CURIOSITA' STORICHE....

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  1. gheagabry
     
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    L'invenzione del PARLAMENTO



    Era una giornata afosa d'estate quando i signori feudali del Friuli, le alte cariche ecclesiastiche ed i rappresentanti dei castelli e dei borghi si recarono a Cividale, convocati dal patriarca di Aquileia. Era il 6 luglio del 1231, in pieno Medioevo, bisognava stabilire i dazi da far pagare sul territorio. Il Friuli era la porta attraverso la quale passava tutto ciò che dall'Europa centro-orientale giungeva in Italia, e viceversa. Bisognava concordare una politica comune per evitare la dispersione di ricchezza che non sarebbe andata a vantaggio di nessuno. Forse non lo sapevano, ma i partecipanti a quell'assemblea stavano dando vita al primo parlamento, più antico persino di quello inglese (1265)...Il parlamento del Friuli fu il primo a svolgere un ruolo più ampio, che può essere paragonato per molti aspetti a quello elle assemblee moderne.
    Tutto ebbe inizio nel 1077, quandi il Friuli era parte del Sacro Romano Impero. L'imperatore Enrico IV aveva ritenuto il patriarca di Aquileia (un vescovo) meritevole non solo di esercitare il potere spirituale, ma anche di ottenere in feudo vasti territori nell'attuale Canton Ticino, nella Carinzia, nell' Istria e nel nord-est d'Italia. Nacque così la "Patria del Friuli". In queste zone era già prassi riunirsi in assemblee, retaggio delle riunioni tribali introdotte dai Barbari al tramonto dell'Impero romano. Fu naturale che queste riunoni si formalizzassero in una tipologia i Stato. Alle sedute del Parlamento erano ammessi i rappresentanti dell comunità locali e persino dei monasteri femminili. Si riuniva a Campoformido, a Cividale, a San Daniele e a Udine, nel castello dove ancor oggi esiste la "sala del Parlamento". Le sue funzione erano molteplici: era un tribunale d'appello, vi si prendevano le decisioni in materia di guerra e di pace e, cosa unica e rara, vi venivano perfino proposte nuove leggi.
    Per ottenere una maggiore efficienza nell'azione di governo, il patriarca era affiancato a un organismo più agile e snello del parlamento: il Consiglio. Questo organo era eletto dai parlamentari. Era stato creato perchè vista la difficoltà di tenere frequenti assemblee plenarie alla presenza di tutti i 70 membri del parlamento, non si intendeva lasciare il patriarca da solo nelle decisioni, con il rischio che avocasse a sé troppo potere: in un certo senso il Consiglio era un sistema di controllo. Nel 1366, il Parlamento, arrivò persino ad emanare una sorta di "costituzione". La Costituzione della Patria del Friuli" resta ancor oggi uno dei testi fondanti del pensiero democratico.
    (tratto da Storia, Focus - feb 2014)
     
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  2. gheagabry
     
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    LA GUERRA DEGLI SPECCHI




    Dal 1291 Murano è la capitale della lavorazione del vetro. I Maestri vetrai sono obbligati per legge a lavorare sull’isola. Concentrare le vetrerie a Murano assicura alla serenissima la segretezza delle tecniche. Il processo di lavorazione è segretissimo, il vetro di Venezia è famoso in tutto il mondo ma nessuno sa come venga realizzato.
    Per mantenere il monopolio i maestri vetrai venivano sorvegliati scrupolosamente. I segreti importanti non erano solo quelli legati alla produzione, ma anche quelli relativi alla colorazione del vetro stesso, che nel 1500 era composto da ceneri delle alghe della laguna. Chi portava fuori dell’isola questi Segreti magari allettati da guadagni maggiori erano condannati a morte. Per tutelare il monopolio i manufatti in vetro potevano essere venduti solo a Murano. In questo periodo i veneziani tenevano moltissimo a proteggere i loro segreti ed i maestri vetrai venivano trattati con estremo riguardo, sempre che non divulgassero i loro segreti. Orari e condizioni di lavoro venivao stabiliti dalla legge erano previste persino la malattia e l’indennità. I maestri e i soffiatori di vetro dell’epoca avevano dei grandi vantaggi per esempio quello di sposare la figlia del Doge e di diventare loro stessi nobili.

    Grazie all’abilità dei soffiatori infatti l’arte vetraia era divenuta una specialità inimitabile che durerà nei secoli. A Pisa, Ferdinando de’ Medici convinse alcuni maestri vetrai ad aprire una fornace, il successo di quella prima “esportazione di tecnologia” fu all’origine di una piccola diaspora (a metà del 1600) le cui dimensioni cominciarono a destare preoccupazione a Venezia. Per porvi un freno e lanciare un “segnale” inequivocabile, la Serenissima ricorse ad alcune misure di varia natura, alternando carota (gli incentivi al rientro) e.. bastone. In che senso? Giudicate voi: nel 1658, il maestro vetraio Giovan Domenico Battaggia venne trovato morto per ragioni su cui esistono due versioni ufficiali. La prima è quella del medico (veneziano) di famiglia, secondo cui il decesso era dovuto a “quest’aria di Pisa che nella staggion del caldo è pessima e dolorosa”. La seconda, avvalorata da una confessione scritta di tale Bastian de’ Daniel, parla invece di un veleno personalmente consegnatogli dagli Inquisitori (della Serenissima) “col quale ho tolto di mezzo anche altri due operai, come è ormai di pubblico dominio a Murano”. Quale che sia la verità su quel decesso (altre morti simili si verificarono durante la “guerra degli specchi”), fra il 1659 e il 1660 tutti i transfughi (in terra toscana, che allora era terra “straniera”) rientrarono in laguna.

    "Nel 1665, a Murano, in una notte piovosa di maggio, tre uomini stavano parlando a bassa voce nell'ombra di un sotoportego. Due erano abbigliati con sobrie vesti scure. Il terzo, lasciava intravedere, sotto un ampio mantello nero, la manica ricamata di un'elegante marsina. Tutt'e tre si guardarono intorno con lunghe occhiate sospettose. Non appena furono sicuri che nessuno li seguisse, fecero cenno a un gondoliere che si accostò silenziosamente e li trasportò verso una barca ormeggiata più lontano.
    Tutto si svolse così rapidamente che gli agenti del Consiglio dei Dieci, incaricati della sorveglianza dell’isola, non si accorsero di nulla. Solo all'indomani, all'alba, gli sbirri della Serenissima cominciarono a dare la caccia ai tre in un inseguimento che da Ferrara li condusse a Torino e a Lione, senza mai riuscire a fermarli. Qualche giorno dopo, i tre fuggiaschi raggiungeranno Parigi.
    Ma chi erano mai quei misteriosi personaggi?
    L'uomo elegante era un aristocratico francese, una spia incaricata dal potente Ministro delle finanze di Luigi XIV, Jean-Baptiste Colbert, di una missione segreta. Il suo compito non è facile, ma ha avuto l’ordine di portarlo a termine ad ogni costo. Deve fare in modo di condurre a Parigi un piccolo gruppo di vetrai che riuscì a reclutare a Murano. I due di quella notte sono i primi a partire.
    Ci volle tutta la sua abilità per convincerli a superare i loro timori con promesse mirabolanti di denaro e bella vita."
    (La vicenda degli specchi è rievocata nel romanzo di Clare Colvin, Il palazzo dei riflessi, ed Il Corbaccio 2004. http://senzadedica.blogspot.it/)


