CURIOSITA' STORICHE....

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    “l’elefante risveglia ricordi provenienti da un passato antico,
    quando la vista di animali del genere era frequente in questa città”



    Annone, l'elefante albino del papa

    ElefanteAnnone

    In un pomeriggio del 1962 all’interno della Città del Vaticano, durante dei lavori di manutenzione, alcuni operai rinvennero un osso e alcuni frammenti di una mascella appartenenti ad un grosso animale, il fatto fu presto rimosso, almeno fino alla fine degli anni ’80, quando Silvio Bedini, professore dello Smithsonian Institution di Washington, scoprì che si trattava dei resti di Annone, l’elefante albino di Leone X, del quale molte cronache del tempo avevano parlato.

    A quei tempi, le diplomazie regolavano gli equilibri tra potenze, spesso in guerra tra di loro, attraverso ambasciate ed anche attraverso eccentrici regali.. Oltre al pachiderma, caratterizzato da albinismo, qualche anno più tardi Manuele inviò al papa anche un rinoceronte. Quest'ultimo venne poi raffigurato da Albrecht Dürer in una xilografia destinata a divenire famosa; l'artista non vide mai l'animale e lo raffigurò dopo averne ricevuto un'accurata descrizione.

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    Il 19 marzo del 1513, Giovanni di Lorenzo de’ Medici fu incoronato papa con il nome di Leone X, il re portoghese Manuel I d’Aviz, come segno di rispetto e sottomissione all’autorità della Chiesa decise di inviare a Roma un’ambasciata, ma lo scopo era anche quello di conquistare il beneplacito, per avallare la legittimità dell’ acquisizioni di territori nelle Americhe anche se il Portogallo, aveva già vasti domini in India, nell'Asia orientale, in Africa. Nel 1514 la spedizione guidata da Tristao da Cunha, noto navigatore portoghese responsabile di importanti scoperte geografiche e membro del consiglio speciale del re, dopo aver salpato l’ancora dal porto di Lisbona e aver toccato Alicante e Maiorca arrivò a Porto Ercole e da lì a Roma, dove fu accolta trionfalmente a metà marzo.
    Secondo le cronache dell’epoca la missione era composta da 140 uomini tra i quali diversi dignitari, con al seguito omaggi per il sommo pontefice di grandissimo valore: tessuti, broccati, manoscritti rari, oggetti in oro e gioielli. E poi, come ulteriore segno della munificenza del Portogallo, anche animali esotici e bizzarri: scimmie, pappagalli, leopardi, un cavallo persiano e infine un regalo del tutto inconsueto: un elefante albino di quattro anni: Annone. Sul nome non hanno notizie certe, probabilmente gli venne dato dal popolo in occasione di una delle tante uscite romane delle quali il pachiderma. Incuriositi dalla maestosità dell’animale, alcuni chiesero all'addestratore quale nome avesse la strana creatura, “aana” (elefante) fu la risposta, che storpiato diventò Annone, in onore del generale cartaginese.
    L'accoglienza a Roma fu trionfale, degna di un sovrano, con il giovane elefante meravigliosamente bardato con “vesti ricamate di finissime perle”, recitano le cronache, recante sulla groppa un palanchino, fatto d'argento, a forma di castello, contenente uno scrigno ricolmo di tesori, il corteo percorse Via Flaminia, per imboccare poi Via Lata e Via Ripetta e arrivare in vista di Castel Sant'Angelo, dove era atteso dal papa assieme al collegio cardinalizio. Dalle cronache dell’epoca si sa che al cospetto del sommo pontefice Annone, barrendo e danzando, s’inginocchiò per tre volte, in segno di omaggio, strofinandogli la proboscide sulle pantofole; poi, obbedendo ad un cenno del suo custode indiano, aspirò l'acqua da un secchio spruzzandola addosso a tutti, Papa compreso.

    particolare

    Il dono per quanto bizzarro ottenne l’effetto sperato. Il giorno successivo durante un concistoro pubblico, nel quale gli ambasciatori presentarono le richieste di concessioni da parte del re, Leone X ricambiò le attenzioni ricevute dal re di Portogallo concedendo non solo l'autorità sulle nuove rotte ma anche il privilegio di poter ritirare decime nei territori sotto il dominio della Chiesa.

    Annone, dopo essere stato collocato temporaneamente in una struttura nei pressi del cortile del Belvedere, venne trasferito definitivamente in un edificio appositamente costruito nelle vicinanze di Borgo Sant’Angelo, tra la Basilica di San Pietro e il Palazzo Apostolico, in un tratto di strada che da allora fu ribattezzato via dell’elefante. La cura dell’animale, il cui mantenimento costava la cospicua somma 100 ducati l’anno, fu affidata al Protonotario Apostolico Giovanni Battista Branconio, ricordato nei documenti di quell’epoca con questa mansione “Pro Elephante, referente ex.mo Barone [Branconio]”. Oltre a lui, però, la custodia di Annone era riservata alla ristretta cerchia di “favoriti” del Papa, prendersi cura dell’elefante era considerato un segno di prestigio. La fortuna toccò, ad esempio, a Raffaello Sanzio, che pare lo abbia dipinto dopo la morte, opera che non si è conservata, Il poeta Pietro Aretino, che ne fece argomento della sua commedia satirica “Le ultime volontà e testamento di Annone, l’elefante”.

