ANDIAMO AL CINEMA

film in uscita nelle sale

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  1. gheagabry
     
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    Al Cinema Oggi

    La talpa


    locandina

    Un film di Tomas Alfredson. Con Gary Oldman, Kathy Burke, Benedict Cumberbatch, David Dencik, Colin Firth.

    Un film romantico ed elegante, carico e delicato allo stesso tempo
    Marianna Cappi


    Londra, 1973. Control, il capo del servizio segreto inglese, è costretto alle dimissioni in seguito all’insuccesso di una missione segreta in Ungheria, durante La-Talpa-un-poster-e-sei-immagini-per-Tinker-Tailor-Soldier-Spy-6la quale ha perso la copertura e la vita l’agente speciale Prideaux. Con Control se ne va a casa anche il fido George Smiley, salvo poi venir convocato dal sottogretario governativo e riassunto in segreto. Il suo compito sarà scoprire l’identità di una talpa filosovietica, che agisce da anni all’interno del ristretto numero degli agenti del Circus: quattro uomini che Control ha soprannominato lo Stagnaio, il Sarto, il Soldato e il Povero.
    John Le Carré, prima di diventare uno dei massimi esponenti della letteratura di spionaggio, è stato dipendente del MI6 e ha effettivamente visto la propria carriera interrompersi a causa di un agente doppiogiochista al soldo del KGB. Di questa trasposizione per il grande schermo Le Carrè stesso ha dichiarato: “sono orgoglioso di aver consegnato ad Alfredson il mio materiale, ma ciò che ne ha realizzato è meravigliosamente suo”, e non potrebbe esserci verità più lampante e gradita.
    Meno rispondente, forse, al sapore del libro ricreato in sede televisiva trent’anni fa con un grande Alec Guinnes e il plauso incondizionato dell’autore, la Talpa di Alfredson soffrirebbe dentro qualsiasi schermo più piccolo di quello cinematografico. Perché è di un gran film che si tratta, di quel genere di film che è reso tale dalla perfezione delle parti e da qualcosa di più.
    Visivamente impeccabile -elegante e vivido al punto che si sentono l’odore della polvere sui mobili, il leggero graffiare del tessuto dei cappotti, il fumo delle sigarette, l’umido, i sospiri-, il film ha una delicatezza che non si direbbe possibile sulla carta, parlato moltissimo com’è, da attori dal peso specifico enorme (dei quali il recentemente oscarizzato Colin Firth è in fondo il meno impressionante).
    Lo Smiley di Gary Oldman è il più leggero ed immenso, col passo felpato e il cuore gonfio, non si sa se più fragile o più terrorizzante, impossibile cioè da “catturare” in un’impressione univoca. Qualcuno che confonde: un virtuoso del proprio mestiere di segreto ambulante.
    Ma il vero valore aggiunto del film, il tocco che quasi riscrive il genere di appartenenza di questa pellicola, è il suo cuore sentimentale, addirittura romantico. Trattenuto, imploso, mostrato per piccoli indizi, quasi fossero distrazioni, il sentimento amoroso (tragico ma vitalissimo) è ciò che scalda il film di Alfredson da cima a fondo: il punto debole che fa la sua forza, il dettaglio che fa la sua grandezza.

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  2. gheagabry
     
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    L'incredibile storia di Winter il delfino in 3D

    locandina

    Un film di Charles Martin Smith.Con Harry Connick jr., Ashley Judd, Nathan Gamble, Kris Kristofferson, Cozi Zuehlsdorff

