FAVOLE accanto al camino

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  1. gheagabry
     
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    “Ad adorare il bambino Gesù nella capanna di Betlemme insieme con gli altri animali accorsero anche gli insetti. per non spaventare il piccolo restarono in gruppo sulla soglia. Ma Gesù, con un gesto delle rosee manine, li chiamò ed essi si precipitarono,portando i loro doni. L’ape offrì il suo dolce miele, la farfalla la bellezza dei suoi colori, la formica un chicco di riso, il baco un filo di finissima seta. La vespa, non sapendo che cosa offrire, promise che non avrebbe più punto nessuno, la mosca si offrì di vegliare, senza ronzare, il sonno di Gesù. Solo un insetto piccolissimo non osò avvicinarsi al bambino, non avendo nulla da offrire.



    Se ne stette timido sulla porta; eppure avrebbe tanto voluto dirgli il suo amore. Ma, mentre con il cuore grosso e la testa bassa stava per lasciare la capanna, udì una vocina: ” E tu, piccolo insetto, perché non ti avvicini?” Era Gesù stesso che glielo domandava. Allora, commosso l’insetto volò fino alla culla e si posò sulla manina del bambino. Era così emozionato per l’attenzione ricevuta, che gli occhi gli si colmarono di lacrime. Scivolando giù, una di queste, cadde proprio sul piccolo palmo di Gesù. ” Grazie”, sorrise il bambinello. ” Questo é un regalo bellissimo”. In quel momento un raggio di luna, che curiosava dalla finestra, illuminò la lacrima. ” Ecco é diventata una goccia di luce!” disse Gesù sorridendo. ” da oggi porterai sempre con te questo raggio luminoso. E ti chiamerai lucciola.”



    Edited by gheagabry1 - 26/10/2019, 18:58
     
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  2. gheagabry
     
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    FIOR DI NEVE

    Fiocco_Neve

    Tanto tempo fa vivevano in Russia un contadino di nome Ivan e sua moglie Marie. I due erano molto tristi perché non avevano avuto figli. Un freddo giorno d’inverno videro i bambini del villaggio che costruivano un pupazzo di neve. “Facciamo anche noi un pupazzo di neve!” propose Ivan alla moglie. “Che bella idea”, rispose Marie. “Però invece di un pupazzo, preferirei costruire un bambino di neve, visto che il buon Dio non ce ne ha regalato uno vero”. “Hai ragione”, replicò Ivan. Allora i due uscirono in giardino e cominciarono ad ammassare la neve. Costruirono prima il corpo e poi le mani, i piedi e infine la testa.”Che cosa state facendo?” chiese un uomo che li guardava dall’ altro lato dello steccato.
    “Non si vede?” gli spiegò la donna. “È una bambina”. Ivan stava giusto attaccandoci un nasino all’insù e il mento.
    Ma quando si mise a raccogliere un po’ di neve per la bocca, la bambina cominciò all’improvviso a respirare, aprì gli occhi, batté le mani e scosse il capo. “Vieni qui, mio piccolo fiore di neve!” esclamò entusiasta Marie stringendosela al cuore. In quello stesso istante la neve si sciolse e come se il ghiaccio fosse stato
    un guscio d’uovo, ne spuntò una bambina che si lasciò prendere in braccio e portare dentro casa. Fiore di Neve, come i due vecchi chiamarono la figlioletta, era grande come una bambina di tredici anni già dopo tre mesi. Era spiritosa e assennata, e gli altri bambini ci giocavano volentieri assieme. La pelle le luccicava come la neve. I suoi occhi avevano il colore delle violette e i capelli dorati le
    arrivavano fino alla cintola. Chiunque la vedesse ne restava abbagliato.
    Come ci si può immaginare, Ivan e Marie erano molto contenti. L’inverno passò e il sole cominciò a riscaldare la terra. I campi si inverdirono, le rondini tornarono e i bambini si misero a danzare per la gioia. Solo Fiore di Neve diventava più triste di giorno in giorno senza un motivo apparente. “Che cosa ti manca, figlia mia adorata?” le chiedeva Marie. “Non ti senti bene? Oppure qualcuno ti ha fatto qualcosa di male?” “O, no, mamushka, è tutto a posto”, rispondeva la fanciulla. Però quando nei campi germogliò il grano e nei giardini presero a fiorire i girasoli, la bambina si intristì ancora di più. Rifuggiva il calore del sole e restava quasi sempre all’ombra.
    Solo nei giorni di pioggia e alla sera, quando il vento di ponente
    rinfrescava l’aria, le tornava il sorriso, e quando grandinava, lei si rallegrava alla vista dei chicchi di grandine, che le sembravano più
    belli delle perle. Ma non appena il sole tornava a splendere, lei ricadeva nella sua solita tristezza.

    Quando venne la festa di San Giovanni, i ragazzi del villaggio decisero di celebrarla con un grande falò. Fiore di Neve sarebbe dovuta andare con loro, ma i suoi genitori non volevano darle il permesso. Alla fine, però, gli amici della ragazza riuscirono a convincerli. “Fate attenzione a nostra figlia!” li pregò la madre. “Lo sapete che non stiamo tranquilli quando la lasciamo da sola”. “Non abbiate timore: ce ne prenderemo cura noi”, esclamarono le ragazze, che erano contente di poter portare con sé la loro amica. Giunti nel bosco, i giovani raccolsero la legna, la accatastarono e al calar del sole le diedero fuoco. Poi si misero tutti in fila e cominciarono a saltare oltre le fiamme gridando a Fiore di Neve: “Vieni, salta assieme a noi oltre il fuoco!” Anche la figlia di Marie e Ivan prese la rincorsa, e dopo un istante di silenzio le sue amiche udirono un gemito di dolore, ma quando si voltarono di Fiore di Neve non c’era più traccia.

    “Forse è andata a nascondersi”, disse una ragazza, “venite: andiamo a cercarla”. Tutti si misero in cerca della fanciulla, ma nessuno la trovò.
    “Magari è già tornata a casa”, disse qualcun altro e allora tutti corsero al villaggio. Ma Fiore di Neve non era neanche lì. I contadini e tutti gli abitanti della zona la cercarono per giorni e per settimane, ma le loro ricerche furono tutte inutili. Alcuni temevano che fosse stata sbranata dalle belve selvagge, altri ipotizzarono che l’avesse rapita un’aquila. Nessuno sapeva, però, che il calore delle fiamme aveva trasformato Fiore di Neve in una piccola nuvola bianca che era subito salita in cielo.


    (fiaba russa)

    Edited by gheagabry1 - 26/10/2019, 19:01
     
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  3. gheagabry
     
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    ... RACCONTI MAGICI ...
    ... Tutti dicono che il Natale col passar degli anni, con il sempre crescente consumismo stia perdendo la magia, quell’atmosfera che da bambini ci faceva sentire avvolti in un enorme abbraccio di dolce poesia e di magia senza fine. Eppure con l’avvicinarsi della data fatidica, quel senso di magia inizia ad insinuarsi, a farsi sentire sempre più forte. Natale sta arrivando, e le luci iniziano a sfavillare mentre tutt’intorno ogni cosa parla del 25 Dicembre, di quella data in cui tutti ci sentiamo più buoni. Così per dare un seguito a questa sensazione, a questa diffusa energia magica che sembra avvolgere ogni cosa, inizierò da questa mattina a proporre dei racconti natalizi. Sarà come sedersi sulle gambe di un nonnino e, mentre la sedia a dondolo ci culla con il suo movimento lento ed incessante, la voce profonda e avvolgente ci racconterà una storia facendoci sentire parte di una magia. Spero vi piaccia, in questi giorni che precedono il Natale vi suggerirò tante storie; sarà il modo di mio e della fantastica redazione di avvicinarci con dolcezza ed emozione al giorno dei giorni … a Santo Natale … … .
    (Claudio)



    Racconti di Natale

    C'era una volta, in un paese lontano lontano, una dolce bambina di otto anni, di nome Clementina, che viveva serenamente con la sua bella famiglia. Il suo papà lavorava per tutto il giorno nel bosco vicino, la sua mamma, invece si occupava degli animali della fattoria e del fratellino più piccolo, di nom e Mirko. Clementina era una bambina molto sognatrice, infatti ogni anno, quando stava per avvicinarsi il Natale, immaginava di parlare con Babbo Natale, trascorreva ore alla finestra, con il naso in su per cercare di vedere se passava la slitta con le renne, ma inutilmente. Il suo sogno più grande, però , era quello di imparare a suonare il flauto, per donare, così, una dolce melodia al suo triste paese, per renderlo più allegro e per offrire un pò di gioia ai vecchietti ammalati. Purtroppo questo suo sogno sembrava non avverarsi mai, perchè la sua famiglia era molto povera e non poteva comprarle un flauto, per questo, quando era triste, si rifugiava accanto alla quercia più grande del bosco, dai forti rami, per piangere. Clementina, però, non sapeva che quella era una quercia speciale, infatti, sotto le radici vivevano milioni milioni di piccoli folletti, che raccoglievano le letterin e dei bambini buoni, per portarle a Babbo Natale. Un giorno uno di questi folletti, mentre raccoglieva con gli, altri le foglie seccheper dormirci sopra, si allontanò per curiosità dal suo gruppetto, e, mentre camminava, inciampò in un ramoscello. Si fece male alla gamba e incominciò a piangere e a invocare aiuto. da lontano vide arrivare una bella bambina con due treccine nere: era Clementina; la guardò meglio e vide che anche lei stava piangendo. Allora il folletto si avvicinò e le chiese:< Perchè piangi, bella bambina? >. Clementina sentì questa vocina che proveniva dal basso, guardò vicino alle sue scarponcine, vide il folletto e cacciò un urlo. . Clementina, si calmò un pò, ma era comunque stupita e balbettando rispose:< Io sono molto triste, perchè il mio sogno non si avvererà mai>. > E qual è il tuo sogno, bambina? > domandò il folletto. < Il mio sogno è quello di imparare a suopnare il flauto, per donare un pò di gioia alle persone del mio paese>. < E' un sogno molto bello, e tu sei una bambina molto buona. Se non smetti di sperarci, vedrai che un giorno riuscirai a suonare una bella melodia>. < Non è vero -rispose Clementina- anche Babbo Natale si è dimenticato di me> e corse via. Il folletto si era commosso e decise di fare qualcosa per lei, così raccolse tutto ciò di era rimasto delle foglie secche e tornò sotto le radici della grande quercia. Quando ritornò, tutti i folletti erano arrabbiati con lui, perchè aveva fatto tardi, ma si era difeso raccontando del suo incontro con Clementina e della richiesta della ragazza. Anche loro furono commossi e si misero subito al lavoro per cercare la letterina di Clementina, affinchè nessun bambino pensasse che Babbo Natale si fosse dimenticato di lui. Clementina intanto era sempre più triste perchè tra due giorni era Natale e sapeva che neppure quell'anno avrebbe ricevuto il flauto. Invece sotto la grande quercia la lettera era stata trovata e ora c'era chi lucidava la slitta, chi puliva le renne, guidata da Babbo Natale, con una montagna di regali, si alzò vetso il cielo la notte tra il ventiquattro e il venticinque dicembre, per donare un sorriso a tutti i bambini. La mattina del venticinque Clementina si svegliò senza voglia, ma la sua mamma la chiamò, e non poteva credere ai suoi occhi: sotto l'albero c'era un m, agnifico flauto dorato e accanto una polvere magica che le insegnava a farlo suonare. E finalmente in quel paese poteva ritornare l'allegria.
    (Tonia)



