ILLUSTRAZIONI ed ILLUSTRATORI

......l'arte da fiaba.....

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    AUDREY KAWASAKI


    Le potentissime forze rappresentate dall’abusato dualismo psicoanalitico si incontrano miscelandosi, si uniscono eroticamente nelle movenze e nei volti delle donne dipinte con un velo di colore.
    Audrey Kawasaki reinventa uno stile dando forma a tratti esplicitamente ispirati all’Art Noveau e alla cultura giapponese manga. Le sue malinconiche donne sprigionano un’innocenza svestita, turbata. Nascondono e nello stesso dichiarano segreti, desideri inconfessabili, esprimendo un’incontenibile urgenza, una vanità che tende al dolore e all’estasi. La sensualità delle immagini è naturale, mai indecente, a volte solo accennata; spesso richiama safficamente storie di donne che, trasognate, si abbandonano alla ricerca di un trasporto trasognato e genuino, concedendosi morbidamente allo sguardo dello spettatore, in triangoli visivi avvolgenti e complici.

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    Le figure si protendono dalla materia, emergono da una natura nuda e calda. Il legno è la materia madre, le rende vive, sottolinea il senso del tempo, accompagna con ogni venatura le onde morbide dei corpi e dei sospiri, esaltando i colori tenui del disincanto. La natura viva e rigogliosa accanto a quella morta, scheletrizzata. Piccoli teschi, resti ossei di insetti e animali inermi accompagnano la vita, il lento scorrere delle immagini e si adagiano alle storie private senza interromperle. Ne sottolineano la fugacità, affermando in maniera decisa l’eterno invischiamento tra vita e morte, tra letizia e patimento, tra piacere e dolore.

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    Il riferimento alla consapevolezza del potere seduttivo femminile è ancora più marcato dal richiamo alle donne klimtiane. Donne cariche di pathos erotico, che guardano dritto negli occhi senza abbassare lo sguardo, che si offrono nelle curve delicate ma decise dei propri corpi. Tutto è morbido e curvato. Tutto anela all’accoglienza e al calore. Il legno sul quale è tracciata ogni storia riceve ogni emozione e la restituisce carica di forza. L’energia della vita e la potenza della morte, insieme.
    (Veronica Puglisi)


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    Edited by gheagabry1 - 12/2/2020, 19:42
     
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  2. gheagabry
     
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    SAUL STEINBERG

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    Saul Steinberg è stato uno dei più importanti disegnatori del XX secolo.
    Era nato in Romania e aveva studiato in Italia negli anni Trenta al Politecnico di Milano: poi nel 1940, a causa delle leggi razziali, fu costretto a lasciare l’Italia per gli Stati Uniti, dove cominciò a lavorare per il New Yorker.

    In una lunga e ricca carriera di illustratore, la sua opera più celebre e nota è View of the world from 9th avenue,che fu la copertina del New Yorker del 29 Marzo 1976: Steinberg racconta attraverso una prospettiva dalla Nona avenue un’idea “newyorkcentrica” del mondo. La geografia del quartiere e poi le altre strade, il fiume Hudson, le altre città americane, i paesi oltre oceano.

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    La copertina ebbe un enorme successo e in tutto il mondo da allora ne vengono fatte imitazioni, parodie, citazioni dislocate in altri luoghi geografici o immaginati. Qui da noi, di nuovo, il grafico Gino Selva ha nei giorni scorsi omaggiato la mappa di Steinberg disegnando la sua città, Vasto.

    In questa intervista, rilasciata a Sergio Zavoli nel 1967, Saul Steimberg raccontò a cosa serve disegnare e perchè lo fa:
    Il disegno come esperienza e occupazione letteraria mi libera dal bisogno di parlare e di scrivere. Lo scrivere è un mestiere talmente orribile, talmente difficile… Anche la pittura e la scultura sono altrettanto difficili e complicate e per me sarebbero una perdita di tempo. C’è nella pittura e nella scultura un compiacimento, un narcisismo, un modo di perdere tempo attraverso un piacere che evita la vera essenza delle cose, l’idea pura; mentre il disegno è la più rigorosa, la meno narcisistica delle espressioni
    Saul Steinberg è morto nel 1999.
    (ilpost.it)