    Tra il 1664 e il 1667 avvenne una vera "guerra degli specchi" tra Kolbert, Ministro di Luigi XVI e Venezia. L’Ambasciatore francese a Venezia convinse in gran segreto grazie a paghe altissime alcuni Maestri di Murano ad andar in Francia. Gli inquisitori di Stato Veneziano misero all’ora in atto ogni mezzo per recuperare i fuggitivi sguinzagliarono spie, scrivendo false lettere delle mogli e avvelenarono persino uno dei vetrai, alla fine i superstiti tornarono a Venezia terrorizzati. Ma una volta imparati tali segreti e avviata la produzione in Francia, i francesi congedarono le maestranze (quelle che rimasero) muranesi accusandole di essere “incostanti, volubili e di pessimo carattere”. I transfughi a quel punto rientrarono in patria, ma le quote di mercato no: i francesi ormai avevano imparato a farseli da soli, quegli specchi che adorneranno la reggia di Versailles nel 1682.
     
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  3. gheagabry
     
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    LO STRANO CASO DI KASPAR HASEUN



    Nella Norimberga del 1828, il 26 maggio, lunedì di Pentacoste, comparve un ragazzo di circa 16 anni, di bassa statura, spaesato, all’apparenza ritardato e dai modi alquanto singolari. Aveva una lettera indirizzata al capitano di cavalleria Von Wessening con mittente sconosciuto che asseriva di aver dato ricovero in casa sua a un neonato, il 7 ottobre 1812, e di averlo curato come poteva. Aggiungeva, inoltre di aver fatto vivere il bambino in totale isolamento e di averlo rilasciato perché cresciuto e con il desiderio di servire nell’esercito. Alla missiva era allegata una presunta lettera della madre al momento dell’abbandono, in cui la donna asseriva che il bambino fosse di un ufficiale di cavalleria, successivamente morto. Condotto davanti a Von Wessening, il giovane farfugliò “Voglio essere cavaliere come mio padre”. Inizia così l’enigma Kaspar Hauser. Il ragazzo sapeva scrivere il suo nome e recitare qualche preghiera, ma possedeva un limitatissimo vocabolario, sembrava non capire gran parte delle cose che gli venivano dette, si comportava come un bambino curioso, si spaventava facilmente, riusciva a mangiare solo pane, rilevava problemi di percezione e camminava goffamente. Col tempo raccontò una storia agghiacciante: sostenne di aver passato tutta la vita in una piccola e buia prigione sotterranea. Dormiva su un letto di paglia e il suo unico compagno di giochi era un cavallo di legno.
    Ogni mattina trovava pane e acqua vicino alla sua cella e ogni tanto veniva sedato con qualche sostanza, per poi svegliarsi pulito, con unghie e capelli tagliati. Negli ultimi tempi un uomo lo aveva portato a Norimberga. Il caso su seguito dal giurista Anselm von Feuerbach, fu affidato al filosofo Georg Friedrich Daumer che si dedicò alla sua istruzione, imparò a leggere, scrivere, a parlare e mostrò una propensione per l’arte e il disegno. Sembrava che tutto si fosse sistemato, ma il 17 ottobre 1829, il ragazzo fu trovato sanguinante in cantina: affermava di essere stato assalito. Dopo tale episodio il ragazzo continuò a preregrinare…fu affidato a Johann Biberbach, ma quando si ferì involontariamente con una pistola venne trasferito dal coonte Philip Henry Stanhope che poi lo abbandonò affidandolo al maestro J.G. Meyer che lo fece lavorare come copista in un ufficio legale fino al 14 dicembre 1833, giorno in cui fu accoltellato. Kaspar gravemente ferito spirò il 17 dicembre.
    Secondo le teorie “complottistiche “ egli era figlio “scomodo” o perduto di un personaggio importante dell’epoca. Secondo altre ipotesi il ragazze era un impostore affetto da problemi psichiatrici che fanno pensa alla sindrome di Munchhausen. (tratto da un articolo di Elisabetta Diminico, History)
     
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  4. gheagabry
     
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    LEGGENDE ... LE ORIGINI ....



    Tanto tempo fa, i viandanti nelle pause del loro peregrinare, ricambiavano l'ospitalità che veniva loro offerta, raccontavano quello che avevano visto o sentito durante il lungo viaggio. La loro capacità era quella di saper arricchire con dettagli fantasiosi e inventati, le storie che avevano sentito in un altro lontano villaggio, così che un lupo che aveva attaccato un gregge di pecore, diventava un mostro mangiatore di persone, una tigre che si era strofinata su una pianta esotica conferendogli proprietà fosforescenti, diventava un essere dai poteri magici, o ancora, gli ultimi superstiti di animali preistorici, diventavano dei draghi sputa fuoco. E così che nacquero le leggende, e per dargli più credibilità le legarono a uomini le cui gesta erano già conosciute, accrescendo il loro mito. Se da un lato questi racconti potevano aumentare la paura verso l'ignoto di alcune persone, dall'altro stimolavano la fantasia di altri, che spinti dalla voglia di avventura, partivano in cerca di nuovi orizzonti. I progressi che l'uomo ha avuto in tutti i campi scientifici e artistici, sono tutti dovuti al mistero che, se da un lato incute paura, dall'altro incuriosisce e attira quelle persone temerarie che con il loro coraggio hanno contribuito ad accrescere la conoscenza.Sin dai tempi più antichi gli uomini hanno sentito l'esigenza di interrogarsi sul modo in cui poteva essersi formatol'universo, sulla nascita del genere umano e sulle cause dei fenomeni naturali che accompagnavano, ma spesso anche sconvolgevano, la loro vita. Non possedendo ancora gli strumenti del pensiero filosofico e scientifico, essi si affidarono alla fantasia, personificarono e divinizzarono le forze benigne e maligne da cui si sentivano circondati e diedero vita a un vasto patrimonio di storie, per loro sacre e veritiere, che sono giunte a noi attraverso le più svariate fonti letterarie e artistiche: poemi, inni, rappresentazioni teatrali, pitture, sculture, bassorilievi. Questi racconti terribili e meravigliosi, che narrano le origini dell'universo, degli uomini e degli dèi e hanno per protagonisti esseri soprannaturali, prendono il nome di miti, dal greco "múthos", che originariamente designava la «parola» e in particolare la «parola solenne e sacra di un dio».Il mito pertanto non è un racconto del tutto favoloso e inverosimile, come potrebbe apparire agli occhi di un uomo moderno, abituato a vivere in un mondo dominato dalla scienza e dal pensiero razionale, ma racchiude una sua «verità»,poiché è un modo di conoscenza e di appropriazione della realtà tipico delle società primitive, antiche e moderne. Infatti, anche se la mitologia greca (ovvero il complesso dei miti greci) è la più familiare alla nostra cultura, va precisato che non solo i Greci, ma tutti i popoli antichi (così come le popolazioni primitive ancora oggi esistenti in alcune zone della terra:Africa, Australia, Amazzonia) hanno elaborato e tramandato un patrimonio di miti che presentano significativi punti di contatto tra loro. I miti avevano anche la funzione di spiegare l'origine di un certo rituale, di un tempio, di una festa (sono questi i miti eziologici, dal greco "aítion" che vuol dire «causa») ed erano strettamente collegati alle cerimonie religiose. Anche se risalgono a epoche lontanissime dalla nostra e hanno perduto ormai l'aura sacrale che li circondava, i miti con le loro vicende sovrumane, metamorfosi animalesche, epiche battaglie e agghiaccianti fatti di sangue, continuano a esercitare un fascino al quale non è facile sottrarsi.



