IL PRESEPE

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  1. Lussy60
     
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    Il presepe romano

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    La prima testimonianza in assoluto dell'arte presepiale a Roma, si ha con le statue di legno scolpite nel 1289 da Arnolfo Di Cambio e conservate nella cripta della Cappella Sistina della Basilica di Santa Maria Maggiore. Successivamente sono le cronache del frate francescano Juan Francisco Nuno ad informare, nel 1581, sull'uso ormai da tempo diffuso a Roma, di allestire presepi in monasteri e luoghi di culto ed in particolare nella Chiesa dell'Aracoeli dove era specialmente venerata la statua del Bambinello che si dice opera di un frate francescano che l'aveva intagliata in un tronco di ulivo del


    Getsemani, trafugata il 1° febbraio del 1994 e non più ritrovata. Nel '600 la nobiltà romana inizia ad esporre presepi nei propri palazzi, opere sontuose in linea con lo stile barocco dell'epoca, commissionate ad artisti famosi come il Bernini del quale si ricorda un presepe realizzato per il Principe Barberini. Anche il '700 mantiene viva la tradizione dei presepi nelle case patrizie ma chiese e monasteri non sono da meno come attestano le grandi statue della natività in San Lorenzo, i presepi di Santa Maria in Trastevere e Santa Cecilia. Ma è nel '800 che la realizzazione di presepi si diffonde a livello popolare grazie alla produzione a basso costo, con gli stampi di innumerevoli serie di statuine in terracotta modellate da artigiani figurinai tra i quali anche il ragazzo Bartolomeo Pinelli famoso in seguito come pittore della Roma del suo tempo. Sono tuttavia le famiglie più importanti per censo e ceto sociale a realizzare in gara tra loro i presepi più imponenti, ricostruzioni di paesaggi biblici o di scorci della campagna romana caratterizzata da alberature di pini e olivi, costruzioni rustiche e rovine dell'antichità, da mostrare non solo a parenti e amici ma anche a concittadini e turisti, richiamati da fronde di rami appesi ai portoni a somiglianza d'insegne. Sono rimasti famosi quello della famiglia Forti, posto sulla sommità della Torre degli Anguillara, o della famiglia Buttarelli in Via De' Genovesi, riproducente il paese di Greccio e la scena del presepe vivente voluto da San Francesco o quello di padre Bonelli nel portico della chiesa dei Santi XII Apostoli, parzialmente meccanico con la ricostruzione del Lago di Tiberiade solcato dalle barche e delle città di Gerusalemme e Betlemme. Nel presepe romano più usuale, il paesaggio agreste fa da sfondo alla grotta in sughero, sovrastata da un tripudio di angeli in volo sulle nuvole, disposti in nove cerchi concentrici che pongono la Natività al centro della scena, una scena povera sia nella rappresentazione dei personaggi, pastori con le greggi e contadini al lavoro con i loro animali, sia nelle architetture, case modeste e locande di campagna tra resti di archi e acquedotti antichi, tipici dei luoghi rappresentati. A partire dalla seconda metà del novecento, l'ambientazione cambia e vengono proposte zone caratteristiche della Roma sparita, demolite per far posto all'urbanizzazione di Roma capitale, ma conservate al ricordo dagli acquerelli dell'artista tedesco E. Roessler Franz, che fotografano la Roma papalina e le sue irripetibili atmosfere.



    Il presepe pugliese

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    La straordinaria ricchezza di fonti narrative, evangeliche e popolari, ha consentito, sin dal XIV secolo, di differenziare anche in Puglia la rappresentazione della Natività da quella del Presepe. Questo passaggio può essere colto proprio in una chiesa francescana, quella di Santa Caterina a Galatina. In una arcata ribassata nella controfacciata della navata sinistra, un grande affresco, con la rappresentazione della Natività, fa da sfondo ad un più plastico presepe in pietra attribuito allo scultore Nuzzo Barba, sullo scorcio del XV secolo. E' unanimemente ritenuto il più antico presepio di Puglia di cui sopravvivono però solo gli elementi centrali:

