FENOMENI NATURALI

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    Michael Konig ha costruito questo video incredibile timelapse dal punto di vista della Stazione Spaziale Internazionale.

     
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    Come nasce un’aurora boreale

     
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    LE AURORE BOREALI

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    Fotografia Andrew Dallow

    Aurora nel cielo di Darfield, Nuova Zelanda, pochi giorni dopo l'ultima tempesta solare.

    Le aurore nascono quando le particelle cariche si scontrano contro il campo magnetico terrestre e si incanalano verso i poli. Le particelle collidono con le molecole nella nostra atmosfera, trasferendo energia e facendo brillare le molecole dell'aria.

    La colorazione verde, come in questo caso, si produce quando la collisione avviene con le molecole d'ossigeno. Quella rossa invece è prodotta dallo scontro con le molecole d'azoto.


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    Fotografia per gentile concessione Francis Audet

    L'aurora si riflette nel Lago St. Charles, vicino Quebec City, in Canada



    Edited by gheagabry1 - 4/9/2021, 18:07
     
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    Il distacco di un grande iceberg in Groenlandia


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    Il ghiacciaio Petermann è una grande riserva di ghiaccio che si trova a nord-ovest della Groenlandia e sbocca nello Stretto di Nares, il lungo braccio di mare che separa l’isola di Ellesmere (Canada) dalla Groenlandia. È costituito in buona parte da una lunga lingua di ghiaccio che si tuffa nell’oceano e che periodicamente origina grandi iceberg, che in alcuni casi viaggiano alla deriva partendo dallo Stretto. Nell’agosto del 2010 un blocco di ghiaccio con una superficie di 260 chilometri quadrati (più dell’Isola d’Elba, per farsi un’idea) si staccò dal Petermann facendo sorgere molti dubbi sullo stato del ghiacciaio, e sui possibili effetti del riscaldamento globale.

    A distanza di due anni, come mostrano le nuove immagini satellitari in sequenza pubblicate dalla NASA, si è staccato un nuovo grande iceberg dal ghiacciaio. Il fenomeno è stato rilevato dal satellite Aqua, che compie numerosi passaggi al di sopra delle regioni polari ogni giorno. Alle 10:25 (ora di Greenwich, due ore in meno rispetto all’Italia in questo periodo dell’anno) del 16 luglio, l’iceberg era ancora molto vicino al ghiacciaio, ma era già visibile la profonda crepa di separazione sulla superficie.

    Circa due ore dopo, il grande pezzo di ghiaccio ha iniziato a muoversi e ad allontanarsi dal ghiacciaio Petermann che lo ha originato.

    Il giorno seguente, il 17 luglio alle 9:30, Aqua ha rilevato un ulteriore allontanamento dell’iceberg, che ha probabilmente contribuito alla rottura dello strato di ghiaccio più sottile presente nella parte terminale del fiordo. In poco tempo, l’iceberg ha anche subito una rotazione di diversi gradi verso sinistra.

    Stando ai primi calcoli dei ricercatori, il nuovo pezzo di ghiaccio è grande circa la metà rispetto all’iceberg che si staccò due anni fa nella stessa zona. Confrontando le immagini degli ultimi giorni con quelle rilevate negli anni scorsi è comunque visibile il progressivo ritiro del ghiacciaio Petermann. Durante la stagione più calda, questi tipi di ghiacciai di solito perdono ciclicamente diverse decine, a volte centinaia, di metri lungo i loro fronti, che vengono poi recuperate nella stagione invernale. Se il recupero non è totale, il ghiacciaio di fatto si ritira e subisce quindi una riduzione, che può diventare permanente, della propria superficie. I ricercatori avevano già notato una frattura nel Petermann legata al nuovo iceberg più di dieci anni fa. Come avevano già spiegato nel 2010, non si può dire con certezza se il fenomeno sia dovuto o meno al riscaldamento globale.




    ilpost.it

    Edited by gheagabry1 - 10/9/2019, 20:11
     
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    La sera del 14 giugno 2012, nel cielo di Pechino si sono formate gigantesche nubi bianche che sembravano molto simili a un'esplosione nucleare, un "fungo atomico".