    dal web
     
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  5. gheagabry
     
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    IL REGNO DI KUSH



    La Nubia era conosciuta dall'Egitto faraonico come "paese di Kush", citato anche dalla Bibbia, Kush divenne, per gli storici e i geografi greci e romani, Ethiopia, la sconosciuta terra dei "visi bruciati".
    I Kush furono un popolo che visse e prosperò nella valle del Nilo, accanto agli Egizi. Un popolo antichissimo che si sviluppò intorno al 3000 a.C. nella regione della Nubia, a sud dell'Egitto, ma che ha lasciato alla storia poco o nulla, a parte un grande centro per la lavorazione dell'oro: forse, il più grande dell'antichità. Tutto è iniziato con il ritrovamento casuale, durante gli scavi per la costruzione di una diga, di un centro per la lavorazione dell'oro a Hosh el-Geruf, a 350 chilometri da Kartoum, l'attuale capitale del Sudan.

    Del regno di Kush, la prima civilizzazione urbana nell'Africa sub-sahariana, fino ad oggi ci è stato tramandato ben poco: i Kush, a differenza dei loro vicini Egizi, non hanno lasciato tracce architettoniche rilevanti né un sistema di scrittura o grandi centri urbani. Come per gli egizi, l'asse dello sviluppo della civiltà di Kush fu il fiume Nilo sulle cui rive si formarono vari centri di civilizzazione tra cui Kerma, Napata e Meroe. Per lunghi periodi la storia della regione fu influenzata e legata a quella dell'antico Egitto con un'alternanza di periodi di dominazione egizia e di autonomia politica. Fiorita in un periodo in cui l'attraversamento del Sahara era meno arduo di quanto non sia oggi, la civiltà di Kush ebbe probabilmente un ruolo determinante come tramite culturale fra i popoli del bacino del Mediterraneo e quelli dell'Africa subsahariana. Ma nulla si sa dell'organizzazione economica e sociale del regno dei Kush, né l'esatta espansione territoriale: il centro di produzione dell'oro ritrovato dagli archeologi si trova in prossimità della quarta cateratta del Nilo, dove nessuno pensava che i Kush fossero arrivati.

    Le scarne notizie su questo popolo sono giunte fino a noi attraverso gli stessi Egizi, che parlano di una civiltà fiorente e dedita soprattutto alla lavorazione dell'oro. I pochi dati in nostro possesso sembrano confemare che il regno di Kerma esistette comunque fino al 1500 a.C. quando l'Egitto, sotto la direzione dei potenti sovrani della XVIII dinastia riprese l'espansione verso sud questa volta con intenti colonialistici. Thutmose III sposta il confine alla quarta cateratta, a sud di Kerma, e fa costruire una rete di fortezze da cui l'esercito possa controllare la regione che diviene una fonte di approvvigiamenti per l'impero. In questa fase il governatore egizio della Nubia, spesso un principe di sangue reale, riveste il titolo di Figlio del re di Kush.
    Diodoro Siculo riporta la tradizione di un re, di nome Ergamenes, che avendo ricevuto dai sacerdoti l'ordine di suicidarsi lo rifiutò facendo giustiziare i sacerdoti stessi. Alcuni storici vedono nel nome Ergamenes il re Arrakkamani, il primo ad essere sepolto a Meroë. Le fasi del declino del regno meroitico sono scarsamente definite. Sappiamo che durante l'impero di Nerone una missione diplomatica giunge a Meroë (Plinio il Vecchio - Naturalis Historia 6.35).


    Kush era inizialmente diviso in varie entità politiche contro le quali gli egiziani dovettero combattere. Intorno al 2300 a.C. i re di Kerma riuscirono a unificare la regione e a estendere il loro dominio a Sud fino alla quarta cateratta (primo regno di Kush.). Quando l’Egitto, nel II Periodo Intermedio (1650-1550 a.C.), perse la sua unità e con questa il suo potere, i kushiti si impadronirono delle fortezze egiziane sul Nilo e si attestarono a Nord fino all'isola Elefantina. Vi furono rapporti commerciali e diplomatici con i re hyksos, che regnavano nel Delta egiziano, utilizzando la pista che passava per le oasi ad Ovest del Nilo. All’indipendenza di Kush pose fine Thutmosi I, che raggiunse Kerma e la distrusse (1500 a.C.). I suoi successori arrivarono poi fino a Kurgus, che segnò il punto più meridionale della penetrazione egiziana. La colonizzazione egiziana, durata circa 500 anni, ebbe un’influenza profonda sulla religione e sui costumi dei kushiti, anche se la presenza egiziana sembra essere stata numericamente trascurabile. Nell’VIII sec. a.C. un nuovo regno indipendente di Kush si formò a opera di principi guerrieri nativi della città di Napata, che estesero il loro dominio dal confine egiziano fino alle regioni del Sudan centrale e occuparono l’Egitto per circa un secolo (XXV dinastia). Alara è il primo sovrano di cui si conosca il nome; più noto è Kashta che si attestò a Elefantina; ma la conquista dell’Egitto si ebbe con Piankhy (747-716 a.C.). Le alterne vicende della dominazione kushita in Egitto ruotano soprattutto intorno al conflitto con gli assiri. Quando la pressione assira divenne incontenibile, Tantamani abbandonò l’Egitto e si ritirò nella sua terra di origine dove continuò a regnare (664-656 a.C.). Nel breve periodo della dominazione in Egitto i sovrani kushiti avevano adottato l’organizzazione, i modi, la lingua e l’ideologia della regalità faraonica, ispirandosi soprattutto ai periodi più antichi e gloriosi della civiltà egizia. I sovrani, abbandonato l’uso delle tradizionali tombe a tumulo, fecero costruire nelle loro necropoli delle piramidi (Kurru, Nuri e Meroe), che in Egitto erano ormai desuete. La dinastia risiedette a Napata fino al III sec. a.C. In seguito, per circostanze che si ignorano, Meroe divenne la capitale del regno. Il periodo detto «meroitico» fu la continuità del periodo di Napata, ma anche peculiarità importanti come l’adozione della lingua meroitica come lingua ufficiale scritta e la comparsa di una nuova cultura materiale.

