FAVOLE accanto al camino

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  1. gheagabry
     
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    PERCHÉ SUONARONO LE CAMPANE

    C'era una volta, in una grande città, una chiesa davvero splendida. Dall'ingresso principale si riusciva a malapena a scorgere 1'altare di pietra che si trovava all'altro capo. Di fianco alla chiesa si levava un campanile, simile a una torre, così alto nel cielo che la punta si distingueva soltanto quando il tempo era molto limpido. Lassù nella torre vi erano delle campane che si diceva fossero le più belle e le più sonore del mondo, ma nessun essere vivente le aveva mai sentite! Erano le campane speciali di Natale: potevano far udire i loro rintocchi solo la notte di Natale e, per di più, soltanto quando fosse stato deposto sull'altare il più grande e il più bel dono al Bambino Gesù. Purtroppo, da molti anni non si era avuta un'offerta così splendida da meritare il suono delle grandi campane. Tuttavia, ogni vigilia di Natale, la gente si affollava davanti all'altare portando doni, cercando di superarsi gli uni con gli altri, gareggiando nell'escogitare offerte sempre più straordinarie. Nonostante la chiesa fosse affollata e la funzione splendida, lassù nella torre di pietra si udiva soltanto fischiare il vento.
    Pedro e il suo fratellino
    In un villaggio abbastanza lontano dalla città viveva un ragazzo di nome Pedro, insieme al suo fratellino. Essi avevano sentito parlare delle famose offerte della vigilia di Natale, e per tutto l'anno avevano fatto progetti per assistere alla grande e sfarzosa cerimonia, e per la Messa di mezzanotte. Il mattino precedente il giorno di Natale, all'alba, mentre cadevano i primi fiocchi di neve, Pedro e il fratellino si misero in cammino. Al calar delta notte, avevano già quasi raggiunto la porta della città quando, per terra davanti a loro, scorsero una povera donna che era caduta nella neve, troppo stanca e malata per cercare rifugio da qualche parte. Pedro si inginocchiò cercando di alzarla, ma non vi riuscì.
    "Non ce la faccio, fratellino" disse Pedro. "È troppo pesante. Devi proseguire da solo".
    "Io? Da solo?" esclamò il fratellino. "Ma allora tu non ci sarai alla funzione di Natale".
    "Non posso fare altrimenti" disse Pedro. "Guarda questa povera donna. Il suo viso è simile a quello della Madonna nella finestra della cappella. Morirà di freddo se l'abbandoniamo. Sono andati tutti in chiesa, ma io starò qui e mi prenderò cura di lei fino alla fine della Messa. Allora tu potrai condurre qui qualcuno che l'aiuti. Ah, fratellino, prendi questa monetina d'argento e deponila sull'altare: è la mia offerta per il Bambino Gesù. Su, ora, corri!".
    E mentre il bambino si avviava verso la chiesa, Pedro sbatté gli occhi per trattenere le lacrime di delusione che gli rigavano le guance. Poi passò un braccio dietro al capo della povera donna che si lamentava debolmente e cercò di sorriderle.
    "Coraggio, signora", le disse, "tra poco arriverà qualcuno".
    Nella grande chiesa, la funzione di quella vigilia di Natale fu più splendida che mai! L'organo suonò e i fedeli cantarono e, alla fine della funzione, poveri e ricchi avanzarono orgogliosamente verso 1'altare per offrire i loro doni. A poco a poco, sull'altare, si accumularono oggetti splendidi d'oro, d'argento e d'avorio intarsiato; dolci elaborati nei modi più impensati; stoffe dipinte e broccati.
    Ultimo, in un gran fruscio di seta e tintinnar di spade, il re del paese percorse la navata. Portava in mano la corona regale, tempestata di pietre preziose che mandavano barbagli di luce tutt'intorno.
    Un fremito di eccitazione scosse la folla.
    "Senza dubbio questa volta si sentiranno suonare le campane a festa!" mormoravano tutti.
    Il re depose sull'altare la splendida corona. La chiesa piombò in un silenzio profondo. Tutti trattennero il respiro, con le orecchie tese per ascoltare il suono delle campane.
    Ma soltanto il solito freddo vento sibilò sul campanile. I fedeli scossero la testa increduli. Qualcuno cominciò a dubitare che quelle strane campane avessero mai suonato.
    "Forse si sono bloccate per sempre!" sosteneva qualche altro.
    L'organista smise di suonare
    La processione era terminata e il coro stava per iniziare l'inno di chiusura, quando all'improvviso l'organista smise di suonare paralizzato. Perché d'un tratto dalla cima della torre si era levato il dolce suono delle campane. Un suono ora alto ora basso, che fluttuava nell'aria riempiendola di festosa sonorità.
    Era il suono più angelico e piacevole che mai si fosse udito.
    La folla restò un attimo eccitata e silenziosa. Poi, tutti insieme, si alzarono volgendo gli occhi all'altare per vedere quale meraviglioso dono aveva finalmente risvegliato le campane dal loro lungo silenzio. Ma non videro altro che la figura di Fratellino che silenziosamente era scivolato lungo la navata per deporre sull'altare la monetina d'argento di Pedro.
    (Dal Web)



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  2. gheagabry
     
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    Der allererste Weihnachtsbaum (H.Löns) -
    La vera storia del primo albero di Natale


    Babbo natale passeggiava attraverso il bosco, era piutttosto nervoso. Il suo volpino bianco, che di solito correva davanti a lui abbaiando allegramente, se ne era accorto ed andava quatto quatto dietro al suo padrone tenendo la coda bassa. Babbo Natale infatti non provava più grande gioia nello svolgere il suo compito. Era tutti gli anni la stessa storia. Non aveva più entusiasmo nello svolgere la cosa. Giocattoli e dolciumi, non avevano, a lungo andare, più alcun valore. I bambini certamente si rallegravano, ma avrebbero dovuto gridare, gioire e cantare, così egli avrebbe voluto. Ma tutto questo accadeva ormai soltanto di rado. Per tutto il mese di dicembre Babbo Natale si era lambiccato il cervello su questo, che cosa avrebbe potuto trovare di nuovo, per portare ai bambini di tutto il mondo, ancora una volta, una grande gioia natalizia, tale che anche i grandi avrebbero partecipato. Non potevano essere cose preziose, poichè i doni da distribuire erano troppi.

    Con questi pensieri camminò con fatica attraverso il bosco fino ad arrivare ad un incrocio. Là avrebbe dovuto incontrare Gesù Bambino, con il quale organizzava ogni anno la distribuzione dei regali.

    Già da lontano si accorse che Gesù Bambino era là, poichè il luogo era pervaso da una luce diversa. Gesù Bambino indossava una calda veste bianca e sorrideva con l'intero viso. La si trovavano dei grosso mazzi di trifoglio, di fagioli e tanti altri alberi per sfamare cervi, lepri e persino castagne, ghiande e barbabietole per sfamare le scrofe.

    Babbo Natale si tolse il suo mantello e salutò Gesù Bambino. "Ciao vecchietto, come va?" disse Gesù Bambino. "Sei cosi di cattivo umore?" - disse poi lo prese a braccetto ed iniziò a passeggiare con lui. Dietro di loro trotterellava il piccolo volpino, ma non sembrava più così addolorato ed impavido teneva la coda dritta in aria.

    "Si" - disse Babbo Natale - "tutto il mio intero compito non mi dà più alcuna gioia. Dipenderà dall'età oppure da qualcos'altro, non lo so. Oltre al pane speziato, alle mele ed alle noci, non c'è più niente altro. Dopo che hanno mangiato la festa è finita. Bisogna trovare qualcosa di nuovo, che non sia qualcosa da mangiare o qualcosa per giocare, ma per la quale giovani e meno giovani cantino e ridano e siano felici.

    Gesù bambino assentì e divenne pensieroso, quindi disse:"Hai ragione, questo piacerebbe anche a me. Ci avevo pensato anche io ma non è cosi facile."

    "Già, lo so" brontolo Babbo Natale. "Io sono troppo vecchio e troppo sciocco. Mi sono venuti dei gran mal di testa a forza di riflettere, ma non mi è venuto in mente niente che abbia un senso. Se va avanti così, gradualmente si spegne il valore dell'intera cosa ed il Natale diventa una festa come tutte le altre, dalla quale le persone non hanno niente se non le cose da mangiare, da bere e la possibilità di poter poltrire.

    Pensando e ripensando giunsero entrambi ad un bosco tutto imbiancato, babbo Natale brontolando e Gesù Bambino con il viso corrucciato. C'era un cosi gran silenzio nel bosco che non si muoveva nemmeno un ramo, solo quando una civitta si posò su un ramo, cadde a terra un po' di neve senza fare quasi rumore. Cosi camminavano entrambi, il volpino dietro a loro, finchè arrivarono ad una grande radura dove si trovavano piccoli e grandi abeti. Era bellissimo. La luna brillava chiara e luminosa, tutte le stelle risplendevano, la neve sembrava come d'argento e gli abeti stavano là, neri e bianchi ed erano una meraviglia. Un abete alto cinque piedi che si trovava proprio davanti agli altri, attirò in modo particolare la loro attenzione. Era di un altezza normale ed aveva una striatura di neve su ogni ramo, alla fine del quale c'era un ghiacciolo che scintillava e tremolava alla luce della luna.

