliziotto burocrate, legato agli uffici del Quai des Orfèvres. Un poliziotto di polizia, appunto, e non un dilettante ricco e geniale che indaga in veste da camera. Poirot o Sherlock Holmes erano persone raffinatissime chiamate dalle grandi famiglie a sciogliere misteri criminali. Lui è un uomo modesto, con le scarpe nere e il sigaro».
    («la Repubblica», 22 gennaio 2003)


    Il Commissario MAIGRET



    Maigret con la sua pipa, con il suo tabacco popolare, con il suo sano gusto per il vino e il cibo, con il suo cappello duro, il suo soprabito dal bavero di pelliccia, con il suo ombrello imbarazzante, con le sue scarpe dall'elastico, questo personaggio che non crede ormai più nell'ordine, ma dall'infanzia si trascina "una specie di senso del dovere" "il timore di non aver mai fatto abbastanza per guadagnare il pane", tanto da sentirsi "quasi colpevole", quando va in vacanza, cosa che non gli accade tutti gli anni, questo grasso, florido borghese che confessa: "io non penso mai", "io non ho mai un'idea", "io non concludo mai", anima con il suo girovagare capriccioso e testardo, con la sua proclamata mancanza di metodo, persone e cose intorno a sé, le fa vivere, liberandole o smascherandole? -dalla grigia patina della menzognia e della corruzione, in un'improvvisa luce di verità.
    In Maigret et la vieille Dame, un personaggio dice al commissario: "Mi è capitato, come a tutti, di leggere qualche romanzo poliziesco. Inutile che vi chieda se voi li prendete sul serio. Nei romanzi polizieschi, tutti hanno qualcosa da nascondere, tutti hanno la coscienza più o meno sporca, e ci si accorge che le persone in apparenza più semplici, hanno in realtà l'esistenza più complicata. Ora che conoscete un poco la famiglia, spero capirete che nessuno di noi..."
    Conoscendo la famiglia di quel personaggio Maigret avrà, però la conferma che, come sempre, il marcio esiste: l'uomo non è mai assolutamente pulito, l'umanità con cui Maigret distingue tra colpevole e colpevole - certi, i prepotenti, i superbi, è pronto a rovesciarli, a umiliarli, certi, i succubi, i miseri, è altrettanto pronto a compassionarli - è un'ammissione di complicità.
    Leggiamo ancora: "Era quella una caratteristica di Maigret? O anche altri avevano le sue stesse nostalgie ma evitavano di confessarle? Avrebbe tanto desiderato che il mondo fosse come lo si vede da piccoli. Nel suo intimo lui diceva: Come nelle illustrazioni! E non soltanto lo scenario esteriore, ma anche le persone, il padre, la madre, i bambini buoni, i buoni nonni dai capelli bianchi... Perché la realtà deve essere sempre così diversa? E in tal caso perché mettere nella testa dei bambini l'illusione di un mondo che non esiste, e che per tutta la vita tenteranno di mettere a confronto con la realtà?"

    Maigret sa che la tragedia dell'esistenza è soprattutto qui: nella impossibilità di adattare il mondo delle illustrazioni a quello delle dimensioni. Cupidigia di denaro, rancori amorosi, bestialità criminale, sono l'approdo, la rivelazione di qualche scompenso iniziale, dell'urto tra la retorica di un sogno e la violenza, una sorte comune a tutti, non solo ai delinquenti. Maigret trova sempre più d'un colpevole nelle sue indagini e quello che finisce per affidare alla giustizia non gli appare immancabilmente il peggiore: a volte, contro il peggiore gli resta solo l'arma abbastanza spuntata del disprezzo. Ciò che più lo interessa in fondo è capire i criminali con cui ha a che fare. La consegna del colpevole alla giustizia è operazione secondaria, tanto secondaria che a volte non avviene neppure. Il commissario Maigret ci si rassegna unicamente se non può fare altrimenti, e, del resto, lui conosce bene le imperfezioni della giustizia, i suoi rapporti con la magistratura non sono idilliaci, si trova, alla fine, molto meglio con i criminali che con coloro che li giudicheranno. Maigret è un personaggio contraddittorio, non salvo dalle contraddizioni, ma dalle contraddizioni alimentato, sospinto avanti; è un uomo fatto di sfumature e sono proprio le sfumature, anche se può parer strano, tono su tono, a renderlo così solido e così plausibile. È proprio il suo essere poco eroico a renderlo eroe completo.
    (dal web)