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  4. gheagabry
     
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    Racconti di Natale

    Nel paesello di non so dove fervono i preparativi per festeggiare il Santo Natale. Nella canonica della vecchia chiesa un gruppo di bimbi prova i canti: Astro del Ciel, Tu scendi dalle stelle.. - Marco non stonare dice il vecchio curato al bimbo che gli sta davanti .. - Ma padre Gabriele io non stono la mia voce è così dalla nascita. - Va bene .. sorride il vecchio parroco.. facciamo così mettiti in seconda fila e apri la bocca come se cantassi davvero.. ma per carità apri solo la bocca non cantare… Così le prove ripresero alacremente.. Natale era a pochi giorni e tutto doveva essere pronto. Nella piccola piazza un gruppo di uomini alzava un magnifico abete ed altri provavano le luminarie e sbrogliano con fatica i vecchi addobbi.. - Ma anche questo anno nulla di nuovo sindaco ? chiede uno degli uomini… - Ma dove sta il sindaco.. dice un altro.. non doveva aiutarci? In un angolo della piazza al riparo un altro gruppo era intento a preparare uno stupendo scenario per un presepe vivente… La capanna coperta di paglia, a loro non mancava avevano poche stalle ma di paglia ce n’ era .. poi dopo Natale l’avrebbero data alle loro bestie come mangime… e ne avevano bestie da sfamare.. Ecco arrivare il sindaco.. commosso e col respiro affannoso per la corsa fatta fin li dalla casa comunale… aveva un foglietto che sventolava tra le mani. - Compaesani belli .. che sorpresa per il nostro piccolo paese .. tutti si fermarono ad ascoltarlo.. - Parla sindaco cosa c’è? Chiesero in coro. - Ho ricevuto un fax per Natale avremo tra noi il Papa .. - Il Papa .. esclamarono… ma scherzi sindaco? - Si, si Sua Santità .. passerà una breve vacanza qui da noi.. Tutti i paesani gridarono per la gioia …. - Il Papa tra noi.. che onore… - Basta così disse il sindaco l’entusiasmo è bello ma non lavora da solo.. mettiamoci a lavorare. Prese anche lui gli attrezzi e dette una mano per fissare una parete di legno della capanna. Tutti erano felici e lavoravano con gioia e lena perché facessero bella figura col Papa. Ormai Natale era vicino.. nella locanda, unica in paese, era stata allestita una bella camera per l’arrivo dell’illustre ospite. La chiesa era pulita a specchio.. non era mai stata così in ordine e linda. don Gabriele guardava estasiato… - Anche i vecchi lampadari hanno ripulito.. ma che angeli .. erano anni che lo chiedevo io .. ora perché viene il Papa, rivolto al Tabernacolo, Signore perdonami … tutto è lindo e pulito .. speriamo che venga ogni anno. Il 24 Dicembre tutto era pronto .. l’albero pronto ad essere illuminato da centinaia di lampade colorare .. la capanna con i figuranti la Natività non mancava nulla .. era tutto perfetto… persino il vecchio parroco aveva un abito nuovo ed una sopravveste candida.. mai avuta.. sempre rattoppate e macchiate dall’umido e dal tempo .. miracolo? Nello spiazzo fuori dal paese si aspettava l’elicottero papale .. era tutto pronto .. anche una piccola banda presa in prestito dal paese vicino… Ad un tratto una tempesta di neve fece correre tutti i presenti ai ripari … Ma ecco giungere tra il frastuono dei motori l’elicottero del Papa.. Scese sul piazzale a fatica… dal finestrino la bianca figura benediceva i presenti che anche se un po’ malconci avevano resistito alla tempesta. Si apre una scaletta ed ecco scendere il Papa … - Santità … farfugliò il vecchio prete .. ma con questo tempaccio? - Tranquillo don Gabriele …. Mi sono ben coperto .. ce la farò… Ad un tratto il temporale placò le sue ire .. tutti corsero incontro al Papa La banda intonò una musica natalizia ma era così stonata che il Papa disse sorridendo.. - Grazie miei cari.. ma risparmiate il fiato per dopo.. sorrideva e tutti scoppiarono in una fragorosa risata… - Bene aggiunse il Papa .. festeggiamo questo caro Natale .. domani, 25 devo tornare a Roma per la Sacra Funzione in San Pietro. Si recarono in paese e al comparire del gruppetto del Papa l’albero si illuminò di mille luci colorate era davvero uno splendore. - Ma che bravi.. disse il Papa .. è come se fossi a Roma.. dove è stato montato un bellissimo Abete Natalizio .. ma questo è stupendo. Poi si recò vicino alla grotta della Natività e chiese … - Avete freddo? - No risposero i figuranti. - Meno male disse il Papa, tanti anni fa un bimbo non aveva che una stalla e pochi stracci che lo coprivano.. ed era il Salvatore dell’umanità. - Ora andiamo in chiesa a festeggiare solennemente il nostro Natale. Sindaco in testa .. tutto il paese seguì il Papa.. In chiesa un meraviglioso coro accompagnò la cerimonia ed alla fine della funzione il Papa portò in processione un bambinello di gesso da deporre nella mangiatoia del presepe vivente.. di bimbi veri neanche l’ombra.. Vi fu un grande banchetto.. con tante cose buone.. il Papa si alzò e fece un breve discorso … - Grazie a voi.. oggi ho trascorso uno dei più bei Natali della mia vita .. vi sarò sempre grato.. Buon appetito a tutti .. assaporiamo queste delizie altrimenti si freddano e non sono più così gustose. Tutti applaudirono il Papa augurando buon appetito.. Terminata la cena il Papa salutò stringendo molte mani.. - Il Signore vi benedica tutti … poi si ritirò nella sua camera per la notte… - Che bella gente.. disse al segretario che lo aiutava a svestirsi. - Si Santità.. bella gente davvero. - Buona notte Santità.. disse il segretario ritirandosi nella sua camera. - Buona Notte monsignore.. rispose il Papa.. ho bisogno di riposare.. Domani sarà un giorno importante e bisogna essere in forma. Il mattino dopo di buon’ora il Papa scese in cucina per la colazione. - Buon giorno a tutti … salutando cordialmente i presenti. - Santità.. lei qui.. disse l’oste.. le avrei portato la colazione in camera.. - No, no… disse il Papa va bene qui voglio ancora stare un po’ con voi tutti. .. voglio godermi quest’aria di famiglia. - Fu preparato un tavolo dove il Papa ed i presenti consumarono una buona colazione . Poi torno in camera per prepararsi al rientro… Don Gabriele arrivò trafelato .. - Sua Santità .. dove sta? - Ma è su che si prepara … disse l’oste. - Ma ha fatto colazione con voi qui? - Si don Gabriele .. ma voi dove eravate? - Io non volevo disturbare.. disse il prete. Ad un tratto sulle scale comparve il Papa.. don Gabriele si avvicinò per rendere omaggio .. ma il Papa lo abbraccio sollevandolo dall’inchino.. - Fratello nel Signore.. si faccia abbracciare .. don Gabriele rosso in viso ... lo abbracciò piangendo.. - Su don Gabriele.. l’aspetto in Vaticano.. verrà a trovarmi? - Si certo Santità.. quando lei vuole.. - Quando vuole lei don Gabriele.. le porte sono sempre aperte. dica che l'aspetta il Papa e tutti le faranno strada. - Grazie per l’onore Santità.. - Onore mio caro don Gabriele .. e aggiunse.. ora andiamo che l’elicottero è già arrivato l’ho sentito quando ero in camera.. sono puntualissimi questi aviatori.. si recarono al campo seguiti dal sindaco appena giunto e dalla popolazione.. il Papa salì sull’elicottero e prima che fosse chiuso il portello benedì la folla commossa… - Viva il Papa .. gridò la folla e il Papa rispose benedicendo… - Grazie mie cari .. vivrò per tutti quelli che come voi mi vogliono bene.. Il pilota mise in moto l’elicottero che col frastuono dei motori e delle pale che giravano vorticosamente si allontanò per raggiungere Roma. La gente del paese col naso in aria si godeva le ultime immagini del Papa che salutava dall’oblò dell’elicottero. Era stata la vigilia di Natale più bella ed emozionante che il paese avesse mai sognato…
    (Gianni)



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  5. gheagabry
     
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    Lascia una luce accesa...
    (La Storia di Mezzanotte)


    C’era una volta, in verità non molto tempo fa, un’anziana signora, che viveva da ben 12 anni con un vecchio birmano, un birmano un po’ spelacchiato a dire il vero, perché in gioventù aveva avuto l’onore e l’onere di partecipare a diverse gloriose battaglie feline con i gatti del vicinato, per altrettanto diverse conturbanti gattine, e ancora, saltuariamente, non disdegnava la compagnia di dolci micine, ma non aveva più voglia di battersi per loro oramai ! Il gatto si chiamava Mezzanotte. Mezzanotte non era il suo vero nome, era un nomignolo che gli era stato affibbiato dal marito della signora, quand’era ancora in vita, perché quel gatto aveva una stranissima particolarità: temeva il buio!! Ovviamente la cosa aveva fatto il giro del vicinato e la storia del gatto che temeva il buio era a metà fra una barzelletta ed una leggenda metropolitana. Eppure era vera!! Se Mezzanotte restava in una camera completamente buia gridava a squarciagola e si arrampicava ovunque chiamando e gridando. Era cura della sua proprietaria non lasciare mai tutte le luci spente in casa se usciva di sera, e lasciare la propria abat jour accesa se restava a casa, perché Mezzanotte da buon gatto birmano aveva tanti vizi ed agi, fra cui quello di poter ronfare tutta la notte sul letto assieme all’amata padrona.
    Un mattino d’inverno Mezzanotte uscì per la consueta passeggiata da “gatto anziano” che faceva quotidianamente, ma all’ora del pranzo, nonostante gli fosse stata preparata la sua pappa preferita e nonostante i ripetuti richiami, di lui non c’era nemmeno l’ombra. La sua padrona dopo un primo momento di preoccupazione decise di andare a cercarlo e, aiutata anche da amici, vicini di casa e parenti, perlustrò l’intero quartiere, ad ogni coda che intravedeva s’illudeva che fosse Mezzanotte, ad ogni miagolio sperava che fosse lui che chiedeva aiuto, s’immaginava il suo adorato gattone chiuso chissà dove o magari ferito, forse morente . E quando alla sera tornò a casa tutta sola sapeva che se Mezzanotte non fosse tornato una parte di lei sarebbe morta, e che la sua vita non sarebbe più stata la stessa…
    Un pensiero assillante si fece strada in lei al calare delle tenebre: ovunque fosse Mezzanotte avrebbe avuto paura del buio !! E non ci sarebbe stato nessuno ad accendere la luce per il suo milione che temeva l’oscurità. L’assalì una tristezza ed uno sconforto infiniti e le lacrime scesero copiose dai suoi occhi, poi le venne in mente di accendere una candela e di lasciarla accesa sul davanzale della finestra, magari Mezzanotte vedendo al luce accesa sarebbe tornato da lei !! Almeno poteva illudersi di fare qualcosa. Ma i giorni trascorrevano placidi e Mezzanotte non tornava a casa. L’anziana signora si era quasi rassegnata, anche se ad ogni rumore sospetto balzava a controllare se “lui” fosse tornato. Una notte, poco prima di Natale iniziò a nevicare, tanti candidi fiocchi cadevano dal cielo, e pareva che tutto il mondo fosse più piccolo e ovattato…la signora desiderò con tutto il cuore sentire il corpicino caldo del suo Mezzanotte accoccolato fra le sua braccia come tutte le sere…e le parve di udire un miagolìo alla finestra della cucina al piano di sotto, dove c’era la candela accesa… Corse giù per l e scale il più velocemente possibile e si precipitò alla finestra…inizialmente non vide nulla, poi scorse delle impronte indubbiamente feline sulla neve fresca, il cuore le balzò nel petto e corse fuori e…sorpresa…proprio sotto alla finestra della cucina c’era un gattino piccolissimo, tutto intirizzito e bagnato, sembrava un fagotto scuro, ma quando la signora lo avvicinò alla luce della finestra vide che era proprio uguale a Mezzanotte da piccolo !! Riguardò le impronte, erano troppo grandi per essere di quel piccolo micino che a malapena riusciva stare in piedi !! Poi sentì uno strano rumore di fusa, alzò lo sguardo al muretto che circondava la casa e le parve di vedere, stagliato contro i fiocchi di neve che cadevano copiosi, la sagoma famigliare di Mezzanotte, sbattè un attimo le palpebre e lo chiamò, ma la sagoma diventava sempre più indistinta pur non muovendosi, fino a sparire del tutto. Alla signora piace credere che Mezzanotte sia andato in cielo e che le abbia lasciato un ultimo ricordo di sé per non essere troppo triste, e che , attirato dalla luce della candela simbolo del suo amore per lui, sia venuto a darle un ultimo saluto. Il gattino non si chiama mezzanotte, perché non teme il buio, ma dorme ugualmente con lei tutte le notti ( e buona parte del giorno), invece la signora lascia sempre una candela accesa sul davanzale per il suo dolce Mezzanotte.
    (dal web)