    Gesu Bambino lasciò il braccio di Babbo Natale, lo strattonò leggermente, indicò l'abete e disse:"Non è meraviglioso?". "Si" - disse Babbo Natale - "ma a cosa mi serve?". "Dammi un paio di mele" - disse Gesù Bambino - "ho avuto un'idea". Babbo Natale rimase stupito, non riusciva ad immaginare che Gesù Bambino con quel freddo avesse voglia di mangiare una mela ghiacciata, Aveva anche una buona vecchia grappa, ma pensava che non fosse il caso di offrirgliela. Si tolse dalla spalla la tracolla ed appoggiò il suo enorme sacco sulla neve, ci frugò dentro e tirò fuori un paio di grandi mele. Mise le mani in tasca a prese il suo coltello e lo affilò ad un tronco di faggio, quindi lo porse a Gesù Bambino.



    "Ma come sei furbo", gli rispose gesù Bambino. "Ora taglia una cordicella in pezzetti lunghi due dita e fai dei piccoli ganci." A Babbo Natale tutto questo sembrava buffo, ma non disse niente e fece ciò che gli era stato chiesto. Quando la cordicella ed i gancetti furono pronti, Gesù Bambino prese una mela ed inserì un gancetto, fissò la cordicella intorno al gancetto ed appese la mela al ramo. "Cosi adesso dobbiamo farne anche altre" disse. "Potresti aiutarmi a farlo, ma fa attenzione che non cada la neve".

    Babbo Natale lo aiutò, sebbene non sapesse perchè. Ma alla fine tutto questo lo divertiva e quando il piccolo abete fu pieno di mele rubiconde, fece cinque passi indietro, rise e disse:"Guarda come è diventato carino! Ma che senso ha tutto questo?". "Occorre che tutto abbia subito un senso?" rise Gesù Bambino. "Fai attenzione che adesso diventa ancora più bello. Adesso dammi delle noci!".

    Babbo Natale frugò nel suo sacco, tirò fuori le noci e le porse a Gesù Bambino. Questi infilò un legnetto in ogni noce e vi fece passare un filo, sfregò quindi una noce sulla parte superiore della sua ala, la parte dorata, cosi la noce diventò anch'essa dorata, poi prese un'altra noce e la sfregò sulla parte inferiore, la parte argentata, così anche la noce divenne argentata. Poi appese entrambe tra le mele.

    “Che cosa mi dici adesso, vecchietto?” - disse a Babbo Natale - “ non è graziosissimo?”.
    “Si” - rispose lui - “ma non capisco ancora....”
    “Vieni qui” - rise Gesù Bambino - “hai delle luci?”
    “Luci no” - disse Babbo Natale - “ ma ho dei bastoncini di cera”.

    “Vanno bene lo stesso” - disse Gesù Bambino,. Poi prese un bastoncino di cera, lo tagliuzzò e ne mise un piccolo pezzo in cima all'albero e gli altri pezzi sui rami piegando la base per farli aderire, quindi disse: “Hai da accendere?”

    “Certo” - rispose Babbo Natale ed andò a prendere una pietra focaia, un pezzo di ferro ed una spugna, ottenne cosi il fuoco dalla pietra focaia, lasciò che la miccia andasse nella scatola di spugna e ci infilò dei trucioli di zolfo. Quindi la dette a Gesù Bambino. Questi prese un truciolo di zolfo che ardeva luminoso ed accese con quello la parte più alta dell'albero, quindi quella a destra, poi quella a sinistra. E girando intorno all'albero fece in modo che una dopo l'altra si accendessero tutte le luci.

    Adesso si vedeva solo il piccolo abete nella neve, dei suoi rami scuri e coperti di neve si vedevano le guance rosse delle mele, le noci argentate e dorate che brillavano e scintillavano e le candele gialle che ardevano festose. Gesù Bambino rideva attraverso il suo viso roseo e batteva le mani, il vecchio Babbo Natale sembrò non più cosi brontolone ed il piccolo volpino saltava qua e là abbaiando felice.


    Quando le candele si furono un poco consumate, Gesù bambino fece vento con le sue ali d'oro e d'argento e spense le luci. Disse quindi a Babbo Natale di segare con prudenza il piccolo albero. Egli cosi fece, quindi scesero entrambi dalla montagna portando con sé l'albero addobbato.


    Quando giunsero in paese, dormivano ancora tutti. Si fermarono entrambi alla casa più povera. Gesù Bambino aprì piano la porta ed entrò, Babbo Natale lo seguì. Nel soggiorno c'era uno sgabello a tre gambe con il piano forato. Lo misero sul tavolo e ci infilarono dentro il piccolo abete. Babbo Natale lasciò anche ogni tipo di belle cose, giochi, dolci, mele e noci sotto l'albero e quindi lasciarono la casa così silenziosamente come erano entrati.


    Quando il padrone di casa si svegliò, la mattina successiva, e vide l'abete tutto addobbato, rimase di stucco non sapendo cosa dire. Ma quando vide allo stipite della porta, che era stato sfiorato dalle ali di Gesù Bambino, uno sfarfallio di luce d'oro e d'argento, capì allora cosa fosse accaduto. Accese le luci dell'albero e svegliò la moglie ed i bambini. Ci fu una gioia cosi grande in quella piccola casa come mai prima in un giorno di Natale. Nessuno dei bambini dette uno sguardo ai giochi, ai dolci ed alle mele, prestarono attenzione solo all'albero illuminato. Si presero per mano, ballarono intorno all'albero e cantarono tutti i canti di Natale che conoscevano ed anche il bambino più piccolo, che poteva solo essere portato in braccio, vociava come poteva. A giorno fatto arrivarono gli amici ed i parenti del minatore, videro il piccolo abete, ne rimasero molto colpiti ed andarono nel bosco per prendere un piccolo albero di Natale anche per i loro bambini.


    Le altre persone, quando lo videro, vollero fare altrettanto, cosi ogni ognuno prese un abete e lo addobbò cosicchè luci, mele e noci erano appese ovunque.



    Quando venne sera, brillava in tutto il paese, casa per casa, un albero di Natale, ovunque si sentivano canti di Natale e le grida e la gioia dei bambini. Da allora, l' albero di Natale si è esteso per tutta la Germania ed in tutto il resto del mondo. Poiché il primo albero di Natale fu acceso la mattina, cosi in alcune parti i bambini ricevono i doni proprio di mattina.

    (tradotta liberamente da Trudy, ilnostronatale)



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  3. gheagabry
     
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    LE STELLE D'ORO

    Era rimasta sola al mondo. L'avevano messa sopra una strada dicendole:
    - Raccomandati al cielo, povera bimba!
    E lei, la piccola orfana, s'era raccomandata al cielo!
    Aveva giunte le manine, volto gli occhi su, su in alto, e piangendo aveva esclamato: - Stelle d'oro, aiutatemi voi! E girava il mondo così, stendendo la manina alla pietà di quelli che erano meno infelici di lei.
    L'aiutavano tutti, è vero, ma era una povera vita,
    la sua: una vita randagia, senza affetti e senza conforti.
    Un giorno incontrò un povero vecchio cadente;
    l'orfanella mangiava avidamente un pezzo di pane
    che una brava donna le aveva appena dato.
    - Ho fame - sospirò il vecchio fissando con desiderio infinito
    il pezzo di pane nelle mani della bimba; - ho tanta fame!
    - Eccovi, nonno, il mio pane, mangiate.
    - Ma, e tu?
    - Ne cercherò dell'altro.
    Il vecchio allora la benedisse: - Oh, se le stelle piovessero
    su te che hai un cuore così generoso!
    Un altro giorno la poverina se ne andava dalla città ala campagna vicina.
    Trovò per via una fanciulla che batteva i denti dal freddo;
    non aveva da ricoprirsi che la pura camicia.
    - Hai freddo? - le domandò l'orfanella.
    - Sì, - rispose l'altra - ma non ho neppure un vestito.
    - Eccoti il mio: io non lo soffro il freddo, e se anche lo sento,
    mi rende un po' meno pigra.
    - Tu sei una stella caduta da lassù;
    oh se potessi, vorrei... vorrei che tutte le altre stelle
    ti cadessero in grembo come pioggia d'oro.
    E si divisero. L'orfanella abbandonata continuò la strada
    che la conduceva in campagna,
    presso una capanna dove pensava di riposare la notte,
    e l'altra corse via felice dell'abitino che la riparava così bene.
    La notte cadeva adagio adagio e le stelle del firmamento si accendevano
    una dopo l'altra come punti d'oro luminosi. L'orfanella le guardava e sorrideva
    al ricordo dell'augurio del vecchio e di quello uguale della bimba
    cui aveva regalato generosamente il suo vestito. Aveva freddo anche lei,
    ora; ma si consolava perché la cascina a cui era diretta non era lontana;
    già ne aveva riconosciuti i contorni.
    - Ah sì! - pensava: - se le stelle piovessero oro su di me ne raccoglierei tanto tanto
    e farei poi tante case grandi grandi per ospitare i bambini abbandonati.
    Se le stelle di lassù piovessero oro, vorrei consolare tutti quelli che soffrono;
    sfamerei gli affamati, vestirei i nudi... Mi vestirei - disse guardandosi con un sorriso;
    - io mi vestirei perché, davvero, ho freddo.
    Si sentì nell'aria un canto di voci angeliche, poi il tintinnio armonioso di oro smosso.
    La bimba guardò in alto: subito cadde in ginocchio e tese la camicina.
    Le stelle si staccavano dal cielo, e , cambiate in monete d'oro,
    cadevano a migliaia attorno a quell'angioletto che, sorridendo, le raccoglieva felice:
    - Sì, sì! Farò fare, sì, farò fare uno, no... tanti bei palazzi grandi per gli abbandonati
    e sarò il conforto di tutti quelli che soffrono!
    Dal cielo, il soave canto di voci di paradiso ripeteva: - Benedetta! Benedetta!
    (J. e W. Grimm)