    la Vergine, il Bambino, San Giuseppe e il Bue e l'Asino. E' nel corso del XVI secolo tuttavia che la rappresentazione presepiale con scultura in pietra, trova la sua massima affermazione, cominciando poi un lento declino nel XVII secolo per ricomparire in seguito, sul finire del Settecento, in forme differenti, influenzate dalla voga napoletana dei presepi vestiti che in Puglia si trasforma in presepe in cartapesta o terracotta. E' Stefano Putignano nel corso del XVI secolo lo scultore più fortemente plastico che impagina vasti ed antichi presepi a Grottaglie, Polignano a Mare, Martina Franca. Ma altri artisti come Paolo da Cassano, a Cassano Murge e Bitritto; Altobello Persio ad Altamura, Tursi e Gallipoli, arricchiscono il panorama del secolo, nel corso del quale è forse Gabriele Riccardi ad inscenare, per la Cattedrale di Lecce, il più raffinato presepe che occupa tutto un altare, dove, nel fastigio, sono collocati la Cavalcata dei Magi e i Pastori adoranti e, sulla mensa, il gruppo della Natività. Attribuito un tempo al Riccardi, ma oggi ritenuto di uno scultore ancora anonimo, è un bel presepio a rilievo a Torre S. Susanna, come anonime sono le tre figure in pietra, dipinte, della Natività di Manduria. Nel corso del Seicento e del Settecento, altari dedicati al presepe, come nella Chiesa del Rosario a Lecce, ruotano spesso attorno al dipinto centrale. La religiosità popolare riprende vigore nell'Ottocento, quando, con alterna qualità i cartapestai del Salento e diLecce iniziano una tradizione viva ancora oggi. Primo protagonista ne fu Mesciu Pietru de li Cristi, soprannome del primo cartapestaio documentato con una statua di San Lorenzo in Lizzanello del 1782. Il suo nome era Pietro Surgente (1742-1827) e fu il maestro (mesciu) di una schiera di grandissimi scultori della cartapesta nell'Ottocento, quasi tutti ricordati col loro soprannome: segno questo di una dimensione tutta paesana, quasi familiare e umile della loro attività. Nel secolo scorso si passa dalle grandi statue per altari, alle piccole statue per i presepi. Cominciò un certo Mesciu Chiccu Pierdifumu a modellare pupi da presepe in creta, che poi, aiutato da sua moglie Assunta Rizzo, "vestiva" con pezzi di stoffa alla napoletana per le misure più piccole e con fogli di drappeggiati di carta imbevuta di colla per le misure più grandi (fino a 30 cm.) in cui il corpo veniva ridotto a uno scheletro di fil di ferro e stoppa. Così, impercettibilmente, si passò dal classico pupo napoletano al classico pupo leccese. Accanto all'attività degli artisti professionisti si assiste ad una vera e propria germinazione spontanea di artisti popolari, tra i quali spicca la classe dei barbieri di Lecce, che intorno al 1840 cominciarono ad imitare i cartapestai e, nelle lunghe ore libere del loro lavoro con pettine e forbici, si dettero a modellare sia la carta pestata che la creta con le mani, i bulini e gli stampi. Tra gli esempi più belli vanno annoverati certamente quello dell'Istituto Marcelline di Lecce del 1890, realizzato da Manzo e De Pascalis ed Agesilao Flora; quello frammentato del Guacci, oggi al Comune di Lecce e quello di Michele Massari, poliedrico artista novecentista, anche presso il Comune di Lecce.



    IL PRESEPE LIGURE:

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    L'arte presepiale in Liguria nasce e si sviluppa in età barocca specialmente a Genova dove più numerosa è la committenza delle famiglie dominanti per blasone e censo nella repubblica da poco costituita. Le prime produzioni consistono in statuine intagliate nel legno, dorate e dipinte che prendono a modello sculture in marmo, paliotti d'altare, trittici, quadri riproducenti Natività e Adorazioni dei Magi, che si trovano nelle chiese della città e del circondario, opere di artisti come il Gagini, l'Orsolino, il Foppa, il Brea, il Bergamasco, il Semino, i fratelli Calvi. Il fenomeno procede di pari passo con il costume devozionale delle processioni durante le quali era usanza trasportare a spalla grandi statue di legno dipinte (che già agli inizi del XVII sec. erano rivestite con abiti d'epoca), commissionate dalle varie Confraternite come quelle del "Presepio" e dei "Re Magi". Da qui la creazione di figure lignee di più modeste proporzioni a formare presepi simili a quello riportato dalle cronache, costruito da padre Alberto Oneto nella chiesa di Santa Maria di Monte Oliveto a Multedo di Pegli. La miniaturizzazione dei personaggi presepiali, eseguite anche con materiali preziosi o di pregio come l'oro, l'argento, l'avorio, l'alabastro, avviene negli stessi laboratori e scuole di scultura e pittura ad opera degli stessi artisti che si affermeranno successivamente come orafi, pittori, scultori tra i più richiesti. Tra questi i "Pippi" figli di Filippo Santacroce, della cui scuola era allievo l'altrettanto famoso Gerolamo del Canto e ancora Giovanni Battista Castello che tra i materiali usati privilegiò la tartaruga e il laboratorio di Domenico Bissoni e del figlio Giovanni Battista Gaggini da Bissone, il Piola, Francesco Costa e numerosi altri. Nel corso del '600 e soprattutto nel '700 si moltiplicano i personaggi che compongono la scena presepiale ligure, ai pastori si aggiungono contadini, artigiani, nobili e popolani, paggi, mendicanti e animali da pascolo e da cortile. La dilatazione della produzione determina nuove scelte tecniche e impone una rivoluzione del gusto: non più statuette lignee dipinte ma manichini di legno abbigliati con vesti ora povere ora sontuose a seconda del personaggio rappresentato. L'abilità dell'artista si concentra sulle teste, sui volti dagli occhi di vetro, sulle mani, in quelle parti cioè che sole rimangono scoperte; di questo nuovo stile è caposcuola Anton Maria Maragliano con un linguaggio figurativo di maniera ma raffinato che si fece più realistico negli atteggiamenti e nelle espressioni delle immagini, solo molto più tardi ad opera di artigiani liberi ormai dalla sua influenza. A questo punto sono le vicissitudini storiche a determinare la seconda e più duratura svolta dell'arte presepiale ligure causata dal nuovo ordinamento democratico e libertario frutto della Rivoluzione Francese, importato in Liguria dall'esercito napoleonico. Sotto i colpi francesi tramonta il vecchio ceto dominante e con esso si estingue praticamente la committenza nobiliare e borghese e tuttavia le tendenze gianseniste tese a eliminare le pratiche religiose folcloriche non attecchiscono tra la popolazione urbana e nel contado dove la gente rimane fedele alle proprie tradizioni devozionali. Così all'inizio del '800 proseguono nelle chiese liguri le sacre rappresentazioni su testi in vernacolo e in lingua, famoso "il Gelindo", interpretate dai fedeli come testimonia in una sua relazione il diplomatico conte Nigra che vi partecipò da bambino. In ugual modo si mantiene viva la tradizione del presepe che ora, dovendo soddisfare le esigenze di ceti meno abbienti, perde le sue preziosità scenografiche e la sontuosità delle vesti e degli accessori per ridimensionarsi in una produzione di serie, riferita a pochi modelli raffiguranti popolani e popolane con i loro modesti indumenti e le loro povere offerte, ordinati in piccole composizioni da esporre in famiglia nelle case durante il periodo natalizio. Ma il costo del legno e del lavoro artigiano, per questione di tempi inadatto a produzioni massive, rendono il prezzo del presepe fuori della portata della maggior parte della gente. Sono maturi i tempi per l'avvicendamento della terracotta al legno e della formatura a stampo. Il passaggio dal lavoro artigianale a quello industriale avviene quasi naturalmente, favorito dalle fornaci esistenti a Savona e nella contigua Albisola, che da epoca immemorabile, forse già nei secoli del tardo Impero Romano, producono oggetti in ceramica. L'idea è data dai calchi di figure plastiche usate già nella seconda metà del '700 dall'officina di Giacomo Boselli e alla cessazione delle attività di questa, ereditate dalle officine del Savonese che insieme a molte altre utilizzazioni, se ne servono per ricavarne anche figure presepiali di terracotta. L'argilla compressa negli stampi creati appositamente su modelli tradizionali dai "figurinai", sottoposta a monocottura, viene stampata in statuette che successivamente venivano dipinte a freddo con vivaci colori. Questo procedimento comportava prodotti di rozza fattura, pur se ingentilita dal retaggio settecentesco, come lamentano studiosi della materia di inizio secolo, ma permetteva prezzi alla portata di tutte le borse. Si moltiplicano così i "figurinai" dei quali il più celebre, lo scultore di Savona Antonio Brilla, ancora bambino, preparava le statuine caratterizzandole ognuna come portatrici di un dono diverso per il Bambinello: canestri di frutta, verdura e pane, zucche, cavoli, pollame, capretti, piccioni, pesci che daranno l'impronta rivelatrice della tipologia presepiale ligure del '800. Alla produzione industriale si affiancò ben presto ad Albisola quella casalinga quando le officine che producevano stoviglie in terracotta verniciata, cominciarono a sfornare anche statuine modellate e dipinte dalle madri, mogli e figlie delle maestranze di quelle fabbriche, esempio di lavoro in nero ante litteram. Le statuine, riproduzioni di personaggi popolari, denominate spregiativamente "macacchi" ossia balorde perché malamente abbozzate e dipinte in maniera naif, venivano smerciate nell'annuale mercato di Santa Lucia che si svolgeva il 13 dicembre a Savona. Le figurinaie domestiche avevano tutte un soprannome che le individuava quasi a costituire il marchio di fabbrica: "Campanàa", "Circia", "Fata Geìnìn", "Nanìn a Cioa", "Tere a Russa", "Mominìn" fino all'ultima depositaria di questa ingenua ma poetica forma di artigianato, Beatrice Schiappapietra che ha operato ad Albisola fino al 1970. Ultimi epigoni dell'arte presepiale ligure, gli scultori Arturo Martini e Tullio Mazzotti che negli anni '20 progettarono presepi fissi in ceramica, nello stile improntato ai canoni estetici proposti dal movimento futurista.