     
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  6. gheagabry
     
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    Tutto il piccolo paese, le case, gli alberi ed i prati erano colmi di neve soffice e fresca. Non era ancora Natale, mancava poco alla prima settimana d'Avvento...
    Nei giardini delle case, tra urla di gioia e lanci di palle di neve, tutti i bambini: Antonio, Giovanna, Paolo, Maria... giocavano insieme e costruivano pupazzi di neve. Tra i bambini più grandi spiccava Nicoletta che da poco abitava nel paese, ma aveva già guadagnato la simpatia di tutti; lei insegnava con gioia ai più piccoli ed organizzava i lavori. «Su dai! Prendi una palla di neve... la stringi bene, forte forte!», incitò felice. «Forza! Mettila per terra sulla neve e... ora falla rotolare!».
    «Che bello... La palla si ingrandisce...», esclamò Antonio...
    Tutti insieme si divertivano. Solo un bambino di nome Arturo era ben deciso a non partecipare ai loro giochi. Era molto introverso e talvolta anche capriccioso. Chiuso nella sua cameretta guardava la televisione. Trasmettevano un film poliziesco.
    Arturo la guardava spesso e sognava di diventare forte e grande come gli eroi e gli uomini duri che vedeva nei diversi films.
    Il sole stava per tramontare, il vocio e gli entusiasmi dei bambini fuori casa si mescolavano ai dialoghi nella cameretta, che, con le tende tirate, era illuminata solo dal video... «Il mio amico è ferito gravemente! Ora la pagherete!», ...Bang! Bang...! «Ahh...! La mia spalla... Maledetti poliziotti, avete colpito anche me!
    Devo scappare... Mi dispiace amico, ma devo lasciarti!!».
    «Dai!! Quando la palla sarà così grande da non poterla più spingere, chiama aiuto e noi grandi ti daremo una mano».
    I bambini del paese volevano costruire un pupazzo di neve nel giardino di ogni casa e si impegnavano nel loro intento prima che calasse la sera.
    Nella cameretta di Arturo invece... il bandito, ferito alla spalla, lasciava l'amico alla sua sorte... La porta si aprì, il bambino ebbe un sussulto. «È solo la mamma», pensò tra sé.
    «Su, dai Arturo! Vai a giocare fuori con gli altri bambini», lo esortò gentilmente, «vedrai che ti divertirai!».
    «No! Io non gioco con i bambini più piccoli. Ormai ho nove anni e sono già grande!!». «Non essere così scontroso! Te ne stai lì impalato e hai un visetto triste...».«Non sono triste! Sto guardando un bellissimo film, molto interessante. Ed io non me lo voglio perdere!». «Niente da fare», si innervosì la mamma. «La televisione la guarderai un' altra volta! Ora esci e vai a giocare!».
    «No, io non esco!», insistette con una certa ribellione . «Se uscissi... li spaccherei tutti quanti quei ridicoli palloni di neve...»,
    rispose Arturo volgendole uno sguardo minaccioso. Era ben deciso a vedere il film fino in fondo: voleva restare vicino al suo eroe e non abbandonarlo alla sua sorte!
    La mamma si rattristò. Le dispiaceva che il figlio le rispondesse così. «Va bene...», disse, «guardala pure... Ma se credi di far la cosa migliore... Beh, ti sbagli di grosso!».
    Arturo non aggiunse nulla, felice d'aver ottenuto quel che voleva. «Io so cos'è la cosa migliore per me», pensava, mentre la mamma, delusa, andava in cucina.
    La mamma voleva preparare la cena. Fra poco suo marito sarebbe tornato a casa dopo una lunga giornata di lavoro.
    Anche lui aveva difficoltà con il figlio: insieme non riuscivano a fargli capire che non doveva essere così dispettoso e prepotente... «Ah!», si ricordò la mamma, «divenne così insopportabile da quella volta... Proprio l'anno scorso, subito dopo Natale...».
    A Natale dell'anno scorso... Arturo aveva ricevuto tanti bei regali da Gesù Bambino, ma era felicissimo soprattutto per la bicicletta che aveva tanto desiderato. Per averla, aveva scritto una letterina a Gesù Bambino già alla fine di novembre, promettendogli che si sarebbe comportato bene tutto l'anno.
    Purtroppo la gioia durò poco: Arturo, dopo aver giocato tutta la giornata di Natale con la bicicletta, disordinato com'era, la lasciò incustodita al bordo del marciapiede.
    E fu la notte dopo Natale che nevicò tantissimo: una fitta coltre di neve coprì tutto... anche la bicicletta. Il mattino seguente passò un operaio del comune con un grande spazzaneve per liberare le strade: c'era così tanta neve che lui non si accorse della bicicletta e la travolse, distruggendola.
    Arturo ci rimase molto male e non abbandonò mai l'idea che Gesù Bambino prima gli aveva donato la bicicletta e subito dopo tolta. «Sì, è colpa sua... È lui che ha fatto nevicare! È colpa sua se ora la mia bici è distrutta!», imprecava spesso.
    Mentre preparava la cena la mamma pensava a tutto questo. Si soffermò un attimo a guardare i bambini fuori che giocavano:
    notò che Antonio e Giovanna si erano fermati esausti davanti ad un' enorme palla di neve, alta quasi come loro, e non erano più in grado di farla rotolare. Vide Nicoletta accorrere per aiutarli a dare l'ultima spinta e farla rotolare fino al posto scelto.
    Intanto Paolo arrivava con un' altra palla un po' più piccola.
    Le due palle erano vicine: tutti insieme cercavano di issare la palla meno grande su quella più grande in basso.
    «Oh issa! Oh issa!», gridavano. Alla fine le due palle erano perfettamente l'una sopra l'altra. Poi fecero rotolare un' altra palla, molto più piccola che, con sorpresa dei più piccini, posero sopra i due palloni. Ora sì che il pupazzo di neve prendeva forma: una testa, un corpo e le gambe!
    Il papà entrò in casa. Salutò Arturo che stava ancora guardando la televisione e gli domandò come mai non fosse fuori con gli altri bambini a costruire i pupazzi di neve. Arturo non gli rispose nemmeno e si limitò a mormorare: «Ciao, papà!».
    Il film stava infatti per finire e non voleva perdersi il grande finale.
    «Va bene... vorrà dire che il nostro giardino sarà l'unico senza pupazzo di neve a Natale!», dichiarò il papà deluso dal comportamento del figlio ed andò in cucina a salutare la mamma.
    Arturo fece finta di niente, ma quelle parole serie del papà in qualche modo lo colpirono... Dopo il film, prima di andare a tavola a mangiare, Arturo si affacciò alla finestra.
    Con tristezza vide che tutti i giardini delle case vicine avevano un pupazzo di neve... I bambini alla fine avevano messo ad ognuno un capello, gli occhi e la bocca; alcuni avevano anche una giacca ed una scopa infilata nel braccio.
    Sembravano dei bravi guardiani delle loro case. L'unico giardino senza pupazzo era proprio il suo. A tavola Arturo parlò poco anche se mamma e papà cercarono più volte di rivolgergli la parola. Ad un tratto la mamma si ricordò di qualcosa: si alzò e prese dalla credenza la ghirlanda dell'Avvento, molto bella, ornata con pigne colorate e quattro grandi candele rosse. La pose al centro del tavolo e papà accese subito una candela dicendo:
    «Oh che bello! Oggi inizia l'Avvento, fra poco è Natale e festeggeremo Gesù Bambino!». «Sarà un bel Natale... avete visto quanta neve c'è già fuori?», osservò la mamma.
    «A me non piace la neve!», ribatté con cattiveria Arturo ed andò in fretta nella sua cameretta senza aver finito di mangiare.
    Il papà e la mamma si guardarono tristi, ma lo lasciarono fare... Tempo fa avevano provato a parlargli con buone maniere,
    gentilmente, poi con più autorità ed in seguito anche sgridandolo, ma non erano mai riusciti ad ottenere niente, anzi Arturo peggiorava sempre di più. Ora cercavano solo di fargli capire che si stava facendo male da solo e non si comportava bene.
    Dopo un po' il papà andò nella sua cameretta e gli disse dalla porta: «Lo so che ce l'hai con la neve e con tutto. Ma ti prego: cerca di cambiare, altrimenti sarai sempre solo! Buona notte!».
    Arturo non ci fece caso, rimase immobile nel suo letto e continuò a leggere un libro. Il papà chiuse la porta ed andò ad aiutare la mamma a sparecchiare la tavola.«No! Non sono solo... Ho la televisione, i miei libri... Non ho bisogno degli altri...», pensò il bambino, tuttavia non era molto convinto.
    Molto più tardi, Arturo si affacciò alla finestra per rivedere i pupazzi di neve... Fu preso da un impeto di gelosia quando si ricordò delle parole di papà: «Il nostro giardino sarà l'unico senza pupazzo di neve a Natale!». Non riuscendo a darsi pace, si vestì bene per ripararsi dal freddo ed uscì dalla finestra.
    Aveva paura del buio e del freddo, ma il desiderio di compiere anche lui un' azione temeraria era più forte del timore di essere scoperto. Appena fu in giardino, prese una pala ed andò a distruggere uno alla volta tutti i pupazzi di neve del vicinato.
    «Niente più pupazzi...», pensò Arturo, ma sotto sotto si rendeva conto di aver fatto qualcosa di cattivo... Il mattino seguente tutto il paese guardava stupito ciò che era rimasto dei pupazzi di neve.
    I bambini più piccoli piangevano mentre i più grandi cercavano di consolarli. «Oh! chi sarà mai stato??», chiese triste Antonio.
    «Oh! poveri i nostri pupazzi di neve... erano così belli... Sarebbe stato fantastico averli avuti con noi fino a Natale!!», esclamò Giovanna. «Dobbiamo fare qualcosa! Eravamo così orgogliosi del nostro lavoro e poi davano allegria al paese... Credi che la polizia e i nostri genitori troveranno e puniranno il colpevole??», chiese dispiaciuto Paolo. «Mi dispiace... non credo proprio!», rispose Nicoletta. «Lo so: per noi erano molto importanti, come gli alberi e gli uccelli, ma purtroppo per loro erano in fondo solo dei pupazzi fatti con la neve, che comunque si sarebbero dissolti al sole... Però non piangete! Vi assicuro che per Natale li rifaremo, tutti insieme. Speriamo nevichi ancora! Ci occorre neve fresca e pulita: solo così vengono belli bianchi e lucenti!».
    «E se li distruggessero ancora?», chiese Maria. «Sai, credo che sia stato Arturo. Ieri era l'unico bambino che non giocava con noi, ed è sempre così antipatico! Ah... eccolo lì!! Sta uscendo dal cancello con la slitta! Dai che lo chiamiamo... Arturo! Arturo!!». Arturo si girò tutto spaventato, vide i bambini e senza dire una parola ritornò di corsa a casa, lasciando la slitta fuori sul marciapiede.
    «Ah, lasciamolo stare! Arturo è un bambino molto solo... Non so perché, ma avrà i suoi problemi. Sarebbe inutile metterci a litigare con lui. Peggioreremo solo le cose. Spero invece che si renda conto del male che ha fatto e che cambi idea.



    Ma non scoraggiatevi, forza, alla prossima nevicata li rifaremo!!!», esclamò Nicoletta con determinazione alzando un braccio al cielo! «Sì, li rifaremo!!», gridarono solidali gli altri, contenti e sicuri di riuscirci. «È se non nevicasse...», pensò tra se Nicoletta, ma tacque per non scoraggiare i piccoli.
    I giorni passavano lentamente... ma non nevicava! La neve nei giardini era sempre meno ed era più sporca e grigia. Ogni sera i bambini guardavano il cielo per vedere se si avvicinavano delle nuvole. «No! Anche oggi non ha nevicato...! E domani...??».
    La neve era ormai sparita, lasciando solo delle enormi pozzanghere. Tutti i bambini erano tristi. Tutti? No, solo Arturo era compiaciuto:
    «Tra pochi giorni è Natale, non credo nevicherà ancora. I giardini non avranno il pupazzo di neve... Nessuno lo avrà... come me!».
    Ma qualcuno in cielo ascoltò le preghiere dei bambini del paese e soprattutto quelle di Nicoletta... Il cielo si coprì lentamente di nuvole chiare e poi di nuvole sempre più scure ed iniziò quindi a nevicare: tanta neve soffice e fresca.
    Alla Vigilia di Natale ci fu finalmente la tanto desiderata neve e Nicoletta, con la gioia di tutti diede il via ai lavori... e alla sera i giardini ebbero nuovamente i loro pupazzi.
    «Oh che bello!! Eccoli di nuovo tutti qui i nostri pupazzi! Non preoccupatevi per Arturo, ho in mente qualcosa...», li rassicurò subito dopo Nicoletta e tra sé pensò: «Speriamo che funzioni...».
    Quella sera la mamma di Arturo accese la quarta candela della ghirlanda e lo chiamò: «Arturo, dai vieni a vedere le quattro candele accese! Domani è Natale e verrà Gesù Bambino a trovarci!». «Gesù Bambino non esiste, da molto tempo so benissimo che siete voi a portare i regali, come quella bicicletta che mi è stata distrutta l'anno scorso». «Ascolta Arturo, io non parlo di regali... Lo sai benissimo anche tu che questo Natale non ti meriti un bel niente... Io parlo di Gesù Bambino... Del Bambino che è nato tra noi. Egli ha portato la speranza e la bontà tra gli uomini. Sai, molto tempo fa erano molto più cattivi di adesso... E così ogni Natale torna a trovarci nei nostri cuori. Cerca di cogliere questo dono anche tu, cerca di vedere le cose, gli amici con occhi più felici e meno arrabbiati». Arturo guardò le quattro candele e pensò: «Domani è Natale ed io mi sono comportato così male ultimamente!». Stava per piangere, si girò in fretta perché non voleva essere visto dalla mamma e si diresse subito in camera senza riuscire a dire qualcosa. Poco dopo i genitori entrarono nella sua cameretta per augurargli lo stesso la buona notte:
    «Arturo, domani è Natale! Buonanotte!».
    «No! Io non sono cattivo...», gridò quasi Arturo, sentendo un forte bisogno di giustificarsi. «Posso dirlo io: ogni giorno quando guardo la televisione, vedo cose molto più brutte e cattive di quelle che faccio io!! Persone che si sparano e che si fanno del male... Persone che mentono e che dicono brutte parole... Sì, anche se sono stato io a distruggere i pupazzi di neve, anzi credo che lo rifarò questa notte, non sono sicuramente peggio di loro!!». La mamma ed il papà furono sorpresi da questa piccola confessione: «Ah, non avremmo mai dovuto prendere una televisione tutta per te...
    E pensare che te l'abbiamo detto mille volte di non guardarla troppo! La televisione mostra tristemente anche molte cose brutte e crudeli. Ma non per questo tu devi imitarle, pensando poi che i tuoi dispetti non siano così cattivi come quelli della televisione...». Arturo si coprì il viso con le coperte...
    «Arturo! Spero che tu abbia ascoltato la mamma... Comunque, se questa notte li distruggessi ancora, ricordati che sono solo dei pupazzi di neve, che prima o poi si dissolveranno ugualmente! Farai del male solo a te stesso...», concluse il papà uscendo dalla stanza abbracciando la mamma triste. Il bambino non capiva, era molto agitato e nervoso: «No! Non sono cattivo... Non mi comporto male... Faccio cose che molti altri fanno...».
    Anche quella notte decise di uscire: ben coperto e con la pala stretta stretta nella mano. Era molto più chiaro dell'altra volta: c'era infatti la luna piena e tutto il paese era illuminato da una luce argentea, ma non per questo si rassegnò.
    Arturo andò nel giardino vicino a casa sua, aprì il cancello...
    Nicoletta sentì un lieve cigolio... e si svegliò di scatto. Quella notte aveva il sonno molto leggero: la paura che potessero ancora rompere i pupazzi di neve l'aveva tenuta quasi sveglia.
    Sì alzò ed aprì un pochino la tapparella della finestra per non essere scoperta. Come supponeva, vide Arturo e si spaventò notando che il suo volto era deciso e non lasciava intravedere alcun timore. «Speriamo che funzioni!!», pensò Nicoletta tremando tutta. Arturo si avvicinò al pupazzo di neve ed alzò il bastone per colpirlo... ma si fermò! Con spavento vide gli occhi del pupazzo brillare e per un momento gli sembrarono veri.
    «No! Sono solo due grandi bottoni di vetro che con il riflesso della luna scintillano un po'...», si disse, cercando di sopprimere l'agitazione. Infatti gli altri pupazzi avevano come occhi solo dei sassolini. Incuriosito, cominciò ad osservarlo meglio.
    Era molto bello: oltre agli occhi di vetro azzurro che l'avevano così colpito, notò il naso fatto con una carota fresca, la bocca sorridente ricavata da una striscia di stoffa rossa e tra le labbra una grande pipa. I bambini gli avevano modellato bene le guance ed il mento. Un bel cilindro nero gli copriva la nuca ed attorno al collo aveva un grande fazzoletto rosso con puntini bianchi.
    Poi notò un biglietto attaccato con una spilla al fazzoletto... Lasciò cadere la pala, si tolse i guanti e con le mani tremanti lo prese e lo lesse lentamente: «Ciao Arturo! Sono Nicoletta. Un pupazzo di neve... Che male ti ha fatto? perché vuoi distruggerlo?
    Non dà forse allegria al giardino ed al paese? Puoi benissimo romperlo se vuoi, ma perché far del male ai bambini
    che l'hanno fatto e che sicuramente lo rifaranno?? perché non vuoi essere nostro amico e giocare con noi?». Arturo si commosse... Tornò di corsa nella sua stanza dalla finestra e si buttò sul letto piangendo per tutta la notte.
    Il mattino seguente, tutte le campane suonavano a festa. Arturo si svegliò desolato per il senso di colpa che aveva nel cuore!
    Sentì delle voci in sala... «Mamma e papà si sono già alzati. Sicuramente riceverò solo... carbone», si alzò per andargli incontro... «Oh! Gesù Bambino... È venuto lo stesso a trovarmi!», si stupì Arturo mentre apriva la porta della cameretta.
    Infatti vide i genitori che stavano per terminare, sotto la finestra, un bellissimo presepe. Si avvicinò per guardarlo meglio...
    Fuori intravide i pupazzi di neve e gli sembrò che anche loro fossero tante statuette di un unico ed immenso presepe...
    Si ricordò dei bambini che li avevano fatti, mentre lui era davanti al televisore...! Si rese conto che la finestra di casa sua era una televisione molto più bella, più vera e reale! Purtroppo lui, influenzato dalle immagini televisive, stava diventando sempre più aggressivo, come i due banditi del film...! E pensandoci bene, proprio non lo voleva!! Avrebbe preferito giocare ed essere amico dei bambini del paese. Già da molto tempo non giocava più con loro... aveva persino rovinato i loro giochi... No, non voleva far male a nessuno e si decise che da oggi avrebbe cercato di contribuire a mantenere questa serenità nel suo paese!! «Buon Natale, mamma e papà!», disse loro abbracciandoli forte forte. «Che bello... è proprio una bella sorpresa...». «Buon Natale, Arturo! Siamo contenti che ti piaccia... Ci siamo alzati presto stamattina... Anche se sei stato cattivello quest'anno, volevamo farti lo stesso un regalo. Ogni Natale potremo rifarlo insieme...». «Lo farò con piacere... Così mi ricorderò sempre di questo Natale... Questa notte non ho rotto di nuovo i pupazzi di neve... Mi sono reso conto quanto cattivo sono stato, mentre loro erano così indifesi! Ma ora ho capito e da oggi cercherò di comportarmi molto meglio... Sapete ho proprio una grande voglia di costruirne subito uno anch'io!
    Così il nostro giardino non sarà l'unico senza pupazzo di neve...».
    «Bravo, Arturo...! È bello vederti di nuovo così sereno... Dai che lo facciamo tutti insieme!».
    Uscirono allegri in giardino e si misero subito all'opera.
    Nicoletta, quella mattina, volle ringraziare per prima Gesù Bambino per l'abbondante nevicata e si avviò presto presto in chiesa. Passò dal giardino di Arturo... «Ciao! Nicoletta, buon Natale!», la chiamò Arturo, andandole subito incontro.
    «Buon Natale, Arturo!». «Grazie mille, per il tuo biglietto, mi ha aiutato molto. Scusami se ho distrutto i pupazzi l'altra volta...».