    Un film per ragazzi girato alla vecchia maniera
    Giancarlo Zappoli


    2006. Mentre nuota libero, un giovane delfino rimane impigliato in una trappola per granchi e riporta gravi ferite alla coda. Viene soccorso e trasportato al Clearwater Marine Hospital, dove gli viene dato il nome Winter. Ma la sua lotta per sopravvivere è solo all’inizio. La perdita della coda può costargli la vita e saranno necessarie l’esperienza di un appassionato biologo marino, l’ingegno di un brillante medico esperto di prostetica e l’incrollabile devozione di un ragazzo di nome Sawyer per portare a compimento un miracolo - un miracolo che non solo ha salvato Winter, ma è riuscito ad aiutare migliaia di persone in tutto il mondo.
    Da tempo mancava sugli schermi cinematografici del nostro Paese un film per ragazzi girato ‘alla vecchia maniera’. Che cosa si intende con questa definizione? Ci si riferirisce ad un’opera cinematografica che si mette ad altezza di sguardo di un preadolescente e racconta di un molteplice superamento di handicaps con quel tanto di retorica che in questi casi diventa quasi indispensabile ma anche con dei precisi riferimenti alla realtà.
    Perché qui non siamo in compagnia dell’ennesimo emulo del famosissimo (a partire dagli anni Sessanta ) Flipper quanto piuttosto di fronte a dei bisogni profondi. Perché se a Sawyer manca il padre che lo ha abbandonato da tempo ed è ora irreperibile, per la sua nuova e loquace amica Hazel è la morte della madre a pesare sull’esistenza. Per Winter invece il dover essere privo della coda diventa un limite apparentemente insuperabile. Ma non sono solo i protagonisti di questa storia (che potrebbe sembrare troppo edificante per colpire davvero al centro) a trarre beneficio dai fatti. Lo è anche una nazione incuneata in una guerra assurda (leggi Iraq) che vede tornare a casa i propri figli menomati agli arti ad ampliare la prospettiva.
    Come a volte e per fortuna ancora accade una ricerca finalizzata ad un esito specifico produce un beneficio ad altri soggetti. La guaina creata per attaccare la protesi a Winter ha risolto i problemi di molti reduci amputati e non solo di loro. Le ultime immagini del film ci mostrano riprese documentaristiche e, al contempo, ci immergono in una realtà di sofferenza (anche infantile) oltre che mostrarci come i veri protagonisti non fossero poi così belli come il cinema ha voluto che li immaginassimo.
    Se dobbiamo trovare un difetto al film lo possiamo individuare nell’uso del 3D che risulta praticamente superfluo. Le scene girate nell’oceano sono davvero poche e per vedere la storia di un delfino che vive in una vasca di un centro di recupero per animali acquatici le tre dimensioni servono a poco.



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  3. dolcixima
     
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    La scorsa settimana ho visto "immaturi il viaggio" ed è stato davvero bello :) questa settimana andrò a vedere "benvenuti al nord" :P
     
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  4. gheagabry
     
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    Benvenuti al Nord

    locandina

    Un film di Luca Miniero. Con Claudio Bisio, Alessandro Siani, Angela Finocchiaro, Valentina Lodovini, Nando Paone.

    Bisio e Siani si spostano al Nord
    Diretto sempre dal regista napoletano Luca Miniero, il sequel del fortunato benvenuti_al_nordBenvenuti al Sud conferma il cast del primo episodio aggiungengovi alcune interessanti new entry. Tra queste si segnala Paolo Rossi, nel ruolo di un imprenditore senza scrupoli. Il sequel - secondo Miniero - era quasi "obbligatorio", se non altro perché serviva a "completare il tema, mostrando l'altra faccia del dualismo nazionale". Le riprese coinvolgono Castellabate (location principale del successo dello scorso gennaio), Milano e un piccolo paese del Nord Italia.
    Sono passati circa due anni. I nostri amici, Alberto e Mattia, sono in crisi con le rispettive mogli. Silvia (Angela Finocchiaro) detesta Milano a causa delle polveri sottili e dell’ozono troposferico e accusa Alberto (Claudio Bisio) di pensare solo al lavoro e poco a lei. Così, per risvegliare l’amore, prende una seconda casa in montagna dove trascorrere romantici weekend. Peccato che Alberto abbia accettato di guidare un progetto pilota delle Poste che lo impegnerà per un anno, sabati compresi. Intanto Mattia (Alessandro Siani), il solito irresponsabile, vive con la moglie Maria (Valentina Lodovini) e il figlio Edinson a casa della madre, lavora poco e proprio non riesce a pronunciare la parola “mutuo”. Per questo Maria lo lascia, costringendolo a mille sceneggiate per riconquistarla. Fallito ogni tentativo, Mattia suo malgrado finirà a lavorare a Milano, incastrato dall’ingenuità dei suoi amici che lo affidano alle cure di Alberto. L'impatto del napoletano con la città sarà terribile: parti.


