RWANDA - BURUNDI 1994

non dimentichiamo!

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  1. gheagabry
     
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    Ruanda 1994: i cento giorni che non sconvolsero il mondo



    "Cerco una parola come Kodak", annota, nei suoi diari, Raphael Lemkin, l'ideatore del termine 'genocidio'. Il termine, in seguito definito da una Convenzione internazionale del 1948, è inserito nell'Encycolpédie Larousse solo nel 1953, mentre per l'Oxford Dictionary occorrerà attendere ancora (l'aggiornamento alla terza edizione del 1955) .

    Il 6 aprile di vent'anni fa veniva abbattuto l'aereo presidenziale sul quale viaggiavano, di ritorno da un negoziato, il Presidente ruandese e quello del Burundi. L'indomani iniziò un massacro che, in poco più di tre mesi, ha causato la morte di circa - le stime variano secondo gli studi - un decimo di una popolazione che contava sette milioni e settecentomila abitanti.

    Com'è possibile sterminare tante persone in appena cento giorni, senza armi di distruzioni di massa, anzi per lo più all'arma bianca?

    Cominciamo dalle immagini, da quel 'clic' che cercava Lemkin frattanto che costruiva la parola genocidio (prendendo in prestito un lemma greco - γένος, poi divenuto genos, stirpe; e uno latino, -cidium, da caedere, distruggere).

    Le immagini dirette del genocidio ruandese, le stesse che vengono riprodotte in questi giorni dedicati alle commemorazioni, sono piuttosto rare. Saltuari gli scatti, ancora più sporadiche le sequenze. Se digitiamo su You Tube - questa memoria-monstre dove si crea e si frantuma l'antologia del nostro immaginario - l'espressione "genocidio in Ruanda", troviamo un numero significativo di documentari e di interviste, ma esse concernono in larghissima parte il dopo: gli sciagurati ossari, le indicibili ferite.

    Fotografie o riprese degli attacchi sono alquanto rare (se confrontate con altri conflitti). Ma perché un massacro che ha interessato centinaia di migliaia di persone è rimasto privo di un'adeguata copertura di immagini, e quindi di immaginario?

    Parte della ragione è strutturale. In Ruanda, un Paese grande come un'ipotetica Lombardia montuosa, vent'anni fa non esistevano televisioni, e i pochi corrispondenti video-muniti avevano ritenuto per lo più opportuno abbandonare il Paese dopo avere appreso delle violenze in corso.

    Ma questo digiuno di immagini ha contribuito a un digiuno di consapevolezza (tra le tante riflessioni sul tema, si segnalano quelle che Susan Sontag ha elaborato nel corso degli anni: da Sulla fotografia, del 1973, a Davanti al dolore degli altri, del 2003).

    Ed è anche per questo digiuno che quando il generale Dallaire - comandante in capo di poche centinaia di caschi blu rimasti nel Paese dopo la dipartita del contingente belga - richiede l'invio immediato di cinquemila uomini di rinforzo per "fermare i massacri"... la pretesa cade nel vuoto. Tale sordità è dovuta innanzitutto all'atteggiamento attendista degli USA, la cui opinione pubblica non aveva ancora metabolizzato la cruente visione dei corpi dei propri soldati trascinati per le vie di Mogadiscio (nel corso dell'intervento in Somalia di appena qualche mese precedente).

    Per queste e altre ragioni la Comunità internazionale interviene solo dopo. E lo fa principalmente attraverso l'istituzione di un Tribunale penale internazionale, creato ex post e ad hoc, che, ad oggi, a venti anni di distanza, conta 93 procedimenti aperti (di cui 47 terminati in condanne definitive e 12 in assoluzione). Cosa rappresentano un simile numero di condanne in confronto a centinaia di migliaia di vittime?
    (tratto da www.huffingtonpost.it/,Pubblicato: 07/04/2014 08:44-Gabriele Della Morte)





    La storia del genocidio ruandese è anche la storia dell'indifferenza dell'Occidente

    RUANDA - BURUNDI 1994


    Il genocidio del Ruanda fu uno dei più sanguinosi episodi della storia del XX secolo. Dal 6 aprile alla metà di luglio del 1994, per circa 100 giorni, vennero massacrate sistematicamente (a colpi di armi da fuoco, machete pangas e bastoni chiodati) almeno 500.000 persone secondo le stime di Human Rights Watch; il numero delle vittime tuttavia è salito fino a raggiungere una cifra pari a circa 800.000 o 1.000.000 di persone. Il genocidio, ufficialmente, viene considerato concluso alla fine dell'Opération Turquoise, una missione umanitaria voluta e intrapresa dai francesi, sotto autorizzazione ONU.