    Nel Belvedere prima del grande Pastore
    Venne condotto l'addestrato elefante
    che danzava con tanta grazia e tanto amore
    che difficilmente un uomo avrebbe potuto ballare meglio.
    (Pasquale Malaspina)

    Non passò molto tempo perché Annone, quasi fosse una mascotte della corte pontificia, diventasse il protagonista assoluto di processioni, cerimonie, feste ed intrattenimenti di varia specie. Celebre quello del settembre 1514, quando, in occasione dei Cosmalia, giorni di festeggiamenti dedicati ai Santi patroni della famiglia Medici, Cosma e Damiano, il papa volendo fare uno scherzo al poeta e buffone di corte Giacomo Barballo da Gaeta, dispose l'organizzazione di una maestosa processione trionfale che si sarebbe conclusa in Campidoglio con l'incoronazione dello stesso ad “archipoeta”. Al mal capitato fu ordinato di salire sull’elefante e di procedere in corteo tra ali di folla festante e divertita, mentre lo cavalcava il Barballo, cedendo alla vanità, cominciò a dichiarare di essere in grado di declamare versi all’altezza del Petrarca. Annone, infastidito dai tamburi dal frastuono e dalle cannonate della processione, lo disarcionò miseramente, tramutando l'incoronazione in una serie di lazzi e risate. Le malelingue individuarono la causa dell’incidente nell’arroganza e nella vana gloria del “poeta”. La satira popolare ricordò il fatto con un sonetto:

    El nostro Archipoeta Baraballe
    Posto sull’Archibestia, di lontano
    Pare, e da presso è sì bel capitano
    Che di risa scoppiar fa le farfalle ...

    Della burla perpetrata, anche papa Leone X volle lasciare traccia indelebile, facendo intagliare l’accaduto su una delle porte della Stanza della Segnatura, che in quel momento Raffaello stava affrescando. L’immagine raffigura Baraballo “l’Archipoeta in atto di muover dal Vaticano sul dorso dell’elefante” mentre il Papa lo guarda benevolmente sorridendo da una finestra.
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    La vita romana di Annone non durò a lungo; nel febbraio del 1516 forse a causa del clima insalubre, forse perché affetto da una malformazione cardiaca si ammalò; il pontefice, che all’animale era profondamente affezionato, ordinò che fosse curato con ogni premura, i medici, le cui conoscenze al tempo erano piuttosto limitate, somministrarono all’animale un preparato a base d’oro, che con ogni probabilità finì con l’essere più letale della malattia stessa. Quando l’elefante morì, il 16 giugno 1516, all’età di circa sette anni, Leone X, che i contemporanei ci dipingono profondamente affranto, era al suo fianco. Come testimonia l’accidentale scoperta avvenuta nel 1962, Annone fu sepolto con tutti gli onori all’interno del Cortile del Belvedere. Le sue zanne erano conservate fino a qualche anno fa presso l’Archivio del Capitolo di San Pietro, nel Palazzo della Sagrestia.

    La Memoria di questa storia bizzarra trova riscontro ancora oggi in diversi luoghi della città, come nella fontana del giardino di Villa Madama a Monte Mario, realizzata nel 1520 da Giovanni da Udine dove possiamo vedere la testa marmorea dell'elefante, fissata nell'atto di spruzzare acqua dalla proboscide, come Annone aveva innaffiato i romani nel giorno del suo trionfale ingresso a Roma.


    Fu così descritto da Francisco de Hollanda tra il 1539 e il 1540:

    «L'elefante meritò varie raffigurazioni: lo possiamo vedere nella Fontana dell'Elefante del Giardino Pensile di Palazzo Madama a Roma, opera di Giovanni da Udine, che lo aveva rappresentato anche in uno stucco delle Logge vaticane. Queste opere, come quella intarsiata da Giovanni da Verona sull'interno della porta della Stanza della Segnatura nell'appartamento vaticano di Leone X, derivano da un perduto disegno di Raffaello, del quale si conosce una copia. Un ritratto di Annone è anche in una lunetta sopra una delle porte della cinta muraria intorno al Vaticano. Si può ipotizzare un discreto sorriso dietro a queste commemorazioni, che hanno per noi un profondo significato. Isabella d'Este si mostrò molto interessata alla memoria del garbato elefante: si era spento da poco il pianto straordinario per la morte della cagnetta Aura, quando prese a cuore la memoria di Annone. Sappiamo dall'agente dei Gonzaga a Mantova, Carlo Agnelli, che il 16 marzo del 1516 la marchesa aveva ottenuto il tanto desiderato ritratto di Annone. Schizzi dell'elefante furono preparati anche da Giulio Romano, che rappresentò l'animale in uno stucco del soffitto nella sala Fetonte al palazzo Te di Mantova.»
    (Francisco di Olanda)


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    All'elefante Annone sarebbe legata una delle tante versioni riguardante l'espressione "Fare il portoghese". Il pontefice, per mostrare tutta la sua riconoscenza circa l'insolito dono, concesse all'ambasciatore portoghese ed al suo seguito il privilegio di essere ospite della città di Roma, ossia di potersi recare in qualunque teatro, osteria, albergo, ecc. senza pagare nulla, palesando solo la nazionalità. Molti furbacchioni, scoperta l'esistenza del singolare diritto, presero quindi a frequentare i locali d'ogni tipo dove, con accento fintamente esotico, proclamavano di essere portoghesi e quindi di non dovere nulla. Quando però il papa esaminò i conti astronomici pervenuti dagli esercizi pubblici, si rese conto che una modesta pattuglia diplomatica non poteva aver consumato quanto un esercito e - comprendendo di essere stato gabbato dagli arguti romani - si affrettò a revocare il privilegio, ma ormai era tardi e la spesa fu enorme. E fu proprio a causa del gran clamore originato dal danno e dalla beffa che il popolo adottò il modo di dire ancor oggi in uso.