    Caro Maigret,
    probabilmente lei si stupirà di ricevere una lettera da me, visto che sono ormai passati circa sette anni da quando ci siamo lasciati. Quest'anno ricorre il cinquantesimo anniversario del giorno in cui, ci siamo conosciuti. Lei aveva circa quarantacinque anni. Io, ne avevo venticinque. Ma lei ha avuto la fortuna, in seguito, di trascorrere un certo numero d'anni senza invecchiare.
    Soltanto alla fine delle nostre avventure e dei nostri incontri, lei ha raggiunto l'età di cinquantatrè anni, poiché il limite d'età, a quell'epoca, era, per i poliziotti, anche per un commissario capo come lei, di cinquantacinque anni.
    Quanti anni ha dunque oggi? Non lo so, dato questo privilegio di cui ha approfittato per tanto tempo. Io, invece, sono invecchiato molto più rapidamente di lei, come i comuni mortali, e ormai ho superato largamente i settantasei anni. Non so se abita sempre nella sua casetta di campagna di Meung-sur Loire e se pesca ancora con la lenza; se, col capo coperto da un cappellone di paglia, si occupa sempre del suo giardino; se la signora Maigret le cucina sempre quei mangiarini che lei ama e se le capita come capitava a me alla sua età, di andare a giocare a carte nel bistrot del paese. Eccoci entrambi in pensione, ad assaporare - almeno lo spero anche per lei - ogni piccola gioia della vita, ad aspirare l'aria fin dal mattino, ad osservare con curiosità la natura e gli esseri che ci circondano. Mi premeva di augurarvi un buon anniversario, a lei e alla signora Maigret.
    Le dica che, grazie ad un certo signor Courtine, potrebbe meritare il titolo di re dei gastronomi, le sue ricette hanno fatto il giro del mondo e che, per esempio, sia in Giappone, sia nell'America del Sud, i buongustai non trascurano di mettere qualche goccia di prugnola d'Alsazia nel loro galletto al vino.
    Quanto ai suoi successori al Quai des Orfèvres, molti sono quelli che hanno adottato la sua andatura e le sue manie, e alcuni di essi, andati a loro volta in pensione, hanno scritto le loro memorie, facendo seguire il proprio nome dalla menzione 'alias commissario Maigret'.
    Lei l'ha meritata in pieno. Vi abbraccio entrambi commosso, lei e la signora Maigret, che probabilmente non sospetta che molte donne l'invidiano, che molti uomini vorrebbero avere sposato una donna come lei e che, tra l'altro, un'affascinante giapponese la impersona alla televisione, mentre un giapponese crede di essere il commissario Maigret.
    Affettuosamente, Georges Simenon

    (Ottobre 1979..lettera pubblicata su Le nouveau illustré, Georges Simenon festeggiava il cinquantesimo compleanno del suo personaggio, nato appunto nel 1929)


    «La fama di Simenon è legata soprattutto al personaggio di Maigret. La carta di identità del commissario gli attribuisce i nomi di Jules François Amédée, nato a Saint-Fiacre par Matignon, figlio unico di Evariste, amministratore del castello di Saint-Fiacre. Studi interrotti di medicina a Nantes. Sposato con Louise, alsaziana, grassoccia, buona cuoca. Senza figli. Abitante al quarto piano del numero 130 del boulevard Richard-Lenoir. Fuma la pipa. Di Maigret è stato detto: “è il suo genere poco eroico a renderlo eroe completo”; “è il guardiano del piacere che si prova sedendo al tavolo di un bistrot per bere una birra o un calvados”; “è un personaggio contraddittorio, ma dalle contraddizioni alimentato, sospinto avanti”; “con la sua corposità è il Nord. Veste male, si gonfia di bevande distillate…”. Di Maigret Simenon diceva: “di veramente mio gli ho dato una regola fondamentale della mia vita: comprendere e non giudicare perché ci sono soltanto vittime e non colpevoli. Gli ho dato anche i piaceri della pipa, ovviamente. E l’assenza di figli perché, quando il personaggio è nato, non avevo ancora i quattro figli che poi ho avuto. Aggiungo che a Maigret ho dato un’altra regola: non bisognerebbe mai togliere all’essere umano la sua dignità personale. Umiliare qualcuno è il crimine peggiore di tutti”».
    («Corriere della Sera», 30 gennaio 2003)