    Le vittime furono prevalentemente Tutsi. L'idea di una differenza di tipo razziale fra gli Hutu e i Tutsi è legata al primo colonialismo belga in Africa. I coloni belgi si basarono sulla semplice osservazione dell'aspetto fisico degli appartenenti ai diversi gruppi. Essi osservarono che i Twa (un terzo gruppo etnico dell'area) erano di bassa statura (come i pigmei), gli Hutu erano di media altezza, e i Tutsi erano molto alti e snelli. Inoltre, i Tutsi tendono ad avere il naso, e l'intero volto, più sottile. I Tutsi erano una maggioranza rispetto agli Hutu, mentre i Twa costituivano un altro gruppo ancora meno numeroso. Anticamente si poteva passare da un gruppo ad un altro, ci si poteva sposare tra gruppi diversi. La differenza era prevalentemente di tipo sociale: i Tutsi erano più ricchi degli Hutu e nell'ultimo gradino della scala sociale vi erano i Twa. Ma non era definitivo, chiunque poteva migliorare la propria condizione. I colonizzatori belgi fecero l'errore di considerare questi gruppi come delle divisioni razziali.

    Così facendo i gruppi si irrigidirono e non fu più possibile cambiare gruppo. I Tutsi divennero i ricchi al potere, gli Hutu i poveri che dovevano subire tutto. Dopo sanguinose rivolte e massacri, gli Hutu, con l'accordo dei belgi, presero il potere nel 1959–1962 e iniziò la lunga persecuzione dei Tutsi. Molti di loro fuggirono nei Paesi limitrofi, soprattutto in Uganda. Nel periodo del genocidio gli Hutu erano il gruppo di popolazione maggiore. Erano Hutu anche i due gruppi paramilitari principalmente responsabili dell'eccidio: Interahamwe e Impuzamugambi. Il genocidio ruandese può essere considerato la goccia che fece traboccare il vaso delle tensioni e rivalità tra gli Hutu e i Tutsi.

    La percezione di una divisione etnica da parte della popolazione del Ruanda è in gran parte un effetto del dominio coloniale europeo, prima tedesco e poi belga. I coloni introdussero le carte di identità e iniziarono a classificare rigidamente i ruandesi in funzione del loro status sociale e delle loro caratteristiche somatiche, in particolare distinguendo chiaramente fra Hutu e Tutsi. I Tutsi, in genere più ricchi e compiacenti, furono favoriti. L'antropologia razzista teorizzò che i Tutsi fossero una razza diversa dagli Hutu, intrinsecamente superiore in quanto più vicina a quella caucasica. Il fatto che Tutsi e Hutu siano due gruppi etnici distinti è stato oggetto di un notevole dibattito, e oggi l'ipotesi di un'importante differenza di origine etnica viene raramente presa in considerazione.

    In Ruanda come in Burundi, i Tutsi rappresentavano l'aristocrazia della società, e possedevano la terra e il bestiame; mentre gli Hutu svolgevano il lavoro agricolo. I belgi hanno ulteriormente allargato e alimentato la differenza tra questi due gruppi. Il genocidio del 1994 si inserisce in un contesto di rivalità etniche bilaterali e stermini di massa che coinvolsero l'intera regione fin dal 1962, per continuare anche dopo il 1994. Teatro degli eccidi, oltre al Ruanda, sono stati tutti i paesi confinanti: l'Uganda a nord, il Burundi a sud (che costituiva, insieme al Ruanda, la colonia belga Ruanda-Urundi), il Congo ad ovest e la Tanzania ad est.

    Nel 1959, la rivolta degli Hutu contro la monarchia Tutsi condusse al referendum del 1961 e all'indipendenza del 1962, accompagnata dallo sterminio di oltre 100.000 Tutsi ed alla loro emigrazione in Uganda e Burundi. Nel 1966 in Burundi, una serie di colpi di stato alimentata dalle due etnie si concluse con la presa del potere da parte dell'aristocrazia Tutsi; nel 1972, un tentativo di colpo di stato Hutu portò alla reazione violenta del governo, con lo sterminio di 200.000 Hutu. Nel 1973 in Ruanda, il generale Hutu Juvénal Habyarimana procedette al colpo di stato ed instaurò un regime autoritario nel 1975. Tornando al Burundi, i sanguinosi scontri del 1988 provocarono decine di migliaia di vittime e furono seguiti da un governo parlamentare a maggioranza Hutu; ma l'esercito controllato dai Tutsi scatenò la guerra civile ruandese e portò un milione di profughi nei paesi vicini. Nel 1990, il Fronte Patriottico Ruandese (RPF), gruppo politico-militare nato nella comunità Tutsi rifugiatasi in Uganda, tentò il colpo di stato in Ruanda ed alimentò una guerra civile, cui seguì il genocidio del 1994 e la presa del potere da parte dell'RPF. Profughi Hutu si rifugiarono in Congo, dove furono massacrati a migliaia dai Tutsi nel 1996. La Tanzania è accusata di ospitare ribelli Hutu.