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    Pochi giorni fa è stata pubblicata negli Stati Uniti la biografia di Saul Steinberg, uno dei più importanti disegnatori del XX secolo e famoso autore di molte copertine del New Yorker: viene spesso ricordata View of the world from 9th avenue, l’illustrazione del numero pubblicato il 29 marzo 1976 in cui Steinberg racconta, attraverso una prospettiva dalla Nona Avenue, un’idea “newyorkcentrica” del mondo.
    Saul Steinberg era nato in Romania nel 1914 e aveva studiato in Italia, negli anni Trenta, al Politecnico di Milano: poi nel 1940, a causa delle leggi razziali, fu costretto a lasciare l’Italia per gli Stati Uniti, dove cominciò a lavorare per il New Yorker. Morì a New York nel 1999. Ieri, il Corriere della Sera ha raccontato soprattutto l’influenza che hanno avuto gli otto anni passati a Milano, sulle sue opere e i suoi rapporti con alcuni importanti intellettuali italiani. (ilpost)



    Il cartoonist che parlava milanese
    Saul Steinberg esordì con Zavattini, trionfò al «New Yorker»

    Che delizia leggere che Gio Ponti era stato tra i primi a incoraggiare il suo allievo Saul Steinberg dicendogli che aveva la stoffa dell'artista insieme a quella dell'architetto. Era il 1936 e Steinberg era un giovane studente fuori corso al Regio Politecnico, fuggito quattro anni prima dalla «fogna» della Romania e determinato ad assorbire quanto più poteva della cultura di quel «laboratorio della modernità» che era la Milano degli anni Trenta. Non che quel ragazzo destinato a diventare il più grande cartoonist americano abbia mai avuto l'intenzione di esercitare il mestiere dell'architetto. Si laureò in fretta e furia nel 1940 dando quindici dei sedici esami necessari in meno di un anno, per sfuggire alle leggi razziali e raggiungere New York con una laurea in tasca.

    Ma otto anni di passeggiate milanesi con un taccuino in una mano e la matita nell'altra, a disegnare le arcate della Galleria Vittorio Emanuele e gli edifici di Città Studi, Piola e Lambrate, avrebbero lasciato un segno su molti dei suoi futuri lavori pubblicati dal «New Yorker».
    Se Saul Steinberg, l'ebreo di Bucarest figlio di un modesto stampatore, è ancora oggi ricordato come l'autore di «quel poster» - un'ironica veduta del mondo dalla Nona Avenue di Manhattan, con il Kansas e il Nebraska come una zattera tra il fiume Hudson e l'Oceano Pacifico, e subito oltre, sulla stessa linea, Cina, Giappone e Russia - è anche perché a Milano aveva imparato a disegnare «qualcosa di più di quello che l'occhio può vedere».

    Una nuova, sterminata biografia di Deirdre Bair appena uscita negli Stati Uniti da Doubleday col titolo Saul Steinberg, racconta la vita del più amato dei cartoonist del «New Yorker» mettendo al centro della sua formazione gli anni milanesi dal 1932 al 1941, seguiti da una feconda rete di rapporti con intellettuali italiani - Costantino Nivola, Aldo Buzzi, Ugo Stille, Niccolò Tucci - che avrebbero contribuito a illuminare di cosmopolitismo un Greenwich Village abitato da Willem De Kooning, Philip Guston e Alexander Calder in cui andava affermandosi quella società intellettuale affamata di nuovo e piena di energia, che avrebbe lanciato la cultura americana nel dopoguerra.


    Ma chi era veramente Saul Steinberg, si chiede questa biografia che s'iscrive nel lungo rilancio dell'artista cominciato con una retrospettiva al Whitney Museum nel 1978, vent'anni prima della sua morte seguita a una lunga e terribile depressione.
    La risposta è un grande seduttore dal cuore freddo, un dandy felino capace di affascinare i più sofisticati ma anche di immusonirsi se non era l'unico centro dell'attenzione; un uomo di immenso successo (e conseguente ricchezza) e altrettanto smisurato narcisismo: «uno scrittore che disegna», come gli piaceva definirsi, la cui immodesta certezza di appartenere «alla famiglia di Stendhal e Joyce», doveva essere stata una condanna a un'eterna frustrazione. «Sai perché siamo rimasti amici così a lungo noi due?», gli chiese la moglie Hedda Sterne dopo vent'anni di compulsive infedeltà. «Perché siamo le due persone che ti amano di più».