    Il commissario Maigret è stato, fin dagli anni trenta, protagonista di quattordici pellicole cinematografiche, tratte da tredici romanzi e due racconti brevi con Maigret protagonista. In molte interviste, lettere, dettati e scritti diversi, Simenon ha espresso i suoi giudizi sui diversi attori che hanno interpretato il ruolo di Maigret: secondo l'autore belga, tra i francesi, i migliori sono stati Pierre Renoir, perché ha saputo interpretare il commissario nel suo ruolo principale di servitore civico, Michel Simon, nonostante abbia interpretato il personaggio in una sola occasione e Jean Gabin, nonostante l'aspetto trasandato del suo Maigret. Tra i non francesi invece spiccano i nomi di Gino Cervi, che andava molto bene come Maigret, e Rupert Davies, protagonista della serie televisiva andata in onda sulla BBC. Tra i peggiori invece Charles Laughton e Jean Richard, che ha interpretato il commissario nella più lunga serie televisiva dedicata a Maigret, trasmessa in Francia per ventitré anni.
     
    Top
    .
  6. gheagabry
     
    .

    User deleted



    Il Commissario MONTALBANO


    La figura di Salvo Montalbano risulta chiaramente connotata: è nato nel 1950 (aveva 18 anni nel '68), quindi ha ormai superato i cinquant’anni; è originario di Catania, ha iniziato la carriera poco dopo i trent'anni e, prima di divenire commissario a Vigàta, in provincia di Montelusa, è stato sballottato da un paese ad un altro come un commesso viaggiatore.
    Camilleri non ci dà mai una descrizione fisica del suo commissario; la madre del commissario è morta quando lui era “picciliddro”: l'unico ricordo che egli ha della madre è la luce dorata riflessa dai capelli di lei. I "casi" su cui indaga Montalbano, tutti relativi a eventi delittuosi o strani, trovano sempre una logica soluzione grazie all'intuito del commissario e alla sua sensibilità di uomo, forse più che di investigatore. È proprio questa autenticità del personaggio, che non viene mai presentato come un supereroe o un genio dalle sovrumane doti intellettuali, che lo caratterizza e lo rende così familiare. Come Maigret sulle sponde della Senna, o in qualche paese di provincia della Francia profonda, anche Montalbano in genere non si trova, nella sua Vigàta, alle prese con devastanti problemi di ordine pubblico o con eclatanti vicende di mafia (e dire che siamo in Sicilia); bensì con omicidi "semplici", che però evidenziano un'idea drammatica della vita; sono storie private di banditi di provincia, strazianti vicende umane e personali di gente piccola, travolta dalle cose. Ciò non toglie che Camilleri inserisca nei romanzi di Montalbano le allusioni ai temi più attuali e scottanti del mondo di oggi: l'immigrazione clandestina, il traffico di organi, la nuova mafia, la speculazione edilizia, ecc. Come si legge nella Premessa editoriale a Gli arancini di Montalbano, "Montalbano si imbatte nei crimini e nei criminali più eterogenei e strani: vecchie coppie di attori che recitano, nel segreto della camera da letto, un funereo copione; insospettabili presidi in pensione che raggirano generose prostitute; incolpevoli padri di mafiosi trasformati in implacabili giustizieri; mogli astutamente fedeli che ordiscono crudeli vendette ai danni dei loro tronfi mariti; meticolosi raccoglitori di immondizia che custodiscono il mistero di traffici di droga; contadini abbrutiti e violenti con cellulari che finiscono per tradirli; giudici in ritiro angosciati dal pensiero di non aver agito secondo verità". Il commissario che scioglie l'enigma sa perfettamente che la soluzione non migliorerà il mondo: è solo un piccolo contributo alla verità. Ne esce un'immagine dolorosa e disincantata di quell'emblema del mondo che può essere una cittadina della Sicilia, indagata da un investigatore che non è, come i detective classici, l'eroe a cui la società ha delegato la giustizia, ma piuttosto, come in Simenon, un uomo con le sue pene e le sue malinconie, nonostante tutto proteso verso una sua idea di moralità o di redenzione.

    Salvo Montalbano è uno “sbirro” nato, dal fiuto infallibile, pronto a cogliere nei dettagli ciò che non “quatra”, che non lo convince, e a formulare invece l’ipotesi vincente:

    "in questo consisteva il suo privilegio e la sua maledizione di sbirro nato: cogliere, a pelle, a vento, a naso, l'anomalia, il dettaglio macari impercettibile che non quatrava con l'insieme, lo sfaglio minimo rispetto all'ordine consueto e prevedibile" (Un mese con Montalbano, p. 339).