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    Una formazione sedimentaria molto rara e bella, perle di grotta vengono create quando l'acqua percolando dal soffitto deposita calcite in piccole pozze. Questo precipitato di calcite si sedimenta attorno ad un piccolo granello di sabbia, e, a poco a poco, forma una perla.



    Edited by gheagabry1 - 4/9/2021, 18:12
     
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    LA LUNA BLU


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    Il 31 agosto, nuvole permettendo, nel cielo splenderà una luna diversa, una luna che non vedremo più fino al luglio 2015 e che non compariva dalla vigilia di Capodanno del 2009.

    Si chiama "luna blu" anche se non è affatto blu: è semplicemente il termine comunemente usato per definire la seconda luna piena del mese, ossia quel fenomeno per cui, una volta ogni tre-cinque anni, nell'arco di un mese cadono due lune piene anziché una sola.

    "Non c'è nulla di scientifico, ed è un fenomeno privo di alcuna rilevanza astronomica", spiega Mark Hammergren, astronomo dell'Adler Planetarium di Chicago, Illinois. "Ma credo che ci possa far riflettere sulla nostra storia e su come il nostro calendario sia nato dall'osservazione dei movimenti degli oggetti in cielo”.

    Secondo alcuni astronomi, la definizione popolare di "luna blu" non sarebbe l'unica, e sarebbe inoltre basata su un errore editoriale.

    La definizione più comune, ossia quella della seconda luna piena del mese, nascerebbe infatti da alcuni errori effettuati in una rivista di astronomia, in cui un autore interpretò male l'utilizzo del termine in un'altra rivista, una sorta di "calendario di frate Indovino" chiamato Maine Farmer's Almanac.

    Successivi studi di numeri dell'Almanac pubblicati dal 1819 al 1962 hanno rivelato che il termine "blue moon" in realtà si riferiva alla luna piena "in più" che può capitare in un determinato anno per via delle discrepanze tra il calendario e l'anno astronomico.

    Di solito infatti nell'arco di un anno vi sono 12 lune piene, una al mese, visto che il mese lunare - il tempo impiegato dalla Luna per attraversare le sue fasi - corrisponde all'incirca a un mese del nostro calendario. Tuttavia, il nostro calendario è basato sul ciclo del Sole, ossia sul tempo impiegato dalla Terra per orbitarlo. Ciò significa che l'anno del calendario non è in realtà divisibile per mesi lunari; perciò, ogni tre anni, abbiamo 13 lune piene.

    Il Farmer's almanac divideva divideva l'anno in quattro stagioni, in cui ogni stagione durava tre mesi. Quando in una stagione vi erano quattro lune piene, l'Almanac chiamava quella luna "blu".

    Insomma, alla fin fine la luna blu non è poi un evento così raro, aggiunge Hammergren, anche se negli Stati Uniti si usa dire "Once in a blue moon" un po' come noi diciamo "Una volta ogni morte di papa".

    "Il solo fatto di riconoscere che possiamo avere una luna piena due volte in un mese e avere del folklore legato al fenomeno prova che gli esseri umani sono sempre stati degli astronomi", conclude Hammergen.




    national geographic

    Edited by gheagabry1 - 10/9/2019, 20:14
     
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    "Il tornado produceva un suono come il passaggio di un aereo da combattimento, eppure …non c’èra un alito di vento, una temperatura di circa 25 gradi Celsius, e all’improvviso questa colonna di fuoco di circa 30 metri che si è messa a rimbombare come un aereo da caccia per circa 1 minuto…Un esperienza che si vive soltanto una volta nell’arco di dieci vite….”
    (Chris Tangey)