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    Il re del Portogallo inviò al papa anche un rinoceronte chiamato Ulisse, ma la nave che lo trasportava fece naufragio per una violenta tempesta nel golfo della Spezia nel 1516. Ulisse morì affogato. Ma grazie a una lettera inviatagli in Germania con una minuziosa descrizione dell’animale, Albrecht Dürer lo rappresentò in una una famosissima xilografia su legno, oggi al British Museum.

     
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    “Feste e balli, fantasie, è il ricordo di sempre. È la ninna del carillon di Anastasia nel film di animazione prodotto da 20th Century Fox .. “Quando guardi la dinastia dei Romanov e le fotografie della gloria e della grandezza e dei gioielli, degli ori e del tutto intarsiato, evoca tutte queste immagini nella tua mente”,
    (Lynn Ahrens)

    Copertina-cioccolatino-118-anni


    Il cioccolatino di 118 anni,
    scoperto dal Museo Ermitage
    nel vestito della zarina di Russia



    La curatrice di costumi del Dipartimento di Storia della Cultura Russa, si è inaspettatamente ritrovata tra le mani un cioccolatino nascosto, caduto dalla manica dell’abito della Gran Duchessa Ksenia Alexandrovna. Rimasto lì per ben 118 anni, rintanato tra sete, perle e ricami dorati.
    Si ipotizza che la sorella di Nicola II, l’ultimo imperatore di Russia, diede un morso a metà infilando di tutta fretta questa caramella in un lembo del suo sontuoso vestito da nobildonna russa, che indossò nel febbraio del 1903, in occasione del 290° anniversario della sua dinastia che fu celebrato nei saloni del Palazzo d’Inverno dell'Ermitage.

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    “Quando ho aggiustato questo vestito, ho alzato una manica e ho notato una stranezza. Quando la specialista ha tolto un filo, uno strano oggetto mi è caduto in mano: qualcosa di rosa e di forma irregolare. E per qualche motivo, forse per istinto, l’ho leccato. Era un bonbon”.

    Il cioccolato è stato analizzato da un team di esperti che non hanno trovato contaminazioni da batteri patogeni e nemmeno muffe.

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    La Mini Italia di 100 anni


    foto di Andrea Cherchi

    Il Parco Trotter nasce nel 1800 per ospitare l’ippodromo della Società del Trotter, prima che le corse dei cavalli venissero spostate a San Siro dal 1925. Fallita la società il parco venne acquistato dal Comune di Milano per trasformarlo in una scuola per bambini affetti da tubercolosi chiamata “Casa del Sole”.

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    Tra le attrazioni più significative realizzate a scopo didattico all’interno del Parco Trotter c’è la Mini Italia. Costruita in pietra alla fine degli anni ’20 del ‘900, oggi protetta da una cancellata in ferro, questa riproduzione dello stivale italiano è la più antica del nostro Paese.

    Nel suo disegno è infatti presente ancora l’Istria, ceduta alla Jugoslavia dopo la conclusione della Seconda Guerra Mondiale. Un tempo era immersa nell’acqua, per ricreare l’effetto dei mari che la circondano, e utilizzata per spiegare ai ragazzi la geografia dell’Italia.

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    "Nella Grœnlendinga saga si narra che Leif Eriksson dispose nell'anno 1002 o 1003 di seguire la rotta descritta precedentemente da Bjarni Herjólfsson. Il primo territorio che Eriksson toccò era coperto da rocce piatte e assegnò a questo territorio il nome di Helluland ("Terra delle rocce piatte"). Successivamente raggiunse un altro territorio, anche questo pianeggiante, con spiagge bianche e coperto da una foresta, al quale attribuì il nome Markland ("Terra delle foreste" o "Terra di confine")."

    Marckalada

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    Una clamorosa menzione di una terra situata al di là dell’Atlantico è stata individuata in un’opera inedita medievale, scritta dal domenicano Galvano Fiamma intorno al 1340: la scoperta è nata all’interno di un progetto didattico della Statale di Milano, cui hanno collaborato numerosi studenti di Lettere, ed è stata pubblicata sulla rivista statunitense Terrae incognitae, dedicata alla storia delle esplorazioni.
    Tutti sanno che il continente americano entrò nell’orbita delle conoscenze degli Europei con la spedizione di Cristoforo Colombo, effettuata nel 1492. In realtà esplorazioni sulle coste settentrionali dell’Atlantico erano già state compiute nei secoli precedenti da navigatori vichinghi, e hanno lasciato sporadiche tracce nei racconti semileggendari di alcune saghe norrene.

    Fiamma scrisse che a ovest della Groenlandia c’era un’altra terra e la chiamò “Marckalada” o “Marchalanda”: un’evidente traduzione di Markland, uno dei nomi che i vichinghi diedero alle terre che incontrarono nelle loro esplorazioni dell’Atlantico. È la più antica menzione del continente americano che sia stata trovata in documenti dell’area mediterranea e suggerisce che nel Medioevo le notizie e le informazioni circolassero più di quanto credessimo.