    "Ascoltate voi, che siete in vita sulla terra... Kush è venuto... Si è mosso in tutta la sua estensione, ha sollevato le tribù di Wawat... la Terra di Punt e la Medjaw...forza della grande Nekhbet..forza del cuore contro i Nubiani, che sono stati bruciati nel fuoco", mentre il "capo dei nomadi è sceso attraverso l'esplosione della sua fiamma"
    (Sobeknakht ai sopravvissuti)


    Un’iscrizione di 3500 anni fa, conservata presso il British Museum, dimostra che il regno di Kush sudanese riuscì a distruggere i suoi vicini settentrionali. L'iscrizione fornisce dettagli importanti, in precedenza sconosciuti, di battaglie senza precedenti "sin dai tempi di dio" ossia dall'inizio dei tempi. Le descrizioni contemporanee egiziane hanno indotto gli storici a ritenere che il regno di Kush fosse debole e in uno stato di barbarie per centinaia di anni, anche se vantava una società complessa con vaste risorse d’oro e dominava le principali rotte commerciali nel cuore d'Africa. Esso infine conquistò l'Egitto, nel secolo VIII a.C.

    "Hanno spaziato oltre le montagne, il Nilo, senza limiti. Questa è la prima volta che ne abbiamo la prova. Chiaramente Kush, in quel momento, conquistando l'Egitto, s’impadronì del supremo potere nella Valle del Nilo.
    "Se si fossero limitati ad occupare l'Egitto, i Kushiti potrebbero averlo eliminato. Si sarebbe raggiunta l’estinzione della civiltà dell’antico Egitto. Ma gli Egiziani erano abbastanza resistenti per sopravvivere, e poco dopo iniziò la grande età imperiale nota come il Nuovo Regno. I Kushiti non erano interessati a prolungare l’occupazione. Essi si limitarono al saccheggio di molti oggetti preziosi, un simbolo di dominazione. Essi fecero molti danni".

    (Vivian Davies, Custode del Dipartimento del museo dell’Antico Egitto e del Sudan al British Museum)
     
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  6. gheagabry
     
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    Peccati di gola



    Il peccato di gola o golosità appartiene ad uno dei sette vizi capitali che la Chiesa condanna, ritenendolo pericoloso proprio perché passa inosservato e non se ne conoscono gli effetti negativi che non sono pochi né di poca importanza. D'altra parte la prima tentazione con cui il Demonio si rivolge a Gesù dopo il suo digiuno di quaranta giorni nel deserto, riguardò appunto la soddisfazione della gola mediante la trasformazione delle pietre in pane (Lc 4, 1 – 13). La vita di Gesù e dei suoi Apostoli non è fatta di grandi mangiate, in ragione della povertà della loro condizione; tant’è che due volte si sono trovati in situazione di precarietà, per la presenza al seguito di una grande moltitudine di gente e Gesù è dovuto ricorrere al miracolo dei pani e dei pesci. Il peccato di gola lo riscontriamo in gente comune ed anche in molti ecclesiastici in alcuni periodi della storia della Chiesa. Alcuni papi e cardinali sono rimasti famosi per la loro ingordigia e per essersi circondati di scalchi (pregustatori), cuochi e sommelier e per aver organizzato pranzi luculliani nei palazzi apostolici che sono ricordati dalla storia. Dal Rinascimento al Settecento grandi banchetti caratterizzano la vita di corte di papi e cardinali, soprattutto alla corte di Avignone. Si ricordano pranzi faraonici di Bonifacio VIII, di Giovanni XXII, di Clemente VI (ben 27 portate), Martino V nell’anno santo del 1423, Paolo II a Venezia (l’abbondanza è tale che gli avanzi vengono buttati dalla loggia di piazza San Marco al popolo che si ammazza per arraffare il più possibile e non per ingordigia; ma per autentica fame). Memorabile è un banchetto del cardinale Pietro Riario articolato in sei giorni, dal sabato 5 giugno del 1473, vigilia di Pentecoste, a giovedì successivo, nel suo palazzo apostolico : ogni giorno il banchetto ha la durata di sei ore, suddiviso in tre portate di 42 vivande. Non gli sono da meno Sisto IV ed Alessandro VI; né tantomeno Pio V e Sisto V. I banchetti furono poi sospesi e ristabiliti in epoca barocca da Urbano VIII a Castelgandolfo. Si segnala il pranzo speciale in onore del papa organizzato da Donna Olimpia Aldobrandini il 12 ottobre 1625, alla presenza di 12 cardinali e numerosi patrizi romani. Il costo di 2000 scudi è stratosferico per l'epoca, come a dire 200.000 euro di oggi! L’ultimo papa dedito ai banchetti sarà Pio V che, nonostante l’insorgere del giacobinismo, si fa promotore di abbuffate pazzesche. Oggi il desinare dei papi desta la curiosità della gente comune e riempie le pagine di tanti rotocalchi che avrebbero altrimenti poco da scrivere. Si segnala la golosità di Pio IV per budini, sformati e cosce di rane fritte con aglio e prezzemolo. Gregorio Magno andava pazzo per le ciliegie, mentre Martino IV ghiotto di anguille che, secondo la leggenda, gli avrebbero procurato la morte per indigestione. Pio II ha voglia insaziabile di cacio pecorino che accompagna con fave, noci e pere; annaffiato da un buon bicchiere di Chianti. Leone X fa passare per “quaresimali” “granelli di pollo, legumi, agnello e vitello cotti al burro” e preparati espressamente per lui. Pio IX termina ogni volta il pasto col bignè alla crema, accompagnato da un bicchiere di Bordeaux rosso. Mentre tra i papi del Novecento s’impone la golosità di papa Giovanni XXIII che non nasconde le sue origini contadine e si fa preparare dalle suore piatti a base di verdure e polenta con farina esclusivamente del bergamasco e non disdegna taleggio e robiola. Paolo VI è l’ultimo papa amante della tavola ed anche per lui cucina prevalentemente contadina a base di “polenta e osei” ed uccelletti “scappati”, ovvero involtini di vitello ripieni di prosciutto crudo e parmigiano, rosolati al burro ed al vino bianco. Una specialità per niente peccaminosa.
    Il piacere del mangiare e del bere è una delle cose belle della vita che va considerato un mezzo necessario e non un fine. Basterebbe soltanto ricordarsi che si mangia per vivere e non si vive per mangiare!
    Diventa ancora molto più grave il peccato di gola se pensiamo che, ancora oggi, a fronte di pochi che mangiano a quattro ganasce, c'è una moltitudine di persone che si puzza di fame!
    (le notizie riportate sono prese da “I peccati del Vaticano” di Claudio Rendina- Newton Compton Edizioni- seconda edizione 2009).

     
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  7. gheagabry
     
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    Questo signore è Eduard Bloch, medico ebreo austriaco della famiglia Hitler. Esercitò la sua professione a Linz, in Austria, ed ebbe in cura entrambi i genitori di Adolf per quasi un decennio.
    A causa del disagio economico degli Hitler, Bloch si fece sempre pagare un onorario ridotto e a volte non prese soldi affatto. Nel 1907 diagnosticò un cancro al seno alla madre di Adolf, Klara Pölzl, i cui dolori furono leniti dall'assunzione quotidiana di farmaci prescritti da Bloch, che si dice le avesse allungato la vita e alleviato le sofferenze prima della sua inevitabile scomparsa quello stesso anno.
    Nel 1925 Hitler gli riservò un ringraziamento speciale nel suo memoriale "Ich werde Ihnen ewig dankbar sein" e nel 1937 parlò di lui chiamandolo "Edeljude", ebreo nobile, di cui provava profondo affetto e stima. Un anno dopo, nel 1938, Bloch scrisse una lettera a Hitler chiedendogli aiuto e quindi fu messo sotto protezione speciale della Gestapo: era l'unico ebreo a Linz con tale privilegio.
    Nel 1940 Bloch emigrò negli Stati Uniti, a New York, senza esercitare più la professione medica dato che la sua laurea non era riconosciuta negli States. Nel 1941 e nel 1943 fu contattato dai servizi segreti americani per informazioni riguardo all'infanzia di Hitler in cui ricordò che la madre di questi fosse molto pia e gentile e che il figlio, alla sua imminente morte, fosse "la persona più triste che avesse mai visto".