    «L'ho già dimenticato! È bello vederti giocare con i tuoi genitori... Eri sempre così solo! Dai, domani vorresti giocare anche con me e con tutti gli altri bambini?». «Sarebbe bello! Sarei contentissimo di far parte della tua compagnia ed essere vostro amico...».
    «Certo!», lo rassicurò felice Nicoletta. «Ecco! Ho pensato di farti un regalino...». Arturo aprì subito il pacchetto. Con gioia tirò fuori due bellissimi bottoni celesti di vetro e, avvolta nella carta stagnola, una carota fresca. «Che belli... mi serviranno proprio!!».
    Mentre guardava Nicoletta allontanarsi, Arturo capì che quel Natale il suo cuore aveva ricevuto due grandissimi doni: il rispetto verso il prossimo e l'inizio di una vera amicizia.


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  7. gheagabry
     
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    Era rimasta sola al mondo. L'avevano messa sopra una strada dicendole: - Raccomandati al cielo, povera bimba!
    E lei, la piccola orfana, s'era raccomandata al cielo! Aveva giunte le manine, volto gli occhi su, su in alto, e piangendo aveva esclamato:

    - Stelle d'oro, aiutatemi voi!
    E girava il mondo così, stendendo la manina alla pietà di quelli che erano meno infelici di lei.



    L'aiutavano tutti, è vero, ma era una povera vita, la sua: una vita randagia, senza affetti e senza conforti.
    Un giorno incontrò un povero vecchio cadente; l'orfanella mangiava avidamente un pezzo di pane che una brava donna le aveva appena dato.
    - Ho fame - sospirò il vecchio fissando con desiderio infinito il pezzo di pane nelle mani della bimba;

    - ho tanta fame!
    - Eccovi, nonno, il mio pane, mangiate.
    - Ma, e tu?
    - Ne cercherò dell'altro.
    Il vecchio allora la benedisse: - Oh, se le stelle piovessero su te che hai un cuore così generoso!
    Un altro giorno la poverina se ne andava dalla città ala campagna vicina,

    trovò per via una fanciulla che batteva i denti dal freddo;

    non aveva da ricoprirsi che la pura camicia.

    gif


    - Hai freddo? - le domandò l'orfanella.
    - Sì, - rispose l'altra - ma non ho neppure un vestito.
    - Eccoti il mio: io non lo soffro il freddo, e se anche lo sento, mi rende un po' meno pigra.
    - Tu sei una stella caduta da lassù; oh se potessi, vorrei...

    vorrei che tutte le altre stelle ti cadessero in grembo come pioggia d'oro.
    E si divisero. L'orfanella abbandonata continuò la strada che la conduceva in campagna,

    presso una capanna dove pensava di riposare la notte,

    e l'altra corse via felice dell'abitino che la riparava così bene.
    La notte cadeva adagio adagio e le stelle del firmamento si accendevano

    una dopo l'altra come punti d'oro luminosi.



    L'orfanella le guardava e sorrideva al ricordo dell'augurio del vecchio e di quello uguale

    della bimba cui aveva regalato generosamente il suo vestito.

    Aveva freddo anche lei, ora; ma si consolava perché la cascina a cui era diretta non era lontana;

    già ne aveva riconosciuti i contorni.
    - Ah sì! - pensava: - se le stelle piovessero oro su di me ne raccoglierei tanto tanto e farei poi tante case

    grandi grandi per ospitare i bambini abbandonati.







    Se le stelle di lassù piovessero oro, vorrei consolare tutti quelli che soffrono;

    sfamerei gli affamati, vestirei i nudi...

    Mi vestirei - disse guardandosi con un sorriso; - io mi vestirei perché, davvero, ho freddo.
    Si sentì nell'aria un canto di voci angeliche, poi il tintinnio armonioso di oro smosso.

    La bimba guardò in alto: subito cadde in ginocchio e tese la camicina.

    Le stelle si staccavano dal cielo, e , cambiate in monete d'oro,

    cadevano a migliaia attorno a quell'angioletto che, sorridendo, le raccoglieva felice:
    - Sì, sì! Farò fare, sì, farò fare uno, no... tanti bei palazzi grandi per gli abbandonati e

    sarò il conforto di tutti quelli che soffrono!
    Dal cielo, il soave canto di voci di paradiso ripeteva:

    - Benedetta! Benedetta!



    fatina-natale-neve



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  8. gheagabry
     
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    natale4546




    C’era una volta un piccolo angelo. Un giorno San Pietro lo mandò sulla terra con il compito di cercare degli ospiti da invitare alla festa di compleanno del Bambino Gesù. Svolazzò un po’ qui e un po’ là e invitò tutti quelli che incontrò sul cammino, senza fare distinzioni tra uomini, animali o giocattoli. Fu così che presto lo accompagnavano un topolino, un asinello, una bambola e addirittura la colomba di Noè.

    Un giorno incontrarono un uomo con una buffa scatola. La scatola era tutta colorata. Stava su un piccolo carro e aveva una manovella su un lato. L’uomo girava la manovella, ma non emetteva nessun cigolio. “Buon giorno”, disse il piccolo angelo all’uomo. “Cosa c’è nella scatola?”. “Musica”, rispose l’uomo. “Musica!”, squittì il topo dal capo del piccolo angelo. “Non farmi ridere!”.

    Per poco non inghiottiva il chicco di grano che voleva donare al Bambino Gesù per il suo compleanno. “Allora suonaci qualcosa!”, pretese il piccolo angelo. L’uomo girò la manovella, ma non si udì alcun suono. “lo non sento nulla”, disse il piccolo angelo. “Nemmeno io”, tubò la colomba di Noè. “Allora vuol dire che non avete orecchio musicale”, disse l’uomo. “lo non avrei orecchio musicale!”, urlò il piccolo angelo indignato. “lo sono un angelo e tutti gli angeli hanno orecchio musicale. Lo impara ogni bambino a scuola. Nell’ Alleluia avevo sempre il massimo dei voti. La tua scatola è rotta. Lo può sentire chiunque che non emette suono. Non sono mica sordo”.

    “Forse si”, rispose l’uomo. “Anche se solo di tanto in tanto”.”Che cosa vuoi dire?”, gli chiese il piccolo angelo. “Lo vorrei sapere anche io”, disse l’asinello. “Che cosa suona la tua scatola? Walzer, Tango o Rock’n'Roll?”.

    ..”Canzoni di Natale“, disse l’uomo a bassa voce. “Soltanto canzoni di Natale“. “Eppure quelle dovremmo udirle”, esclamò il piccolo angelo. “In questo periodo le suonano dappertutto”. “È questo il punto”, mormorò l’uomo con aria triste. “Le avete sentite troppo spesso e ciò vi ha fatto diventare sordi. È come una cascata. Quando si abita vicino ad una cascata, dopo poco non ci si accorge più del suo fragore”. “Per me non è così!”, gridò la bambola, che aveva taciuto fino a quel momento. “Il piccolo angelo mi ha raccolto tra la spazzatura. Là nessuno mi ha mai cantato nulla, né Alle Vogel sind schon da [Tutti gli uccellini sono già qui], né Der Mai ist gekommen [È arrivato maggio]. “Allora avresti dovuto udire le canzoni natalizie”, disse il suonatore di organetto. “Infatti”, strillò la bambola. “Così è stato”. “Perché non lo hai detto subito?”. “Perché parlavate così tanto che non sono riuscita a dire una parola!”. “Va bene”, la tranquillizzò il piccolo angelo. “Adesso però fai silenzio, così che possiamo provare ad ascoltare ancora una volta”. La bambola chiuse la bocca e l’ asinello trattenne il respiro. Il topo e la colomba di Noè misero le teste di traverso per ascoltare meglio. Nel frattempo era calata la sera. La stella del Natale brillava nel cielo per indicare la via e un paio di stelle più piccole le luccicavano attorno. Il suonatore girò nuovamente la manovella dell’organetto. All’inizio c’era il silenzio. Poi piano piano dalla scatola cominciò ad uscire una sottile melodia. “Suona, campanella, delengdelengdeleng”.

    1aaaaa

    “Ora la sento!”, esclamò il piccolo angelo. Anche l’ asinello, la bambola, la colomba di Noè e il topolino udivano la musica. Il suonatore suonò loro tutte le canzoni di Natale che l’organetto conteneva e i suoi ascoltatori si rallegrarono di non aver ancora disimparato ad ascoltare. “È il compleanno del Bambino Gesù”, disse il piccolo angelo alla fine. “Per favore, vieni anche tu! Non abbiamo ancora un suonatore e una festa senza musica non èuna festa”. “È vero”, disse l’uomo. “Vengo volentieri”. “Arrivederci!”, gridò il piccolo angelo e “arrivederci” “arrivederci” “arrivederci” ”arrivederci”, gridarono l’asino, il topo, la colomba di Noè e la bambola. Poi proseguirono, poiché il Natale era ovunque.