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  4. gheagabry
     
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    Il Lago di Cristallo

    Il ghiaccio del Lago di Cristallo si ruppe al centro e di colpo mille frammenti di ghiaccio saltarono da ogni lato lampeggiando sotto i raggi del Sole e formando una rete di lampi tra le facce dei cristalli di ghiaccio. In mezzo a quella pioggia colorata la Fata dell’Acqua emerse dall’acqua gelida attorniata da uno scintillio color acquamarina. Gli animali del lago, riconoscenti per averli liberati dalla loro prigione di ghiaccio, le fecero gli auguri di Natale.

    Il Natale! – esclamò portando le mani alla testa. – Sono stata così occupata a fare neve con la Fata del Freddo che me lo ero scordato!- E partì in volo verso il cielo lasciando una scia di gocce di rugiada che formarono un Arcobaleno dietro di se.

    Quando arrivò all’Albero dei Desideri, dimora di tutte le Fate di Fantasia, questi le augurò un buon Natale e aprì la sua bocca perché lei potesse entrare. Dentro c’era un gran vocio, la Fata Flora aveva prestato il suo berretto a forma di albero per decorarlo e dopo un colpo di bacchetta magica il cappello raggiunse i due metri. Era un superbo abete e subito si riempì di decorazioni. La Fata della Luce scosse un poco la Stella Polare e con la polvere di stelle che cadde, cosparse l’abete che iniziò a scintillare. Nel frattempo Flora appendeva frutta candita al bordo dei rami mentre la Fata del Fuoco appendeva ghirlande con candeline accese che si riflettevano nella polvere di stelle.

    Anche la Fata dell’Acqua voleva aiutare e così scosse le sue ali e l’abete si riempì di gocce di rugiada, ma con il caldo delle candele iniziarono ad evaporarsi. Per fortuna c’era lì Neve, la Fata del Freddo che soffiando congelò le gocce ed ora sembrava che l’albero fosse decorato con perle.

    Finito di decorare l’interno, uscirono fuori ed iniziarono a decorare l’Albero dei Desideri. Non misero tante decorazioni, perché l’Albero dei Desideri era un venerando anziano e doveva avere un certo ritegno, ma si abbastanza per conferirgli un aspetto gioioso.

    Una volta finito, ognuna partì di corsa a fare gli auguri di Natale a tutti. La Fata del Fuoco visitò ogni casa e caminetto per fare gli auguri ai loro abitanti: le Fiamme. Questi esserini piccoli e salterini accolsero con grande gioia gli auguri e saltando facevano le capriole nei loro camini.

    La Fata del Freddo partì verso i luoghi sempre gelati per fare gli auguri agli Uomini di Neve, esseri formati da enormi palle di neve rotonde che hanno una carota per naso. Quando arrivò c’era una divertente guerra di palle di neve. E’ curioso come per evitare che una palla li raggiunga (e vengano eliminati) si dividano in 3 palle di neve di differenti misure e comincino a rotolare per terra. Il problema è che a volte, ogni palla va per conto suo ed alle volte riesce loro un pò difficile ritrovarsi.

    Flora andò a vedere tutti gli alberi del bosco per far loro gli auguri per le feste, e quando finì partì per il Prato del Colore a visitare ognuno dei fiori che in quel momento, essendo inverno, si trovavano nelle loro case sotto terra in attesa dell’arrivo della Fata Primavera che dicesse loro che era arrivata l’ora di uscire.

    La Fata dei Sogni entrò nei sogni di tutti i bambini del mondo e raccontò loro i più bei sogni che potete immaginare.

    Tutti quanti erano felici perché era Natale a Fantasia. Tutti quanti? No. C’era qualcuno a cui tutto questo annoiava. Qualcuno col cuore freddo: l’Inverno. Delle quattro stagioni l’Inverno era senza dubbio quella che meno amava il proprio lavoro. Dopo tutto era sempre lo stesso, tutto era grigio, noioso e monotono. Invidiava i suoi compagni. Desiderava il vociare dell’Estate, la cui comparsa significava l’inizio del divertimento. Moriva d’invidia quando vedeva la Primavera che ridava la vita agli essere viventi, soprattutto se pensava che lui solamente poteva uccidere o addormentare gli animali e le piante. D’altra parte l’Autunno era troppo malinconico e l’Inverno non poteva sopportare che l’Autunno fosse la stagione più romantica.

    Quel giorno l’Inverno era particolarmente stufo di tutto. Tanto che decise di andarsene e disse ai suoi compagni:

    – Fate ciò che volete con la mia stagione, io ormai ne sono annoiato. – E detto questo, andò a passeggiare per la Costellazione del Cigno.

    Le altre stagioni cominciarono a discutere molto affannosamente. Non si mettevano d’accordo su chi avrebbe dovuto sostituire l’Inverno. Alla fine, dopo grandi discussioni decisero che la cosa migliore sarebbe stata fare i turni e che ogni giorno se ne occupasse uno. Sorteggiarono i turni e toccò all’Estate iniziare per prima.

    L’indomani uscì uno splendido e rovente Sole. Faceva così caldo che tutto il mondo dovette spegnere i fuochi e togliersi le sciarpe. Fu un vero disastro per le Fiamme, che si videro senza dimora nel periodo per loro migliore. Per di più, essendo tutto bagnato non potevano andare in nessun altro luogo.

    Ma il peggio fu quando il caldo iniziò a sciogliere la neve. Gli Uomini di Neve non sapevano cosa fare e se continuava così si sarebbero sciolti. Li aveva presi alla sprovvista e non avevano avuto tempo d’arrivare fino alle Montagne Eterne, dove erano abituati a passare la stagione calda perchè lì faceva sempre freddo. Neve, la Fata del Freddo dovette fare grandi sforzi per mantenerli in vita.

    Quando tutti erano ormai disorientati da quel cambiamento, era il turno della Primavera. La Primavera percorse i boschi e le praterie svegliando i fiori e le foglie.
    Ma i poveri fiori all’uscire e trovarsi attorniati dalla neve iniziarono a gelare di freddo, Flora non sapeva cosa fare per rimediare. Ma il colmo fu quando l’Autunno arrivò e fece cadere le foglie degli alberi. La caduta delle foglie è un duro colpo che gli alberi subiscono ogni anno, e non si erano ancora ripresi da quello dell’anno in corso, quando di nuovo caddero le foglie. Tutto il bosco divenne triste.

    Quella notte le Fate si radunarono in consiglio d’emergenza. Bisognava fare qualcosa o quest’anno Natale sarebbe stato un disastro. Decisero che Rugiada, la Fata dell’Acqua andasse a parlare con le stagioni per indagare su ciò che succedeva.
    Rugiada volò e volò fino alla Torre del Tempo, dove le Stagioni avevano la loro dimora. Rimase molto sorpresa nel vedere l’ Estate seduta nel trono, dato che lì sedeva solo la stagione che reggeva in quel periodo. Rugiada si avvicinò all’ Estate e rispettosamente le chiese il motivo per cui le stagioni avevano alterato il loro ordine. L’Estate le raccontò ciò che succedeva all’Inverno. Rugiada comprese il povero Inverno e partì a cercarlo.

    Quando arrivò lo trovò che stava leggendo un libro alla luce di una stella. Era sdraiato sulla Luna che in quel momento aveva la forma di una culla.
    - Ciao Inverno. – salutò Rugiada.
    - ciao – disse l’Inverno freddamente. – Cosa vuoi?-

    Rugiada gli raccontò ciò che stava succedendo a causa della sua assenza. Ma all’Inverno tutto ciò non importava, aveva bisogno di qualcosa che gli rallegrasse la vita.