    Il commissario preferisce condurre le indagini da solo:

    “mi sono addunato, col tempo, d’essere una specie di cacciatore solitario..., perché mi piace cacciare con gli altri ma voglio essere solo a organizzare la caccia. Questa è la condizione indispensabile perché il mio ciriveddro giri nel verso giusto. Un’ osservazione intelligente, fatta da un altro, m’avvilisce, mi smonta magari per una jurnata intera, ed è capace che io non arrinescio più a seguire il filo dei miei ragionamenti” (Il cane di terracotta, p. 135).


    É un "abile scrutatore delle espressioni dei volti, attento al tono della voce e ai gesti dell'interlocutore, maestro nel decriptare il linguaggio non verbale tipico dei siciliani e le frasi che nascondono riposti significati... Non esita a sostenere di fronte a stupiti e sorridenti interlocutori che l' "occhio clinico" rappresenta la qualità più importante per uno sbirro":

    "Con 'occhio clinico' aveva voluto intendere proprio la capacità dei medici di una volta di rendersi conto, a colpo d'occhio appunto, se un paziente era malato o no. Senza bisogno, come oggi fanno tanti medici, di sottoporre uno a cento esami diversi prima di stabilire che quello è sano come un pesce" (La revisione, in Gli arancini di Montalbano, p. 247).


    Montalbano, come ha detto esplicitamente lo stesso Camilleri, somiglia molto al Maigret di Simenon; in effetti "sia Maigret che Montalbano preferiscono lavorare da soli anche se all'interno dell'istituzione, apprezzano il loro mestiere, ma con sufficiente disincanto. Talora ricorrono a metodi non proprio ortodossi che li mettono persino in contrasto con le autorità, ma sono rispettati e ammirati dai loro subalterni che ne sopportano le piccole manie e non ne discutono gli ordini, per quanto a volte apparentemente stravaganti. Li unisce poi la simpatia che talvolta provano per i loro avversari o addirittura la pietà per la sorte di alcuni... E in comune hanno anche la rabbia, l'impotenza di non poter cambiare la società nella quale vivono, di non poter 'fare l'aggiustatore di destini' ". Montalbano non risolve i casi razionalmente, alla Sherlock Holmes, ma arriva alla verità tramite intuizioni fulminanti, vere e proprie folgorazioni improvvise. Ne Il giro di boa, la gioia per un'intuizione è tale che il commissario addirittura emette un nitrito:

    Di scatto Montalbano si susì, ittò la testa narrè e nitrì. Un nitrito piuttosto forte, in tutto simile a quello che fa un cavallo... Tutto gli era addivintato chiaro, le parallele avevano finito per convergere (Il giro di boa, p. 212).


    Però l'intuito di Montalbano si intreccia anche alla riflessione, legata ad alcuni luoghi ben precisi.

    L'idea di scrivere un giallo nacque in Camilleri fra il 1992 e il 1993:

    "La nascita del commissario Montalbano è del tutto casuale...Feci una scommessa con me stesso: 'Ma tu sei capace di scrivere un romanzo dalla A alla Z come Dio comanda... trecento pagine o quelle che sono, e poi la fine?' Allora cominciai a ragionare su che cosa potesse aiutarmi, a ricercare una gabbia. Ricordavo che Sciascia aveva scritto: 'Il romanzo giallo in fondo è la migliore gabbia dentro alla quale uno scrittore possa mettersi, perché ci sono delle regole, per esempio che non puoi barare sul rapporto logico, temporale, spaziale del racconto'. Sicché mi sono provato a scrivere un romanzo giallo - La forma dell'acqua - come una sorta di pensum, di compito che mi ero dato, perché avevo tra le mani Il birraio di Preston del quale non riuscivo a calibrare la struttura. Sono sempre stato un grande lettore di gialli. Il mio primo Simenon l'ho letto che avevo sette anni e mezzo. Contemporaneamente, la lettura di un romanzo di Vazquez Montálban Il pianista - che non ha nulla a che fare con i suoi Pepe Carvalho - mi aveva suggerito una strada possibile per strutturare Il birraio di Preston. Io rimasi grato a questo autore spagnolo che non conoscevo e decisi di chiamare il commissario, del quale stavo scrivendo questa prima avventura, Montalbano, che è anche un cognome siciliano diffusissimo. Così pigliavo due piccioni con una fava: pagavo un certo debito a Montálban e nello stesso tempo davo un nome siciliano preciso a questo commissario. Scrissi La forma dell'acqua: venne pubblicato, ebbe successo... ".
    La scelta del nome del commissario rappresenta dunque un omaggio nei confronti dello scrittore Manuel Vazquez Montalban, di cui Camilleri è poi diventato amico. Però, "nonostante Montalbano (nel Cane di terracotta e ne La gita a Tindari) si presenti come un affezionato lettore dei romanzi che hanno come protagonista l'investigatore privato Pepe Carvalho, i due personaggi appaiono diversi, anche in quegli aspetti del carattere che sembrerebbero accomunarli, primo fra tutti la passione per la buona cucina. Montalbano, che non cucina, ama i piatti tipici della sua terra, dalla pasta 'ncasciata alle triglie di scoglio, preparati con cura ma anche con semplicità; Carvalho, raffinato cuoco conoscitore dei trucchi del mestiere ed impeccabile intenditore di vini, apprezza piatti raffinatissimi, preparati con una maniacale attenzione alle dosi e agli intrecci di sapori e gustati con sensualità".