    Era una donna eccezionale, Hedda Sterne, anche lei di origine romena: intelligente, colta, indipendente. L'unica artista di sesso femminile ad apparire sulla celebre copertina di «Life» del 1951 con i protagonisti dell'Espressionismo Astratto americano. Steinberg la lasciò nel 1960 per la giovanissima figlia di un nazista - la proto hippy Sigrid Spaeth - con cui s'imbarcò in «una guerra lunga trentacinque anni» che terminò il giorno in cui lei si gettò dal tetto del palazzo dove lui le aveva comprato un appartamento. Se una cosa questo libro mette in luce, è l'anima nera di un artista che quando disegnava sapeva essere ironico e leggero come nessuno. La dissociazione tra l'uomo che soffre e quello che crea di cui ha parlato T. S. Eliot, nel caso di Steinberg sembra un abisso.


    Ma non, curiosamente, negli anni milanesi, quando il solo fatto di essersi lasciato alle spalle una madre ingombrante fino alla caricatura - a Steinberg piaceva disegnare famiglie che si gettano unite dal tetto di grattacieli - aveva liberato l'energia creativa di un ragazzo di un'intelligenza eccezionalmente adattabile (tra le sei lingue che parlava c'era il dialetto milanese).
    Le sole pagine allegre della storia di questo ebreo con la valigia che diceva che nel suo caso sarebbe stato opportuno sostituire la parola «autobiografia» con «autogeografia», sono quelle dedicate agli anni in cui il Bar del Grillo di via Pascoli era il centro di una Milano internazionalmente ammirata per l'arte, l'architettura, il disegno industriale, la moda, l'opera e la letteratura. E intorno a quella «latteria» con camere a ore al piano superiore, gravitavano giovani promesse come Aldo Buzzi e Alberto Lattuada, Erberto Carboni e Luigi Comencini. Erano gli anni in cui Steinberg si guadagnava da vivere disegnando vignette umoristiche per «Il Bertoldo» di Giovanni Mosca ed entrava nel comitato di direzione del «Settebello» di Cesare Zavattini e Achille Campanile, che si riuniva nella camera sopra il Bar del Grillo dove Steinberg divideva il letto con la spericolata contrabbandiera Ada Cassola.


    Furono le Leggi Razziali a mettere fine alla pacchia. Saul Steinberg diventò dalla mattina alla sera un apolide. Si mise sotto a studiare con Ponti e con il voto di 65 su 100 conquistò «una laurea in discriminazione e pregiudizio» che sottolineava la sua appartenenza alla razza ebraica.
    «Erano tempi crudeli e stupidi», avrebbe detto da vecchio a uno studente americano negandogli con rabbia il permesso di scrivere una tesi di dottorato sui suoi anni milanesi. Una cosa era essere sfuggito alle retate della polizia sfrecciando sulla bicicletta prestata da Giovanni Guareschi, mentre sottobanco disegnava ancora per Mosca e Zavattini. Un'altra era farsi conoscere come un ebreo che aveva collaborato alla stampa fascista. Sarebbe stato troppo complicato da spiegare.

    Livia Manera, corriere



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    Edited by gheagabry1 - 14/2/2020, 00:53
     
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    CARLO SALOMONI

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    Carlo Salomoni è nato a Ferrara nel 1956, nipote del notissimo pittore surrealista Tito Salomoni. Laureato in medicina e Chirurgia con Specializzazione in Chirurgia Generale, dal 1994 si dedica professionalmente alla pittura, parallelamente all’attività di Medico Naturopata-Nutrizionista. Autodidatta, ha iniziato l’attività con l’oggettistica d’arte (piccole sculture e vasi polimaterici dipinti) che ha esposto in Gallerie di Ferrara e Bologna. Ha realizzato copie di pittori famosi, di epoche e stili diversi, dal ‘600 al ‘900. Realizza dipinti ad olio su tela, tavola e carta, disegni a china, matite e grafite su carta.