    IL TORNADO DI FUOCO

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    Un tornado di fuoco è una colonna di fuoco che s’innalza dalla terra verso il cielo ad altezze riguardevole. Non si è sicuro sull’origine di un tal fenomeno ma sembra che derivi dall’incontro di una corrente di aria calda con un fiamma o un incendio presenti sul terreno. Somiglia ai vortici di polvere, chiamati diavoli di sabbia, che nascono nei deserti del sud-ovest durante le giornate soleggiate, solo che quest’ultimi trovano la loro fonte nel sole inviando un pennacchio di aria riscaldata, mentre i tornado di fuoco nascono dai punti caldi creati da incendi preesistenti che incontrano una colonna di aria calda ascendente.Proprio per questa ragione, Marco Wyosocki, climatologo di New York e professore di scienze dell’atmosfera presso la Cornell University, stima che il termine di tornado di fuoco sia improprio ed è propenso a chiamarlo diavolo di fuoco. (Fire Devil)Così lo descrive. “Comincia a crescere molto rapidamente, e come tutte ciò che comincia a salire, succhia l’aria circostante creando un vuoto. Quindi si ottiene questa torsione che assomiglia ad un vortice. Il vortice, alzandosi, succhia l’incendio con esso, il suo diametro comincia a restringersi ed accelera la sua rotazione.” Questi diavoli di fuoco non sono rari, ma sono stati raramente avvistati, ed è per questa ragione che non si sa molto sulle dimensioni e velocità che possono assumere. Sempre Marco Wysocki ipotizza che, in media, salgono ad un massimo di un centinaio di piedi (30 m) ruotando ad una velocità superiore di 22 miglia all’ora (35,4 chilometri all’ora). Durano da 1 a 2 minuti circa.

    I tornado di fuoco si verificano quando il caldo intenso si combina a venti turbolenti, formando dei mulinelli d'aria. Questi mulinelli si restringono fino a formare delle strutture simili a tornado che risucchiano detriti in fiamme e gas combustibili, spiega Forthofer. Un tornado di fuoco è quindi costituito da un nucleo - la parte effettivamente in fiamme - e da una sacca invisibile di aria rotante che alimenta il nucleo con ossigeno fresco.

    Il nucleo di un tornado di fuoco in genere ha un'ampiezza dai 30 ai 90 centimetri e può raggiungere i 15-30 metri di altezza. Ma in determinate circostanze questi tornado possono essere alti 300 metri di altezza.

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    I gas combustibili ricchi di carbonio rilasciati dai mucchi di vegetazione incendiata sul suolo alimentano molti tornado di fuoco, dice Forthofer. "La vegetazione al suolo si riscalda abbastanza da rilasciare gas, ma alcuni gas non bruciano, perché non hanno abbastanza ossigeno intorno".
    Quando viene risucchiato da un vortice d'aria, il gas incombusto viaggia attraverso il nucleo, fino a raggiungere il punto nel quale ci sia abbastanza ossigeno caldo per farlo accendere. Ecco perché le fiamme di un tornado di fuoco sembrano così alte e sottili, spiega Forthofer.

    "Di solito si muovono abbastanza lentamente, più o meno alla velocità con cui camminiamo, o anche meno", spiega Forthofer.

    I tornado di fuoco possono incendiare tutto ciò che incontrano sul loro percorso e spargere attorno detriti infuocati. Anche i venti generati da questo fenomeno - soprattutto dai tornado di fuoco più grandi - possono essere pericolosi: possono raggiungere i 160 chilometri orari, abbastanza per abbattere degli alberi.

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    dal web

    Edited by gheagabry1 - 4/9/2021, 18:16
     
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  8. gheagabry
     
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    FULMINI ASCENDENTI

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    La prima documentazione scientifica relativa ai fulmini ascendenti – quelli che salgono da terra alle nuvole – risale al 1939. Sino a oggi, però, gli scienziati non erano riusciti a comprenderne il funzionamento.