    (vigàra.it)
     
    Top
    .
  7. gheagabry
     
    .

    User deleted



    « Il mio nome è Bond... James Bond »


    JAMES BOND


    James Bond nasce nel mese di novembre dell'anno 1924 in una famiglia borghese da Andrew Bond e Monique Delacroix. Il padre è un rappresentate che lavora all'estero e per questo motivo la sua prima educazione avviene all'estero, dove impara in modo perfetto la lingua francese e quella tedesca. Ad undici anni muoiono in un incidente entrambi i genitori e il giovane Jamesviene allevato dalla zia Charmian.
    Bond studia a Eton, ma viene espulso a causa di una relazione con una cameriera. La zia riesce allora a iscriverlo a Fettes dove il giovane raggiunge risultati eccellenti sia scolasticamente che nel campo dello sport. Continuò gli studi ad Edimburgo. Imparò nel frattempo a sciare e a giocare a golf. Terminati gli studi fu assunto al ministero della Difesa britannico dietro segnalazione di un ex collega del padre. Fece carriera.
    Scoppiata la seconda guerra mondiale fu ferito in missione, di qui la cicatrice sulla guancia. Raggiunse il grado di comandante ed entrò nel servizio segreto britannico, l'MI6. Nel 1950 venne arruolato nella sezione 00, composta dai nove migliori agenti segreti, ottenendo la licenza di uccidere.
    Dopo anni di lotta contro la SMERSH, ovvero il reparto di eliminazioni dell'KGB, Bond incontra nuovi e pericolosi nemici, uno su tutti Ernst Stavro Blofeld e la sua SPECTRE che nel gli uccidono la moglie, Tracy De Vicenzo, il giorno stesso delle nozze. Estremamente depresso, l'agente 007, cerca vendetta e la ottiene. Però resta vittima di un'amnesia e rimane per qualche tempo in una piccola isola del Giappone. Quando ricompare tenta di uccidere il suo capo, poichè era stato sottoposto a lavaggio del cervello dai sovietici. M, che considera Bond un ottimo agente, combatte per rimetterlo in forma e lo manda a uccidere l'uomo dalla pistola d'oro. Bond torna vincitore e ristabilito. Dopo varie missioni, l'agente Flicka Von Grusse e dopo aver anche assunto il comando di una sezione speciale del SIS, Bond torna ad affrontare nuove missioni e nuovi nemici, come l'erede della Spectre e l'Unione di Le Gerant.


    Il personaggio di James Bond venne creato dallo scrittore britannico Ian Fleming come protagonista di una serie di romanzi.
    Il vero James Bond nacque a Filadelfia, è stato un ornitologo statunitense che ha ispirato lo scrittore Ian Fleming per il nome dell'agente 007, dato che Fleming cercava un nome semplice e trovandosi sottomano il libro Birds of the West Indies fu colpito dal nome dell'autore. Ian Fleming, che era un bird watcher dilettante in Giamaica, conosceva bene il libro di Bond, e diede il nome del suo autore all'eroe di Casino Royale, nel 1953, apparentemente perché cercava un nome che fosse 'il più ordinario possibile'. Fleming scrisse alla moglie del vero Bond, "mi ha colpito che questo nome breve, poco romantico, anglosassone era proprio quello di cui avevo bisogno, così è nato un altro James Bond".
    Al vero Bond un giorno fu negato l'accesso in aereo quando mostrò il suo passaporto all'equipaggio. Ci vollero un po' di spiegazioni.