    IL PRESEPE SICILIANO:

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    In Sicilia l'arte presepiale pur risentendo degli influssi della scuola napoletana, specialmente per quanto riguarda l'ambientazione - riproduzione di scene di vita quotidiana in paesi e con personaggi isolani - e talvolta la tecnica - manichini in legno e fil di ferro con vesti di stoffa - presenta tuttavia diversi caratteri originali variabili a seconda delle provenienze geografiche. Quattro sono le aree dove in particolare si sviluppa un artigianato presepiale fortemente caratterizzato: i territori di Palermo, Siracusa, Trapani e Caltagirone. A Palermo e nel siracusano, dove l'apicultura è molto diffusa, fin dal '600 si usa la cera per plasmare statuine di Gesù Bambino e poi interi presepi. In quest'arte si distinguono i cosiddetti "Bambinai" che operavano a Palermo nella zona della chiesa di San Domenico tra il '600 e il '700; tra loro un caposcuola fu Giulio Gaetano Zumbo del quale si può ammirare un presepe al Victoria and Albert Museum di Londra e Giovanni Rosselli ricordato da una sua opera al Museo Regionale di Messina nonché Anna Fortino, Giacomo Serpotta e Anna La Farina. I Bambinelli sono di fattura raffinata, impreziositi da accessori d'oro e d'argento, ieratici nell'espressione e rappresentati con una croce in mano. Nel '800 sono rinomati i "cerari" siracusani che producono presepi interi o Bambinelli dall'espressione gioiosa o dormienti, recanti nelle mani un agnellino, un fiore o un frutto e immersi in un tripudio di fiori di carta e lustrini colorati dentro teche di vetro (scarabattole). Tra loro eccellono Fra' Ignazio Macca, del quale si conservano alcuni presepi nell'eremo di San Corrado a Noto e nel Museo Bellomo di Siracusa e Mariano Cormaci ricordato dal presepe in cera a grandezza naturale sito nella grotta di Acireale. Notevole anche il presepe conservato nel palazzo Vescovile di Noto, che rappresenta uno spaccato di vita contadina, composto da 38 figure inserite nel paesaggio dei monti iblei. A Trapani per la fattura dei presepi si utilizzano materiali nobili e soprattutto il corallo, da solo, come in epoca rinascimentale, o insieme all'avorio, alla madreperla, all'osso, all'alabastro e alle conchiglie, nel periodo barocco e rococò, quando alla composizione centrale della Natività fanno corona architetture in stile d'epoca dove si rappresentano scene fantasiose e simboliche. Splendidi esemplari quelli esposti ai musei Pepoli di Trapani e Cordici di Erice. A Caltagirone, città produttrice di ceramiche fin dal '500, i presepi sono realizzati in terracotta e rappresentano come cornice alla Natività, scene di vita contadina e pastorale animate da personaggi tipici di quella civiltà come il pastore che dorme, lo zampognaro, il venditore di ricotta o il cacciatore. La migliore produzione qualitativa di presepi in terracotta policroma si ebbe tra la fine del '700 e la prima metà dell'800 con la bottega dei fratelli Bongiovanni, Giuseppe e Giacomo e con il nipote Giuseppe Vaccaro eccellente artista. Tuttavia già agli inizi del '700 operavano artigiani rinomati come i "santari" Branciforti e Margioglio che contribuirono ad imporre Caltagirone anche come "Città del presepe". Più in genere nell'intero territorio isolano ebbe grande diffusione a partire dal '600, il presepe costruito con la tecnica usata nella produzione di statue d'altare: statuine in legno rivestite di stoffe immerse in un bagno di colla per renderle rigide e dai colori brillanti. Tra i più noti presepisti del genere il caposcuola Salvatore Matera, il Nolfo, il Ciotta, i Pisciotta e i Tipa. l