    I fulmini ascendenti sono rari, spiega Tom Warner, responsabile del gruppo di ricerca e primo autore dello studio pubblicato nel Journal of Geophysical Research. La maggior parte dei lampi scorre tra le nuvole oppure da una nuvola al suolo, seguendo percorsi di aria ionizzata chiamati scariche leader (o scariche pilota). Come queste si formino è ancora poco chiaro. Si sa però che di solito una scarica pilota con carica positiva scende dalle nuvole e costringe una leader con carica negativa a salire dal suolo. Quando le due si incontrano, il risultato è un flusso di corrente elettrica accompagnato da un forte lampo di luce.

    Meno dell’1% della totalità dei fulmini viaggia in direzione opposta. Di solito, i lampi ascendenti si registrano in prossimità di oggetti alti, come grattacieli, ripetitori o pale eoliche. Secondo Warner e colleghi, il segreto potrebbe consistere in un meccanismo a scintilla.
    (corriere)


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    Il canale di questi ultimi può avere origine su strutture al suolo, specie se alte e snelle. Su queste strutture infatti in presenza di nuvole temporalesche , si creano campi elettrici così elevati da superare la rigidità dielettrica dell'aria. Il canale di fulmine ascendente, strutturalmente simile a quello dei fulmini discendenti, si sviluppa verso l'alto estendendosi per centinaia e a volte di migliaia di metri. In questo caso non si ha una controscarica della nuvola perché le cariche di quest'ultima sono immerse nell'aria o meglio nel dielettrico. In definitiva le cariche elettriche si disperdono in aria (effluvio) e il fenomeno si esaurisce in qualche decimo di secondo, con correnti dell'ordine del kiloAmpere, senza che si formi la scarica di ritorno. Questo tipo di fulmine è più frequente di quanto non si pensi ma riguarda solo le strutture molto alte e snelle. In pratica i fulmini ascendenti si verificano solo per strutture più alte di 80 metri.



    Edited by gheagabry1 - 10/9/2019, 18:46
     
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    Le orionidi 2012,
    le stelle cadenti di ottobre


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    Jeffrey Berkes, My Shot


    Lo sciame meteorico delle orionidi, visibile dal 16 al 23 ottobre, raggiungerà il suo picco tra la notte di sabato 20 e domenica 21.

    Questa pioggia meteorica autunnale è generata dai detriti della cometa di Halley, una delle più note e brillanti comete conosciute, che si avvicina nei pressi della Terra ogni 75-76 anni - l'ultima volta è stato nel 1986, la prossima sarà nel 2061 - e genera gas e polveri che, quando entrano in contatto con l'atmosfera terrestre, bruciano creando delle scie luminose: quelle che noi chiamiamo stelle cadenti. Questo fenomeno prende il nome di orionidi perché in base alla posizione in cielo sembra avere origine dalla stella più luminosa della costellazione di Orione, Betelgeuse,

    Nel fine settimana "ci aspettiamo di osservare circa 25 meteore all'ora durante il picco", ha detto Bill Cooke, responsabile del Meteoroid Environment Office della Nasa. "Le condizioni saranno ideali, la Luna non disturberà lo spettacolo", continua. Infatti, essendo quasi al primo quarto (lo diventerà completamente il 22 ottobre) non impedirà la visione del fenomeno con la sua luce riflessa.

    "Lo sciame delle orionidi non è il più luminoso, ma è uno dei più belli dell'anno", continua Cooke. A fare da sfondo allo spettacolo, ci saranno le costellazioni del Toro, dei Gemelli e di Orione, oltre a Venere e Giove che con Sirio formeranno un triangolo luminoso a est, che sarà attraversato dai frammenti incandescenti della coda della cometa di Halley.

    Le stelle cadenti saranno osservabili anche a occhio nudo: nuvole permettendo, basterà alzare gli occhi al cielo intorno alla mezzanotte fra sabato e domenica e guardare in direzione di Orione che, trovandosi in prossimità dell'emisfero celeste, è visibile da quasi tutte le parti della Terra. "Preparatevi alla velocità delle orionidi, che attraversano l'atmosfera a circa 66 chilometri al secondo", si raccomanda Cooke. "Solo le leonidi di novembre cadono a una velocità maggiore".