    " .... le sue realizzazioni di tono metafisico/surrealista sono pervase di quella carica emotiva e ricchezza di particolari che invitano l'osservatore a cercare chiavi interpretative sempre nuove. Nella sua opera affronta i più svariati temi esistenziali, utilizzando icone appartenenti alla quotidianità o attingendo dal mondo onirico e trascendentale, dal quale egli stesso e l'osservatore rimangono affascinati, talvolta coinvolti nell'inafferrabile mistero della vita ...." (E.C.)


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    Edited by gheagabry1 - 12/2/2020, 22:40
     
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    LUCA TARLAZZI



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    Talentuoso illustratore romagnolo, inizia ad interessarsi al fumetto già alle scuole elementari e trasforma la sua passione in lavoro dopo il servizio di leva, quando inizia a lavorare per una casa editrice aperta da un suo ex compagno di classe. Inizialmente realizza prevalentemente pubblicità, poi, nel 1994, vede luce l’albo a fumetti “Selen”.

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    Il fumetto erotico alla lunga inizia a stargli stretto e cerca altri generi su cui indirizzare i propri sforzi. Inizia ad appassionarsi di storia, realizzando illustrazioni con un occhio di riguardo per i celti.

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    Tuttavia la vera svolta avviene quando decide di sperimentare nuove strade, mescolando la sua passione per il disegno con quella per i videogiochi e il mondo del computer in generale. Avviene quasi per caso, quando si trova per le mani un programma di modellazione 3d che era allegato ad una rivista.

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    All’improvviso gli si apre davanti una nuova vita, inizia ad appassionarsi al mondo della modellazione tridimensionale, cercando di discostarsi dai prodotti standardizzati che spesso sono legati alla produzione d’immagini computerizzate per ottenere qualcosa di completamente personale.

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    Le prime sperimentazioni si vedono in “Axu il trigabolo” (1998), fumetto tradizionale nelle cui tavole gia s’intravedono le prime contaminazioni digitali.

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    Successivamente pubblica “Visioni Celtiche” (1999), “Fantastoria” (1999) e “Dinosauri 3D” (2000), dei libri che raccolgono le sue migliori illustrazioni digitali.
    Il suo stile molto personale e di grande impatto attira molto l’attenzione.

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    Inizialmente si accorge di lui la FAAC (nota azienda di automazione cancelli) che chiede la realizzazione delle immagini del calendario 2001, ma è nel 2003 che inizia la collaborazione con la Mondadori che gli commissiona svariate illustrazioni per copertine di libri.


    Fatto più unico che raro di questi tempi, Tarlazzi ha sempre rifiutato l’eventualità di andare a lavorare in America, nonostante, come ha sempre ammesso, probabilmente guadagnerebbe il doppio.
    Costantemente alla ricerca di nuovi metodi per utilizzare al meglio le potenzialità del personal computer, sta iniziando un progetto legato alla fantascienza, e chissà se, alla pubblicazione, riuscirà a fare quello che ha sempre desiderato, creare un fumetto interattivo su CD-ROM.



    (dal web)



    Edited by gheagabry1 - 12/2/2020, 22:52
     
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    LOSTFISH ELODIE

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    LostFish Elodie è un’illustratrice francese dallo stile delicato, ma allo stesso tempo molto intenso...
    i suoi soggetti hanno una sensualità magnetica senza tempo e assomigliano tanto a delle bambole.
    Come le bambole, i soggetti dipinti da LostFish, possono essere inquietanti, altre rassicuranti, inespressive e malinconiche, ma in realtà siamo noi che proiettiamo le nostre emozioni nei loro occhi e vediamo quello che sentiamo dentro al cuore.
    Le illustrazioni di Lostfish risvegliano il nostro io, i nostri sentimenti e le nostre paure.

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    intervista

    Sei autodidatta, quando è nata la tua passione per il disegno e perchè non hai scelto di fare degli studi “specifici” di illustrazione?

    Disegno da quando ero piccola, penso che sia sempre stata la mia passione, immaginare, disegnare, costruire, ecc… dopo il liceo ho iniziato ad illustrare intensamente a livello amatoriale, attraverso le fanzine e l’auto-produzione, è stato un periodo che mi ha insegnato molto, ho anche capito che non abbiamo necessariamente bisogno di fare una scuola se siamo onesti con noi stessi e con il pubblico! A quel tempo (10 anni fa), l’Europa non era molto aperta all’illustrazione, quindi ho iniziato un altro lavoro, tenendo l’illustrazione come una passione. Grazie ad internet le opportunità di lavorare in questo campo sono finalmente arrivate ​​tutte da sole!