    IL PRESEPE DI GRECCIO:

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    Nel Natale 1223 San Francesco realizza in Greccio con l'aiuto della popolazione locale e di Giovanni Velìta, signore dei luoghi, un presepe vivente con l'intento di ricreare la mistica atmosfera del Natale di Betlemme, per vedere con i propri occhi dove nacque Gesù. Tutto fu approntato e, con l'autorizzazione di Papa Onorio III, in quella notte si realizzò il primo presepio vivente nel mondo. I personaggi che nella notte del 1223 animarono il "Presepio di San Francesco" sono quelli tramandati dalla tradizione e dalle fonti storiche, gli scritti di Tommaso da Celano e San Bonaventura:- San Francesco: che nel suo peregrinare giunge sul monte di Greccio nel 1208, dove incontra Messer Giovanni Velìta e la popolazione locale per farli partecipi della sua idea e chiedere la collaborazione necessaria alla realizzazione del progetto; - Giovanni Velìta: Signore di Greccio, discendente dai conti di Celano e della famiglia Berardi, che divenne grande amico del Santo e con lui collabora al progetto. Nonostante la sua avanzata età, non esitò a raggiungere San Francesco sui monti di Greccio per convincerlo a trasferirsi nel borgo e la, nei pressi di Fonte Colombo, il Santo di Assisi gli espresse il desiderio di rivivere a Greccio il mistero del Natale di Betlemme;- Alticama: figlia di Guido Castelli, Signore di Stroncone, sposa di Giovanni Velìta, che partecipa attivamente all'evento costruendo con le sue mani il simulacro del Bambino Gesù; - gli Araldi: guardie e servi fedeli del nobile Velìta che lo assistono in ogni sua attività e si recano in tutta la valle a convocare le genti per il Natale di Greccio; - i Nobili: cortigiani testimoni degli avvenimenti di quella mistica notte, vissuta al seguito del loro signore; - i Frati: compagni di Francesco, che lo seguivano fedelmente dovunque come Frà Leone, Rugino, Angelo, tre seguaci che in futuro, da Greccio, diedero testimonianza scritta della vita di San Francesco nella "Leggenda dei tre Compagni"; - il Popolo infine che accorre in massa al richiamo degli araldi portando ceri e fiaccole per rischiarare quella notte speciale, risalendo la selva con canti e preghiere animato da una fede profonda risvegliata in loro dal poverello di Assisi. In questi luoghi nacque e si sviluppò il santuario del Presepe di Greccio, ove dal 1973 ogni anno, come da tradizione, viene rievocato fedelmente l'Evento. L'idea di rappresentare il primo presepe vivente è stata di P. Valerio Casponi e oggi alla sua realizzazione partecipano circa cento persone tra figuranti e struttura tecnica, impegnati nella rappresentazione che si svolge a Greccio il 24 e 26 dicembre e il 6 gennaio. L'azione scenica si compie in quattro quadri: - nel primo "San Francesco alla Cappelletta" si narra dell'arrivo del Santo sui monti di Greccio dove si costruirà un rifugio, quello appunto chiamato "Cappelletta"; - nel secondo, detto del "Lancio del Tizzo", si può vedere il Santo che giunto nell'abitato di Greccio, sollecitato dalla popolazione locale, decide di stabilire la sua dimora nel luogo dove andrà a cadere un tizzo ardente lanciato da un fanciullo dalla piazza di Greccio. Per un prodigio, secondo la tradizione, il tizzo andò a cadere nel luogo dove sorge l'attuale Santuario Francescano;- nel terzo "Giovanni Velìta a Fonte Colombo", si assiste all'incontro del Signore di Greccio e di San Francesco, che si trovava a Fonte Colombo per la stesura della Regola dei Frati Minori, durante il quale il Santo esprime il desiderio di rivivere a Greccio la scena della Natività e ne sollecita l'aiuto; - nel quarto e conclusivo, si rivive l'atmosfera di quella notte santa del 1223 con la nascita del Bambinello mostrato al popolo da San Francesco. La leggenda vuole che il simulacro del S. Bambino si animasse tra le mani del Santo, benedicendo la folla riunita.



    Edited by gheagabry1 - 6/11/2019, 19:16
     
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