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    Le opere di Galvano Fiamma sono perlopiù dei collage di testi di altri autori che il frate riscrisse, sempre citando le fonti, per creare degli ambiziosi ma spesso incompiuti e molto ripetitivi libri di storia, che per la maggior parte riguardano la città di Milano. Fiamma non è considerato un bravo scrittore e come altri autori medievali mescolava informazioni verosimili e ben documentate ad altre più fantasiose, o evidentemente leggendarie. Secondo l’ipotesi di Paolo Chiesa, il filologo e professore dell’Università Statale di Milano che con i suoi studenti è stato il primo a studiare e analizzare la Cronica universalis, Fiamma seppe dell’esistenza di Marckalada attraverso i marinai genovesi che a loro volta potrebbero averne sentito parlare grazie a scambi commerciali con il Nord Europa.

    la traduzione italiana del passaggio di Galvano, scritto originariamente in latino:

    "I marinai che percorrono i mari della Danimarca e della Norvegia dicono che oltre la Norvegia, verso settentrione, si trova l’Islanda. Più oltre c’è un isola detta Grolandia…; e ancora oltre, verso occidente, c’è una terra chiamata Marckalada. Gli abitanti del posto sono dei giganti: lì si trovano edifici di pietre così grosse che nessun uomo sarebbe in grado di metterle in posa, se non grandissimi giganti. Lì crescono alberi verdi e vivono moltissimi animali e uccelli. Però non c’è mai stato nessun marinaio che sia riuscito a sapere con certezza notizie su questa terra e sulle sue caratteristiche."



    Il manoscritto è scritto in un latino medievale che non è semplice da leggere e interpretare, ed è lungo più o meno quanto un libro contemporaneo di 500 pagine. Chiesa coinvolse un gruppo di studenti che dovevano fare la propria tesi di laurea per analizzarlo e tradurlo. All’inizio del 2019 la studentessa di lettere classiche Giulia Greco trovò nella parte del manoscritto che le era stata affidata una delle due menzioni di Marckalada.

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    Scomunica della Chiesa

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    La scomunica (dal latino tardo excomunicare, «escludere dalla comunità dei fedeli») è la punizione destinata a un cattolico che abbia peccato gravemente sul piano morale o su quello della fede. Comporta l’esclusione dal diritto di ricevere o amministrare i sacramenti e, quindi, dalla comunità dei fedeli (cioè la Chiesa). Il provvedimento decade con l’assoluzione, che lo scomunicato può ottenere se dimostra un sincero pentimento.

    Esistono due gradi di scomunica: una maggiore che colpisce i cosiddetti vitandi (coloro che vanno evitati a causa di gravi errori); una minore che colpisce i tolerati (i tollerati).
    Alcuni dei peccati per i quali si incorre in scomuniche di questo tipo sono la profanazione dell’ostia e del vino consacrati per la comunione; la violenza fisica contro il pontefice; l’ordinamento di un vescovo senza l’approvazione del papa; aborto; eresia, che consiste nella contestazione di dogmi ufficiali della religione cattolica; lo scisma, cioè la separazione dall’autorità della Chiesa di Roma; apostasia, cioè l’abiura pubblica e solenne del proprio credo.

    Originariamente la scomunica era comminata ad personam, cioè a singoli individui la cui condotta era giudicata contraria alla morale cristiana e alla teologia. Nel XIII secolo, di fronte al diffondersi delle eresie, essa veniva anche inflitta, genericamente, a tutti coloro che non rispettavano un ordine impartito dalla Chiesa.
    Allo stesso tempo, il campo di applicazione della scomunica si estese, ed essa finì persino per colpire i debitori, facendo enormemente salire il numero degli scomunicati. E così, il prete, ogni domenica, durante la messa, recitava la lista dei cattivi cristiani, obbligati a uscire dalla chiesa prima dell’eucarestia.

    Questo uso indiscriminato riversò sulla scomunica papale un’ondata di impopolarità che indebolì il prestigio delle autorità ecclesiastiche.

    Celebri casi di scomunica


    - Nel 731 il papa Gregorio II scomunicò gli iconoclasti.

    - Nel 1054, quando si consumò lo scisma d'Oriente tra la Chiesa d'Occidente (cattolica) e Chiesa d'Oriente (ortodossa), il Papa (tramite i suoi inviati) e il Patriarca di Costantinopoli si scomunicarono a vicenda. Queste scomuniche vennero annullate soltanto nel 1964 in occasione dell'incontro tra il papa Paolo VI e il patriarca Atenagora I.

    Soprattutto nel Medioevo, ma anche in epoca più recente, numerosi regnanti hanno subito la scomunica:

    - nel 1076 l'imperatore Enrico IV fu scomunicato dal papa Gregorio VII, che egli a sua volta aveva dichiarato deposto, durante la cosiddetta lotta per le investiture. I principi tedeschi si ribellarono a Enrico, che fu costretto a umiliarsi davanti al Papa a Canossa per ottenere l'annullamento della scomunica.

    - L'imperatore Federico II di Svevia fu scomunicato il 29 settembre 1227 perché continuava a rimandare la crociata che da bambino aveva promesso al Papa. All’adempimento dell’impegno la scomunica venne annulata.