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    Antti Pietikäinen

    La tempesta solare ha coinciso con il picco di meteore orionidi, creando un'insolito spettacolo boreale.



    national geographic
     
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  10. gheagabry
     
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    Ho cercato di fotografare questo spettacolo in diverse manifestazioni aeree negli ultimi tre anni, ma non ci sono mai riuscito fino ad ora. Il nome scientifico per questo evento è la singolarità di Prandtl-Glauert, ed è visibile a occhio nudo solo per una piccola frazione di secondo

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    La singolarità di Prandtl–Glauert è la previsione, implicita nella similitudine di Prandtl-Glauert, che un aeromobile sia assoggettato a pressioni infinite al raggiungimento della velocità del suono. Per questo motivo agli inizi del XX secolo si riteneva che la barriera del suono fosse insuperabile.
    Nel momento di improvviso calo della pressione atmosferica dopo il passaggio dell'aeromobile si verifica la formazione di un "cono di vapore".

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    Edited by gheagabry1 - 10/9/2019, 18:51
     
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    Le scintillanti onde blu, risolto il mistero


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    Fotografia di Doug Perrine, Alamy

    L'onda luminosa che lambisce la spiaggia di Vaadhoo, nelle Maldive, sembra riflettere le stelle nel cielo.

    In realtà questa luce biologica - la bioluminescenza - nelle onde è prodotta da minuscole forme di vita vegetale marina, il fitoplancton (ovvero l'insieme degli organismi presenti nel plancton in grado di sintetizzare sostanza organica da sostanze inorganiche disciolte, utilizzando la radiazione solare come fonte di energia) e ora gli studiosi hanno scoperto come fanno.


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    Fotografia di Mike Blake, Reuters

    Varie specie di fitoplancton producono bioluminescenza, e la loro luce può essere vista nei mari di tutto il mondo, dice il biologo marino Woodland Hastings della Harvard University.

    Il tipo più diffuso è prodotto dai cosiddetti dinoflagellati, alghe microscopiche acquatiche contenenti clorofilla. Uno studio co-firmato da Hastings ha identificato nella membrana cellulare dei dinoflagellati una particolare conformazione a canale che risponde ai segnali elettrici, e che potrebbe essere alla base del meccanismo che consente ai microrganismi di produrre luce.


    Alcuni dinoflagellati possono produrre tossine dannose per pesci, esseri umani e altre creature. Gli studiosi pensano che la bioluminescenza possa essere una forma di difesa per i microrganismi marini, una sorta di segnale per dissuadere i predatori.

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    Fotografia di Adam Plezer, Your Shot





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    Il primo gelo autunnale su un lago in Alaska imprigiona le bolle di metano che per tutta l’estate sono emerse dal fondo fangoso. In primavera il gas verrà liberato nell’atmosfera. Con la fusione del permafrost, nuovi laghi si stanno formando in tutta la regione artica.