    Prima di iniziare lo schizzo della nuova opera, qual è il processo preparatorio?

    Un’immagine nasce spesso da un sentimento, da un pensiero, o da un piccolo dettaglio della vita, o dalla natura che mi ha colpita, una musica, un colore, un viso… Sono molto spontanea quando disegno, non faccio spesso dei disegni preparatori. D’altra parte, lavorando sul computer con Painter senza calco, devo essere abbastanza sicura di me fin dall’inizio per non avere problemi tecnici, ma l’emozione prende spesso il sopravvento sui dettagli tecnici!

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    Le tue protagoniste sono sempre molto affascinanti.
    Cos’è per te il fascino?

    È una domanda piuttosto difficile, si può vedere il fascino sotto tante angolazioni… Per me il fascino risiede nell’innocenza, la semplicità, alcune delle mie ragazze hanno questa innocenza infantile che amo molto, il fascino è quindi naturale e involontario, altre sono più inquietanti, minacciose da vedere… le lascio giocare con il loro fascino, con i loro atteggiamenti, i loro sguardi, in modo che diventino più dirompenti.

    Perchè prediligi come soggetto giovani adolescenti?

    Amo la fragilità, la complessità, e la sensibilità dell’infanzia, ma io sono particolarmente sensibile all’estetica della bambola, i miei personaggi non hanno sempre un’età, sono più delle bambole, innocenti, assenti, rotte o inquietanti… Che sia forse dovuto a una parte nostalgica?

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    Di solito usi pochi colori in ogni illustrazione.
    Fai uno studio sulla palette di colori prima di iniziare il disegno?

    Ho una palette predefinita di colori, che cambio raramente, sono molto attaccata ai colori delle vecchie foto sbiadite dal tempo, quindi tutti i colori che uso sono molto desaturi e sono più vicini al grigio o al beige leggermente colorati. Solo i rossori della pelle sono più brillanti, a volte i rossi dei vestiti, qualche tocco di colore più forte nei dettagli, ma evito il più possibile le combinazioni di colori troppo aggressive. Preferisco privilegiare le monocromie e attirare l’attenzione sul volto e l’emozione del personaggio.

    Il tuo immaginario prende ispirazione dalle favole.
    Come si è evoluta tua percezione delle favole da quanto eri bambina ad ora?

    Le favole sono abbastanza angoscianti, sin da piccoli ci suggeriscono già che la vita non è sempre facile, nè giusta. La miscela tra meraviglioso ed esperienza di vita fornisce un’immagine un po’ da incubo alla favola. Oggi abbiamo la tendenza a privilegiare il meraviglioso per i bambini, mentre le vecchie favole sono lontane dagli happy ending usati da diversi decenni. Non credo che la mia percezione sia cambiata molto dall’infanzia, anche se mi sembra di comprenderle meglio oggi, con le nuove paure legate all’età adulta.

    Sono una grande fan del mondo di Lewis Carroll, e credo che molte persone pensino di conoscere la storia di Alice nella sua versione “colorata” ed “estrosa” anche senza aver letto i libri. Chi già conosce i testi originali sa che sono molto più ricchi e possono essere reinterpretati quasi all’infinito! Ho voluto illustrare la mia personale visione del mondo di Alice, lasciando esprimere alcuni messaggi nascosti nel testo, gli aspetti più oscuri della sua avventura e dei suoi incontri. Ho cercato di fare in modo che le immagini e i testi si completino a vicenda, che si scambino, e che il concetto di “nonsense” giochi con il testo e si illustri anche nelle immagini.


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    Non hai mai paura che le tue illustrazioni vengano fraintese e suscitino delle sensazioni completamente diverse da quelle che avevi pensato in origine?
    Qual è stata la cosa più bella che ti hanno detto riguardo al tuo lavoro di illustratrice?