    (bianconatale)



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  9. gheagabry
     
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    LA NOTTE INCANTATA



    La piccola Giulia, era una dolce bambina di circa sei anni. Aveva un carattere forte e molto intraprendente. I suoi genitori erano disperati perché la bambina, per attirare l’attenzione, ne combinava di tutti i colori, con dispetti diretti verso di loro e soprattutto nei confronti del fratellino più piccolo. Avevano cercato di spiegarle, molte volte, che questo atteggiamento rischiava solo di danneggiarla ed erano obbligati, loro malgrado, a metterla spesso in castigo, privandola di piccole soddisfazioni che le stavano a cuore, come ad esempio i cartoni animati ed i regali.
    Era il mese di Ottobre, gli alberi erano ormai spogli ed ingialliti.
    La mamma leggeva spesso ai due bambini storie molto appassionanti, ma le loro preferite erano quelle riguardanti Babbo Natale. Come era piacevole ascoltare i racconti dei bambini che, la notte di Natale, ricevevano bei doni! I più monelli ottenevano, al contrario, solo cenere e carbone.
    La mamma avvertiva Giulia: “Stai attenta che quest’anno potrebbero toccare anche a te!”. Alla bambina questa frase non andava proprio giù. Pensava che la mamma avesse ragione, il suo comportamento l’avrebbe di sicuro privata del regalo tanto sperato. Gli elfi, che attendevano ordine da Babbo Natale di iniziare la fabbricazione, avrebbero avuto un gioco in meno nella lista.
    Decise allora di cambiare atteggiamento, avrebbe aiutato la mamma in casa e cercato di non litigare con il fratellino. Iniziò con l’aiutare in cucina e rimise a posto tutti i giochi. Più passavano i giorni, più i bambini andavano d’accordo. La mamma era molto meravigliata e toccava spesso la fronte della figlia, pensando stesse poco bene. Ma la bambina la rassicurava di stare benissimo.
    Dicembre era ormai alle porte, presto avrebbero scritto le letterine a Babbo Natale! Il giorno della festa dell’Immacolata, i genitori iniziarono l’addobbo dell’albero. Anche la capanna del Presepe con tutte le statuine furono posizionati al proprio posto. I bambini aiutarono i genitori con immensa allegria. Una volta ripulito, poterono finalmente godere della compagnia delle luci e delle musiche che addobbavano la stanza.
    Quella sera si sedettero di fronte all’albero ed iniziarono a scrivere le letterine. Giulia prese il foglio ed iniziò a mettere nero su bianco i propri pensieri, anche se la mano era ancora incerta nello scrivere, data la giovane età: “Caro Babbo Natale, come hai potuto notare, da tanti giorni sono buona, aiuto la mamma e non litigo con il mio fratellino. Anche se prima facevo i capricci, ti prego scusami. Ti prometto che continuerò a fare buone azioni. Tu, puoi portarmi i regali che ti chiedo? Sai ho sempre desiderato avere una zebra ed una giraffa vere, ma come sai, questo non è possibile: dove le terrei? Comunque mi accontento di quelle di peluche. Ti mando un grosso bacio, Giulia”.
    La madre scrisse la letterina per il piccolo Paolo che chiese un bel trenino con le rotaie.
    Entrambe le lettere furono appese all’albero con un gancetto.
    I bambini andarono a letto pieni di speranza che quella stessa notte Babbo Natale prendesse le loro lettere. Al mattino, con grande gioia, si accorsero che le letterine erano sparite!
    I giorni successivi trascorsero veloci e, prima che se ne accorgessero, arrivò la vigilia di Natale. I preparativi iniziarono fin dal mattino, per il cenone di Natale. Quella notte Babbo Natale avrebbe portato loro i regali richiesti? I bambini lo speravano ardentemente. Quella sera andarono a letto prima del solito. Infatti la mamma raccontava che, prima del suo arrivo, dovevano essere ben addormentati.
    Era notte fonda quando Giulia sentì un rumore che la destò dal sonno. Sembrava il fischio di un treno. Rimase un attimo ferma, poi spalancò gli occhi. Nella stanza stava succedendo qualcosa di veramente straordinario. Una zebra ed una giraffa di peluche, dell’altezza del suo fratellino, si muovevano ed emettevano dei versi caratteristici.
    Un trenino rosso correva veloce sulle rotaie, ed il macchinista suonava allegramente. Alcuni bambini erano affacciati ai finestrini e salutavano Giulia, la quale, ancora incredula, corse a svegliare il fratellino. La bambina salì in groppa alla zebra mentre Paolo scelse la giraffa. Cavalcando, accarezzavano il morbido pelo dei due animali e riempivano di baci le loro dolci testoline. Il trenino era stupendo da guardare, tutto era in vita e le luci riempivano ogni vagone, scoprendo sempre nuove azioni dei passeggeri. Quella notte incantata fu la più bella della loro vita!
    Al mattino mamma e papà li svegliarono dicendo: ”Guardate che bei regali che vi ha portato Babbo Natale”. I bambini aprirono gli occhi e trovarono i giochi vicino ai lettini, purtroppo, però, inanimati. Quasi rimanendo senza fiato, raccontarono tutto ciò che avevano vissuto quella notte. I genitori li ascoltarono sorridendo e ringraziando in cuor loro Babbo Natale per il bel sogno che aveva regalato ai propri piccoli.

    Fabiola Pietropaolo



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  10. gheagabry
     
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    I figli di babbo Natale

    regali-e


    Non c'è epoca dell'anno più gentile e buona, per il mondo dell'industria e del commercio, che il Natale e le settimane precedenti. Sale dalle vie il tremulo suono delle zampogne; e le società anonime, fino a ieri freddamente intente a calcolare fatturato e dividendi, aprono il cuore agli affetti e al sorriso. L'unico pensiero dei Consigli d'amministrazione adesso è quello di dare gioia al prossimo, mandando doni accompagnati da messaggi d'augurio sia a ditte consorelle che a privati; ogni ditta si sente in dovere di comprare un grande stock di prodotti da una seconda ditta per fare i suoi regali alle altre ditte; le quali ditte a loro volta comprano da una ditta altri stock di regali per le altre; le finestre aziendali restano illuminate fino a tardi, specialmente quelle del magazzino, dove il personale continua le ore straordinarie a imballare pacchi e casse; al di là dei vetri appannati, sui marciapiedi ricoperti da una crosta di gelo s'inoltrano gli zampognari, discesi da buie misteriose montagne, sostano ai crocicchi del centro, un po' abbagliati dalle troppe luci, dalle vetrine troppo adorne, e a capo chino dànno fiato ai loro strumenti; a quel suono tra gli uomini d'affari le grevi contese d'interessi si placano e lasciano il posto ad una nuova gara: a chi presenta nel modo più grazioso il dono più cospicuo e originale.
    Alla Sbav quell'anno l'Ufficio Relazioni Pubbliche propose che alle persone di maggior riguardo le strenne fossero recapitate a domicilio da un uomo vestito da Babbo Natale.
    L'idea suscitò l'approvazione unanime dei dirigenti. Fu comprata un'acconciatura da Babbo Natale completa: barba bianca, berretto e pastrano rossi bordati di pelliccia, stivaloni. Si cominciò a provare a quale dei fattorini andava meglio, ma uno era troppo basso di statura e la barba gli toccava per terra, uno era troppo robusto e non gli entrava il cappotto, un altro troppo giovane, un altro invece troppo vecchio e non valeva la pena di truccarlo.
    Mentre il capo dell'Ufficio Personale faceva chiamare altri possibili Babbi Natali dai vari reparti, i dirigenti radunati cercavano di sviluppare l'idea: l'Ufficio Relazioni Umane voleva che anche il pacco-strenna alle maestranze fosse consegnato da Babbo Natale in una cerimonia collettiva; l'Ufficio Commerciale voleva fargli fare anche un giro dei negozi; l'Ufficio Pubblicità si preoccupava che facesse risaltare il nome della ditta, magari reggendo appesi a un filo quattro palloncini con le lettere S, B, A, V.

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    Tutti erano presi dall'atmosfera alacre e cordiale che si espandeva per la città festosa e produttiva; nulla è più bello che sentire scorrere intorno il flusso dei beni materiali e insieme del bene che ognuno vuole agli altri; e questo, questo soprattutto - come ci ricorda il suono, firulí firulí, delle zampogne -, è ciò che conta.
    In magazzino, il bene - materiale e spirituale - passava per le mani di Marcovaldo in quanto merce da caricare e scaricare. E non solo caricando e scaricando egli prendeva parte alla festa generale, ma anche pensando che in fondo a quel labirinto di centinaia di migliaia di pacchi lo attendeva un pacco solo suo, preparatogli dall'Ufficio Relazioni Umane; e ancora di più facendo il conto di quanto gli spettava a fine mese tra " tredicesima mensilità " e " ore straordinarie ". Con qui soldi, avrebbe potuto correre anche lui per i negozi, a comprare comprare comprare per regalare regalare regalare, come imponevano i più sinceri sentimenti suoi e gli interessi generali dell'industria e del commercio.
    Il capo dell’Ufficio Personale entrò in magazzino con una barba finta in mano: - Ehi, tu! - disse a Marcovaldo. - Prova un po' come stai con questa barba. Benissimo! Il Natale sei tu. Vieni di sopra, spicciati. Avrai un premio speciale se farai cinquanta consegne a domicilio al giorno.

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    Marcovaldo camuffato da Babbo Natale percorreva la città, sulla sella del motofurgoncino carico di pacchi involti in carta variopinta, legati con bei nastri e adorni di rametti di vischio e d'agrifoglio. La barba d'ovatta bianca gli faceva un po’ di pizzicorino ma serviva a proteggergli la gola dall'aria.
    La prima corsa la fece a casa sua, perché non resisteva alla tentazione di fare una sorpresa ai suoi bambini. " Dapprincipio, - pensava, non mi riconosceranno. Chissà come rideranno, dopo! "
    I bambini stavano giocando per la scala. Si voltarono appena.
    - Ciao papà.
    Marcovaldo ci rimase male. -Mah... Non vedete come sono vestito?
    - E come vuoi essere vestito? - disse Pietruccio. - Da Babbo Natale, no?
    - E m'avete riconosciuto subito?
    - Ci vuol tanto! Abbiamo riconosciuto anche il signor Sigismondo che era truccato meglio di te!
    - E il cognato della portinaia!
    - E il padre dei gemelli che stanno di fronte!
    - E lo zio di Ernestina quella con le trecce!
    - Tutti vestiti da Babbo Natale? - chiese Marcovaldo, e la delusione nella sua voce non era soltanto per la mancata sorpresa familiare, ma perché sentiva in qualche modo colpito il prestigio aziendale.
    - Certo, tal quale come te, uffa, - risposero i bambini, - da Babbo Natale, al solito, con la barba finta, - e voltandogli le spalle, si rimisero a badare ai loro giochi.
    Era capitato che agli Uffici Relazioni Pubbliche di molte ditte era venuta contemporaneamente la stessa idea; e avevano reclutato una gran quantità di persone, per lo più disoccupati, pensionati, ambulanti, per vestirli col pastrano rosso e la barba di bambagia. I bambini dopo essersi divertiti le prime volte a riconoscere sotto quella mascheratura conoscenti e persone del quartiere, dopo un po' ci avevano fatto l'abitudine e non ci badavano più.