    national geographic

    Edited by gheagabry1 - 4/9/2021, 19:10
     
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    I “Blue Hole” (buchi blu),
    profonde cavità sommerse di origine carsica, sono noti da lungo tempo per le scogliere coralline dei Caraibi e delle Bahamas, dove erano già stati resi celebri dalle esplorazioni pionieristiche dell’indimenticato Comandante Jacques-Yves Cousteau. Fino a pochissimo tempo fa, invece, non se ne conosceva l’esistenza in Oceano Indiano, tanto che se ne dava per scontata l’assenza. Si pensava, a questo proposito, che le grandi variazioni climatiche avvenute ai tempi delle glaciazioni fossero state risentite maggiormente nell’Oceano Atlantico che nell’Oceano Indiano, il che avrebbe spiegato la mancata formazione dei Blue Hole in quest’ultimo oceano. La recente scoperta di uno di questi buchi blu alle Maldive da parte di Massimo Sandrini, dell’Albatros Top Boat, riveste quindi un grande interesse scientifico ed obbliga a ripensare quanto conosciamo sull’evoluzione recente delle scogliere maldiviane. Una prima esplorazione speditiva del Blue Hole fu organizzata nel corso della crociera scientifica di aprile 2000 dall’Albatros Top Boat in collaborazione con l’International School for Scientific Diving (ISSD), un'organizzazione riconosciuta dall’UE e dall'UNESCO e formata da scienziati professionisti legati ad Università ed altri Enti di Ricerca. Esattamente un anno dopo, nell’aprile del 2001, una nuova crociera scientifica Albatros-ISSD ha posto tra i suoi scopi principali l’avanzamento dell’esplorazione ed il rilevamento del Blue Hole. Lo scopo è stato raggiunto grazie a quattro giorni di intenso lavoro di un nutrito team di ricercatori e subacquei, organizzato in tre squadre: Ali Abdul Gadir, Giovanna Bernardini, Sara Mazzanti e Sandro Riccio hanno svolto indagini geomorfologiche, sedimentologiche e biologiche sull’orlo del Blue Hole e sull’ambiente immediatamente esterno
    Colantoni e Carla Morri hanno studiato la geologia e il ricoprimento biologico delle pareti; Giuseppe Baldelli, Carlo Nike Bianchi e Massimo Sandrini si sono occupati dei campionamenti e dei rilevamenti sul fondale. Inoltre, misure idrologiche e prelievi d’acqua sono stati effettuati a varie quote, e sono stati tracciati profili del fondo sia con ecoscandaglio da superficie sia con sonar portatile in immersione. Anche se molto lavoro resta da fare per completare l’esplorazione ed il rilevamento del “buco blu”, le indagini fatte nel corso della crociera del 2001 ci permettono oggi di avere un’idea un po’ più precisa sulla morfologia della cavità. Il Blue Hole si apre a circa 32 m di profondità attraverso un’imboccatura circolare di circa 70 m di diametro, che si allarga scendendo sino a raggiungere il fondo ad un’ottantina di metri di profondità. La cavità ha la forma di un tronco di cono leggermente eccentrico, con la base più ampia sui lati occidentale e settentrionale.
    La caratteristica saliente di questo Blue Hole maldiviano è la particolare stratificazione delle acque. Fino a circa 45 m di profondità s’incontra una normale acqua marina, anche se talvolta piuttosto torbida per la presenza di flocculato bianco in sospensione. A questa quota s’instaurano un leggero termoclino, con la temperatura che scende rapidamente di 2 o 3 gradi centigradi, ed un netto chemioclino, cioè una brusca variazione delle condizioni chimiche delle acque. Da normali acque marine ben ossigenate si passa infatti ad acque anossiche, cioè prive di ossigeno, e ricche di acido solfidrico (H2S), dal caratteristico odore penetrante. Questo cambiamento è testimoniato dalla marcata riduzione dei valori di pH, che indicano un aumento relativo dell’acidità, e di Eh, i cui valori fortemente negativi misurano condizioni riducenti tipiche di ambienti privi di ossigeno. Sotto il chemioclino l’oscurità è completa ma l’acqua sembra farsi leggermente più limpida grazie alla riduzione del particellato sospeso.L’acido solfidrico è tossico per la maggior parte degli organismi viventi; inoltre la sua presenza esclude quella di ossigeno disciolto. Al di sotto del chemioclino, dunque, non vi è traccia di vita animale. Le pareti appaiono praticamente nude e costellate di numerose piccole nicchie e solchi di corrosione. Tra i pochi organismi che possono vivere in presenza di acido solfidrico ci sono dei batteri. Sono infatti probabilmente dovute a diverse specie di batteri le patine di colori rossastri o verdastri che si