    Rugiada pensò e pensò, finché alla fine le venne in mente:

    - Il Natale! – esclamò_ Tu hai il Natale!-

    - Beh, e con ciò? – rispose l’Inverno indifferente.
    Se rispondi così è perché non hai mai sentito il Natale, è un tempo di perdono e di fratellanza. Di dimenticare le differenze con gli altri. E’ il periodo più allegro dell’anno e tu dici che la tua stagione è noiosa, prova a vivere il Natale e vedrai.

    E l’Inverno seguì il consiglio della Fata dell’Acqua. Tornò alla Torre del Tempo e visse in fraternità con le altre Stagioni dimenticando tutte le invidie che aveva trascinato per tutta la sua vita. E quell’anno gli piacque tanto il Natale che a partire da allora l’Inverno attende sempre con entusiasmo il suo turno per poter decorare tutto con la neve e disporlo al meglio per il Natale.
    (Beleth)



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  5. gheagabry
     
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    Il più bel dono di Natale

    Faceva il taglialegna e viveva nel bosco vicino al paese insieme al suo bimbo. Anche quell'anno stava giungendo il Natale. Quei giorni felici dell'anno, rischiarati dai bagliori riflessi sulla neve, giungevano veloci, e fuggivano altrettanto rapidamente, senza lasciare il tempo ai sentimenti, di prender la forma di parole ed abbracci dolci e sereni. Aveva lavorato molto quell'anno, tutti volevano un abete da addobbare nella loro casa, e lui correva a prenderli e portarli nelle abitazioni. Come sempre il suo abete, quello per la sua famiglia, era l'ultimo che portava. Venne la vigilia e sul far della sera arrivò con l'albero, era grande e bello, con le sue radici e la sua gioia naturale che brillava in ogni ago. Ma lui era stanchissimo, esausto da un lungo mese di lavoro; dopo averlo posto nell'angolo della sua piccola stanza, si addormentò davanti al camino. Il piccolo bambino, preoccupato per lui, decise di non svegliarlo e di attendere lì ,vicino al suo papà stanco, l'arrivo di Babbo Natale, però pensava tra sé e sé "chissà .. porterà ugualmente i doni, anche se l'albero non è addobbato?" Aveva solo pochi disegnini fatti in quei giorni felici, ma solitari, e vi appese quelli, poi si addormentò sul divanetto. Nel camino languivano lentamente piccole fiammelle che danzavano allegre, e pian piano stanche anch'esse, si avviavano verso il cielo stellato, infilando una ad una il camino come fosse una strada verso il paradiso. Fuori, nella neve, gli animaletti del bosco ed io eravamo un pochino preoccupati per quel bambino, anche noi ci domandavamo: "chissà .. Babbo Natale verrà ugualmente anche se l'albero non è addobbato ?" Decidemmo così, di far del nostro meglio, in segreto per adornarlo, ci riunimmo nella radura della quercia, presso la casa degli scoiattoli, i quali avevano preparato una tavolata con le nocciole dei pensieri. Tutta la notte discutemmo su cosa usare per addobbare l'albero, chi diceva il muschio, chi le fragole, chi le ghiande, insomma vi era una accesa discussione. Era quasi l'alba e come in ogni riunione affollata, non avevamo ancora deciso nulla. Iniziò a piovere lentamente, una pioggerellina fine di goccioline trasparenti, e comprendemmo lì per lì cosa usare. Ognuno di noi corse al più vicino filo d'erba, e con cura, raccolse una goccia, vi soffiò dentro lentamente sino a farla diventare una pallina, poi vi entrò e rimase lì un attimo, lasciando di sè l'immagine e l'amore che provava per il piccolo amico. Di corsa gli uccellini presero con il becco le palline ed infilandosi nel camino, le portarono sull'albero. Il tempo, mutevole come sempre nelle nottate invernali, volse la pioggia in neve, le topine del bosco presero a tessere quei fiocchi argentati e soffici, che scendevano dal cielo, in tanti festoni lunghi lunghi. Con quelli, avremmo completato la nostra opera in attesa dell'arrivo di Babbo Natale. Tutti in fila, i mariti topini, poi, entrarono dalla cantina, silenziosamente giunsero sino alla sala, ove troneggiava l'albero e lo incoronarono con quelle allegre corone abilmente confezionate dalle loro mogli. Rimaneva solo una cosa da fare …ora…. Volevamo bene a quel bambino e ci avrebbe fatto piacere donargli qualcosa, ma poveri com'eravamo, non avremmo pututo competere con i ricchi doni di Babbo Natale. Ci armammo di umiltà, e partimmo silenziosamente in fila indiana per la casetta di legno. Il sole stava sorgendo allegro e radioso nella sua sciarpa nuova, dono della sua amica luna. Arrivammo che ancora dormivano tutti , vedendo che Babbo Natale aveva gradito l'albero, e riempito il pavimento di regali, posammo anche noi i nostri : L'orsetto posò un abbraccio caldo come la sua pelliccia Il daino posò uno sguardo tenero Lo scoiattolo posò un sorriso vivace Il lupo posò la forza per vivere un altro anno La marmotta posò un sogno felice La talpa posò uno sguardo gentile Il falco posò una piuma guida per volare Ed io ? Io posai una fiammella da custodire nel cuore per scaldare le giornate fredde e solitarie. Al risveglio quale fu la sorpresa del bambino, nel vedere quanti doni aveva ricevuto, li scartò tutti gridando di gioia ad ogni fiocco sciolto. Poi, felice, corse fuori nella neve, venne nella radura , e ci abbracciò uno ad uno . Allegro pensò, che il più bel dono di Natale erano proprio i suoi cari amici.
    (Dal Web)



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  6. gheagabry
     
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    Notte di NATALE



    Era la notte di Natale. Nella calma ovattata della foresta, la neve scendeva copiosa e rendeva ancora più silenzioso il silenzio.
    Nella baita, la calda luce del camino, disegnava sul muro strane forme e nel lettino, sotto una calda coperta, Luca ascoltava la favola di Natale che il nonno gli stava raccontando:
    ” Vedi Luca, devi sapere che le stelle non sono nate senza un motivo. Tantissimi anni fa, in una notte come questa, un bambino più o meno della tua età, guardava fuori dalla finestra. Era una notte buia e silenziosa e il cielo era nero e scuro, non c’era neanche la luna, perché non esisteva. Quel bambino si sentiva solo, ma tanto solo, così solo che espresse un desiderio con una tale forza che si alzò un forte vento e tantissimi dei fiocchi di neve che scendevano, come in questo momento, volarono nel cielo, riempendolo di puntini bianchi e la luna comparve per la prima volta nella sua storia per proteggerli. Da quel momento tutti gli uomini guardarono le stelle quando volevano esprimere un desiderio. Tornando a quel bambino, pochi minuti dopo la comparsa delle stelle, sentì grattare alla sua porta, la aprì e vide davanti all’uscio una cesta e nella cesta, un cagnolino infreddolito che lo fissava con i suoi occhioni. Da quel momento quel bambino non si sentì mai più solo, neanche per un istante”.
    Il nonno fissò Luca per vedere se si era addormentato, il bambino invece era attento e lo fissava a sua volta. Distolse lo sguardo e lo rivolse alla finestra. La neve scendeva sempre più fitta.
    Luca guardò ancora il nonno:
    ” Anch’io nonno ho il mio desiderio. Vorrei che ogni anno della mia vita, in questa notte, tu mi racconti una fiaba!”.
    Il nonno sorrise intenerito e una lacrima spuntò nei suoi occhi.
    Luca era in piedi davanti alla finestra del suo appartamento. Era la notte di Natale.
    I suoi figli alle sue spalle, stavano aprendo i pacchi con una gran foga. Luca fissava tra i fiocchi di neve e il suo pensiero vagava nella folla dei suoi ricordi, quando il suo sguardo cadde sulla strada, dove alla luce bianca di un lampione, un vecchio mendicante stava controllando nella spazzatura: forse sarebbe riuscito a trovare la sua cena?!
    Come se sentisse lo sguardo di Luca addosso, si voltò verso di lui e sorrise, Luca ricambiò il sorriso, senza rendersi conto del perché. In quell’istante si sentì tirare la stoffa dei pantaloni:
    ” Papà, papà guarda che bello il mio garage nuovo!”.
    Luca accarezzò la testa di suo figlio e ritornò con lo sguardo alla strada ma anche se erano passati solo pochi secondi, il mendicante era scomparso….fu in quell’istante che la favola più bella che aveva mai sentito comparve nella sua mente.
    (di Darkfanio)


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  7. gheagabry
     
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    L'imperatore di Bisanzio Julianos Paravitas aveva inviato in Cappadocia un suo rappresentante per riscuotere le tasse. L'uomo di Bisanzio giunse dopo un viaggio sfibrante tra quelle vallate riarse e poverissime; radunò i capi delle comunità che lo consigliarono di rivolgersi a Basilio, l'uomo più stimato e amato dal popolo. Il problema infatti era grosso; come raccogliere denaro da gente che aveva a malapena da sostenersi col magro frutto di quella terra rocciosa e deserta? Basilio chiese tre giorni di tempo all'Inviato dell'Imperatore e andò a parlare con tutte le famiglie che vivevano nelle tipiche grotte della zona. Le tasse non le potevano pagare per la semplice ragione che di denaro, da quelle parti, praticamente non ne circolava. Consegnarono dunque a Basilio tutti quei piccoli oggetti di qualche valore che erano loro rimasti come testimonianza di tempi solo di poco migliori.