    Grazie ad Edoardo Pivoni per foto e didascalia!

    Le fotografie che hanno fatto la storia, facebook
     
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  8. gheagabry
     
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    Ginevra, vigilia di Natale del 1924. Alcuni importanti dirigenti di grandi aziende europee si incontrano nello studio del notaio e siglano l’accordo del quale solo qualche decennio dopo si riconoscerà la portata storica. Anche se per motivi tutt’altro che nobili. Nasce, in quell’occasione, Phoebus , un associazione che riunisce i più importanti produttori mondiali di lampadine, tra cui la tedesca Osram, l’olandese Philips, l’ungherese Tungsram, la francese Compagnie des lampes e l’italiana Società Edison Clerici. Scopo del’accordo..creare oggetti fatti per non durare. L’americana General Electric non è membro diretto, ma parteciperà attraverso accordi già stipulati in precedenza con Osram e Philips, fritto di una felice collaborazione in tema di brevetti che durerà nel tempo. A capo di Phoebus, l’uomo che di questa di questa collaborazione internazionale è l’ideatore William Meinhardt, presidente della Osram, vero gigante industriale che già all’epoca vanta la partecipazioni azionarie nelle società europee.”Phoebus stabilì lo standard di durata della lampadina e di vasta portata come l’attacco a vite E27, utilizzato ancor oggi, in modo che ogni lampadina sposasse un principio globale di pronto utilizzo”[..] Phoebus ha anche il primato ancora meno lusinghiero rispetto a quello di essere uno dei primi cartelli internazionali fissati. Tra gli standard fissati dall’associazione, ce n’era uno decisamente contrario agli interessi del consumatori “la vita media delle lampadine non può essere garantita, dichiarata o pubblicizzata per valori superiori alle 1000 ore.”..da un documento redatto nel 1925. Ma le lampadine in commercio all’epoca avevano in realtà duravano dalle 1500-2000 ore con punte di 2500. Per raggiungere gli standard prefissati di iniziò a progettare un filamento interno alle lampadine molto più fragili, danneggiando l’invenzione solo per raddoppiare le vendite globali. (Federico Bona, Storia aprile 2014)


     
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  9. gheagabry
     
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    CARTINE ANTROPOMORFE



    The Plumb-pudding in danger, prodotta da James Gillray a Londra nel 1805

    La pubblicazione di tali immagini si moltiplicherà su riviste e giornali in corrispondenza di specifici accadimenti del XIX secolo – come i moti del 1848, la guerra di Crimea (1853-56) e la guerra franco-prussiana (1870-71) – che evidentemente ispiravano particolarmente gli illustratori.




    Una tra le più apprezzate fu quella di Paul Hadol, un caricaturista che divenne celebre ridicolizzando la famiglia imperiale e la sua corte nell’opera dal titolo apertamente dileggiante Il serraglio imperiale, composto da ruminanti, anfibi, carnivori, e altri budgetivori che hanno divorato la Francia per 20 anni. La sua Nouvelle Carte d’Europe dressée pour 1870, pubblicata a Parigi dall’Imprimierie Valée, apparve, oltre che in francese, anche in inglese, olandese, tedesco e italiano.
    Ritraeva le nazioni europee esaltandone alcuni caratteri: la Prussia militarista nelle sembianze di un grasso soldato assoggetta l’Olanda (che ne è la mano) e calpesta un’agonizzante Austria, l’Irlanda sotto forma di un cane al guinzaglio di un’anziana signora che è l’Inghilterra, la Francia decisa a respingere l’aggressione prussiana. La scritta in basso chiarisce inequivocabilmente i significati, con la Turchia che «sbadiglia e si sveglia», l’Italia che «dice a Bismarck: Leva dunque i tuoi piedi di là», la Danimarca che «ha perduto le sue gambe nell’Holstein spera di riprenderle», l’ambiziosa Russia «rassomiglia ad un cenciajuolo che vorrebbe riempire la sua gerla».

    Stereotipi diffusissimi che si ripeteranno in tutte le vignette dell’epoca, nelle quali un semplice accostamento è sufficiente a far scattare l’allusione satirica. Le eventuali differenze formali non altereranno il messaggio di fondo: nelle carte zoomorfe la Russia spesso assume l’aspetto di un orso, simbolo di aggressività, l’Inghilterra quello di un leone o un bulldog, emblema di ferocia, la Francia quello di un galletto, vivace e superbo; il polipo e il ragno, chiare espressioni del desiderio di conquista, spettano alternativamente alla Germania, alla Russia o all’Inghilterra, a seconda dell’opinione dell’illustratore.



    Un gigantesco polipo domina ad esempio la carta satirica di Fred W. Rose, Serio- comic War Map for the Year 1877, emblematica rappresentazione del timore verso la minaccia russa diffuso in Occidente; i tentacoli del polipo russo strangolano la Polonia e avvinghiano la Finlandia, minacciano la Persia, raggiungono la Terrasanta, difendono la Bulgaria oppressa dal dominio ottomano. Gli altri personaggi della carta seguono interessati gli sviluppi dell’azione: l’imperatore tedesco Guglielmo I cerca di respingere il polipo; l’Ungheria è pronta a intervenire ma viene frenata dall’Austria; il maresciallo MacMahon tenta di approfittare della situazione puntando i cannoni francesi contro la Germania; Inghilterra e Scozia assistono alla scena con apprensione; l’Italia, Stato giovane come la fanciulla che la rappresenta, si compiace della propria bellezza e pensa ad altro.

    Edoardo Boria - Geografo e docente presso l'Università La Sapienza di Roma, Limes


    CARTINE di LILIAN LANCASTER



    Lo stesso genere di satira attraverso carte antropomorfe è presente in una serie di dodici illustrazioni ad opera di una giovane artista, Lilian Lancaster: Geographical Fun Being a Humorous Outlines of Various Countries (Editori Hodder & Stoughton, Londra 1869). Un verso in rima di William Harvey (sotto lo pseudonimo di Aleph) accompagna ogni figura. Le immagini sono infarcite di richiami politici: l’Inghilterra, ad esempio, assume l’identità fiera di Britannia, simbolo della potenza imperiale, maestosamente seduta a dominare le onde dell’oceano.
























    Alcuni diritti riservati al Norman B. Leventhal Map Center at the BPL



    Leo Belgicus del 1583, una delle carte dette zoomorfe, in cui le province olandesi sono rappresentate con la forma del leone.
    Quando verrà scelto come frontespizio del primo atlante nazionale olandese diverrà un atto di ribellione contro l’occupante spagnolo.