osservano poco sotto il chemioclino ed i lunghi filamenti mucillaginosi che formano frange ininterrotte sulle pareti profonde. Nelle acque ossigenate sopra il chemioclino, la vita animale ricompare. Dapprima si ritrovano solo alcuni organismi incrostanti, soprattutto spugne. Negli anfratti che caratterizzano i pressi dell’ingresso della cavità, si muovono sciami di pesci diversi. Immediatamente all’esterno del “buco blu”, le comunità coralline appaiono impoverite, caratterizzate per lo più da coralli molli, e con indizi di pregressi episodi di mortalità della fauna sessile. È probabile che occasionali fuoriuscite di acido solfidrico dalla cavità comportino la morte improvvisa di tutta quella fauna fissa che non può prontamente scappare. Profili di temperatura, pH ed Eh nelle acque del Blue Hole: il chemioclino a circa 45 m di profondità separa acque marine normali da acque buie, prive di ossigeno e ricche di acido solfidrico.
    Dal punto di vista geologico, la scoperta più interessante di questa nuova fase esplorativa è stata quella di numerosi speleotemi tra i 50 ed i 60 m di profondità sotto le volte dei settori occidentale e settentrionale del Blue Hole. Sono state osservate numerose stalattiti, diverse stalagmiti ed anche qualche colonna, formatasi per congiunzione e fusione d’una stalagmite con una stalattite. Queste morfologie testimoniano di un passato carsico di questa cavità, quando il livello del mare era decine di metri più basso dell’attuale e la roccia corallina che la compone era tutta emersa e penetrata dal flusso delle acque dolci di origine meteorica.La morfologia e la struttura del Blue Hole richiamano quelle note in terraferma come doline o inghiottitoi. Occorre tuttavia poter dimostrare che nella zona in cui si trova attualmente il Blue Hole, il sottosuolo fosse in passato penetrato da un'ingente quantità d'acqua dolce carica di CO2 proveniente da un esteso bacino di raccolta. Di tale bacino, però, non si è per ora trovata traccia nell'area circostante. Altre ricerche sono dunque necessarie per suffragare appieno l’ipotesi sull’origine del Blue Hole. C’è inoltre un altro fatto peculiare che merita ulteriori studi. La presenza di acido solfidrico, in concentrazioni che aumentano con la profondità, fa infatti ipotizzare un’origine più complessa per questo Blue Hole. Oltre che per la corrosione della roccia corallina secondo il classico schema del fenomeno carsico, in cui a causa della gravità le acque di precipitazione meteorica penetrano nella roccia dall'alto verso il basso, il buco blu potrebbe essersi formato per la corrosione operata dalla risalita di acido solfidrico, che avrebbe corroso il tetto della cavità fino a farlo crollare, originando la caratteristica apertura circolare. Si parla, in questi casi, di ipercarsismo. L’attività ipercorrosiva avviene in ambiente ossigenato, dove l'acido solfidrico (H2S) reagendo con l’ossigeno si trasforma in acido solforico (H2S04). Quest’ultimo reagisce con il calcare, favorendo la liberazione di anidride carbonica che a sua volta aumenta la corrosione. Nel Blue Hole delle Maldive, quindi, H2S di origine profonda, risalendo ed entrando in contatto con l'acqua di mare, reagirebbe sciogliendo il carbonato di calcio che costituisce le scogliere, formando cavità che eccezionalmente arrivano alla superficie. Nessuno tuttavia aveva mai descritto strutture superficiali di questo tipo, ma soprattutto nessuno, prima della nostra scoperta della presenza di acido solfidrico, ha invocato il meccanismo dell’ipercarsismo per la formazione di un Blue Hole.
    Ma quale potrebbe essere l'origine dell'acido solfidrico alle Maldive? In primo luogo esso potrebbe provenire da solfati contenuti negli strati profondi, ma le nostre conoscenze attuali non sembrano deporre a favore di quest’ipotesi. Una seconda possibilità invocherebbe la presenza di idrocarburi contenuti nella massa rocciosa. Alle Maldive si possono certamente ipotizzare flussi di idrocarburi che possono risalire attraverso faglie e fratture della roccia corallina, ma ancora una volta non basta, anche se esistono idrocarburi ricchi di composti dello zolfo. Resta ancora la riduzione dei solfati, abbondanti in acqua di mare, operata in ambiente non ossigenato da batteri solfato riduttori. È forse quest’ultima l’ipotesi più plausibile. Ma solo ulteriori studi, con ricerche specifiche, misurazioni e campionamenti, potranno in futuro chiarire l’origine e la natura del primo Blue Hole delle Maldive.