    - Il 23 marzo 1228, papa Gregorio IX conferma la scomunica di Federico II di Svevia. Il medesimo papa, libera Federico II dalla scomunica il 28 agosto 1230, dopo il trattato di San Germano

    - Quale seguito dell’occupazione di Ferrara da parte della Repubblica di Venezia, Clemente V emanò il 27 marzo 1309 la bolla "In omnem" con la quale anatemizzava la Serenissimae tutti i veneziani, dichiarandoli schiavi di chiunque li catturasse, testualmente: "Se, nel termine di 30 giorni, i Ferraresi non saranno lasciati liberi, il doge, i suoi consiglieri, tutti i Veneziani e tutti gli abitanti del dominio veneziano siano scomunicati e anche coloro che porteranno a Venezia vettovaglie o mercanzie d'ogni sorta o che compreranno qualcosa dai Veneziani. Il doge e i Veneziani non siano ammessi in giudizio come testimoni né possono far testamento; i loro figli non possono accedere a nessun beneficio ecclesiastico fino alla quarta generazione. I prelati e gli ecclesiastici di ogni grado nel raggio di dieci miglia da Venezia se ne allontanino entro dieci giorni pena la scomunica. Il doge e i consiglieri, i Veneziani tutti, se non obbediranno entro 30 giorni, siano servi di coloro che li cattureranno e i loro possedimenti siano di coloro che gli occuperanno".

    - Il 31 marzo 1376 Papa Gregorio XI scomunicò Firenze, impegnata nella guerra degli Otto Santi; gravi furono le conseguenze per i mercanti fiorentini, a partire dal loro saccheggio e cacciata da Avignone quello stesso anno. Fu revocata nel 1378.

    - Nel 1570, con la bolla “Regnans in Excelsis”, Pio V scomunicò e dichiarò deposta la regina Elisabetta I d'Inghilterra perché "eretica".

    - Il re d'Italia Vittorio Emanuele II ricevette ben tre scomuniche dal papa Pio IX per la sua politica ostile alla Chiesa, che culminò nell'invasione e annessione dello Stato Pontificio alRegno d'Italia. Tuttavia, quando il re fu in punto di morte, Pio IX inviò un sacerdote a impartirgli l'assoluzione.

    scomunica



    - Secondo il decreto del Santo Uffizio del 1 luglio 1949 (Scomunica ai comunisti) veniva dichiarato formalmente scomunicato chiunque, iscritto al partito comunista, abbracciava di fatto il materialismo ateo proposto dallo statuto del partito. La scomunica formalmente non è stata mai abolita, bensì è stata commutata da Giovanni XXIII durante la Concilio Vaticano II in latae sententiae a chi, per esempio, fa richiesta di non essere più considerato membro della Chiesa cattolica apostolica romana (Codex Iuris Canonici, can. 1364, § 1).

    Scomuniche recenti che hanno avuto risonanza mediatica:

    - il vescovo Marcel Lefebvre, fondatore di un gruppo tradizionalista "Fraternità Sacerdotale San Pio X" che rifiuta molte delle innovazioni introdotte dal Concilio Vaticano II, già sospeso a divinis nel 1976, nel 1988 è incorso nella scomunica latae sententiae per avere ordinato quattro vescovi senza mandato pontificio. La scomunica ai vescovi ordinati è stata revocata nel 2009.
    - il vescovo Emmanuel Milingo, postosi a capo di un movimento che propugna l'ordinazione di preti sposati e presa moglie lui stesso, nel 2006 è anch'egli incorso nella scomunica per aver ordinato dei vescovi senza permesso.
    - il docente di zoologia dell'Università degli Studi di Sassari, conte Marco Curini Galletti, ha ricevuto la bolla di scomunica dal Vescovo di Grosseto a seguito della sua richiesta di sbattezzo nel 2009.
     
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    L'isola che non c'è



    Seconda stella a destra
    questo è il cammino,
    e poi dritto fino al mattino
    non ti puoi sbagliare perché
    quella è l'isola che non c'è!

    E ti prendono in giro
    se continui a cercarla,
    ma non darti per vinto perché
    chi ci ha già rinunciato
    e ti ride alle spalle
    forse è ancora più pazzo di te! Edoardo Bennato



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    L'isola che non c'è esiste davvero. Non è solo una leggenda, come si narra. L'isola Ferdinandea, chiamata anche "Banco Graham" o Julia, si è formata durante una breve eruzione sottomarina nel 1831 nel Canale di Sicilia. L'eruzione con caratteri idromagmatici, ha portato alla rapida costruzione di un rilievo vulcanico esclusivamente piroclastico alto poche decine di metri sopra il livello del mare. La mancanza di una adeguata copertura lavica ha privato l'isola di una protezione dai flutti che, in effetti, l'hanno smantellata completamente nel giro di pochissimi mesi.
    Dalla fine dell'eruzione, varie crociere oceanografiche si sono succedute con l'intento di cartografare il fondale di quella zona e di monitorare una eventuale ripresa dell'attività vulcanica.
    Attualmente, ciò che rimane dell'isola vulcanica è un banco vulcanico ubicato a 37°09'48",95 di latitudine N e 12°43'06",85 di longitudine E, con la sommità che occupa un'area di circa 30 m2, con profondità variabile dagli 8 ai 12 metri e fondali circostanti molto irregolari che, a circa 200 metri dall'apice del banco, precipitano considerevolmente

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    Un pò di storia

    Nella notte fra il 10 e l'11 luglio 1831, a 26 miglia circa dalla spiaggia di Sciacca, a metà strada da Pantelleria, nella cosiddetta Secca del Corallo, in seguito ad una scossa tellurica, il vulcano sottomarino aprì la sua bocca eruttando scorie e lapilli, formando una piccola isola di circa quattro chilometri di circonferenza e sessanta metri d'altezza.

    Testimoni dell'evento furono i capitani Trafiletti e Corrao, naviganti in quel mare (latitudine 37,11 nord e longitudine 12,44 est) che osservarono un getto d'acqua a cui tennero dietro colonne di fiamme e di fumo che si elevavano ad un'altezza di 550 metri circa. Il 16 luglio si vide emergere la testa di un vulcano in piena eruzione e il 18 lo stesso capitano Corrao, di ritorno, osservò il cono del vulcano che sporgeva dal mare. Presto si vide emergere un'isoletta che crebbe sempre in eruzione e raggiunse, il 4 agosto, una base di tre miglia di circonferenza ed un'altezza di sessanta metri, con due preminenze, una da levante ed una da tramontana, a guisa di due montagne legate insieme; con due laghetti bollenti".