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  5. dolcixima
     
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    Visto ieri.. è stato bellissimo.. :P
     
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  6. gheagabry
     
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    Prossimamente al cinema



    Bobby Fischer Against the World

    locandina

    Un film di Liz Garbus. Con Bobby Fischer, Boris Vasil'evic Spasskij Titolo originale Bobby Fischer Against the World

    Rifuggendo dallo stereotipo del genio folle, una ricostruzione che mette in luce la dimensione più umana del controverso campione di scacchi.
    Giancarlo Zappoli


    Nato nel 1943 e morto nel 2008 Bobby Fischer è stato sicuramente un grande scacchista se non il più grande. Il documentario prodotto dall’HBO ne ripercorre la biografia utilizzando le testimonianze di chi lo ha conosciuto direttamente, integrate con un’ampia selezione di materiali video. Ne emerge un ritratto che ha al centro il famosissimo incontro in Finlandia con Boris Spassky tenutosi nel 1972 e avente in palio la corona mondiale allora detenuta dal russo e conquistata in quell’occasione dall’americano. Ciò che però più interessa Liz Garbus sono la complessa psicologia del personaggio nonché i segni impressi su di lui da un’infanzia e un’adolescenza non particolarmente felici se non per i successi scacchistici.
    Il cinema si era già avvicinato a distanza di sicurezza alla sua figura con Sotto scacco, in cui ci si occupava di un bambino che lo vedeva come un mito. In questo documentario il mito resiste su un piano, diciamo così, professionale mentre si sgretola su quello interiore. Fischer, figlio di genitori ebrei e con un padre naturale praticamente mai conosciuto, dopo la vittoria non solo scomparirà perdendo a tavolino il titolo ma, quando deciderà di tornare sulla ribalta, lo farà trasformato in un antisemita viscerale oltre che in un contravventore delle disposizioni del governo americano. Subendo quindi una condanna ed essendo costretto a vagare all’estero. Garbus gioca con grande perizia le carte che si trova a disposizione, rifugge dal delineare l’ormai stucchevole stereotipo del genio folle cercando invece di scavare alla ricerca delle cause profonde del malessere esistenziale che portò Fischer a innescare una vera e propria patologia. Più che le testimonianze, peraltro di prima mano, di chi lo conobbe non superficialmente sono di grande interesse le immagini (di repertorio e non) che lo ritraggono sin da bambino quasi incatenato alla scacchiera. È come se re, regina, cavallo ecc. fossero divenuti i pezzi di un gioco la cui posta era molto più alta di una vittoria contro l’avversario seduto sulla sedia di fronte. Concentrando su di sé tutta la sua energia gli scacchi impedivano a Fischer di trovare il tempo per meditare su se stesso e sulla propria fragilità. Garbus inserisce anche, senza pedanteria, una riflessione sul ruolo che gli scacchi ebbero nel confronto tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Si trattava di avversari di una guerra tattica, come è quella sulla scacchiera, che la testimonianza dell’allora Segretario di Stato Henry Kissinger mette chiaramente in luce. Siamo quindi di fronte a una ricostruzione che potrà deludere gli appassionati del gioco che non avranno a disposizione una sovrabbondanza di informazioni sulla perizia tecnica di un loro beniamino. Troverà invece il favore del più vasto pubblico di coloro i quali, dietro alla facciata di ascese e cadute, vanno alla ricerca della dimensione più umana e interiore di un personaggio come Bobby Fischer.


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  7. gheagabry
     
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    Mission Impossible - Protocollo Fantasma



    locandina

    Un film di Brad Bird. Con Tom Cruise, Jeremy Renner, Simon Pegg, Paula Patton, Michael Nyqvist.
    Nella quarta Mission Impossible Bird cerca di umanizzare l'incredibile agente Hunt
    Giancarlo Zappoli