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    Edited by gheagabry1 - 10/9/2019, 18:56
     
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    Aloni e cani solari

    Gli archi "fantasma", come questo alone di 22º nella foto, si formano quando la luce del sole o della luna rifrange i cristalli di ghiaccio nell'atmosfera.

    La forma e l'allineamento dei cristalli determinerà la comparsa di vari fenomeni. Cristalli poco allineati produrranno i cosiddetti "cani solari", cioè delle macchie luminose nel cielo. La quantità di cristalli di ghiaccio necessari per formare aloni, cani solari e altri fenomeni atmosferici si possono estendere anche per centinaia di metri.


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    Fotografia di Kenneth M. Highfill, Fonte Scienza

    Fiori di ghiaccio


    Delicate come zucchero filato, le strutture come quella nella foto per formarsi necessitano di condizioni perfette. "Queste condizioni si verificano quando la temperatura è proprio intorno allo zero", ha spiegato Libbrecht. Di solito compaiono sulle piante marce o impregnate d'acqua: "In inverno si formano sugli Appalachi visto che non fa troppo freddo e c'è sempre molta acqua".
    "Il congelamento deve avvenire molto delicatamente", ha aggiunto. Questo perché l'acqua contenuta nei vasi delle piante legnose si deve congelare lentamente, dall'alto verso il basso. Se le temperature si abbassano troppo, il congelamento avverrà troppo rapidamente. "Come l'acqua dei vasi si congela, il ghiaccio viene spinto fuori dalla parte superiore delle piante da forze che non conosciamo", ha detto.
    Il risultato: lastre o nastri di ghiaccio che sembrano veri e propri fiori congelati. Comunemente conosciuti come fiori di ghiaccio, si possono formare in poche ore, di solito durante la notte.





    Edited by gheagabry1 - 4/9/2021, 19:26
     
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  15. gheagabry
     
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    Le “Porte dell’Inferno” in Turkmenistan

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    E' uno dei fenomeni geologici-ambientali più notevoli del mondo. Chiamato dai locali “la porta dell’Inferno”, è in fiamme da oltre quarant’anni e si trova a poca distanza da Derweze (scritto anche Darvaza) un paesino nel centro del Turkmenistan. Le fiamme sprigionano un forte odore solforoso che si sente nell’aria a parecchia distanza dal cratere. La sua origine, però, è totalmente artificiale.


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    Nel 1971, alcuni geologici sovietici indicarono il luogo come un possibile giacimento di risorse naturali. Durante le loro esplorazioni, si imbatterono in una caverna piena di gas naturale, ma il terreno sotto le trivellazioni collassò improvvisamente lasciando una grande cavità del diametro di circa 70 metri.

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    Per evitare la fuoriuscita di gas velenosi come il metano, i sovietici decisero di innescare un incendio, prevedendo che nell’arco di pochi giorni i gas sarebbero bruciati e la zona sarebbe tornata sicura (la pratica è utilizzata a volte quando il gas naturale è ritenuto troppo difficile da estrarre). Le fiamme, però, stanno ancora bruciando oggi, a oltre 40 anni di distanza; l’area è estremamente isolata.



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    Foto: rapidtravelchai su Flickr

    Edited by gheagabry1 - 10/9/2019, 19:01
     
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