    Non appena venne diffusa la notizia dell'apparizione di questo piccolo lembo di terra, il primo studioso a giungere sul posto fu Karl Hoffman, docente di geologia presso l'Università di Berlino, che si trovava casualmente in Sicilia. Il tedesco, dopo aver fatto un'accurata ricognizione, riferì i risultati in una lettera indirizzata al duca di Serradifalco. Il governo borbonico, intanto, inviava subito sul posto il fisico Domenico Scinà, il quale compilava un "breve ragguaglio al novello vulcano apparso nel mare di Sciacca". Il prof. Carlo Gemmellaro, docente di Storia Naturale presso l'Università di Catania, provvedeva invece a stilare una relazione circostanziata che suscitava l'interesse di molti illustri uomini di cultura scientifica, soprattutto stranieri.

    L'isoletta suscitò subito l'interesse di alcune potenze straniere, che nei mari cercavano punti strategici per gli approdi delle loro flotte, sia mercantili che militari. L'Inghilterra, che col suo ammiraglio sir Percival Otham si trovava nelle acque dell'isola, dopo un'accurata ricognizione, prendeva possesso dell'isola in nome di Sua Maestà Britannica. Il 24 agosto giungeva sul posto il capitano Jenhouse e vi piantava la bandiera britannica, chiamando l'isola "Graham".

    Le proteste del popolo siciliano, insieme a quelle del capitano Corrao, arrivarono alla casa borbonica, proponendo di nominare l'isola "Corrao", chiedendo inoltre al re provvedimenti contro il sopruso inglese.

    Il 26 settembre dello stesso anno la Francia, per non essere da meno, inviava il brigantino "La Fleche", comandato dal capitano di corvetta Jean La Pierre, il quale recava con sé una missione diretta dal geologo Constant Prévost insieme al pittore Edmond Joinville, al quale si devono i disegni di quel fenomeno eccezionale. Furono fatti dai francesi approfonditi rilievi e ricognizioni accurate fino al 29 settembre, e il materiale raccolto venne inviato al viceammiraglio della flotta francese De Rigny. Il contenuto di queste relazioni stabilivano che l'isola, sotto l'azione delle onde, aveva subito diverse frane, che a loro volta avevano provocato grandi erosioni sui fianchi; quindi i crolli avevano trascinato con sé una grande quantità detriti. Pertanto l'isola, non avendo una base consistente, si poteva inabissare bruscamente. Come gli inglesi, anche i francesi non avevano chiesto alcun permesso al re Ferdinando II di Borbone, quale legittimo proprietario dell'isola, essendo questa sorta nella acque siciliane. Anzi i francesi la ribattezzarono "Iulia" in riferimento alla sua comparsa avvenuta nel mese di luglio, poi posero una targa a futura memoria con la seguente iscrizione: "Isola Iulia – i sigg. Constant Prévost, professore di geologia all'Università di Parigi – Edmond Joinville, pittore 27, 28, 29 settembre 1831". In segno di possesso venne innalzata sul punto più alto la bandiera francese.

    Il re Ferdinando II, constatando l'interesse internazionale che l'isoletta aveva suscitato, inviò sul posto la corvetta bombardiera "Etna" al comando del capitano Corrao il quale, sceso sull'isola, piantò la bandiera borbonica battezzando l'isola "Ferdinandea" in onore del sovrano.
    Sembrava che l'evento non suscitasse altro clamore, invece giunse sul posto il capitano Jenhouse con una potente fregate inglese e il Corrao con i suoi marinai, grazie alla mediazione del capitano Douglas, ottenne di rimettere la questione ai rispettivi governi.Non passò molto tempo che il pronostico francese cominciò ad avverarsi. Le persone che viaggiavano sul vaporetto "Francesco I" riferivano che l'isola aveva un perimetro di mezzo miglio e l'altezza si era abbassata.

    Verso la fine d'ottobre del 1831 il governo borbonico prendeva posizione ufficiale ed inviava ai governi di Gran Bretagna e Francia una memoria con la quale gli dava notizia dell'evento, ricordandogli che a norma del diritto internazionale la nuova terra apparteneva alla Sicilia. A quanto sembra però i due governi non risposero, e iniziarono le rivalità fra le due nazioni, entrambe interessate a favorire le loro posizioni strategiche nel Mediterraneo.

    Il 7 novembre di quell'anno, l'inglese Walker, capitano dell'Alban, la misurava e l'isola risultava ridotta ad un quarto di miglio con un'altezza di venti metri. Il 16 novembre si scorgevano soltanto piccole porzioni e l'8 dicembre il capitano Allotta, del brigantino Achille, ne costatava la scomparsa, mentre alcune colonne d'acqua si alzavano e si abbassavano. Dell'isola rimaneva un vasto banco di roccia lavica, che attualmente viene indicato nelle carte nautiche come "il banco Graham", a 24 miglia a nord-est di Pantelleria.

    Nel 1846 e nel 1863 l'isoletta è riapparsa ancora in superficie, per poi scomparire nuovamente dopo pochi giorni. Di essa rimanevano solo i molti nomi avuti in seguito alla disputa internazionale: Giulia, Nerita, Corrao, Hotham, Graham, Sciacca, Ferdinandea.