    I guerra mondiale

     
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    IL PRIMA e IL DOPO delle città



    Seoul River, South Korea 1961



    Seoul River, South Korea 2011





    Singapore, 1974



    Singapore, 2005




    NYC 1876-2013






    http://artentertainments.com/
     
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    Viaggio nel paese degli acquiloni


    003-aquiloni_afghanistan
    (foto di Paula Bronstein Fonte Getty Images)


    ..l'Afghanistan...


    L'aquilone o 'Gudiparan Bazi' in Afghanistan
    è un vero divertimento e uno degli sport nazionali afghani
    all'aria aperta


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    ..creatori di acquiloni a Kabul...


    image


    005-aquiloni_afghanistan
    (Foto di Paula Bronstein Fonte Getty Images)


    .. Note storiche ...



    I Talebani avevano vietato di far volare gli aquiloni nei cieli dell’Afghanistan. Il regime degli studenti del Corano per anni aveva impedito alla popolazione quel tradizionale festeggiamento che segnava la fine del gelido inverno e l’arrivo delle belle giornate di primavera e che coinvolgeva grandi e piccini in una grande competizione in cui vinceva chi riusciva a far volare il proprio aquilone più a lungo.

    “Quando la neve si scioglieva e iniziavano le piogge primaverili, ogni bambino e ragazzo di Kabul poteva esibire sulle dita una serie di tagli orizzontali, stigmate dei combattenti con gli aquiloni. Ricordo che il primo giorno di scuola ci radunavamo per confrontare le nostre ferite eroiche”,

    racconta Amir, il protagonista del best seller (8 milioni di copie vendute in tutto il mondo), oggi divenuto anche un film, Il cacciatore di aquiloni, scritto nel 2003 da Khaled Hosseini. Oggi gli aquiloni sono tornati a volare...


    .. scene dal film "Il cacciatore di acquiloni"...




    il_cacciatore_di_aquiloni

    cacciatorediaquilonithekiterunner2





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    afghanistan01g


    .. Caratteristiche ...


    Prima della guerra far volare gli aquiloni era il gioco nazionale degli afghani. Per chi si fosse perso questa grande tradizione del passato afgana, ecco i dadi e bulloni di aquiloni afgani e kite da combattimenti in un guscio di noce.

    La gente in Afghanistan fa volare gli acquiloni da più di 100 anni, è un hobby molto comune agli afghani in tutto il paese. Kite Flying in Afghanistan è una forma di sport all'aria aperta che molti hanno reso una vera e propria arte.

    Dai disegni e le dimensioni di aquiloni alla realizzazione di catrame infrangibile (filo), per molti è diventato una questione d'onore per competere tra chi è tra i migliori combattenti di kite nel loro quartiere. Questo sport outdoor molto avvincente ha assorbito molti giovani afgani, anche durante la guerra.

    Uno dei tipi di aquiloni che la gente fa volare è chiamato aquilone da combattimento, perché quando si compete con gli altri aquiloni si dovrebbe tagliare l'altro kite ed è facile passare da una direzione all'altra. Il taglio del Kite avviene quando la stringa di un aquilone recide la corda di un altro concorrente, lanciando in alto quello del perdente o facendolo cadere sul campo di battaglia, e non vi è un destino peggiore che perdere. Se l'avversario trova l'altro aquilone, beh, l'umiliazione raddoppia. Ma fino ad allora, un campione è come una rock star.

    Purtroppo il volo degli aquiloni in Afghanistan era stato vietato dai talebani, sono stati fuorilegge per diversi anni, ma dopo la caduta del governo talebano è diventato di nuovo legale e tutti amano far volare gli aquiloni specialmente durante i fine settimana.


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    ..Giochi di luce e sorrisi...


    009-aquiloni_afghanistan
    (foto di Spencer Platt Fonte Getty Images)

    008-aquiloni_afghanistan
    (foto di Chris Hondros Fonte Getty Images)


    ..La stagione migliore per praticarlo ...


    La stagione migliore per praticare il Kite Flying in Afghanistan è la stagione autunnale a causa dei buoni venti e più persone si preparano a far volare i loro aquiloni colorati, compresi i bambini e gli adulti. Come kite in volo è uno sport preferito da tutti, è amato e porta gioia e sorrisi alla gente, l'altro aquilone, invece, farlo volare a volte può essere anche pericoloso.

    Molte persone sono rimaste ferite cadendo dai tetti mentre inseguivano gli aquiloni liberi o perdendo la concentrazione durante un'accesa battaglia. Prima dei talebani, chi è abituato a far volare gli aquiloni in un luogo chiamato Chaman-e-Babrak (nel nord di Kabul), e le gare di aquiloni volanti si sono svolte lì. Bambini, adolescenti, adulti e anziani provenienti da tutto l'Afghanistan e Kabul City sono stati sempre insieme per le gare di aquiloni e usano scommettere sugli aquiloni da combattimento.


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    "Il cacciatore di acquiloni"

    (The Kite Runner)



    il_cacciatore_di_aquiloni_6794


    "Nel libro
    l'autore, Khaled Hosseini
    narra le vicende di due bimbi,
    Hassan e Amir, creando un affresco
    che rappresenta tutte le vicissitudini che
    hanno messo in ginocchio quel paese,
    dall'occupazione russa alla piaga
    talebana, dai bombardamenti
    americani


    Si dice che il tempo guarisca ogni ferita. Ma, per Amir, il passato è una bestia dai lunghi artigli, pronta a riacciuffarlo quando meno se lo aspetta. Sono trascorsi molti anni dal giorno in cui la vita del suo amico Hassan è cambiata per sempre in un vicolo di Kabul. Quel giorno, Amir ha commesso una colpa terribile. Così, quando una telefonata inattesa lo raggiunge nella sua casa di San Francisco, capisce di non avere scelta: deve tornare a casa, per trovare il figlio di Hassan e saldare i conti con i propri errori mai espiati. Ma ad attenderlo, a Kabul, non ci sono solo i fantasmi della sua coscienza. C'è una scoperta sconvolgente, in un mondo violento e sinistro dove le donne sono invisibili, la bellezza è fuorilegge e gli aquiloni non volano più. Trent'anni di storia afgana - dalla fine della monarchia all'invasione russa, dal regime dei Talebani fino ai giorni nostri - rivivono in questo romanzo coinvolgente e pieno d'atmosfera.