    So che ogni persona è diversa, e che le immagini toccano tutti a vari livelli sulla base della nostra esperienza e della nostra sensibilità. Quando le mie immagini vengono interpretate in maniera negativa, spero sempre che la persona si chieda “perché?”. Spesso, in casi estremi, il disagio è negli occhi di chi guarda, o nelle esperienze personali troppo difficili da superare. Faccio sempre le cose con molta innocenza, ma non ho più paura di contestare coloro che hanno un’idea insindacabile su ciò che dovrebbe essere scioccante o meno. Ho avuto tante testimonianze di persone molto sensibili, o che purtroppo attraversano momenti difficili, e infine, molti sentono dentro la calma, la comprensione, vedono la speranza guardando le mie illustrazioni. È la cosa più bella che possa ricevere in cambio.

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    (nonsolokawaii.com)



    Edited by gheagabry1 - 12/2/2020, 23:10
     
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    ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE





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    Jessica Oyhenart



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    Annie Rodrigue


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    Edited by gheagabry1 - 12/2/2020, 23:14
     
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    ROMEL BELGA

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    Romel Belga è un graphic designer e artista digitale da Pasay City, Filippine. Specializzato in foto-manipolazione, fa lavori veramente creativi e surrealista, anche l'amore Romel per creare e visualizzare nuove idee di un'opera d'arte.

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    Edited by gheagabry1 - 12/2/2020, 23:18
     
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    ILLUSTRAZIONI DI MUSICA



     
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    Tuomas Korpim

    Tuomas Korpim, un’ illustratore – pittore digitale Finlandese dall’incredibile talento. Le sue illustrazioni sono incredibilmente dettagliate e complesse con una magistrale scelta dei colori e delle prospettive, veri e propri capolavori digitali.

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    Edited by gheagabry1 - 5/9/2021, 15:55
     
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    Brett Manning

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    Sembrano le illustrazioni contenute in qualche vecchio e dimenticato libro di favole, i disegni di Brett Manning, giovane illustratrice free-lance di Chicago. Immagini magiche, sospese tra realtà e leggenda, in cui la natura e l’essere umano si fondono senza soluzione di continuità
    I suoi disegni ad inchiostro rappresentano ragazze-cervo dagli occhi malinconici, giovani satiri e donne-fiore. Perfino Bob Dylan si ricopre di fiori enormi, psichedelici. Il tratto e i soggetti scelti non sono infatti mai semplicemente eterei e sognanti, ma l’aspetto favolistico viene filtrato da un gusto hippie, da folklore anni ‘70.
    Animali dal pelo folto, donne mandragore, fiori giganti e Frank Zappa. Brett Manning riesce a far convivere tutto questo in immagini vivide, disegnate con tratto minuzioso e pochi colpi di colore.

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    Edited by gheagabry1 - 12/2/2020, 23:57
     
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    LAURA LAINE

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    Ha cominciato studiando da figurinista, da disegnatrice, cioè, di abiti e accessori all’università di Helsinki. Col tempo ha preferito l’illustrazione di moda, e oggi Laura Laine è una delle più raffinate illustratrici contemporanee specializzate in fashion illustration.
    I suoi disegni ricordano la morbidezza e i grafismi di Beardsley, l’illustrazione francese degli anni Settanta, la rapidità di tocco degli schizzi da stilista.


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    Le modelle di grafite di Laura Laine indossano abiti che esistono realmente (Vivienne Westwood sopra tutti), e lo fanno con la forza e la grazia delle top model in carne e ossa. Bellezze effimere, al tratto, morbide, nascoste (o svelate) da una massa felliniana di capelli corvini.

    L’uso predominante del bianco e nero (solo recentemente ha iniziato a sperimentare anche il colore), la linea incredibilmente sottile e delicata a delineare texutre (pelo, seta, lana, pelle), le torsioni -sempre graziose- dei corpi ed ovviamente i capelli lunghissimi rendono lo spirito dark ed eccentrico dei sui personaggi.