    Col terremoto del 1968 nella Valle del Belice, le acque circostanti il Banco di Graham furono viste intorpidirsi e ribollire. Forse era un segnale che l'isola Ferdinandea stava per riemergere. Così non fu, ma si segnalò un movimento nelle acque internazionali di alcune navi britanniche della flotta del Mediterraneo. A scanso di equivoci i siciliani posero sulla superficie del banco Graham una targa in pietra tra le cui righe si legge che "[...] l'Isola Ferdinandea era e resta dei Siciliani".



    Non sono certa che si possa annoverarla tra i "misteri"... forse no.
    Eppure, a proposito di terre misteriose,
    quest'isola e la sua storia mi hanno sempre affascinato.


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    FERDINANDEA


    La storia dell'isola, che non ha nulla di misterioso, è questa.
    il 5 luglio del 1831, al largo di Sciacca, tra tuoni, fulmini, saette, dal mare ribollente emerse un'isola nera, un piccolo vulcano in eruzione.
    In quello stesso periodo Ferdinando II di Borbone era in visita in Sicilia e, incuriosito dallo strano fenomeno, mandò subito sul luogo una nave reale.
    Ma anche gli inglesi erano molto interessati a un avamposto così strategico, tanto che inviarono due navi per esplorare il nuovo territorio e prenderne possesso.
    Così almeno racconta nelle cronache dell'epoca il capitano Shenouse, a sostegno del fatto che l'isola apparteneva agli inglesi, che la chiamarono "isola Graham".
    Neppure i francesi non si tirarono indietro: sbarcarono sull'isola e la fecero propria col nome di "Giulia".
    Nel frattempo i Borboni nell'agosto del 1831 decisero di annetterla al Regno delle Due Sicilie, come isola Ferdinandea.
    Dunque l'isola aveva tre nomi, ed era contesa tra tre grandi potenze: ma tanto interesse non fu sufficiente a contrastare le leggi naturali. Dopo soli cinque mesi, l'isola, così come era apparsa, scomparve di nuovo tra i flutti. Ancora oggi, a soli otto metri di profondità, si può raggiungere la vetta del vulcano.
    La scomparsa dell'isola non fece sopire le polemiche tra chi poteva vantare il fatto di aver messo piede sull'isola e chi non poteva dimostrare altrettanto.
    La gente del posto ricorda che furono i pescatori di Sciacca a sbarcarvi per primi, al comando di Michele Fiorini: l'isola dunque era dei siciliani. La leggenda dice che non vi piantarono una bandiera, bensì un remo: l'isola veniva dal mare e al mare sarebbe tornata.
    Per molto tempo ci si dimenticò di Ferdinandea, che giaceva ad una profondità variabile tra dieci e 25 metri sotto il livello del mare. Ma negli ultimi anni l’innalzamento del vulcano ha portato la cima ad una profondità di soli otto metri, facendo ipotizzare una nuova emersione. Da qui il problema: a chi appartiene?
    Non esistendo più il regno borbonico, inglobato nel Regno d’Italia, la Repubblica italiana se ne considera l’eventuale proprietaria per ragioni geografiche, anche perché Carlo di Borbone ha rinunciato a ogni diritto sull'isola, a favore dello stato italiano. Se Ferdinandea decidesse di riemergere, sarebbe dunque italiana.
    Ma qualche inglese non ha dimenticato l’Union Jack che, seppur per breve tempo, sventolò sulle sue rocce nude e, più per goliardia che per intima convinzione, ha suggerito che Sua Maestà Britannica potrebbe reclamarne la sovranità.
    Non resta che aspettare e vedere chi la spunterà... oppure, sperare che l'isola abbia più giudizio degli uomini e che non riemerga più in superficie.
    ([email protected] )


    Ferdinandea5

     
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    Hessy_Levinsons_Taft

    Il modello del perfetto bambino ariano fu presentato nel 1935 sulla copertina di Sonne ins Haus (“Il sole in casa”), una popolare rivista tedesca per famiglie di epoca nazista che fu tra l’altro consegnata a tutti i soldati del Terzo Reich.

    Chi è questa bellissima bambina?
    Il suo nome è Hessy Taft. È nata il 17 maggio 1934. Oggi è una bella e sorridente signora di 88 anni.
    Quando Hessy era piccolissima, circa 6 mesi, le venne scattata questa fotografia, da amico di famiglia.
    Qualche tempo dopo il volto di Hessy divenne il simbolo della propaganda nazista per pubblicizzare la perfetta razza ariana. Nulla di strano, almeno all’apparenza, se non fosse che Hessy era una bambina ebrea.
    Il fotografo, all’insaputa dei genitori della bambina, aveva inviato la sua foto ad un concorso.
    Tra migliaia di fotografie, era stata scelta proprio la sua, quella una bambina ebrea, per pubblicizzare la purezza della razza ariana.
    I genitori ebrei ashkenaziti di Taft, Jacob Levinsons e Pauline Levinsons (nata Levine), erano originari della Lettonia e non erano a conoscenza della decisione del loro fotografo di partecipare al concorso fino a quando non hanno saputo che la foto della loro figlia era stata selezionata dalla propaganda nazista Il ministro Joseph Goebbels come vincitore.
    Temendo che i nazisti scoprissero che la loro famiglia era ebrea, la madre di Taft informò il fotografo che erano ebrei. Il fotografo ha detto a sua madre, Pauline, che sapeva che erano ebrei e ha deliberatamente inserito la fotografia di Taft nel concorso perché "voleva rendere ridicoli i nazisti".