    Quando venne il terzo giorno e l'Inviato dell'Imperatore si trovò davanti agli occhi quei poveri oggetti, nella dura crosta che l'incarico amministrativo aveva formato dentro il suo animo, si aprì una crepa. Restituì a Basilio le piccole gioie che gli aveva portato e decise di tornare a Bisanzio a mani vuote e di rischiare la collera dell'Imperatore. Basilio, appena riuscì a riaversi dalla sorpresa di vedere un amministratore che si comportava in modo umano, si rese conto che non era più in grado di restituire oggetto per oggetto ai legittimi proprietari, perché al momento di consegnare il pegno come pagamento delle tasse, aveva mischiato tutto insieme. Per non far nascere litigi usò uno stratagemma; fece tanti pani quante erano le famiglie della comunità. In ogni pane racchiuse un gioiello, poi ad ogni famiglia consegnò un pane, raccomandando di tagliarlo in tante parti uguali quanti erano i componenti. L'oggetto prezioso sarebbe diventato di proprietà di chi l'avesse trovato nella sua porzione. Da allora é rimasta la tradizione in Grecia di preparare a Natale un dolce molto semplice e di forma circolare, con una moneta al suo interno.

    L'ultimo giorno dell'anno il dolce viene diviso secondo l'antico rituale e chi trova nella sua porzione la moneta é considerato il fortunato della famiglia per tutto l'anno.




    dal web
     
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  8. gheagabry
     
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    Le Renne di Babbo Natale

    Forse non lo sapete, ma le renne che trascinano la slitta di Babbo Natale
    devono essere rigorosamente otto.
    Perché?
    A questo proprio non lo so bisognerebbe chiederlo a lui!
    Ebbene, sentite cosa accadde lo scorso anno!
    Il Natale si stava avvicinando a grandi passi,
    il mondo cominciava a coprirsi di luci, suoni, colori,
    l´atmosfera era quella di un momento di magia...
    e Babbo Natale era già in agitazione: carico di regali
    per i bimbi di tutto il mondo,
    si preparava a partire, quando gli accadde un bel guaio.
    Scheggia, Fulmine, Furia e Ardore, quattro delle sue fedelissime,
    ma ormai vecchie renne, dopo ben cento anni di onorato servizio
    decisero di andare in pensione, non se la sentivano più di affrontare tante fatiche...
    Che fare?
    100 anni di lavoro erano veramente molti
    e il Buon Vecchio non poteva rifiutare quella richiesta.
    Subito si mise al lavoro, preparò un grandissimo cartello
    con queste parole: "Cercasi renne, stipendio ottimo, disponibilità immediata..."
    e lo appese sulla porta di casa.
    Ma passavano i giorni e non si presentava nessuno.
    Babbo Natale era preoccupatissimo, telefonava in continuazione,
    mandava e-mail in tutto il mondo e fax negli angoli più sperduti del cielo ...
    finalmente si presentarono quattro dolcissime renne:
    una giovane coppia di sposi con due piccoli maschietti renna
    dagli occhi languidi e sognanti; erano disoccupati, venivano da molto lontano,
    cercavano una casa ed avevano bisogno di lavorare.
    Questa tenera famigliola piacque subito a Babbo Natale
    che accolse con gioia papà, mamma e i rennini,
    ma come in tutte le storie c'era un MA:
    i piccoli sarebbero stati capaci di trainare con forza
    la pesante slitta carica di regali?
    Allora mamma renna ebbe un´idea geniale:
    comprò otto pattini e li infilò alle zampe
    dei suoi piccoli Lampo e Notte e fu un successone!!!!
    La batteria di renne si ricompose immediatamente,
    Lampo e Notte, aiutati dai loro pattini non sentivano la fatica
    e volavano come razzi superando ogni ostacolo,
    e così, come sempre, Babbo Natale fu puntuale
    nel consegnare un sacco di doni a tutti i bambini.
    (Dal Web)



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  9. gheagabry
     
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    La prima neve, sulle vie silenziose e buie di Augusta. Birillo sentì la fragranza di un panettone lontano provenire da una finestra accesa, che odorava di tepore e famiglia. Si sforzò di chiudere le narici, di non pensare e proseguì nella fioca luce di un lampione rotto. Odiava con tutto il cuore i tappetini rossi davanti ai negozi, gli alberi pieni di neve finta di cui la città ora pullulava. Il suo ex padrone l’aveva abbandonato proprio la mattina di natale. Che tempista. Erano passati due anni da allora, due anni di vagabondaggio per le strade, di stenti e sofferenze. Il piccolo barboncino, adesso, aveva un solo desiderio: entrare in chiesa per confessarsi, per purificare l’anima da tutti i peccati che credeva d’aver commesso. Era tutto chiaro nella sua mente. Dopo la chiesa si sarebbe diretto verso l’autostrada, verso il ponte vecchio, per mettere fine a una vita che non aveva più senso.
    La chiesa era aperta, piena di persone con una gioia incomprensibile dipinta sul volto. Birillo si abbassò e strisciò fino al primo banco. Nessuno lo vide. Aveva imparato a vivere di espedienti negli ultimi due anni, per procurarsi il cibo. Non si fidava più degli uomini. Acquattato, lanciò un’occhiata di sottecchi davanti a sé. Anche quella sera officiava la messa Monsignor Sbigottini, un prelato basso, con un’eterna espressione blasé e un evidente parrucchino corvino.
    "E’ l’uomo giusto", pensò Birillo.
    Monsignor Sbigottini, allergico al pelo di qualsiasi creatura a quattro zampe, riuscì a dire "Benvenuti fedeli", poi starnutì ventisette volte di seguito. Prese fiato e al ventottesimo starnuto il parrucchino partì per atterrare sulle ginocchia di un’anziana fedele. La donna, sgomenta, sgranò il rosario e gli occhi.
    "Scu-scusi" disse il monsignore, abbassando lo sguardo.
    La sua pelata splendeva di una luce rosea, ma tra uno starnuto e l’altro riuscì stoicamente ad arrivare alla fine delle messa.
    Birillo la seguì attentamente, aprendo il suo cuore a ogni parola di speranza.
    "Scambiatevi un segno di pace", disse con voce provata il monsignore.
    L’anziana fedele, che si era spostata all’ultimo banco per evitare altri shock, tese la mano a una bimba che le stava accanto, continuando a guardare Sbigottini.
    Birillo non resistette: fu lui ad anticipare la bambina e a stringerle la mano con la sua zampetta. In un lampo, senza farsi vedere. Quando la vecchietta sentì la diversa consistenza del gesto di pace, le scappò un gridolino isterico: guardò la bambina, ancora più sgomenta di prima. La bimba aveva visto tutto. Non disse nulla. Anzi, sorrise a Birillo, nascosto dietro di lei.

    Fuori continuava a cadere, copiosa, la neve.
    La messa era finita da dieci minuti. La chiesa sfollata.
    Sbigottini aveva anche recuperato il suo parrucchino.
    Sì, era il momento giusto.
    Birillo, con passo da velocista, corse verso il confessionale e in un baleno vi si infilò.
    Per attirare l’attenzione del monsignore grattò la grata con le zampette, riuscendo nel suo intento: Sbigottini, infatti, si voltò immediatamente.
    "Si, vengo". Avrebbe voluto riposarsi un po’il monsignore, quella messa era stata un po’… pesante… Ma corse subito verso il fedele e si sistemò dietro la grata per ascoltarne i peccati.
    "Auuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuu", Birillo ululò quello che riteneva il suo peccato più grande. Aver fatto pipì nel divano del suo ex padrone, il motivo che secondo lui aveva scatenato la rabbia dell’uomo che poi, senza esitare, l’aveva abbandonato in strada.
    "La prego, non pianga su…. Dio perdona tutti".
    "Auuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuu Auuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuu".
    "Non pianga, la prego. Se no fa piangere pure me…" il monsignore estrasse dalla tasca un grande fazzoletto rosa e, dopo essersi soffiato il naso, si asciugò le lacrime.
    "Se non riesce a parlare fa niente. A volte, anche il silenzio può dire tanto. Io… io la assolvo in nome del padre e dello…."
    Birillo lasciò Sbigottini a parlare da solo dietro la grata. Aveva confessato il grande peccato.
    Si sentiva libero. Ora poteva dirigersi verso l’autostrada e il ponte vecchio.