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    Edited by gheagabry1 - 13/2/2020, 00:14
     
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    Giovanni Auriemma

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    Giovanni Auriemma nasce a Napoli nel 1976. Nel 2000 si diploma in scenografia presso l'Accademia di Belle Arti di Napoli. Nel suo studio, tutto ciò che gli serve (libri, fogli, cd e attrezzature) è rigorosamente accatastato in pile dall'equilibrio precario. Una volta il suo umore era come quelle pile. Ha lavorato per un periodo come grafico dipendente coltivando privatamente la passione per l'arte digitale. Quella passione gli ha fatto vincere il terzo premio ad un concorso indetto dalla rivista Computer Arts. Da allora ha costruito un sito tutto per sé ed ha scoperto che mostrare le sue opere in giro è più divertente che farle vedere solo agli amici. Ha lasciato da poco il suo lavoro fisso e da oggi fa il grafico e l'illustratore freelance a Viterbo. Dopo questa decisione il suo umore non è più quello di una volta.


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    ...intervista...




    Parlaci un po' di te: di cosa ti occupi, come hai iniziato, i tuoi interessi ...

    Sono nato a Napoli e ho frequentato lì l’accademia di belle arti diplomandomi in scenografia 6 anni fa circa. Gli elaborati della tesi (l’Orestea di Eschilo, Novecento di Baricco, e la Cantatrice Calva di Ionesco) li realizzai interamente al computer dopo aver usato per 4 anni matite, acquerelli e inchiostri. Il mio insegnante di Scenografia mi incoraggiò su questa strada (e decise che era ora per lui di acquistare un Mac), altri restarono un po’ scettici sulla validità del mezzo. Accantonata l’idea di lavorare come scenografo ho provato il lavoro dipendente come grafico per circa 3 anni coltivando privatamente la passione per l’arte digitale. Naturalmente il tipo di lavoro e la routine mi hanno indotto a lasciare e a provare a scommettere sulle mie gambe. Come ogni bravo artista direbbe, mi coinvolgono diverse forme d’espressione: la pittura, la musica (di cui sono quasi onnivoro), la poesia, il cinema ... ma sarebbe meglio dire che mi interessa tutto ciò che non è statico e che nel suo movimento riesce a comunicare un pensiero, uno stato d’animo, un modo di percepire le cose.


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    Come nascono le tue realizzazioni? Che tecniche usi? C'è una situazione ideale per essere più creativi?

    Cerco spesso di combinare il calore degli inchiostri e della pennellata ad olio con le immagini fotografiche anche se alla fine lascio che queste ultime prendano il sopravvento. Un giorno spero facciano pace. L’idea per le mie opere più o meno nasce così: osservo un oggetto, una persona, una foto o leggo una frase da un libro e se si innesca il gioco delle associazioni allora provo a tradurre il tutto in immagini. Il passaggio non è così immediato, a volte prendo appunti affinché l’idea non si perda in qualche stanza del cervello, altre volte, se ho il materiale adatto, cerco di svilupparla immediatamente per vedere se acquista spessore. Può accadere infatti che il meccanismo delle assonanze resti solo un gioco formale e che il risultato non vada al di là di una bella immagine. In questo senso cerco di essere abbastanza rigido, di mantenere una certa disciplina nel costruire le mie opere attorno ad un'idea o a una sensazione precisa, e a non limitarmi a produrre immagini ad effetto anche se la potenzialità del mezzo potrebbe condurmi in quella direzione. E’ una maniera per me di rendere l’opera comunicativa e magari fruibile a vari livelli. In questo senso credo che imporsi un certo tipo di limitazioni compositive possa aiutare ad esercitare maggiormente la creatività.

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    Cosa cerchi di esprimere con le tue opere?

    Non ho delle tematiche ricorrenti su cui lavoro anche se la figura umana è spesso al centro dei miei lavori. Certamente mi piace contraddire la prevedibilità dell’immagine fotografica inserendo elementi inaspettati o inusuali. Il linguaggio della manipolazione fotografica ha senza dubbio scardinato l’idea che la fotografia possa rappresentare in qualche misura la realtà. Eppure, nonostante questa consapevolezza, il piccolo stupore che deriva dal nonsense di un certo tipo di immagini manipolate è rimasto inalterato. “C’è un solo modo di vedere le cose, finché qualcuno non ci insegna a guardarle con altri occhi” diceva Picasso: ecco, al di là dei temi su cui costruisco un lavoro, mi piacerebbe più semplicemente che le mie opere riuscissero a raccontare gli oggetti e le figure umane da un'altra prospettiva.