    E così il bel viso di Hessy era stato inserito in un manifesto pubblicitario, un vero e proprio poster di propaganda politica. L’intento del fotografo era di ridicolizzare i nazisti che invece non scoprirono mai di aver preferito a tanti perfetti bambini ariani, una bella bambina ebrea.
    Joseph Goebbels, ministro della propaganda, aveva elogiato questa scelta, ritenendola molto azzeccata.
    La verità fortunatamente non si seppe mai, altrimenti la vita della piccola sarebbe stata in pericolo.
    Uno scherzo ben riuscito, che aveva dimostrato semplicemente come la purezza della razza fosse un mucchio di sciocchezze.


    ....

    800px-WernerGoldberg

    Werner Goldberg (3 ottobre 1919 - 28 settembre 2004) era un tedesco di origini per metà ebraiche, o Mischling nella terminologia nazista , che prestò servizio per un breve periodo come soldato durante la seconda guerra mondiale. La sua immagine è apparsa sul Berliner Tageblatt come "Il soldato tedesco ideale", ed è stata successivamente utilizzata nei manifesti di reclutamento e nella propaganda per la Wehrmacht.

    Goldberg lasciò la scuola nel 1935 e divenne apprendista presso Schneller und Schmeider , un'azienda di abbigliamento di proprietà congiunta di un ebreo e un non ebreo, dove molti dei suoi colleghi erano ebrei o Mischlinge. Lo zio materno di Goldberg si unì al partito nazista e rifiutò di farsi vedere con la famiglia Goldberg, evitando persino la madre di Goldberg.

    All'inizio del 1938, Goldberg servì un mandato di sei mesi nel Servizio del lavoro del Reich la cui uniforme, come ricordò in seguito Goldberg, "aveva una svastica su un bracciale". Il 1 ° dicembre 1938 Goldberg si unì all'esercito tedesco. Prese parte all'invasione della Polonia il 1 settembre 1939, prestando servizio insieme all'amico d'infanzia Karl Wolf, il cui padre era ora un alto ufficiale delle SS.

    La fotografia di Goldberg è apparsa nell'edizione domenicale del quotidiano Berliner Tagesblatt con la didascalia "Il soldato tedesco ideale" (" Der ideale deutsche Soldat "); la fotografia era stata venduta al giornale dal fotografo ufficiale dell'esercito. Successivamente è stato utilizzato sui manifesti di reclutamento.

    Nel 1940, in seguito all'armistizio con la Francia , Goldberg fu espulso dall'esercito sotto l'ordine di Hitler dell'8 aprile 1940, che stabiliva che tutti i Mischlinge di primo grado dovevano essere congedati dall'esercito. Tornò al suo ex posto di lavoro, che ora aveva cambiato nome in Feodor Schmeider, essendo stato obbligato a rimuovere il nome ebraico Schneller. Goldberg ha svolto un ruolo sempre più responsabile all'interno dell'azienda, ottenendo contratti per uniformi dall'esercito e dalla marina. Frequentò anche la scuola del Comitato del Reich per gli studi sul lavoro ( Reichsausschuss für Arbeitsstudien, RAFA), dove è stato uno dei quattro studenti su 80 che hanno superato il test per diventare insegnante RAFA. Successivamente è diventato docente del Labor Studies Board sull'industria dell'abbigliamento e ha tenuto conferenze a organizzazioni e direttori di società, pubblicando anche un articolo nella pubblicazione settimanale di settore Textilwoche .

    Nel dicembre 1942, il padre di Goldberg fu ricoverato in ospedale. La Gestapo, tuttavia, fece irruzione nell'ospedale e lo mandò in un ospedale che era stato requisito dalla Gestapo per essere utilizzato come prigione, da cui gli ebrei sarebbero stati prelevati e inviati ad Auschwitz. Alla vigilia di Natale, scommettendo che le guardie sarebbero state ubriache o assenti, Goldberg portò via suo padre dall'ospedale. Il vecchio Goldberg tornò presto nelle mani della Gestapo e nell'aprile 1943 fu convocato per la deportazione; Werner gli disse di non presentarsi e si salvò nuovamente. Il padre e il figlio furono gli unici membri della loro famiglia a sopravvivere alla guerra.

    Werner Goldberg in seguito si unì all'Unione Cristiano Democratica di Germania e prestò servizio per vent'anni tra il 1959 e il 1979 come politico dell'Abgeordnetenhaus di Berlino a Berlino Ovest.

     
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    Qasr al-Farid, il "castello solitario", è un'incredibile struttura di 1900 anni. Qasr al-Farid è una tomba ricavata in una roccia, costruita dal popolo dei Nabatei nel I secolo d.C.. La sua particolarità è quella di ergersi nel bel mezzo di un panorama arido e "vuoto" di alcune aree dell'Arabia Saudita.

    I Nabatei avevano una tecnica di costruzione unica che prevedeva la costruzione di tombe scavate nella roccia. Il Qasr al-Farid è uno dei simboli più iconici di tutta la regione di Mada’in Saleh. Il sito si trova a circa 1.400 chilometri a nord della capitale Riyadh, ed è una delle 131 tombe monumentali scavate nella zona secoli fa.

    A differenza di altre tombe nei suoi dintorni, la facciata del Qasr al-Farid ha quattro pilastri anziché due. Poiché la qualità del lavoro è più grossolana nella parte inferiore della facciata della tomba, è stato suggerito che il monumento sia stato modellato dall'alto verso il basso.



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