    Le auto sfrecciavano a grandi velocità.
    Birillo sentì il cuore stringersi. Le zampette si muovevano da sole, i pensieri ormai erano soltanto macigni sul cuore. Poi un auto… quell’auto….
    La fiat uno bianca che l’aveva abbandonato giaceva al centro dell’autostrada, capovolta e ammaccata. Il suo ex padrone riverso a terra a un passo dalla macchina, col braccio insanguinato, chiedeva aiuto. Le auto continuavano a sfrecciare, schivando la fiat uno e l’uomo, nell’indifferenza più assoluta. Birillo non esitò. Corse subito verso l’uomo e, afferrandolo per il bavero della giacca, provò a trascinarlo in salvo. Troppo pesante. Per un attimo desistette. Le macchine continuavano a schivare lui e l’ex padrone a velocità sostenute. Poi, un ricordo vivido illuminò la sua mente:
    l’uomo che lo carezzava quando ancora era poco più che un cucciolo. Ululò e afferrò di nuovo il bavero della giacca. Mentre un’orda di motori rombava feroce, trascinò l’uomo per metri e metri, con una forza che pensava di non avere. La margherita che campeggiava sul bordo della strada e della salvezza adesso era vicina. Una cinquecento rossa non sterzò in tempo. Birillo riuscì a spingere l’uomo oltre la margherita, prima che la cinquecento lo colpisse in pieno.

    Aprì gli occhi su uno scomodo divano.
    L’uomo che aveva salvato lo teneva tra le braccia.
    Davanti a loro, un imponente albero di natale con palline piene di brillantini dorati.
    "Good morning, Mr Birillo. Ti sei svegliato finalmente. Scusa, scusa per quello che ti ho fatto. Non ti abbandonerò più. Sono stato uno stupido".
    La coda, fasciata per intero, gli doleva terribilmente. Ma ora era di nuovo a casa, a godersi quell’abbraccio inatteso, su quel divano a quadretti che proprio non sopportava. Sì, più tardi ci avrebbe fatto di nuovo pipì, così l’uomo si sarebbe deciso a cambiarlo. Un plaid di lana con la scritta "PERDONAMI BIRILLO" scaldava le zampette del barboncino. L’uomo aprì la finestra che dava sul giardino. "Buon Natale", disse semplicemente. Fuori nevicava, sulle rose rosse, sul parrucchino caduto a monsignor Sbigottini e nel cuore d’ogni creatura.

    Carlo Bramanti



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  10. gheagabry
     
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    Caro Babbo Natale,
    mi chiamo Lumihiutale e sono un fiocco di neve.
    Passo le mie giornate invernali assieme ai miei compagni adagiato su di una nuvola. Tranquillamente.
    Il tempo scorre felice, due chiacchiere e qualche semplice volo, un po’ più in qua e un po’ più in là.
    Molti dei miei compagni non si curano degli uomini, ma io amo stare ad osservarli.
    Tutti coperti nei loro cappotti, sciarpe colorate e con quei buffi cappelli. Per non parlare di quel guazzabuglio di forme che si vede da quassù quando escono con gli ombrelli. Una miriade di girandole multicolori che cozzano fra loro, si scansano e poi tornano a scontrarsi.
    Sono sempre così indaffarati, di corsa. Immagino sia un gran divertimento. Corrono con le auto, corrono per i parchi e, quando le mie amiche gocce di pioggia cadono sulle loro teste, loro scappano a correre su delle buffe macchine nelle palestre. Si sono inventati quei tappeti rotolanti che girano all’infinito. Che fantasia che hanno e come li invidio! Loro corrono, corrono ma restano sempre lì, in ogni caso, senza un preciso scopo.
    Anche io amo muovermi. Avessi le gambe vorrei correre come loro. Ma tutto ciò che posso fare è staccarmi ogni tanto dai miei amici, e leggiadro, lasciarmi trasportare dalla brezza su un’altra nuvola. Nuovi amici, nuove chiacchiere, fino a quando con l’inverno non dovrò scendere giù a terra. Ogni anno scelgo il vento giusto, avvisto un bel cumolonembo grigio e mi unisco al suo percorso.
    Fino a oggi i nuvoloni che ho scelto hanno sempre scaricato noi fiocchi di neve sui monti, dove ho finito per trascorrere tranquillo in silenzio il resto dell’inverno.
    Però, caro Babbo Natale, quest’anno vorrei tanto avere un regalo da te. Vorrei la magia di poter scendere vicino agli uomini il giorno di Natale. Vorrei poter scegliere la nuvola giusta, quella che mi farà adagiare nel giardino di una casa. Vorrei potermi soffermare, almeno per una notte, sul davanzale di una finestra. Vorrei poter sbirciare dal vetro di una casa in festa, piena di bambini, con le luci e le fiaccole sull’albero. Vorrei poter vedere da vicino dei bambini, con i loro nasini deliziosi schiacciati sui vetri della finestra e gli occhietti esultanti di gioia per il mio arrivo. Me li immagino già scorrazzare in casa, pronti a correre fuori la mattina con i loro guantini per giocare con me. Vorrei, almeno per una volta, essere coccolato fra le loro mani. Qui fra le nuvole si racconta dell’emozione che si prova a divenire una palla di neve. Ecco, io quell’emozione vorrei provarla. Vorrei provare il solletico di ruzzolare fra le dita, di essere stropicciato e unito assieme ad altri fiocchi di neve per poi volare in alto, verso il cielo e atterrare con un grande botto.
    Lo so di chiedere molto. Ma credimi, caro Babbo Natale, questa estate sono stato un bravo fiocco di neve sciolto e ci terrei davvero tanto ad avere, per una volta almeno, il mio cuore scaldato dalle mani di un bambino.
    Grazie per avermi letto.

    Lumihiutale

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    Solindue

     
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  11. gheagabry
     
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    Il regalo di Babbo Natale

    Verso la metà di dicembre di quell'anno, da Babbo Natale arrivò il postino.
    Portò 200 sacchi colmi di letterine che Babbo Natale, aiutato da una ventina di folletti, lesse con cura nei giorni seguenti. Lavorò moltissimo, vista la mole di richieste.
    Mentre leggeva, annotava sul computer, nel foglio di un programma studiato appositamente per lui, il nome del bambino e i giochi richiesti. Alla fine, avrebbe premuto un pulsante e avrebbe saputo quali e quanti giochi avrebbe dovuto reperire nella sua speciale fabbrica.
    Poi avrebbe stampato i fogli delle consegne con il nome del bambino e i giochi che doveva recapitargli. Il tutto, ovviamente, diviso per nazione, regione, città, fino al paesino più piccolo sulla terra. E andava sfatata la leggenda che diceva che avrebbe dovuto occuparsi di recapitare doni a tutti i bambini del mondo. In realtà doveva recarsi "solo" da quelli che festeggiavano il Natale e per quanto fossero tanti lo stesso, il suo compito era in qualche modo facilitato. Certamente aveva degli aiutanti validi.
    Quell'anno, passando in rassegna le letterine, notò che erano tutte un po’ tristi. Cominciavano press'a poco tutte con: "Caro Babbo Natale, so che quest'anno c'è la crisi, quindi non ti chiederò molti regali..." o "Ciao, Babbo Natale. I miei genitori l'altro giorno parlavano e dicevano che c'è la crisi e, anche se non so bene cosa sia, ho capito che non ci sono molti soldi. Quindi immagino che anche tu sia messo maluccio, però se puoi, mi piacerebbe ricevere i Gormiti". O quell'altro "Caro Babbo Natale, non ho intenzione di chiederti un regalo costoso, ma sai vorrei tanto un cofanetto di colori, come quelli che hanno proprio tutti e che i miei genitori hanno detto che non mi compreranno perché costano troppo. Io spero che per te non costi troppo come per i miei genitori". E via di questo passo. La cosa per lui strana era che i bambini di qualsiasi nazione, in qualche modo parlavano di questa cosa. Così, una sera, dopo aver preparato un po’ di pacchetti, mise mano alle renne e fece un salto a verificare di persona. Ovviamente si travestì: mise un paio di jeans, una camicia a quadri, un piumino e un paio di polacchetti ai piedi. Certo, la barba e i capelli non passavano inosservati, per cui decise di legarsi i capelli e si fece un codino. Si guardò compiaciuto: sembrava proprio uno qualsiasi.
    Entrò in un supermarket e sbirciò i prezzi, mentre guardava dentro ai carrelli: in effetti rispetto a qualche anno prima, erano meno colmi. Girò poi per una città. Vide un gruppo di manifestanti davanti ad una fabbrica che aveva chiuso i battenti. Significava gente rimasta senza lavoro. Si grattò la barba. Passando davanti ad un'edicola prese un giornale e lo sfogliò: non c'era una buona notizia, ma quel che più lo colpì era l'andamento negativo della borsa e certe notizie di politica poco edificanti. Si sedette su un muretto e rimase ad osservare l'andirivieni cittadino. Certamente il traffico non era diminuito. Le persone non avevano molti pacchetti. Ma a parte questo era un senso di scarsa felicità che vedeva dipinta sui volti delle persone. Si fece pensieroso. Alla fine convenne che c'era la famigerata crisi di cui parlavano i bambini. Eppure, pensò, crisi o non crisi, era Natale. E la felicità doveva per forza albergare nei cuori delle persone, al di là delle possibilità economiche e dei problemi a volte davvero seri a cui dovevano far fronte.
    Ricordava i lontani Natali del periodo di guerra: la gente non aveva granché da mangiare, magari qualche familiare al fronte o aveva i parenti lontani, eppure c'era "coesione" fra i rimasti, accoglienza, generosità e nonostante le tribolazioni e una visione sul futuro non proprio rosea, permaneva la speranza ed era questa che accendeva la luce sul Natale. Dov'era quello spirito?
    Era talmente immerso nei suoi pensieri che quasi non si accorse di essere chiamato a gran voce da un bimbetto:
    - Babbo Natale!!! Babbo Nataleeeeee!!
    Si sentì strattonare la camicia, mentre la mamma redarguiva il piccolo:
    - Smettila Roberto! Non dare fastidio al signore.
    - Mamma, ma è Babbo Natale!
    - No, non è Babbo Natale. Babbo Natale non esiste!!!
    Opperbacco, come sarebbe, non esisto?
    - Signora, lo lasci fare. Anche il mio nipotino mi chiama Babbo Natale, eheh.
    - Babbo Natale, hai ricevuto la mia letterina?
    - Ehm, piccolo, ma certo!-, rispose sorridendo
    - E riesci a portarmi la portaerei che ti ho chiesto?
    - Ecco, spero di si. Ma se ti porto qualcos'altro non fare il broncio, eh! Un dono, è pur sempre un dono.
    - Che bello, mamma! Ha detto che mi porta un dono!
    La mamma di Robertino si scusò e lo trascinò via.
    Babbo Natale pensò che lo disturbava davvero tanto quando gli adulti andavano dicendo che lui non esisteva. Bofonchiò.
    Si nascose in un vicolo e chiamò le sue renne, quindi fece ritorno a casa.
    Una volta lì, passò diversi giorni pensando a cosa poteva fare per ridare il sorriso alla gente.
    E gli venne un bel pensiero. Così bello per lui che si mise a canticchiare.
    Lavorò di buona lena per cercare di accontentare tutti. Spronò i folletti a fare anche molti dolcetti: si sa che un po’ di zucchero rende la vita meno amara.
    La notte della Vigilia di Natale, si mise in viaggio molto presto e lasciò doni a tutti. Poco prima della mezzanotte, chiamò a raduno le stelle e ordinò loro di brillare di più. Chiamò anche la Stella Cometa che accorse. E per finire, stese una striscia di aurora boreale nel cielo.
    Tutti alzarono gli occhi verso quel cielo incantato e furono pieni di stupore. Babbo Natale vide il sorriso negli occhi di molti e qualche lacrima scendere sui visi pieni di gioia.
    - Mamma, con i colori che mi ha portato Babbo Natale, voglio disegnare questo cielo!
    Babbo Natale sentì la voce della bimba a cui aveva portato la confezione di colori che i genitori non potevano permettersi di regalarle.
    Anche quell'anno, al di là dei doni materiali, era riuscito a regalare una emozione grande. Ne fu felice, e se ne tornò al Polo Nord, molto soddisfatto.