    xmas2010A

    Si sarebbe detto che il gioco cui erano intenti li appassionasse molto. S'erano radunati su un pianerottolo, seduti in cerchio.
    - Si può sapere cosa state complottando? - chiese Marcovaldo.
    - Lasciaci in pace, papà, dobbiamo preparare i regali.
    - Regali per chi?
    - Per un bambino povero. Dobbiamo cercare un bambino povero e fargli dei regali.
    - Ma chi ve l'ha detto?
    - C'è nel libro di lettura.
    Marcovaldo stava per dire: " Siete voi i bambini poveri! ", ma durante quella settimana s'era talmente persuaso a considerarsi un abitante del Paese della Cuccagna, dove tutti compravano e se la godevano e si facevano regali, che non gli pareva buona educazione parlare di povertà, e preferì dichiarare:
    - Bambini poveri non ne esistono più!
    S'alzò Michelino e chiese: - È per questo, papà, che non ci porti regali?
    Marcovaldo si sentí stringere il cuore.
    - Ora devo guadagnare degli straordinari, - disse in fretta, - e poi ve li porto.
    - Li guadagni come? - chiese Filippetto.
    - Portando dei regali, - fece Marcovaldo.
    - A noi?
    - No, ad altri.
    - Perché non a noi? Faresti prima..
    Marcovaldo cercò di spiegare: - Perché io non sono mica il Babbo Natale delle Relazioni Umane: io sono il Babbo Natale delle Relazioni Pubbliche. Avete capito?
    - No.
    - Pazienza -. Ma siccome voleva in qualche modo farsi perdonare d'esser venuto a mani vuote, pensò di prendersi Michelino e portarselo dietro nel suo giro di consegne.
    - Se stai buono puoi venire a vedere tuo padre che porta i regali alla gente, - disse, inforcando la sella del motofurgoncino.
    - Andiamo, forse troverò un bambino povero, - disse Michelino e saltò su, aggrappandosi alle spalle del padre.
    Per le vie della città Marcovaldo non faceva che incontrare altri Babbi Natale rossi e bianchi, uguali identici a lui, che pilotavano camioncini o motofurgoncini o che aprivano le portiere dei negozi ai clienti carichi di pacchi o li aiutavano a portare le compere fino all'automobile. E tutti questi Babbi Natale avevano un'aria concentrata e indaffarata, come fossero addetti al servizio di manutenzione dell'enorme macchinario delle Feste.
    E Marcovaldo, tal quale come loro, correva da un indirizzo all'altro segnato sull'elenco, scendeva di sella, smistava i pacchi del furgoncino, ne prendeva uno, lo presentava a chi apriva la porta scandendo la frase:
    - La Sbav augura Buon Natale e felice anno nuovo,- e prendeva la mancia.
    Questa mancia poteva essere anche ragguardevole e Marcovaldo avrebbe potuto dirsi soddisfatto, ma qualcosa gli mancava. Ogni volta, prima di suonare a una porta, seguito da Michelino, pregustava la meraviglia di chi aprendo si sarebbe visto davanti Babbo Natale in persona; si aspettava feste, curiosità, gratitudine. E ogni volta era accolto come il postino che porta il giornale tutti i giorni.
    Suonò alla porta di una casa lussuosa. Aperse una governante.
    - Uh, ancora un altro pacco, da chi viene?
    - La Sbav augura...
    - Be', portate qua, - e precedette il Babbo Natale per un corridoio tutto arazzi, tappeti e vasi di maiolica. Michelino, con tanto d'occhi, andava dietro al padre.
    La governante aperse una porta a vetri. Entrarono in una sala dal soffitto alto alto, tanto che ci stava dentro un grande abete. Era un albero di Natale illuminato da bolle di vetro di tutti i colori, e ai suoi rami erano appesi regali e dolci di tutte le fogge. Al soffitto erano pesanti lampadari di cristallo, e i rami più alti dell'abete s'impigliavano nei pendagli scintillanti. Sopra un gran tavolo erano disposte cristallerie, argenterie, scatole di canditi e cassette di bottiglie. I giocattoli, sparsi su di un grande tappeto, erano tanti come in un negozio di giocattoli, soprattutto complicati congegni elettronici e modelli di astronavi. Su quel tappeto, in un angolo sgombro, c'era un bambino, sdraiato bocconi, di circa nove anni, con un'aria imbronciata e annoiata. Sfogliava un libro illustrato, come se tutto quel che era li intorno non lo riguardasse.
    - Gianfranco, su, Gianfranco, - disse la governante, - hai visto che è tornato Babbo Natale con un altro regalo?
    - Trecentododici, - sospirò il bambino - senz'alzare gli occhi dal libro. - Metta lí.
    - È il trecentododicesimo regalo che arriva, - disse la governante. - Gianfranco è cosí bravo, tiene il conto, non ne perde uno, la sua gran passione è contare.
    In punta di piedi Marcovaldo e Michelino lasciarono la casa.
    - Papà, quel bambino è un bambino povero? - chiese Michelino.
    Marcovaldo era intento a riordinare il carico del furgoncino e non rispose subito. Ma dopo un momento, s'affrettò a protestare:
    - Povero? Che dici? Sai chi è suo padre? È il presidente dell'Unione Incremento Vendite Natalizie! Il commendator...
    S'interruppe, perché non vedeva Michelino. Michelino, Michelino! Dove sei? Era sparito.



    " Sta’ a vedere che ha visto passare un altro Babbo Natale, l'ha scambiato per me e gli è andato dietro... " Marcovaldo continuò il suo giro, ma era un po' in pensiero e non vedeva l'ora di tornare a casa.
    A casa, ritrovò Michelino insieme ai suoi fratelli, buono buono.
    - Di' un po', tu: dove t'eri cacciato?
    - A casa, a prendere i regali... Si, i regali per quel bambino povero...
    - Eh! Chi?
    - Quello che se ne stava cosi triste.. - quello della villa con l'albero di Natale...
    - A lui? Ma che regali potevi fargli, tu a lui?
    - Oh, li avevamo preparati bene... tre regali, involti in carta argentata.
    Intervennero i fratellini. Siamo andati tutti insieme a portarglieli! Avessi visto come era contento!
    - Figuriamoci! - disse Marcovaldo. - Aveva proprio bisogno dei vostri regali, per essere contento!
    - Sí, sí dei nostri... È corso subito a strappare la carta per vedere cos'erano...
    - E cos'erano?
    - Il primo era un martello: quel martello grosso, tondo, di legno...
    - E lui?
    - Saltava dalla gioia! L'ha afferrato e ha cominciato a usarlo!
    - Come?
    - Ha spaccato tutti i giocattoli! E tutta la cristalleria! Poi ha preso il secondo regalo...
    - Cos'era?
    - Un tirasassi. Dovevi vederlo, che contentezza... Ha fracassato tutte le bolle di vetro dell'albero di Natale. Poi è passato ai lampadari...
    - Basta, basta, non voglio più sentire! E... il terzo regalo?
    - Non avevamo più niente da regalare, cosi abbiamo involto nella carta argentata un pacchetto di fiammiferi da cucina. È stato il regalo che l'ha fatto più felice. Diceva: " I fiammiferi non me li lasciano mai toccare! " Ha cominciato ad accenderli, e...
    -E...?
    - …ha dato fuoco a tutto!
    Marcovaldo aveva le mani nei capelli. - Sono rovinato!
    L'indomani, presentandosi in ditta, sentiva addensarsi la tempesta. Si rivesti da Babbo Natale, in fretta in fretta, caricò sul furgoncino i pacchi da consegnare, già meravigliato che nessuno gli avesse ancora detto niente, quando vide venire verso di lui tre capiufficio, quello delle Relazioni Pubbliche, quello della Pubblicità e quello dell'Ufficio Commerciale.
    - Alt! - gli dissero, - scaricare tutto; subito!
    " Ci siamo! " si disse Marcovaldo e già si vedeva licenziato.
    - Presto! Bisogna sostituire i pacchi! - dissero i Capiufficio. - L'Unione Incremento Vendite Natalizie ha aperto una campagna per il lancio del Regalo Distruttivo!
    - Cosi tutt'a un tratto... - commentò uno di loro. Avrebbero potuto pensarci prima...
    - È stata una scoperta improvvisa del presidente, - spiegò un altro. - Pare che il suo bambino abbia ricevuto degli articoli-regalo modernissimi, credo giapponesi, e per la prima volta lo si è visto divertirsi...
    - Quel che più conta, - aggiunse il terzo, - è che il Regalo Distruttivo serve a distruggere articoli d'ogni genere: quel che ci vuole per accelerare il ritmo dei consumi e ridare vivacità al mercato... Tutto in un tempo brevissimo e alla portata d'un bambino... Il presidente dell'Unione ha visto aprirsi un nuovo orizzonte, è ai sette cieli dell'entusiasmo...
    - Ma questo bambino, - chiese Marcovaldo con un filo di voce, - ha distrutto veramente molta roba?
    - Fare un calcolo, sia pur approssimativo, è difficile, dato che la casa è incendiata...

    Marcovaldo tornò nella via illuminata come fosse notte, affollata di mamme e bambini e zii e nonni e pacchi e palloni e cavalli a dondolo e alberi di Natale e Babbi Natale e polli e tacchini e panettoni e bottiglie e zampognari e spazzacamini e venditrici di caldarroste che facevano saltare padellate di castagne sul tondo fornello nero ardente.
    E la città sembrava più piccola, raccolta in un'ampolla luminosa, sepolta nel cuore buio d'un bosco, tra i tronchi centenari dei castagni e un infinito manto di neve. Da qualche parte del buio s'udiva l'ululo del lupo; i leprotti avevano una tana sepolta nella neve, nella calda terra rossa sotto uno strato di ricci di castagna.
    Usci un leprotto, bianco, sulla neve, mosse le orecchie, corse sotto la luna, ma era bianco e non lo si vedeva, come se non ci fosse. Solo le zampette lasciavano un'impronta leggera sulla neve, come foglioline di trifoglio. Neanche il lupo si vedeva, perché era nero e stava nel buio nero del bosco. Solo se apriva la bocca, si vedevano i denti bianchi e aguzzi.
    C'era una linea in cui finiva il bosco tutto nero e cominciava la neve tutta bianca. Il leprotto correva di qua ed il lupo di là.
    Il lupo vedeva sulla neve le impronte del leprotto e le inseguiva, ma tenendosi sempre sul nero, per non essere visto. Nel punto in cui le impronte si fermavano doveva esserci il leprotto, e il lupo usci dal nero, spalancò la gola rossa e i denti aguzzi, e morse il vento.
    Il leprotto era poco più in là, invisibile; si strofinò un orecchio con una zampa, e scappò saltando.
    È qua? È là? no, è un po' più in là?
    Si vedeva solo la distesa di neve bianca come questa pagina.

    Italo Calvino


    Fata%20delle%20stelle



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  11. gheagabry
     
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    Racconti di Natale

    In un paese della fantasia viveva un unicorno.. era felice nel suo ambiente ma come in tutte le storie della terra gli mancava qualcosa.. una compagna con la quale condividere i pensieri del cuore… Un giorno l’unicorno scorrazzava come al solito lunghe le rive del mare e non potè fare a meno di notare qualcosa muovere nell’acqua.. si avvicinò con un po’ di timore.. era qualcosa di ignoto per lui.. doveva per forza agire così. Ma ecco comparire dall’acqua una bellissima fanciulla … bionda come il grano ma aveva qualcosa di diverso dalle fanciulle che l’unicorno aveva visto nella foresta. La fanciulla era una dolce sirena che ogni tanto affiorava per curiosare intorno. -ciao unicorno.. disse lei.. come stai? -Bene grazie. Disse arrossendo l’unicorno.. e aggiunse: -Che ci fa qui sola soletta una bella fanciulla? La sirena sorrise.. vedendo l’unicorno in difficoltà.. -Dai unicorno.. sono una donna pesce.. non lo vedi? ma capisco anche le creature come te.. -Grazie sirena.. sussurrò l’unicorno. Stettero a parlare per un po’ di tempo poi la sirena: -Ora caro devo proprio andare .. e gli carezzò il corno sorridendo.. -Ciao disse l’unicorno… ma verrai ancora a trovarmi.. vorrei diventare tuo amico? -Certo che verrò .. disse la sirena.. ora ho anche chi mi farà compagnia.. e salutandolo.. con un gesto gli lanciò un bacio con la mano: -Ciao unicorno a domani…ci sarai? -Si che ci sarò.. disse l’unicorno.. ti aspetterò qui.. -Ciao caro .. disse la sirena.. -Ciao cara .. rispose l’unicorno.. La sirena scomparve nei flutti del mare… l’unicorno guardava le onde ancora spumeggianti e pensava tra se : -Chissà se la rivedrò ancora… si incammino verso la sua grotta per passare la notte.. Quanto pensò l’unicorno.. quell’incontro lo aveva scioccato: Mi sarò innamorato? diceva tra se e se … - Ma non scherzare chi ti vuole così brutto e con quel corno poi.. smisurato.. Si addormentò… l’indomani tornò di buonora in riva al mare e mentre guardava trai flutti per vedere la sua sirena pensava: -Chissà se verrà.. sono così brutto che magari avrà timore a cercarmi . Ad un tratto ecco un flutto e poi comparire la sirena sorridente: -Ciao unicorno .. Vedi? ad aspettare si guadagna.. -Si.. è vero disse lui.. pensavo che non saresti i venuta ed invece eccoti qui. Conversarono amabilmenta come al solito e giunta l’ora di andare si salutarono come erano soliti fare: -Ciao unicorno… -Ciao sirena a domani -Si.. si.. a domani... Io ci sarò .. Ciao... Passarono i giorni e le stagioni.. col freddo, col sole e con la neve.. ogni giorno si incontravano, sempre al solito posto del primo appuntamento.. parlando della giornata trascorsa.. ma un giorno il tricorno , sempre più rosso in viso, disse: - Dolce sirena .. devo confessarti una cosa.. E la sirena meravigliata: - Dimmi caro unicorno. L’unicorno.. balbettando: - Sai... io mi sono innamorato di te.. - Di me? Disse la sirena guardandolo negli occhi.. Ma non vedi? apparteniamo a mondi diversi? come possiamo amarci? e vedendolo rattristato aggiunse.. - Restiamo amici è molto bello.. vuoi? - Si amore.. disse l’unicorno.. e poi scusa.. si.. dolce sirena... La sirena sorridendo .. - Va bene anche amore.. sei molto dolce .. avvicinati… L’unicorno si avvicinò e la sirena le diede un caldo bacio sul corno.. ma come per magia l’unicorno si trasformò in un bellissimo giovane.. la sirena lo guardò con grande meraviglia: - Eri un uomo tramutato in animale? - Si.. rispose l'unicorno, Un sortilegio mi aveva castigato… tramutandomi in animale.. e dei più brutti... - Perché non me lo hai detto? Disse la sirena.. - Non potevo.. il sortilegio si sarebbe bloccato e sarebbe valso per tutta la vita… - Dovevo incontrare una giovane donna provare amore per lei … essere ricambiato con un bacio.. e solo così mi sono liberato.. ma ho una sorpresa per te. Si avvicinò alla sirena e chiese: - Ti posso dare un bacio? Ma baciami solo se provi per me un po’ d’amore.. - Si rispose la sirena.. voglio baciartida amica.. ma con tanto amore... Mentre si baciavano la sirena si trasformò in una stupenda ragazza… era stata anche lei colpita da un sortilegio... ma ora tutto era finito.. Ii due giovani si abbracciarono con affetto.. poi si presero per mano e andarono insieme incontro alla nuova vita... fatta di gioia.. Una svolta per loro che fino a quel momento avevano solo provato sofferenze… Qui la favola finisce.. e come tante favole finisce bene.. perché la vita anche se ci prova e ci da tante delusioni rimane bella.. stupenda da vivere con chi amiamo.
    (Veronica)



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  12. gheagabry
     
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    Il postino suonò due volte. Mancavano cinque giorni a Natale. Aveva fra le braccia un grosso pacco avvolto in carta preziosamente disegnata e legato con nastri dorati.
    «Avanti», disse una voce dall’interno.
    Il postino entrò. Era una casa malandata: si trovò in una stanza piena d’ombre e di polvere. Seduto in una poltrona c’era un vecchio.
    «Guardi che stupendo paccone di Natale!» disse allegramente il postino.
    «Grazie. Lo metta pure per terra», disse il vecchio con la voce più triste che mai.
    Il postino rimase imbambolato con il grosso pacco in mano. Intuiva benissimo che il pacco era pieno di cose buone e quel vecchio non aveva certo l’aria di spassarsela bene. Allora, perché era così triste?
    «Ma, signore, non dovrebbe fare un po’ di festa a questo magnifico regalo?».
    «Non posso… Non posso proprio», disse il vecchio con le lacrime agli occhi. E raccontò al postino la storia della figlia che si era sposata nella città vicina ed era diventata ricca. Tutti gli anni gli mandava un pacco, per Natale, con un bigliettino: «Da tua figlia Luisa e marito». Mai un augurio personale, una visita, un invito: «Vieni a passare il Natale con noi».
    «Venga a vedere», aggiunse il vecchio e si alzò stancamente.
    Il postino lo seguì fino ad uno sgabuzzino. Il vecchio aprì la porta.
    «Ma…» fece il postino.
    Lo sgabuzzino traboccava di regali natalizi. Erano tutti quelli dei Natali precedenti. Intatti, con la loro preziosa carta e i nastri luccicanti.
    «Ma non li ha neanche aperti!» esclamò il postino allibito.
    «No», disse mestamente il vecchio. «Non c’è amore dentro».