    Vivendo nell'Inghilterra degli anni 50, dove c'era ancora il razionamento, Fleming concede al suo personaggio ogni genere di lussi: cocktail, alberghi, ristoranti, tutto al top. Quasi si direbbe una rivalsa contro la vita misera, un modo per far sognare i lettori. «L'Inghilterra di allora era un Paese estremamente grigio, povero. Ma anche qui, ecco l'impronta personale di Fleming. La mania del marchio. Tutto dev'essere identificato, l'accendino Dunhill, il modo di fare il Martini cocktail, lo champagne Dom Perignon, quel certo tipo di tabacco. E non è solo un catalogo di oggetti proibiti ai più, è una trovata profetica. Che oggi noi, abituati a vivere in un mondo che aspira a essere una sequenza di marchi, senza soluzione di continuità, possiamo capire bene. Lui, Fleming, era avanti rispetto ai suoi tempi, aveva già immaginato, come fosse un esotismo, la normalità di oggi».

    «Scritto per distrarmi da altre faccende». Dieci anni dopo l'uscita del suo primo romanzo, Casino Royale (da Jonathan Cape, il 13 aprile del 1953, con una tiratura di 7 mila copie) Ian Fleming scriveva questa frase sulla copia di bozze che gli era rimasta. Con quel libro cominciava la saga di James Bond, l'agente 007 al servizio di Sua Maestà Britannica, con licenza di uccidere come indicava il doppio zero. Un'epopea lunga quattordici titoli (due sarebbero stati pubblicati dopo la morte dell'autore), carica di un successo di vendite che da allora non si è più arrestato e coronata dai trionfi mondiali dei film tratti dai suoi libri.
    (Ranieri Polese)


    Agente speciale con licenza di uccidere, James Bond ha avuto sul grande schermo i volti di diversi attori. L'interpretazione rimasta nella memoria collettiva è da attribuire sicuramente a quella dell'attore scozzese Sean Connery che interpretò il personaggio di Fleming nei primi cinque film..Connery è diventato, nel tempo, l'icona del personaggio di Fleming.
    George Lazenby, il secondo 007, fu il protagonista soltanto di Al servizio segreto di Sua Maestà, film che, malgrado una sceneggiatura di ottimo livello (007 vi affronta uno dei suoi nemici più celebri e c'è il breve matrimonio di Bond), non ebbe il successo sperato poiché il ricordo di Connery oscurò la discreta prova d'attore di Lazenby.
    Dopo l'effimero ritorno di Connery nel fim successivo, il personaggio passa a Roger Moore, che lo interpretò ben sette volte dal 1973 al 1985, dandone un'interpretazione molto ironica e riuscendo a sua volta a far amare il personaggio.
    Al contrario di Moore, il successore Timothy Dalton, non ebbe tempo di conquistarsi il favore del pubblico, perché, dopo due soli film, la serie subì un'interruzione di diversi anni e lui perse la voglia di riprendere il ruolo: consegnò allora il testimone a Pierce Brosnan, che, nei suoi quattro film di enorme successo, col suo stile ed una certa somiglianza fisica si avvicinò a Connery.
    L'interprete più recente è stato Daniel Craig, che con Casino Royale fa ricominciare da zero la saga, creando un nuovo Bond, più realistico, non invincibile ma anche più cupo (riscuotendo un gran successo sia di pubblico che di critica).
     
    Top
    .
  8. gheagabry
     
    .

    User deleted


    "Adesso la domanda è questa – disse. – Può sbagliarsi Hercule Poirot?
    Nessuno può avere sempre ragione
    – rispose la signora Lorrimer in tono gelido.
    Io, invece, sì – disse Poirot – ho sempre ragione.
    Succede tanto invariabilmente che me ne stupisco io stesso."


    HERCULE POIROT

    "..era un tipo che a vederlo era difficile non ridergli in faccia.
    Pareva una macchietta da teatro o da cinematografo.
    Alto poco più di un metro e mezzo, grassoccio,
    piuttosto anziano,
    con un enorme paio di baffi e una testa simile a un uovo..."


    Hercule Poirot è alto poco più di un metro e sessanta, grassoccio, piuttosto vecchio, ma non gli è mai stata attribuita un'età precisa. Le sue qualità positive sono molte ma le più evidenti sono: calma, riflessione, precisione e perspicacia.
    La sua testa è a forma ovale, simile ad un uovo, e la tiene sempre leggermente inclinata verso destra. Ha le labbra incorniciate da baffi alla militare arricciati sulla punta, dei quali ha molta cura, tanto da portare in tasca uno specchietto per poterseli ritoccare. I pochi capelli rimasti sono neri e per ravvivarne il colore non usa una tintura, bensì un tonico. Un giorno, per via del suo aspetto curatissimo, qualcuno ha addirittura pensato che fosse un parrucchiere piuttosto che un poliziotto in pensione (ne "l'assassinio di Roger Ackroyd"). Il suo abbigliamento è sempre rigorosamente preciso e perfetto: una macchia, un granello di polvere gli darebbero fastidio più di una ferita.