    Implicati loro malgrado in un gravissimo attentato terroristico al Cremlino l'agente Ethan Hunt e i suoi collaboratori sono messi al bando dal governo americano. Il Presidente lancia l'operazione "Protocollo Fantasma". Hunt e i suoi ufficialmente non agiscono più per conto degli Usa ma tocca a loro, senza alcuna copertura, cercare di fermare chi sta cercando di scatenare una guerra nucleare contando sulla mai sopita diffidenza tra russi e yankee.
    Le serie televisive, come si sa, sono concepite in modo tale da poter passare di mano in mano (leggi: di regista in regista) senza che i non addetti ai lavori si accorgano di nulla. La standardizzazione è la regola di base a cui tutti si debbono attenere. Sul grande schermo fortunatamente le cose procedono diversamente. Siamo ormai alla quarta Mission Impossible e ogni volta abbiamo assistito a una conferma della continuità unita però a un'incessante variazione di stile. Brian De Palma, che aveva curato l'esordio, non aveva rinunciato al suo gusto per la ricerca stilistica e la citazione raffinata mentre John Woo aveva dato sfogo alla passione per l'esasperazione di ogni singolo dettaglio. J.J. Abrams aveva raccolto l'eredità cercando di portare alla storia il suo spiccato interesse per una costruzione narrativa in cui l'amato (e ampiamente sperimentato in Lost) flashback entrasse in gioco per strutturare un'emozione che non scaturisse solo dall'azione.È ora il turno di Brad Bird che, lasciati i supereroi in cerca di tranquillità de Gli Incredibili e i fornelli di Ratatouille, affronta attori in carne ed ossa che agiscono però in una dimensione in cui gli spettatori debbono essere disponibili a sospendere la famosa incredulità o disporsi a fare altre scelte. Perché Ethan Hunt sopravvive ancora a qualsiasi percossa e caduta (con un po' di dolore a una gamba e nulla più) come da contratto ma, pur aderendo a questa dimensione, Bird non rinuncia a percorrere la strada esplorata da Abrams.
    Cerca cioè di umanizzare l'"incredibile" agente offrendogli delle occasioni per far emergere emozioni che vadano al di là della pura action in escalation (che ovviamente non manca). Se allo 007 di Daniel Craig si concedeva un 'passato' ora quello di Ethan Hunt viene letto sotto una nuova luce. Ma, al suo fianco, c'è un gruppo che consente di diversificare anche i diversi livelli dell'azione aggiungendo qualche punta di ironia in più grazie al personaggio interpretato da Simon Pegg. I cattivi? Non mancano e sono proprio cattivi e, come spiega Hunt offrendoci in due battute una lezione di sceneggiatura di genere: "Quando sparano non pensano. Tirano su tutto quello si muove."

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  8. gheagabry
     
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    Oggi al cinema

    The Iron Lady

    locandina

    Un film di Phyllida Lloyd. Con Meryl Streep, Jim Broadbent, Olivia Colman, Roger Allam, Susan Brown.

    Tra passato e presente, uno sguardo ammorbidito, ma non del tutto agiografico, sulla lady di ferro
    Marianna Cappi


    Chester Square, oggi. L’ottantenne Margaret Thatcher, ex Primo Ministro britannico, affetta da una crescente demenza senile, parla con il marito Denis, morto da anni, mentre resiste alla necessità di liberarsi del guardaroba dell’uomo e insieme combatte strenuamente la perdita del suo immenso potere e l’inesorabile passare del tempo. Nota per la sua politica ultraconservatrice e per le scelte controverse in campo nazionale e internazionale, la Thatcher – racconta il film - è stata una donna che all’ambizione politica ha immolato se stessa e la sua vita privata.
    Se si può solo restare ammirati da un talento che non scema e anzi probabilmente cresce, come quello di Meryl Streep, qui nella performance che ne farà un’icona elevata alla seconda, il resto del film controbilancia tanto entusiasmo e si dispiega su un binario pianamente biografico: pianeggianti sono, infatti, la regia di Phyllida Loyd e la scrittura di Abi Morgan, forse più felice in sede televisiva che cinematografica.
    Le idee di fondo sono due: da un lato, l’adozione di una focalizzazione interna, vale a dire del punto di vista della protagonista, in modo da sospendere (o quasi) ogni giudizio esterno sul suo operato politico; dall’altro l’idea di raccontare la Thatcher anziana, preda di una malattia progressiva e allucinogena che le fa mescolare il presente ai ricordi del passato, kronos e kairos, e in questo modo la costringe a ripercorrere una vita e a fare un bilancio (solo) in parte doloroso di se stessa.
    Non c’è dubbio che lo sguardo sul personaggio esca da un lavaggio con dosi massicce di ammorbidente, ma parlare di agiografia non è onesto, perché man mano che il film procede la determinazione della giovane Margaret Roberts lascia sempre più chiaramente il posto alla cecità di una donna che obbedisce ad una convinzione monomaniacale (no al compromesso, in nessun caso), mandando per questo a morire la sua gente e mettendo in ginocchio una nazione. È un passaggio silenzioso ma presente. E tra le righe bisognerebbe leggere almeno un altro dato che il film non commenta: la sua rielezione da parte dei cittadini brittanici per ben tre mandati, nonostante fosse la donna più odiata del mondo.
    Al di là di trucco e parrucco, The Iron Lady ha dunque una sua ragione d’interesse non solo in Jim Broadbent, che si conferma un efficacissimo salvagente, ma soprattutto fuori dallo schermo, oggi che l’Inghilterra non è meno Broken England di allora e di certo non è la sola. La confusione tra passato e presente potrebbe non essere solo un espediente di scrittura, ma affondare qualche volontaria radice nella realtà.