    Claudia Giacopelli




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  12. gheagabry
     
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    Un lungo anno

    C’era una volta Babbo Natale.
    Poi accaddero diversi pasticci e a pasticciare furono gli uomini.
    Non si seppe bene quando cominciò, forse da quando cominciò l’esistenza degli uomini. Di sicuro, ci fu un periodo di discreto benessere, di progresso tecnologico, accompagnato purtroppo da molti episodi bellici, sparsi per il mondo, contrassegnato da un egoismo sempre crescente, da un individualismo ai limiti della decenza: ognuno pensava per sé e nessuno si curava degli altri. Via via che gli anni trascorrevano il cuore degli uomini inaridiva.
    I bambini erano sempre più selvaggi, arroganti e prepotenti. Come gli adulti, né più, né meno.
    C’erano quelli che morivano di fame? S’arrangiassero. Quelli che stavano male? S’arrangiassero! Quelli che chiedevano solo una parola di conforto: s’arrangiassero …
    Così, un Natale a cui era rimasto solo il nome , perché nessuno aveva più tempo per festeggiare la nascita del Bambino Gesù e tutti preferivano divertirsi, abbuffarsi e scambiarsi doni senza la tenerezza dello scambio, Babbo Natale decise di non mettersi in viaggio con le sue renne.
    Mentre lui se ne stava sconsolato al Polo Nord, circondato da elfi e gnomi e una gran quantità di giochi, sulla Terra nessuno si accorse del mancato passaggio di Babbo Natale. Nessuno ricordò che millenni prima nacque il Salvatore.
    La misura fu colma.
    Quell’anno nuovo, cominciò con abbondanti nevicate, così abbondanti che molti paesi restarono isolati. Poi arrivò un freddo polare che gelò tutte le tubature. Saltarono le comunicazioni. Non partirono gli aerei per molti giorni. Niente rifornimenti, perché anche i treni non riuscirono a viaggiare, per non parlare degli automezzi. Tutto bloccato. Nei supermercati cominciò a scarseggiare il cibo e così era in tutto il mondo. Le armi non arrivarono dove c’erano le guerre e non si poté più combattere. Arrivò la primavera, ma il gelo rimase. Non fiorirono i fiori. In compenso, arrivarono altre nevicate a complicare la situazione già abbondantemente critica.
    Alle porte di quella che una volta era chiamata estate, arrivò una gelata tremenda. I carburanti di ogni genere terminarono e la gente, tutta la gente, ebbe freddo, fame e sete.
    Per scaldarsi cominciarono a stare vicini, in gruppo, abbracciati. Per scaldarsi batterono mani e piedi tutti insieme. Per scacciare la malinconia di quei tempi difficili, cantarono. Piano piano riscoprirono il piacere di fare gruppo e di condividere il cibo e gli affanni.
    Passò l’estate , arrivò l’autunno. Molti morirono. I più anziani, i piccoli più delicati, i più ammalati. Molte lacrime furono versate. Ogni cuore riscoprì il dolore e, allo stesso momento, riscoprì l’amore per il prossimo. Ogni cuore si rese conto di quanto l’umanità si fosse persa. Ogni cuore si rivolse al proprio Dio e ognuno riprese a pregare le proprie preghiere.
    Arrivò l’inverno e tutti temettero di morire, perché se aveva fatto così freddo fino ad allora, che freddo mai li avrebbe avvolti quell’anno?
    Ma l’amore è miracoloso, anche se loro ancora non lo sapevano.
    Quell’anno non ci fu denaro per festeggiare il Natale, niente tavole imbandite. Poche patate, fatte crescere in simil-serre con degli espedienti, erano il pasto da dividere con gli altri. Quell’anno si radunarono attorno a quel poco di fuoco che erano riusciti a procurarsi e si augurarono Buon Natale. Poi, a mezzanotte, cercarono di raggiungere le loro chiese. Ricordarono che millenni prima, un Bimbo nacque e fu chiamato Gesù, il Salvatore. Si strinsero attorno a quella culla di paglia dove giaceva la statua di un bimbo. Molti compresero e piansero. Piansero sulle proprie disgrazie, su quel nulla che essi stessi avevano creato.
    Qualcuno, all’improvviso, si ricordò anche di Babbo Natale e ne parlò agli altri. Fu come se si fosse accesa una lampadina a far luce sulla loro memoria assopita e si ricordarono che l’anno prima il caro vecchietto non si era presentato al consueto appuntamento. La voce si sparse: che fosse accaduto qualcosa a Babbo Natale?
    Un anno! Un anno intero ci impiegarono! Nessuno pensava ai doni, ma piuttosto si preoccupava della salute di Babbo Natale.
    Lui, dal Polo Nord, guardava quel popolo di umanità, davvero risorto a nuova vita. Un po’ contrariato perché avevano compreso dopo così tanto tempo, ma … meglio tardi che mai! Si erano accorti della sua assenza e se ne stavano preoccupando.
    D’acchito li avrebbe lasciati così, a soffrire al freddo, ma si sa: Babbo Natale ha un cuore grande e, mosso a compassione, caricò alla svelta la slitta e via, con le sue adorate renne.
    Davvero, nessuno lo vide, però i pacchi caddero sulla neve. Giochi, dolci, legna da ardere, stufette… e giù doni a non finire. La gioia contagiò tutti quanti e l’amore fu così tanto e sincero che lentamente cominciarono a sentire meno freddo.
    Una donna se ne accorse dopo poco e chiese ad una vicina se anche lei avvertiva meno freddo. Eh, si: le mani non erano più così congelate. Abbracciandosi, saltarono dalla gioia!
    In un attimo, tutti erano abbracciati e tutti ridevano contenti.
    Quello fu il più bel Natale che vissero, perché nonostante gli stenti, i loro cuori erano colmi d’amore come non lo erano mai stati.
    Capirono che i beni materiali hanno poca importanza, soprattutto se non possono essere condivisi e che il benessere è dato dall’amore, che rende la vita vera.
    Capirono che senza l’amore divino, l’uomo non è nulla.
    Da quel Natale e per ogni Natale, festeggiarono l’amore ritrovato e per generazioni e generazioni tramandarono il racconto di quell’esperienza.
    E Babbo Natale, non saltò più un Natale!