    "I miei migliori amici sostengono che sono pieno di me"
    "Ebbene, conosco la mia abilità...
    Ho sistemi tutti miei: ordine, metodo, celluline grige..."


    Come dichiara lui stesso in più di un'occasione, prova una profonda repulsione verso le armi in quanto secondo lui l'uso della violenza sminuisce la grandezza umana che può essere espressa al meglio con il ragionamento e la deduzione proprie di un vero detective. Come investigatore ha un fiuto straordinario e riesce a risolvere i casi più intricati. Ha un sistema di indagine che rispecchia la sua personalità: ordine, metodo e "celluline grigie". Non è un sentimentale,anche se sembra essersi infatuato della contessa Vera Rossakoff, ma un logico, odia l'inspiegabile e finisce sempre per spiegarlo. Una delle sue frasi più famose, tratta dal romanzo Non c'è più scampo, è "L'omicidio è un'abitudine".

    ...biografia...


    Hercule Poirot si trasferisce come profugo di guerra nel 1914 in Inghilterra dal nativo Belgio dove era ispettore di polizia. Poco o nulla si sa della sua famiglia d'origine, ma nel romanzo Due mesi dopo si viene a sapere che sua nonna paterna aveva il nome di Marie e in Poirot e i Quattro viene citata sua madre Madame Poirot, dove si scopre che è morta. Nel romanzo Poirot e i Quattro si viene a sapere che trascorse la sua infanzia presso la città di Spa dove si trovava la casa della sua famiglia che, come descrive la stessa Christie in Tragedia in tre atti, era numerosa ma non ricca.

    « Gustave […] non è un poliziotto.
    Io ho avuto a che fare con i poliziotti tutta la mia vita e io conosco il vero poliziotto.
    Si può passare per detective ma non per poliziotto. »
    (Hercule Poirot ne "Il cinghiale d'Erimanto" (1940)


    Poirot aderì da adulto alle forze di polizia belga ricordando più tardi ne "Il leone Nemeo" (1939) di un caso risolto in Belgio nel quale "un ricco produttore di sapone […] avvelenò la moglie per sposare la sua segretaria".È l'ispettore Japp a fornirci alcuni indizi sulla carriera di Poirot nella polizia belga presentandolo ad un collega:

    « Mi ha mai sentito parlare di Poirot?
    Fu nel 1904 che lavorammo per la prima volta insieme
    per il caso Abercrombie mentre mi trovavo a Bruxelles.
    Ah, quelli erano bei tempi Moosier.
    E poi ti ricordi il "barone" Altara? Là era presente il signor Poirot. »
    (Poirot a Styles Court, capitolo 7)


    In Doppia colpa Poirot menziona il fatto che egli era capo della polizia di Bruxelles sino alla Grande Guerra. Poirot si ritirò dalla polizia belga all'epoca del suo incontro con Hastings nel 1916 quando, con Poirot a Styles Court diede inizio alla sua carriera come investigatore privato in Inghilterra.

    "L'investigatore non è necessariamente un uomo che si appiccica ad una barba falsa e si nasconde negli angoli bui... Questa roba è vieux jeu, buona per gli infimi rappresentanti della mia classe... Non ci si può occupare del crimine senza tener conto della psicologia... Non è tanto il delitto in se stesso che mi interessa, quanto ciò che si nasconde dietro... si può arrivare alla soluzione stando seduti in poltrona con gli occhi chiusi, perché così si vede con gli occhi della mente... È rarissimo che qualcuno compia un'azione che non sia nel suo carattere, e questo diventa monotono, alla fine... La natura umana si ripete più di quanto si crede abitualmente... Chiudete le valvole di sicurezza del vostro contegno naturale e presto o tardi la caldaia scoppierà, provocando un disastro... Il lupo si traveste da agnello ma la tartaruga può battere la lepre e a me interessa arrivare alla verità, non importa quando... Se qui c'è un sentimentale, quello non sono io, io mi accontento di essere logico, non mi piace L'inspiegabile e finisco sempre per spiegarlo..."