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  9. gheagabry
     
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    Oggi al cinema



    ACAB - All Cops Are Bastards

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    Un film di Stefano Sollima.Con Pierfrancesco Favino, Filippo Nigro, Marco Giallini, Andrea Sartoretti, Roberta Spagnuolo.

    Debutto di genere che prova a leggere la realtà sotto la scorza e dietro la visiera
    Marzia Gandolfi


    17384963_cinema-in-anteprima-acab-all-cops-are-bastards-prime-immagini-trailer-0Cobra, Negro e Mazinga sono celerini e ‘fratelli' dentro gli stadi, lungo le strade e intorno alle piazze che ‘ripuliscono' la domenica dagli ultras e i giorni in avanzo dai clandestini, dagli sfrattati, dai delinquenti e dalle puttane. (Co)stretti tra le logiche dello Stato e l'odio della comunità, i poliziotti del Reparto Mobile assorbono dosi di rabbia e producono violenza legalizzata contro la violenza cieca dei tifosi dei sassi e delle lame. Uomini invisi, mariti congedati, padri inadeguati, Cobra, Negro e Mazinga provano a dimenticare il privato dolente nella cosa pubblica, picchiando duro chi minaccia l'ordine e la nazione. Dentro la divisa e dietro la visiera guardano la miseria del mondo e i miserabili che la abitano senza intenzione se non quella della prepotenza e della sopraffazione. Compromessi dalla ‘spedizione genovese' e perduta l'anima nella scuola Diaz, sei anni dopo cercano il riscatto nell'azione e nell'istruzione alla fratellanza di un giovane agente individualista e ribelle. Spina, eccitato dal sangue e iniziato col lacrimogeno, seguirà gli anziani sul confine, decidendo per sé e per la divisa che indossa un domani meno celere. Sulla strada restano i fratelli maggiori. Assediati dal buio, impugnano il manganello e sollevano gli scudi, sfollando le ombre e ricacciando i fantasmi.
    Abbattuti sui marciapiedi della Magliana i criminali fascinosamente famelici di De Cataldo, Stefano Sollima ‘archivia' la televisione e debutta al cinema con un film che produce uno spiazzamento e mette in circolo altre visioni. Profondamente buio, ubiquo e pervasivo, ACAB attenta il gusto dominante, aprendo uno squarcio, soggettivo, parziale, ideologico, estetizzante e tutto ciò che si vuole, su una realtà altrimenti muta. Diversamente dai poliziotti domestici e addomesticati dei distretti Mediaset o delle squadre Rai, le ‘guardie' di Sollima nascono dal popolo e dalle periferie romane, abbandonate alla criminalità straniera che spegne la tolleranza e accende il desiderio di farsi giustizia da soli. Usciti dall'indagine e dalle pagine di Carlo Bonini, giornalista del quotidiano “la Repubblica”, i celerini di ACAB sono una massa incandescente di energia umana, un corpo di solitudine incapace di gestire nel pubblico come nel privato un rapporto non autoritario con l'altro.
    Sollima non si propone di e si guarda bene dal creare alcun mito, pur avvalendosi, anche inconsapevolmente, di materiali mitologici preesistenti. I celerini di Nigro, Favino e Giallini sono essenzialmente guerrieri, combattenti fedeli a un codice (e a un reparto) e chiusi in una psiche scultorea che non riesce a fugare le ombre di un pensare barbaro e radicale. Cortocircuitando cronaca e cinema di genere il regista prova a leggere la realtà sotto la scorza e dietro la visiera, regalandoci uno spaccato di vita italiana come e meglio di molto realismo conclamato. ACAB interviene aspramente sui problemi sociali, giocando con la pura finzione ma facendo attenzione a non coprire la realtà con la vernice degli stereotipi.
    Sollima individua nel libro omonimo di Bonini una struttura forte di partenza, un punto di vista inedito e francamente impensabile nel nostro Paese e nel nostro cinema, segnalando che l'inferno non è mai (solo) là dove vedi fuoco e fiamme, e che il sangue più terribile non è mai (solo) quello che ci fanno vedere. I protagonisti di ACAB, diversamente dai banditi della Magliana secondo Placido, non patiscono il capriccio sacrificale e romantico degli ex bambini poveri da rievocare in flashback. Dentro set e costumi (di ordine pubblico) che non si ‘sentono' mai, incoraggiando la visione e la convinzione di quello a cui si assiste, i protagonisti in blu, azzurro e cremisi abitano una società violenta che ‘sfratta' il superfluo, il brutto, il debole e chiede loro di esserne gli esecutori tutt'altro che immuni. Perché non tutti i poliziotti sono violenti e dediti alla repressione ma allo stesso modo sono scarsi gli anticorpi capaci di fronteggiare deviazioni sempre possibili in una professione delicata e irascibile come quella dei reparti mobili. La macchina da presa testimonia silenziosa le tensioni e lo stress che gli attori ‘agenti' vivono in molte, troppe situazioni, trattenuti da quadri legislativi sempre ambigui in un originario modello di braccio armato del potere e impediti dai governi, nessuno escluso, a infilare la direzione di organo statuale garante dei diritti.
    Sollima, senza dimenticare o scontare la mentalità nera di quella struttura operativa, che ha radici sprofondate in una giovane Repubblica costretta a fare i conti con una continuità pressoché integrale della polizia fascista, mette in piazza uomini biasimati e disapprovati, malpagati, male addestrati e nulla equipaggiati, che devono agire immediatamente, privilegiando l'efficacia ai valori democratici. Là fuori il controllo gerarchico si allenta e gli uomini restano soli con la paura di un ‘nemico interno' e la libertà d'azione di fare il male, di fare male, di farsi male.