    Claudia Giacopelli



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  13. gheagabry
     
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    La vigilia di Natale

    Era la vigilia di Natale.
    Nella vecchia casa si erano riuniti i parenti e gli amici più intimi
    per celebrare tutti insieme la festa più bella dell'anno.
    C'erano la vecchia nonna, la mamma,
    i due gemelli, Maria, la sorella maggiore,
    il parroco, un giovane dottore e persino i due cani.
    Per ultimo giunse il vecchio maestro
    con la sua solita aria svanita ed il cappotto logoro.

    Ma era sempre così allegro, gioioso e buono che tutti gli volevano bene.
    " Cosa avete portato?" gli chiesero i gemelli correndogli incontro.
    Il maestro, pur non avendo nulla, dava sempre l'impressione
    di avere tutto, proprio come un mago.
    " Ho qualcosa che farà piacere a tutti!" rispose e,
    prese dalla tasca del cappotto una scatola da cui estrasse una polvere.
    Il maestro mise la polvere sul ceppo del camino ed il fumo si diffuse per tutta la stanza.
    Allora la scena cambiò per ognuno.
    Tim, uno dei gemelli, si ritrovò a cavallo di un superbo destriero bianco.
    In mano teneva una spada scintillante e cavalcava terre lontane e sconosciute.

    Tom, il fratello, si ritrovò su una nave che solcava l'oceano e lui ne era il valido capitano.
    Maria si ritrovò vestita con il più bell'abito da sposa che avesse mai sognato e
    il dottore invece si vide passeggiare per strada accanto alla sua adorata sposa,
    Maria e con loro vi era un tenero bambino dai riccioli color ebano.
    Il parroco per un attimo non scorse nulla ma il fumo lentamente si diradò e
    allora poté scorgere la città di Betlemme e udire mille campane suonare a festa.
    Nel cielo splendeva la stella cometa ed il parroco sentì il cuore colmarsi di gioia.
    La nonna invece vide una fanciulla seduta sopra ad un cuscino di velluto.
    Guardò meglio e vide sé stessa, bella e giovane,
    avvolta nell'abito da sposa che le aveva confezionato la sua mamma.
    Infine la mamma si ritrovò tra le mani metri e metri di broccato d'oro
    e non finiva più di misurare il tessuto pensando all'abito elegante
    che avrebbe potuto confezionarsi.

    Anche i cani ebbero la loro visione e mugolarono felici scodinzolando allegramente.
    A mezzanotte in punto le campane della chiesa suonarono.
    Allora il maestro spazzò via il fumo e l'aria tornò nitida e chiara.
    Tutti si risvegliarono in tempo per mangiare il budino e bere lo spumante.
    Il sogno magico era svanito,
    ma nel cuore di ognuno regnava un vago sentimento di pace e felicità.
    (Dal Web)



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  14. gheagabry
     
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    ... E’ NATALE ...
    ... Nella stanza dei ricordi vago alla ricerca del sapore dei giorni passati; delle tombolate fatte con le bucce delle arance tagliate a minuscoli cubetti; della tv in bianco e nero che propinava canzoni e concerti; al caldo abbraccio di nonni che sono andati via, alle loro gambe che tante volte ci tenevano mentre lento passava il tempo nell’attesa della mezzanotte. Nella stanza dei ricordi le camminate mano nella mano con la mamma per le strade del suo paesino nativo guidati dal suono delle campane della chiesa che ci chiamava a se per la santa messa; quella più importante, quella della vigilia di Natale. Nella stanza dei ricordi tanti Natale trascorsi in famiglia, tanti i volti in quella stanza che ora non vedo più. Trascorre il tempo, gli anni passano e ci vorrebbero cambiati … eppure quella magia, quel sentire l’avvicinarsi del Natale come l’evento unico ed inimitabile, quella non cambia mai. Prende altre forme, altre sfumature, ma lascia intatta la sua stupefacente magia. Nella stanza dei ricordi ripercorro i tempi andati, mi lascio cullare da emozioni ed abbracci mai sopiti, mai dimentciati. La magia del Natale però non entra in quella stanza, perché essa esiste al di là del tempo e si rinnova ogni anno da secoli con immutata energia, con inimitabile forza; perché essa non ha bisogno dei ricordi per vivere … essa esiste al di là del tempo, dei ricordi … delle stanze delle rimembranze … E allora lasciamo che essa si impossessi dei nostri pensieri, dei nostri ricordi … di ogni singolo gesto. “E’ Natale … siate tutti più buoni … è Natale, il solo giorno che si rinnova senza bisogno di essere ricordato … .
    (Claudio)



    IL MAGO DI NATALE

    S'io fossi il mago di Natale
    farei spuntare un albero di Natale
    in ogni casa, in ogni appartamento
    dalle piastrelle del pavimento,
    ma non l'alberello finto,
    di plastica, dipinto
    che vendono adesso all'Upim:
    un vero abete, un pino di montagna,
    con un po' di vento vero
    impigliato tra i rami,
    che mandi profumo di resina
    in tutte le camere,
    e sui rami i magici frutti: regali per tutti.

    Poi con la mia bacchetta me ne andrei
    a fare magie
    per tutte le vie
    In via Nazionale
    farei crescere un albero di Natale
    carico di bambole
    d'ogni qualità,
    che chiudono gli occhi
    e chiamano papà,
    camminano da sole,
    ballano il rock an'roll
    e fanno le capriole.
    Chi le vuole, le prende:
    gratis, s'intende.

    In piazza San Cosimato
    faccio crescere l'albero
    del cioccolato;
    in via del Tritone
    l'albero del panettone
    in viale Buozzi
    l'albero dei maritozzi,
    e in largo di Santa Susanna
    quello dei maritozzi con la panna.

    Continuiamo la passeggiata?
    La magia è appena cominciata:
    dobbiamo scegliere il posto
    all'albero dei trenini:
    va bene piazza Mazzini?
    Quello degli aeroplani
    lo faccio in via dei Campani.

    Ogni strada avrà un albero speciale
    e il giorno di Natale
    i bimbi faranno
    il giro di Roma
    a prendersi quel che vorranno.

    Per ogni giocattolo
    colto dal suo ramo
    ne spunterà un altro
    dello stesso modello
    o anche più bello.

    Per i grandi invece ci sarà
    magari in via Condotti
    l'albero delle scarpe e dei cappotti.

    Tutto questo farei se fossi un mago.
    Però non lo sono
    che posso fare?

    Non ho che auguri da regalare:
    di auguri ne ho tanti,
    scegliete quelli che volete,
    prendeteli tutti quanti. (Gianni Rodari)




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  15. gheagabry
     
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    La leggenda di Capodanno

    Nelle valli del Comasco usavano,
    una volta, la notte di capodanno,
    appendere alla porta dei casolari un bastone,
    un sacco ed un tozzo di pane.
    Eccone il perché.
    Molti anni fa, al tempo dei tempi,
    e precisamente la notte di S. Silvestro,
    padron Tobia stava contando il proprio gruzzolo
    in un angolo della sua capanna,
    quando fu battuto alla porta.
    L'avaro coprì con un drappo i suoi ducati
    ed andò ad aprire Una folata d'aria gelata ,
    di neve lo colpì in viso.
    Era ung notte d Inferno.
    Sotto la tormenta, fra il nevischio,
    egli vide un pover'uomo che si reggeva a stento
    e che non aveva neppure un cencio di mantello.
    Padron Tobia fu molto contrariato da quella vista
    e domandò bruscamente allo sconosciuto:
    Che fate qui? Che volete? Chi siete?
    Sono un povero viandante sperduto
    e sorpreso dalla bufera,
    e vi chiedo in carità di poter dormire nel vostro fienile.
    Io non lascio dormire nessuno nel mio fienile.
    Andate, andate: non posso far nulla per voi!
    Datem,i almeno un tozzo di pane!
    Non ho pane; andate!
    Datemi un sacco,
    un cencio da mettermi al collo chè muoio di freddo!
    Non ho sacchi e non ho cenci!
    Almeno un bastone per appoggiarmi...
    Non ho bastoni!
    E chiuso l'uscio in faccia all'infelice,
    ritornò al suo gruzzolo; ma sotto il drappo,
    invece di ducati; trovò un pugno di foglie secche.
    Padron Tobia impazzì e terminò i suoi giorni
    vagando perle vallate natie e raccontando
    a tutti la sua disgrazia; ma, d'allora in poi,
    la notte di capodanno tutti appesero
    alla porta del proprio casolare un bastone,
    un sacco, un tozzo di pane.
    (Otto Cima)



     
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53 replies since 8/11/2011, 23:32   13828 views
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