    ... Contro sole ...

    islamabad_fdg

    Ragazzini di Islamabad fanno volare il loro aquilone (Reuters/Faisal Mahmood)



    Fonte:
    © http://viaggi.virgilio.it/reportage/asia/afghanistan.html
    © http://en.aboutindia.it/india-kite-festival,
    © www.amazon.it/Il-cacciatore-aquilon...i/dp/8838483558
    web,www.marieclaire.com,it.wikipedia.org,www.ansa.it,www.corriere.it,it.wikipedia.
    org,maxgalli.wordpress.com,nuovavenezia.gelocal.it,www.mymovies.it,www.cineblog.
    it,movieplayer.it,www.novinite.com,www.sentieriselvaggi.it,gadget.wired.it
     
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  12. gheagabry
     
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    CARLO MAGNO



    Sulla fine di Carlo Magno, imperatore de Sacro romano impero, circolano varie leggende. Il monaco piemontese che scrisse la cronaca della Novalesa (XII sec) – una storia dei monaci benedettini dell’ abbazia di Novalesa – garantisce che un testimone oculare gliela raccontò in questi termini: quando nell’anno mille, la tomba fu aperta,si vide che il cadavere di Carlo non giaceva sdraiato, ma stava seduto come se fosse ancora sul trono. Non solo. Il defunto aveva la corona in testa e lo scettro in mano. Aveva i guanti, ma le unghie avevano continuato a crescere, bucandoli. Il corpo era intorno ed emanava intorno a sé un acuto profumo (simile a quello attribuito ai santi). Ottone III, imperatore dell’epoca, si inginocchiò davanti al nobile cadavere e gli rese onore, lo rivestì di paramenti e gli tagliò le unghie. Poiché al cadavere mancava la punta del naso, l’imperatore la fece rifare in oro; infine cavò un dente al morto per conservarlo come reliqua e fece richiedere la cripta.



    LAWRENCE D’ARABIA



    Una vicenda che vide come protagonista Lawrence d’Arabia (1888-1935). E come sfondo una missione archeologica in Siria nel 1914. L’anno era cruciale: la Prima guerra mondiale stava travolgendo l’Europa e l’Impero ottomano, e Thomas Edward Lawrence, allora ventisettenne, faceva parti di una missione archeologica. Una sera l’avventuriero inglese si recò al ristorante dell’hotel Baron di Aleppo, dove risiedeva, e consumò sei portate di menù, allontanandosi senza saldare. Di certo sappiamo che non pagò quella cena nemmeno quando saldò il suo soggiorno. Il conto non pagato è arrivato fino a noi, e oggi è conservato al British Museum di Londra.



    MARTIN LUTERO



    Nella fortezza medioevale di Wartburg, in Germania, dove fu rinchiuso Lutero, c’è una macchia d’inchiostro sul muro. Ai turisti si racconta che è la conseguenza di uno scontro tra Martin Lutero e il diavolo. Fu lo stesso fondatore del protestantesimo a raccontare che una sera Satana gli apparve e che lui, furioso, gli scagliò un calamaio. Probabilmente si tratta di una leggenda, ma si accompagna ad altri aneddoti curiosi: nel 1521 lui stesso raccontò per esempio che proprio il castello di Wartburg, dopo essersi messo a letto, delle noccioline che aveva sul comodino iniziarono a saltare dentro il sacchetto, poi il letto vibrò e la frutta secca prese a volare. Strepitanti rumori accompagnavano il sonno: secondo il racconti, erano simili a barili che rotolavano giù dalle scale.




    focus-storia

     
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    VIAGGIO nelle praterie americane


    Crossing_the_Mississippi_on_the_Ice_by_C.C.A._Christensen

    Carl Christian Anton Christensen - Brigham Young University Museum of Art


    ..Il Conestoga...


    Sulle
    praterie del Middle West
    e sul Great Plains, la Prairie Schooner
    era il carro preferito






    Carovane nel Far West

    Le carovane erano organizzate con una disciplina quasi militare:
    l'ordine dei carri sia sul sentiero e in campo era strettamente regolamentato. Di notte venivano posizionati in un recinto circolare, e una guardia era di sentinella per prevenire eventuali attacchi a sorpresa.


    Il Conestoga era un carro a ruote alte trainato da animali, adatto al trasporto pesante. Questo tipo di carro venne intensamente utilizzato durante il periodo dell'espansione verso l'Ovest negli USA che avvenne tra la fine del 1700 e durante il secolo successivo.

    Il mezzo era abbastanza grande da poter trasportare un carico di 7 tonnellate, il traino poteva essere assicurato da 4 o 8 cavalli oppure da una dozzina di muli o buoi ed era concepito per viaggiare lungo i prati, i sentieri e su un terreno montuoso di difficoltà media.

    Da questo carro venne ricavata una versione più piccola, peraltro molto simile, che prese il nome di Prairie Shooner che venne adoperato principalmente dai coloni nel duro e difficile viaggio lungo le vie create nella parte nord degli USA quali l'Oregon Trail, il Chimholm Trail o l'Highland Trail. Questo carro era stato espressamente realizzato per poter attraversare le grandi pianure americane.


    .. Note storiche ...


    wtrain

    "Carovane" dipinto ad olio di Dustin Lyon


    Il primo Conestoga comparve attorno al 1725 in Pennsylvania e sembra che fosse stato introdotto in America da coloni mennoniti tedeschi residenti in quell'area. Lo stesso nome deriva dalla Conestoga Valley che appunto si trova in quella regione.

    Dopo la guerra di Indipendenza Americana venne utilizzato per alimentare il commercio tra Pittsburgh e l'Ohio. Nel 1820 la tariffa per il trasporto era di un dollaro per 100 pounds per 100 miglia (1 dollaro x 46 kg x 161 km). La velocità media di questi trasporti era di circa 25 km al giorno. I carri Conestoga venivano spesso riuniti in convogli e il carro rimase il principale mezzo di trasporto terrestre sulla catena dei Monti Appalachi fino all'avvento della ferrovia.

    Successivamente giocò un ruolo fondamentale lungo il Santa Fe Trail, un percorso lungo il quale era possibile far viaggiare i carri a pieno carico effettuando un limitato numero di soste.

    Il mezzo però si rivelò troppo grande per le esigenze dei coloni che seguivano le rotte a Nord, molto più difficili rispetto a quelle meridionali, per cui si rese necessario svilupparne una versione più piccola, il Prairie Schooner appunto, più adatto a queste vie.


    .. il Conestoga nei fumetti...



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    tex_nr0133




    ...nei film...




    “La conquista del west” di John Ford


    .. Caratteristiche ...


    Di tutti i mezzi di trasporto con cui venne compiuto lo sviluppo dell'Ovest americano il Conestoga è senza dubbio il più importante e riconoscibile. Con le sue forme curve e aggraziate poteva essere riconosciuto anche da lontano.

    Il design del mezzo era molto pratico e pensato per essere utilizzato anche in periodi caratterizzati da cattive condizioni meteorologiche. La forma del carro era squadrata e ricordava quella di una scatola.

    Il pianale del carro era inclinato leggermente verso il centro dello stesso evitando così la possibilità che il carico, ed in particolare i barili, scivolassero fuori nelle salite. Le grandi ruote erano realizzate in legno duro e dotate di uno spesso cerchione di ferro. Con la loro stessa grandezza resistevano meglio al fango mentre le ruote anteriori, di diametro inferiore, riducevano il raggio di sterzata del mezzo.

    Se necessario, durante i guadi di fiumi o di altri corsi d'acqua, le ruote potevano venire rimosse e il mezzo usato come una chiatta galleggiante che veniva trainata dalla riva. Con la sua forma che ricordava una imbarcazione il carro era anche soprannominato la nave del commercio interno.

    Il Prairie Schooner (in it. goletta della prateria) era molto simile al Conestoga ma differiva da questo per la copertura, di solito in tessuto di colore bianco, e per le dimensioni, la metà circa di quelle del Conestoga.


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    CoveredWagon

    Covered_Wagon


    ..una ricostruzione moderna...