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    L'eterno dilemma: è meglio la tecnica oppure l'idea?

    In parte ho già risposto a questa domanda. La tecnica è importante quando non è limitata al virtuosismo compositivo ma diventa capacità di scegliere qual è l’involucro, la forma, lo stile più adatto a veicolare ciò che vogliamo trasmettere.

    Quali sono le tue principali fonti di ispirazioni? C'è qualche artista che ammiri in particolare e che prendi come esempio?

    Ho ammirazione e sono “debitore” nei confronti di diversi artisti. Mi piacciono le avanguardie del '900 in particolare il dadaismo (adoro Hanna Hoch, Max Ernst, Duchamp, Joseph Cornell, Raul Hausmann, Man Ray) e il surrealismo (molto più Magritte di Dalì ). E poi un po’ alla rinfusa: M.C. Escher, Francis Bacon, Alberto Giacometti, Jheronimus Bosh, Caspar David Friedrich, Egon Schiele, Caravaggio, Muybridge, Peter Greenaway, W. Eugene Smith, David Hockney, Stefano Ricci, Alfons Alt, Storm Thorgerson, Dave McKean e Joel Peter Witkin ... spero di non aver dimenticato nessuno.

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    braintwisting.com

    Edited by gheagabry1 - 13/2/2020, 00:36
     
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  13. gheagabry
     
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    ANDY FAIRHURST

    "I bambini sono Superheros" è una serie di bellissime illustrazioni dell'artista Andy Fairhurst circa il mondo immaginario dei bambini che si trasformano in supereroi per il tempo di un gioco. Da Batman a Superman con Iron Man e Wolverine, un bel set con il principio di ombre cinesi!

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    Edited by gheagabry - 19/8/2012, 23:48
     
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    ALEXANDER JANSSON

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    Gotico, vittoriano, notturno, fiabesco. Le illustrazioni tenere e sinistre di Alexander Jansson sembrano in bilico tra l’infanzia e l’oltretomba, proprio come certe fiabe scritte per spaventare i bambini nelle lunghe notti invernali.

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    Se come dice Tim Burton le favole devono spaventare per avere un valore educativo e anche terapeutico, allora le illustrazioni di Alexander Jansson raggiungono lo scopo. Misteriosamente avvolte nella nebbiolina, le sue immagini raccontano di stamberghe stregate, strani animali notturni e fanciulle fantasma.


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    Alexander Jansson è un illustratore svedese che vive e lavora a Gothenburg.
    Con un perfetto mix di pittura, fotografia e 3D è in grado di creare opere inquietanti ed infantili allo stesso tempo. Il suo studio, The Sleeping House Studio, è specializzato in illustrazioni, cover art, animazioni in 3D e graphic design.


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    Un immaginario fantastico e sinistro, a volte circense, dove tutto fluttua tra ombre, case in bilico, civette, alberi incantati e strani personaggi da oltretomba, treni e vascelli, e specchi inquietanti.


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    Edited by gheagabry1 - 13/2/2020, 23:25
     
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  15. gheagabry
     
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    NOMA BAR

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    Bob Dylan

    I volti disegnati da Noma Bar, illustratore israeliano nato nel 1973, rappresentano attraverso una sintesi iconografica molto efficace la storia di alcuni dei personaggi più importanti della cultura pop mondiale. La serie, che si intitola Guess Who?: The Many Faces of Noma Bar, è in realtà un libro uscito nel 2009 che si divide in quattro macro sezioni: icone culturali, teste di Hollywood, figure politiche, star britpop, musicisti.

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    David Beckham


    L’illustratore ha cominciato a lavorare nel 2001 a Londra e da allora ha prodotto molti disegni che raccontano personaggi, fatti realmente accaduti, idee e concetti, sempre rappresentandoli con colori saturi, campiture piene, linee essenziali e sintesi perfetta. Bar ha lavorato per diversi giornali, tra cui Esquire, Internazionale, The Observer, The Economist, Wallpaper*, Time Out London. La sua ricetta funziona quasi sempre.
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    Nelson Mandela

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    Joseph Stalin

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    Charlie Chaplin


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    William Shakespeare


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    Edited by gheagabry1 - 13/2/2020, 23:36
     
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68 replies since 20/10/2011, 16:30   24990 views
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