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  13. gheagabry
     
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    “Una vigilia di Natale di molti anni fa, me ne stavo tranquillo nel mio letto. Non muovevo le lenzuola, respiravo lentamente, senza far rumore. Aspettavo di udire un suono, un suono che secondo un mio amico non avrei mal sentito: le campanelle della slitta di Babbo Natale. «Babbo Natale non esiste» insisteva il mio amico, ma sapevo che si sbagliava. Nel cuore di quella notte io udii dei suoni, però non erano le campanelle. Da fuori giunse un sibilo di vapore e uno stridio di metallo. Guardai dalla finestra e vidi un treno, immobile davanti a casa mia. Era avvolto in una nuvola di vapore e la neve gli cadeva attorno a fiocchi leggeri. Il capotreno, sulla porta di una carrozza, trasse un grande orologio dal taschino del panciotto e guardò verso la mia finestra. Mi infilai pantofole e vestaglia e sgattaiolai in punta di piedi fuori di casa.


    «Tutti a bordo!» esclamò il capotreno. Gli corsi incontro. «Bene» disse. «Vieni?» «Dove?» domandai. «Come dove, al Polo Nord» rispose lui. «Questo è il Polar Express». Afferrai la sua mano tesa e lui mi issò a bordo. Il treno era pieno di ragazzi, in pigiama e camicia da notte. Intonammo i canti di Natale e mangiammo dolci ripieni di torrone bianco come la neve. Bevemmo cioccolata calda, densa e ricca come cioccolato fuso. Fuori, le luci delle città e dei paesi brillavano in lontananza mentre il Polar Express correva verso Nord. Presto tutte le luci scomparvero. Viaggiammo attraverso foreste scure e fredde, dove erravano lupi magri, e i conigli dalle bianche code si nascondevano quando il fragore del treno irrompeva nel silenzio della boscaglia. Ci inerpicammo su per montagne talmente alte che sembravano toccare la luna. Ma il Polar Express non rallentò mai. Correva sempre più veloce, superando picchi e valli come una macchina sull’ ottovolante.
    Le montagne divennero colline, le colline pianure coperte di neve. Attraversammo un arido deserto di ghiaccio, la grande calotta polare. In lontananza comparvero delle luci: sembravano quelle di una strana nave da crociera che solcava un oceano ghiacciato. «Siamo al Polo Nord» disse il capotreno. Il Polo Nord. Era un’ enorme città in cima al mondo, piena di fabbriche dove si costruivano tutti i giocattoli di Natale. All’ inizio non vedemmo nessun elfo. «Sono riuniti nel centro della città» ci disse il capotreno. «È lì che Babbo Natale consegnerà il primo regalo». «E chi lo riceverà?» chiedemmo tutti. E il capotreno rispose: «Lui sceglierà uno di voi». «Guardate!» esclamò un ragazzo. «Gli elfi!» Fuori ce n’erano a centinaia. Man mano che il treno si avvicinava al centro del Polo Nord, le strade erano talmente gremite di aiutanti di Babbo Natale che rallentammo fin quasi a fermarci. Quando il Polar Express non poté andare oltre si arrestò e il capotreno ci condusse fuori. Ci facemmo strada tra la folla fino al margine di un vasto semicerchio. Di fronte a noi c’era la slitta di Babbo Natale.
    “Le renne erano eccitate, si impennavano e andavano al passo, facendo tintinnare le campanelle d’argento dei loro finimenti. Non avevo mai sentito un suono così magico. Gli elfi si scostarono e apparve Babbo Natale. Gli elfi lo acclamarono entusiasticamente.Venne verso di noi, mi indicò e disse: «Prendiamo questo ragazzo qui». Poi montò sulla slitta. Il capotreno mi aiutò a salire. Mi sedetti sulle ginocchia di Babbo Natale e lui mi chiese: «Be’, cosa ti piacerebbe per Natale»? Sapevo che avrei potuto avere qualunque regalo potessi immaginare. Ma nel suo sacco gigantesco quello che più volevo non c’era: ciò che volevo più di ogni altra cosa era una campanella della slitta di Babbo Natale. Quando gliela chiesi, lui sorrise. Poi mi abbracciò e disse a un elfo di tagliarne una dai finimenti della renna. Si alzò in piedi, tenendo la campanella in alto ed esclamò: «Il primo regalo di Natale!» Un orologio batté la mezzanotte mentre gli elfi approvavano a gran voce.



    Babbo Natale mi porse la campanella, e io la infilai nella tasca della vestaglia. Il capotreno mi aiutò a scendere dalla slitta, mentre Babbo Natale gridava i nomi delle renne schioccando la frusta. Quelle balzarono in avanti e volarono in aria. Babbo Natale fece un giro sopra le nostre teste, e poi scomparve nel freddo, buio cielo polare. Non appena tornammo sul Polar Express, gli altri ragazzi chiesero di vedere il dono. Frugai nella tasca, ma sentii solo un buco: avevo perso la campanella della slitta di Babbo Natale. «Corri, vai a cercarla» disse un ragazzo. Ma il treno diede uno strattone e cominciò a muoversi. Stavamo tornando a casa. Ero molto addolorato per aver perso la campanella. Quando il treno arrivò a casa mia, lasciai gli altri ragazzi a malincuore. Dalla soglia li salutai con la mano.Il conducente disse qualcosa, ma il treno era in moto e non riuscii a sentirlo. «Cosa?» gridai. Mise le mani attorno alla bocca. «BUON NATALE!» esclamò. Il Polar Express fischiò poderosamente e sfrecciò via. La mattina di Natale, io e la mia sorellina Sarah aprimmo i regali. Quando ormai pensavamo di averli scartati tutti, Sarah trovò un’ultima scatolina dietro l’albero. C’era scritto il mio nome, e dentro c’era la campanella! E un biglietto: ‘L’ho trovata sul sedile della slitta. Ripara il buco nella tasca. Firmato: B.N. Scossi la campanella.Fece il suono più bello che io e mia sorella avessimo mai sentito. Però mia madre disse: «Oh, che peccato».«Già» aggiunse mio padre, «è rotta». Loro non l’avevano sentita suonare. Una volta la maggior parte dei miei amici poteva sentire la campanella, ma con il passare degli anni per ognuno di loro divenne muta. Perfino Sarah, un Natale, scoprì di non poter più sentire il suo dolce suono. Ma anche se io sono diventato vecchio, la campanella continua a suonare per me, come per tutti coloro che credono davvero”.

    (bianconatale)



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    Il Natale dei folletti

    Quanta attività porta Natale! Beatrice e Violetta sono occupatissime in questi giorni. Non si sono accontentate di mandare auguri alle amiche, ma hanno raccolto tutte le letterine che i bimbi del villaggio hanno scritto a Babbo Natale. E sono tante!... Babbo Natale avrà da lavorare molto! "Non riuscirò a portare un paniere così pieno!" dice l'angelo dorato. Ma i bambini non l'odono e continuano a svuotare nel cesto le loro cartelle piene di letterine. "Che giornata"! Dice Beatrice a sua sorella Violetta, "vorrei sapere quante sono le nostre letterine"! Finalmente il lavoro è finito: possono andare a passeggiare nel bosco per riposarsi un po'. Camminano di buon passo, dandosi la mano e cantando canzoncine natalizie. Sul sentiero incrociano cerbiatti, scoiattoli e conigli. "Che vivacità"! Esclama un coniglio vedendole. "Dove andate così di buon passo? " Domanda uno scoiattolo. "Io credo di saperlo" dice una cerbiatta, "siete invitate dai folletti, non è vero? " "I folletti" esclamano le bimbe, "ma non esistono!" e scoppiano a ridere. Gli animali fuggono offesi. Poco lontano cinque corvi sopra un tetto le chiamano con il loro possente gracchiare. "Guarda" dice Violetta, "c'è una casa dei folletti"!. "Eccovi, infine", dice un folletto aprendo la porta di legno, "vi aspettavamo per la merenda e siete in ritardo, entrate presto, vi riscalderete!". "Non fateci caso", dice un secondo folletto che assomiglia al primo, "nostro fratello è arrabbiato perchè ha bruciato i vostri pasticcini!". Beatrice e Violetta non sanno che fare: sono tanto meravigliate. Un folletto, che gli altri chiamano Ribin, le fa accomodare vicino alla stufa e offre loro una tazza di tè. Un altro folletto toglie alle bimbe le scarpe bagnate per farle asciugare vicino alla stufa. Violetta e Beatrice si stanno divertendo moltissimo con i folletti dal cappello a punta. "Siete in molti quì? " domanda Violetta, "e che cosa fate? " Guarda dalla finestra" dice Robin. "Ho indovinato" esclama Beatrice, "voi fabbricate i giocattoli per Babbo Natale". "Brava"! esclamano alcuni folletti che tornavano dalla foresta, con giocattoli rossi come il loro cappello. Non hanno un minuto da perdere, devono essere pronti per domattina all'alba e sono in ritardo. Bevono in fretta il loro tè con qualche pasticcino e si precipitano nel loro laboratorio. Tagliano, cuciono, piallano, inchiodano, scolpiscono piccoli personaggi, animali e casette, poi li dipingono a colori vivaci. Violetta e Beatrice non sanno che fare per aiutare i loro nuovi amici. "Volete rendervi utili? " Domanda Robin, "bisognerà andare a chiedere in prestito la slitta a Babbo Natale per poter caricare i doni". Babbo Natale trova naturale tutto ciò e presta loro la più bella slitta e l'attacca ad una renna velocissima come la luce. Appena i pacchetti infiocchettati sono caricati, riportano la slitta da Babbo Natale. Al castello di Babbo Natale, Violetta e Beatrice fanno la conoscenza della Fata degli Alberi di Natale. "Oh mio Dio"! grida la fata correndo da tutte le parti, "non arriverò in tempo"! "Possiamo aiutarvi"? domandano Violetta e Beatrice. "oh si!" esclama la Fata, "che idea meravigliosa"! Vi presterò gli abiti da fata, così sarete più comode". Montano su di una nuvola magina per fare il giro del mondo. In un lampo, abbandonano gli alberi di Natale di tutto il mondo con ghirlande, stelle e palloncini dorati. "Dove volete che vi riporti"? chiede la Fata alle piccole amiche, non appena terminato il lavoro. "Dai folletti" rispondono in coro le bimbe. "Benissimo" dice la Fata sorridendo, "in viaggio per il bosco dei folletti!". Il tempo di dirlo e il viaggio è terminato. Violetta e Beatrice salutano la Fata che offre alcuni doni alle bimbe ed un piccolo abete per i folletti. Gli omini col cappello a punta gioiscono nel rivedere le piccole amiche scendere da una nuvola e le abbracciano sorpresi, mettendosi a danzare ed a cantare tutta la notte la filastrocca di Natale.
    (Anonimo)



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  15. gheagabry
     
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    La storia di Rudolph, la renna dal naso rosso

    Lassù nel nord, dove le notti sono più scure e più lunghe e la neve è molto più bianca che alla nostra latitudine, là abitano le renne. Ogni anno Babbo Natale si reca in quel luogo per cercare gli animali più forti e più veloci per trasportare nell'aria la sua enorme slitta. Da quelle parti viveva una famiglia con cinque piccoli. Il più giovane rispondeva al nome di Rudolph ed era un piccolo particolarmente vivace e curioso, infilava il suo naso dappertutto. Ed era un naso veramente particolare. Sempre, quando il suo piccolo cuore di renna batteva un po' più forte per l'agitazione, diventando così rosso come il sole incandescente poco prima del tramonto. Ugualmente, se era allegro o arrabbiato, il naso di Rudolph si illuminava in tutto il suo splendore.I suoi genitori ed i suoi fratelli si divertivano con il suo naso rosso, ma già all'asilo delle renne era diventato lo zimbello di quei birbanti a quattro zampe. “Questo è Rudolph con il naso rosso” cosi lo chiamavano e ballavano tutto intorno a lui, mentre lo indicavano con i loro piccoli zoccoli.