    Durante la prima guerra mondiale, Poirot lasciò il Belgio per dirigersi verso l'Inghilterra come rifugiato, divenne un libero professionista e iniziò anche ad occuparsi di casi propostigli direttamente dai suoi clienti. Prese casa al 56B Whitehaven Mansions, Charterhouse Square, Smithfield, London W1. Il 16 luglio 1916 riprenderà i contatti con quello che rimarrà il suo più fido amico, il capitano Arthur Hastings, e con lui risolverà il suo primo caso inglese noto col nome de "Il Misterioso Affare di Styles". Dopo questo caso Poirot diventerà noto anche in Inghilterra e risolverà anche alcuni casi per conto del governo britannico, tra i quali un tentativo di rapire il Primo Ministro.
    Tra le due guerre, Poirot coglie l'occasione per viaggiare in Europa e nel Medioriente per investigare su crimini e omicidi. Gran parte dei suoi casi ha luogo in questo arco di tempo che sarà l'apice della sua carriera. Nel Medioriente risolve i casi di Assassinio sul Nilo, Non c'è più scampo e La domatrice. Per attraversare l'Europa nel viaggio di ritorno si serve del treno ove ha luogo Assassinio sull'Orient Express che sarà il suo ultimo viaggio all'estero. Non viaggia mai né in America né in Australia, probabilmente a causa del mal di mare di cui soffre.
    « È questo maledetto mare che mi crea dei problemi! Il mal de mer – che orribile sofferenza! »
    (Poirot, ne "Il rapimento del Primo Ministro" - 1923)

    Tra i molti casi, la pietà umana di Poirot permette ad alcuni criminali di farla franca come la contessa Vera Rossakoff, ma mai protegge gli omicidi ad eccezione del dramma di Assassinio sull'Orient Express ove la particolare natura degli omicidio pone Poirot per la prima e unica volta in condizioni di dover insabbiare la causa.

    C'è molta confusione circa l'evento del ritiro a vita privata di Poirot. Gran parte dei casi risolti da Poirot coprono un arco temporale precedente al suo ritiro dalle scene con L'assassinio di Roger Ackroyd. Ad ogni modo anche all'interno del racconto, ove lo stesso Poirot commenta che si è ritirato in campagna per coltivare zucche, lascia intendere che il suo ritiro fosse già avvenuto all'epoca. Poirot risulta essersi già ritirato all'epoca di Tragedia in tre atti ma ripetutamente viene coinvolto nella risoluzione di nuovi casi. Agatha Christie non ha voluto una cronologia dettagliata per aprire sempre nuovi casi nella vita di Poirot e per dare l'impressione che le sue capacità ad ogni modo non si siano esaurite con un banale pensionamento. Ciò che è certo è che dopo il suo ritiro dalle scene, la fama di Poirot inizia a declinare al punto che il suo nome inizia a non essere più riconosciuto dai personaggi nei racconti, in particolare tra i più giovani:
    « - Dovrei, però, Madame, le dirò qualcosa in più su di me. Io sono Hercule Poirot.
    - Questa rivelazione lasciò Mrs Summerhayes senza reazione. - "Che nome grazioso," disse quella gentilmente. "Greco, non è vero?" » (Fermate il boia, capitolo 4)

    Poirot sul finire della sua carriera trascorre la maggior parte del suo tempo libero a riflettere su famosi casi irrisolti dalla polizia e a leggere racconti polizieschi. Coglie anche l'occasione per scrivere un libro nel quale cita altri scrittori come Edgar Allan Poe e Wilkie Collins.
    Poirot muore a seguito di complicazioni cardiovascolari alla fine del racconto Sipario che ha appunto per sottotitolo L'ultimo caso di Poirot. Questa morte improvvisa è dovuta al fatto che Poirot commette un omicidio, ovvero uccide un potenziale serial killer ma, non è il suo primo e unico "omicidio" in quanto alla fine del libro Sipario nelle memorie che Poirot lascia a Hastings si scopre che quando costui era poliziotto in Belgio uccise accidentalmente un ladro colto in flagranza di reato. L'azione crea a Poirot ormai anziano e malato, un senso di colpa che lo conduce alla morte. Sempre in Sipario si rivela che Poirot soffre di artrite. Le sue ultime parole sono "Cher ami!" rivolte al capitano Hastings. Poirot viene sepolto a Styles Court dove tutto aveva avuto inizio e lo stesso suo funerale viene organizzato dal fedele amico Hastings.
     
    Top
    .
7 replies since 18/12/2011, 09:33   2327 views
  Share  
.