    ... in viaggio nella prateria ...





    thff509c47



    Fonte:
    © http://it.wikipedia.org/wiki/Conestoga_(carro),
    © www.blogsweek.com/wagon-trains/,
    web,www.farwest.it,www.fumetto-online.it,enroquedeciencia.blogspot.com,www.randlesstation.
    com,www.oxfordjctgenealogy.com,texwillerblog.com,www.iplay.com.br,blog.trekaroo.com,forum.
    scalemodelhorsedrawnvehicle.co.uk,www.demiurgo.it.nonciclopedia.wikia.com,www.loschermo.
    it,ilcinefiloinsonne.wordpress.com,i73.photobucket.com
     
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    Lady Godiva


    _by_ChrisRawlins


    La sua leggenda sta tutta in un’immagine: una domma nuda in groppa a un cavallo bianco, coi capelli che le coprono i seni. Ma quello che sembra il parto della fantasia di un pittore è invece una storia molto antica, che risale all’anno Mille. Famosa per la sua bellezza, Gdifu ( o Godgyfu) era la moglie di Leofrico (968-1057), conte di Chester e signore di Coventry, in Inghilterra. Il suo nome, di cui Godiva è la versione latina, significava dono di Dio (God gift in inglese). E come tale era vista dai suoi sudditi, di cui lei si faceva paladina anche nei confronti dello stesso marito, che invece era sempre pronto a inventarsi balzelli per rimpinguare le casse della contea. Fu proprio da un confronto tra i due sull’eccessiva pressione fiscale che nacque il mito dell’amazzone nuda. All’ennesimo tentativo della moglie di fargli togliere un barzello, Leofrico rispose con una scommessa: lui vi avrebbe rinunciato se lei avesse avuto il coraggio di cavalcare nuda a mezzogiorno.




    Godiva gli chiese allora il permesso di farlo e Leofrico, sicuro di sé, rispose che gliel’avrebbe dato senza problemi. Non si rendeva conto di quanto fosse in realtà caparbia la moglie. La donna infatti salì a cavallo pronta ad attraversare la città all’ora di punta. A questo punto la leggenda si sdoppia: una versione dice che tutti gli abitanti della città, per rispetto a Lady Godiva, quel giorno si chiusero in casa per non dover guardare la scena indecente; un’altra tramanda che la gente al mercato distolse lo sguardo dalla nobil-donna, scortata da due cavalieri, in segno di rispetto. Tutti tranne un uomo di nome Tom, punito per la sua curiosità: diventò infatti cieco. E il conte Leofrico? A lui non restò che saldare la scommessa e abbassare le tasse agli abitanti di Coventry che ancora oggi, una volta all’anno, ripercorrono in processione il percoso di Lady Godiva.

    Ma le cose andarono davvero così? In realtà gran parte degli studiosi ritiene che la cavalcata di Lady Godiva non abbia mai avut luogo. Sebbene si parli di Godifu e di suo marito Leofric nelle cronache dell’epoca, di quella passeggiata non c’è traccia. Il primo a riportarlo fu, due secoli dopo i presunti fatti, il monaco benedettino Ruggero di Wendover dell’ Abbazia di St. Albans. Ruggero inserì la storia di Godiva nella sua raccolta aneddotica “I fiori della storia”. Secondo Daniel Donoghnue, anglista ad Havard, la leggenda di Lady Godiva nuda per magnanimità verso il suo popolo avrebbe avuto in realtà lo scopo di nobilitare la storia di Coventry, elaborando una sorta di “mito fondatore”. Agli storici risulta infatti che nel 1043 Leofrico e Godiva fondarono un monastero a St. Osburg Nunnery, donato a un abate benedettino e a una ventina di monaci, dedicandolo all’Arcivescovo di Canterbury, a Dio, alla Vergine Maria e a tutti santi. Leofrico concesse ai benedettini anche la signoria su alcuni villaggi, assicurando così ai monaci di che vivere. Godiva avrebbe invece donato loro i suoi gioielli, da fondere e trasformare in crocifissi e immagini sacre. Non a caso Leofrico, quando morì nel 1057, fu sepolto con tutti gli onori in uno dei portici dell’abbazia (ma non si sa se Godiva ebbe la stessa sorte).



    La leggenda potrebbe essere nata dal fatto che Godiva “si spogliò davvero, ma dei soli gioielli. Quanto alla cavalcata, potrebbe derivare da antichi miti pagani.

    E la vicenda delle tasse? Quella potrebbe invece avere un fondo di verità. Eduardo I, re d’Inghilterra dal 1272 al 1307, incuriosito dalla lettura di Ruggero di Wendover, commissionò un’inchiesta reale per verificare se davvero in quel periodo nella contea di Coventry ci fosse stata una diminuzione consistente delle imposte, e a sorpresa scoprì che era proprio così. Inoltre dal Domesday Book, il censimento voluto da Guglielmo il Conquistatore, risulta che i Chester di Coventry fossero ancora proprietari delle terre di Lady Godiva. Una circostanza curiosa, visto che Guglielmo, dopo la conquista del 1066, aveva espropriato i benei di quasi tutti i nobili anglosassoni. Ciò potrebbe indicare che Lady Godiva era stat una donna molto popolare e potente, rispettata anche dopo la morte.




    Tutto questo giustificherebbe solo in piccola parte la leggenda che, col senno di poi, appare piena di contraddizione. Godiva viene descritta come una donna profondamente obbediente al marito, però lo sfida su un argomento importante come le tasse. E’ casta e religiosa, ma ciò non le impedisce di cavalcare nuda per le strade della città. Appartiene all’aristocrazia, ma solidarizza col popolo come una pasionaria. Secondo Donoghue sono proprio questa incongruenze a rilevare che la leggenda, come altri miti, avrebbe offerto ai cronisti medioevali l’occasione per render conto degli aspri conflitti sociali e religiosi e tramandare ai posteri l’immagine di una comunità unita. Non a caso che ancora oggi a Coventry, una volta all’anno (il 31 maggio), si tenga un processione che ripercorre il tragitto compiuto da Lady Godiva a cavallo. Una sorta di carnevale che dal 1678 rappresenta uno dei momenti più attesi in città.

    (Eugenio Spagnuolo, Focus storia)

     
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  15. gheagabry
     
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    GLI ARGANI DI BRUNELLESCHI



    L’argano a tre velocità, il castello, l’argano con l’impiante frenante, la gru con argano: sono alcune delle ingegnose invenzioni con cui Brunelleschi attirò l’attenzione dei più famosi ingegneri ed architetti rinascimentali fra cui Leonardo da Vinci, che intorno al 1469 lavorava come apprendista nella bottega del Verrocchio. Rimase talmente affascinato dalle macchine di Brunelleschi, da tracciare schizzi e disegni accurati nei sui taccuini. Per questo è capitato che alcuni progetti fossero erroneamente attribuiti al suo giovane fan di Vinci, che per anni continuò a ricordare quel memorabile 27 maggio 1471, giorno in cui aiutò il Verrocchio a usare uno degli argani per posizionare sulla cima della lanterna della cupola la grande palla di rame che l’opera del duomo aveva commissionato al Verrocchio (tratto dafocus storia)

     
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