    E nella scuola elementare le piccole renne lo prendevano in giro come potevano. Rudolph cercava con tutti i mezzi di nascondere il suo naso, a volte lo dipingeva con del colore nero. Giocava a nascondino con gli altri ed era contento che stavolta non lo avevano scoperto. Ma nello stesso momento il suo naso cominciava ad illuminarsi cosi tanto che il colore si sfaldava. Un'altra volta si infilò nel naso un cappuccio nero di gomma. Ma riusciva a respirare solo con la bocca. E non appena iniziava a parlare sembrava che avesse una molletta attaccata al naso. I suoi compagni si tenevano la pancia dal ridere, ma Rudolph correva a casa e piangeva amaramente. “Non giocherò mai più con questi stupidi” - diceva piangendo e le parole dei suoi genitori e dei suoi fratelli riuscivano a consolarlo solo un poco.



    I giorni diventano più corti e come ogni anno si annunciava la visita di Babbo Natale. In tutte le famiglia di renne i ragazzi giovani e forti si facevano belli. Le loro pellicce venivano a lungo strigliate e spazzolate fino a che non rilucevano del colore del rame, le corna venivano pulite con la neve finchè non risplendevano alla fioca luce degli inverni del nord. E poi finalmente era arrivato il momento. In un piazzale gigantesco dozzine di renne, impazienti e nervose, raspavano con i loro zoccoli ed emettavano richiami belli ed allo stesso tempo terrificanti per impressionare i concorrenti. Tra di loro c'era anche Rudolph, la cui forza ed il cui vigore era superiore a quello degli altri partecipanti. Puntualmente, al momento stabilito, Babbo Natale atterrò dal vicino paese di Natale, dove era la sua casa, con la sua slitta trainata solo da Donner, il suo fedele caporenna. Una neve leggera era iniziata a cadere e l'ondeggiante mantello rosso era coperto da punti bianchi. Babbo Natale si mise subito al lavoro ed esaminò ogni animale. Sempre borbottava poche parole nella sua lunga barba bianca. A Rudolph sembrò un'eternità. Quando la fila arrivò a lui, il suo naso diventò incandescente per l'agitazione, quasi luminoso come il sole. Babbo Natale arrivò verso di lui, sorrise amichevole e scosse la testa. “Sei grande e robusto. E sei un bellissimo giovanotto – disse – ma purtroppo non posso sceglierti. I bambini si spaventerebbero a vederti”.

    La tristezza ed il dolore di Rudolph non avevano limiti. Più veloce che poteva corse attraverso il bosco e scalpitò ruggendo nella neve alta. I rumori e la luce rossa visibile da lontano attirarono una piccola Elfa. Prudentemente gli si avvicinò, gli posò una mano sulla spalla e chiese: ”Cosa ti è successo?”. “Guarda come brilla il mio naso. Nessuno ha bisogno di una renna con il naso rosso” rispose Rudolph. “Conosco bene questa sensazione” - disse la piccola Elfa -“ io vorrei lavorare nel paese di Natale con tutti gli altri Elfi. Ma sempre, quando sono agitata, le mie orecchie iniziano a tremare. E le orecchie tremolanti non piacciono a Babbo Natale”. Rudolph sollevò lo sguardo, con gli zoccoli si asciugò le lacrime dagli occhi e vide una bellissima Elfa, le cui orecchie si muovevano qua e là al ritmo di un battito di ali. “Il mio nome è Herbie” - disse timidamente. E mentre si guardavano negli occhi, l'uno con un naso rosso scintillante, l'altra con le orecchie tremolanti che si muovevano a ritmo, scoppiarono a ridere all'improvviso e risero fintanto che non fece male loro la pancia. In quei giorni fecero amicizia, chiaccherarono fino a notte tornando a casa solo all'alba. Con passi da gigante si avvicinava il tempo del Natale. In quei giorni Herbie e Rudolph si incontravano molte volte nel bosco.

    Tutti erano cosi occupati con i preparativi per le feste natalizie, che nessuno faceva caso che il tempok, giorno dopo giorno, andava peggiorando. Due giorni prima di Natale la Fata del Tempo consegnò a Babbo Natale il bollettino meteorologico. Questi, con il viso preoccupato alzò lo sguardo al cileo e sospirò rassegnato: “Quando domani attaccherò le renne, seduto sulla cassetta non riuscirò a vederle. Come potrò trovare la strada per arrivare alle case dei bambini?”. Quella notte non riuscì a dormire.Continuava a lambiccarsi il cervello per trovare una via d'uscita. Infine indosso il mantello, gli stivali ed il cappello, attaccò Donner alla slitta e si incamminò verso la Terra. “Forse troverò là una soluzione” pensò.

    Mentre iniziava a volare, nevicava con fitti fiocchi. Così fitti che Babbo Natale riusciva appena a vedere. C'era solo una luce rossa che illuminava così chiaramente come se davanti a lui ci fosse un'enorme quantità di gelato alla fragola. Babbo Natale amava il gelato alla fragola. “Salve” - disse - “che naso bellissimo ed eccezionale che hai! Se proprio quello di cui ho bisogno. Che cosa ne pensi di correre davanti alla mia slitta e di mostrarmi così la strada per raggiungere i bambini?”. Appena Rudolph ascoltò le parole di Babbo Natale, per l'emozione gli cadde per terra l'albero di Natale che stava trasportando. Poi lentamente riprese il controllo di sé stesso. “Naturalmente, lo farò volentieri. Mi fa un enorme piacere.”. Ma all'improvviso diventò molto triste. “Ma come faccio a trovare poi la strada per tornare indietro al paese di Natale, se nevica cosi fitto?”: Nello stesso momento in cui pronunciava quelle parole gli venne un'idea. “Torno subito” - disse - mentre già correva ad un veloce galoppo verso la strada del bosco, lasciando indietro uno stupito Babbo Natale. Pochi minuti dopo, tornavano indietro una renna con il naso rosso ed una piccola Elfa con le orecchie tremolanti. “Lei può condurci indietro, Babbo Natale” - disse Rudolph, pieno di orgoglio, indicando Herbie - “lei conosce la strada”. “Questa è una magnifica idea” - tuonò Babbo Natale - “ Ma adesso devo tornare indietro. A più tardi.”

    E cosi successe che, per Natale, Babbo Natale fosse accompagnato da una renna con il naso rosso e da un'elfa con le orecchie tremolanti. Rudolph il giorno successivo, per le sua bellissima azione, venne festeggiato da tutte le renne entusiaste. Il giorno successivo ballarono e cantarono nella piazza principale dicendo:” Rudolph dal naso rosso sei entrato nella storia!”. E deve essere stato così, che qualcuno ha visto Babbo Natale ed i suoi aiutanti, altrimenti nessuno avrebbe raccontato questa storia.

    [RUDOLPH, das Rentier mit der Roten Nase (eingeschickt von Monika Schüsser), tradotta liberamente da Trudy - ilnostronatale.altervista.org]





    Le renne, che aiuteranno Babbo Natale nel suo giro, senza di loro......

    DIXEN e VIXEN: sono le prime renne che Babbo Natale trovò tanti e tanti anni fa nascoste sotto la neve; da un mucchietto di neve candida vide spuntare tre code tutte d’oro e subito pensò che li sotto c’erano 3 cuccioli di renna col manto dorato, rimase stupito quando vide che le renne erano due e non tre. Erano due bellissime renne gemelle: avevano il manto d’oro ed una di esse, Vixen aveva due coda, la loro mamma le aveva salvate dai cacciatori nascondendole sotto la neve. Ad ogni stagione, quando cambiano il manto, Babbo Natale raccoglie tutti i crini d’oro e poi le manda di regalo ai più bisognosi.Dixen è una raffreddata cronica. Le gocce che scendono dal suo naso, posandosi a terra, si trasformano in bellissimi fiori.

    COMET: è la più veloce di tutte le renne di Babbo Natale.
    I bambini vedendo una strana luce sfrecciare in cielo pensano sia una cometa, invece e lei, la renna più veloce dell’Universo. Chi esprime un desiderio Comet lo coglie al volo e poi lo riferisce a Babbo Natale, che provvederà ad esaudirli se i bambini si sono comportati bene, non ha bisogno di dormire; passa tutto il tempo a correre in cielo da un continente all’altro; quando combina qualche marachella si nasconde dietro la Luna per non farsi vedere da Babbo Natale, ma lui la persona sempre.

    DAZZLE: è la ballerina del branco, conosce tutti i ritmi del mondo; i suoi zoccoli piano piano si sono trasformati in bellissime scarpe da ballo rosa con un leggero tacco. Quando qualche bambino diventa triste perché non riesce ad imparare un passo di danza, eccola che corre veloce da lui e gli sussurra all’orecchio i movimenti giusti. Spesso si fa accompagnare da Donner che è la cantante del branco, dove c’è allegria e musica c'è sicuramente lo zampino, anzi gli zoccoli di loro due.

    CUPID: è la più coccolona di tutte le renne di Babbo Natale. E’ nata con una macchia rossa sul petto a forma di cuore e quando il vento del Nord le muove il folto pelo, allora sembra che pulsi forte forte e che dica: ti voglio tanto bene. E’ la più docile di tutte e quando traina la slitta vuole stare sempre in fondo per essere il più possibile accanto a Babbo Natale.
    Con il suo fiuto formidabile riesce a rintracciare in mezzo ad una montagna di letterine la letterina del bambino più buono, allora la consegna subito a Babbo Natale .

    DONNER :è la cantante del branco, appena nata strillava cos’ forte che i suoi genitori vivevano con dei guanciali legati sopra le orecchie per non sentirla. Piano, piano crescendo la sua voce si è affinata , ed ora riesce a controllarla. Conosce tutte le canzoni del mondo e sa cantare con voce maschile e femminile a seconda delle necessità, sa anche imitare tutte le voci dei genitori del mondo per cui spesso rimprovera i bambini che hanno fatto qualche marachella facendogli credere di essere stati scoperti, in realtà è lei che li controlla.

    PRANCER: è la più timida di tutte le renne. E’ stata l’ultima ad essere trovata da Babbo Natale, era talmente timida che, per non essere vista da nessuno, si nascondeva dentro un albero cavo e stava lì tutto il giorno, usciva solo di notte per non essere vista. Un giorno Babbo Natale assieme a tutte le altre renne stava raccogliendo un po’ di rami secchi per accendere il fuoco nel caminetto, quando vide sbucare da un tronco cavo due bellissime corna di renna. Chiamò subito Cupid la più dolce di tutte è le chiese di parlare con quella renna nascosta, dopo poco Prancer uscì dal suo nascondiglio e tutta rossa in volto si unì alle altre, rimase stupita che nessuna delle altre renna l’avesse presa in giro perché diventava sempre rossa a causa della sua timidezza, ma Babbo Natale le spiegò che anche le altre renne avevano un qualcosa di strano per cui nessuno di noi è perfetto.

    DASHER: è la più coraggiosa del branco; quando nacque la sua mamma si spaventò vedendole quei grossi dentoni a castoro perché poteva essere difficile allattarla, allora pensò di nutrirla con un bel cesto di carote. Dasher si mise lì e se le sgranocchiò tutte ad una ad una. Da quel giorno i suoi denti diventarono sempre più grandi. Quando traina la slitta in volo spesso sta subito dietro Rudolph e se qualche uccellaccio cerca di rubare un sacco pieno di doni lei lo morsica facendolo scappare.

    Ed infine c'è la renna col naso rosso: è la Renna Rudolph che vive al Polo Nord, una renna speciale in grado di condurre il gruppo. Rudolph si distingue però dalle altre per via del suo naso, che non è nero e nemmeno umido, ma è un naso rosso che si accende. A dir la verità, più che un naso è un nasone luminoso, ha sofferto molto, in quanto è sempre stata presa in giro dalle sue compagne e fino all'anno scorso tendeva ad isolarsi per evitare umiliazioni, nonostante la mamma ed il papà la consolassero. Verso la sera del giorno precedente la Vigilia di Natale, Babbo Natale era molto teso. C'era una nebbia talmente fitta che non si riusciva a vedere ad un palmo dal naso. "Eh adesso che faccio?" continuava a ripetersi Babbo Natale. "Come faccio a portare i regali con questa nebbia, i bambini domani non troveranno niente sotto l'albero, che colpa ne hanno loro?". Piangeva e guardava le sue renne scuotendo la testa, al ché anche Rudolph iniziò a diventar triste ed il suo naso si accese ancor di più. Babbo Natale iniziò a fare i salti di gioia e le renne si chiedevano "questo è matto". "Eh no, care renne, io non sono matto. Rudolph ci farà luce e ci guiderà con il suo naso rosso". Rudolph lì per lì era imbarazzata, ma poi le sue compagne, che fino a poco tempo prima la prendevano in giro, si resero conto di essere state stupide ed iniziarono a fare applausi e a festeggiare Rudolph incoraggiandola nel suo nuovo ruolo.
    Grazie a lei e alle sue compagne a Natale, i bambini buoni ricevono i doni che Babbo Natale ha preparato dopo aver letto le tantissime letterine.
    Bimbi, dovete ringraziare, per i regali ricevuti l'anno scorso, proprio perchè Rudolph che ha illuminato la strada alla slitta di Babbo Natale.





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    Edited by gheagabry - 19/12/2011, 00:20
     
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