    I Tutsi erano stati estromessi dal potere dagli Hutu, che costituivano l'85% della popolazione e dalla rivoluzione del 1959 detenevano completamente il potere. Il 6 aprile del 1994 l'aereo presidenziale dell'allora presidente Juvénal Habyarimana, al potere con un governo dittatoriale dal 1973, fu abbattuto da un missile terra-aria, mentre il presidente era di ritorno insieme al collega del Burundi Cyprien Ntaryamira da un colloquio di pace.
    Ancora oggi è ignoto chi fece partire quel missile: le ipotesi più accreditate portano alle frange estremiste del partito presidenziale, le quali non accettavano la ratificazione dell'accordo di Arusha (1993) che concedeva al Fronte Patriottico Ruandese (RPF), composto in prevalenza da esiliati Tutsi, un ruolo politico e militare importante all'interno della società ruandese; un'altra ipotesi sostiene che fu proprio l'RPF a compiere l'attentato, convinto che il suo ruolo negli eventi sarebbe stato marginale e che i patti non sarebbero stati rispettati; qualche anno più tardi è stata incriminata la moglie del presidente, che proprio quel giorno, contrariamente alle sue abitudini, decise di prendere un mezzo alternativo all'aereo, forse perché conosceva in anticipo la sorte del marito o forse perché lei stessa ne aveva tessuto le trame.

    Subito dopo lo schianto dell'aereo, ma anche nella stessa mattinata del giorno 6 di aprile, cominciarono i massacri, che si intensificarono dal 7 aprile a Kigali e nelle zone controllate dalle forze governative (FAR, Forze Armate Ruandesi), con il pretesto di una vendetta trasversale, iniziarono i massacri della popolazione Tutsi e di quella parte Hutu imparentata con questi o schierata su posizioni più moderate, ad opera della Guardia Presidenziale e dei gruppi paramilitari Interahamwe e Impuzamugambi, con il supporto dell'esercito governativo. Il segnale dell'inizio delle ostilità fu dato dall'unica radio non sabotata, l'estremista "RTLM" che invitava, per mezzo dello speaker Kantano, a seviziare e ad uccidere gli "scarafaggi" tutsi.

    Per 100 giorni si susseguirono massacri e barbarie di ogni tipo; vennero massacrate più di un milione di persone in maniera pianificata e capillare. Uno dei massacri più efferati fu compiuto a Gikongoro, l'allora sede dell'istituto tecnico di Murambi: oltre 27.000 persone vennero massacrate senza pietà e la notte dalle fosse comuni il sangue uscì andando ad inumidire il terreno. Per dare un'idea sommaria di quello che avvenne, basti pensare che in un giorno vennero uccise circa ottomila persone, circa 333 all'ora, ovvero 5 vite al minuto.
    Il massacro non avvenne per mezzo di bombe o mitragliatrici, ma principalmente con il più rudimentale ma altrettanto efficace machete. Il genocidio ruandese ebbe termine nel luglio 1994 con la vittoria dell'RPF nel suo scontro con le forze governative. Giunto a controllare l'intero paese l'RPF attuò una risposta al genocidio che aggravò ulteriormente la situazione umanitaria in quanto comportò la fuga di circa un milione di profughi Hutu verso i paesi confinanti Burundi, Zaire, Tanzania e Uganda. (wikipedia)





    È piuttosto difficile distinguere un Tutsi da un Hutu: queste etnie hanno patrimoni genetici quasi identici, e la distinzione fra esse si fonda su basi più sociali che razziali. Una distinzione talmente labile che il Belgio – antico potere coloniale – dovette rinforzarla con un criterio “agricolo”: chi possedeva almeno dieci capi di bestiame era un Tutsi; chi ne possedeva meno era un Hutu. Verrebbe quasi da ridere, se non fosse per il milione e mezzo di morti che questa discriminazione ha causato in tanto in Ruanda come in Burundi.
    Hutu e Tutsi hanno convissuto relativamente in pace per secoli; fu l’amministrazione coloniale ad alimentare l’odio interetnico, secondo l’antico principio del divide et impera. Burundi e Ruanda, fusi in un’unica colonia, si separarono nel 1961 e presero strade politche diverse, ma le loro vicende proseguirono su binari paralleli: con la fine del governo coloniale le tensioni fra Hutu e Tutsi in ambedue i paesi degenerarono una spirale di violenza, che in trent’anni provocò la morte di circa 500'000 persone.





    PERCHE' POSSIATE TROVARE LA VERA PACE LASSU'..

    ....ai genitori di Justine, Burundi 1994






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