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  10. gheagabry
     
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    Roberts vs Theron, chi e' la piu' cattiva?
    In primavera e' sfida tra film su Biancaneve. Una cattivissima regina del male interpretata da Julia Roberts, una dolce ma atletica Biancaneve (Lily Collins) con tanto di camicia con manica a sbuffo, corsetto e gonnellone, e, ovviamente, sette prestanti nani che all'occorrenza diventano alti con le loro gambe telescopiche.
    Questo è quello che si vede nel trailer esteso di 'Biancaneve' (Mirror mirror) che arriverà nelle sale italiane il 4 aprile distribuito da 01. Ma due mesi dopo arriverà un'altra 'Biancaneve', quella dark interpretata da Kristen Stewart in 'Biancaneve e il cacciatore'. Tra commedia e fantasy il film, firmato da Tarsem Singh (The Cell, The Fall e Immortals) che negli USA uscirà il 30 marzo, ha appunto come protagonista Lily Collins, una principessa in esilio che cerca, proprio con l'aiuto di sette-nani banditi ribelli, di ottenere quello che gli appartiene di diritto: ovvero il suo regno che la superba matrigna Grimilde le ha rubato tanti anni fa. Ma non poteva mancare il principe azzurro. A vestire i suoi panni Andrew Alcott che, oltre a subire il fascino di Biancaneve, sarà anche sedotto da Grimilde grazie a una pozione magica. Nel cast del film, prodotto dalla Relativity Media, anche Armie Hammer e Nathan Lane (il servo della Regina), oltre a Robert Emms, Mare Winningham, Michael Lerner, Mark Povinelli, Jordan Prentice, Danny Woodburn, Sebastian Saraceno, Ronald Lee Clark, Martin Klebba, Joey Gnoffo e Sean Bean. Ma Lily Collins non sarà la sola Biancaneve a scendere in campo perché arriverà il 1 giugno 'Biancaneve e il cacciatore', una più che libera interpretazione della fiaba dei fratelli Grimm declinata al dark. Kristen Stewart (Twilight) è la Biancaneve guerriera, Charlize Theron (la Regina Cattiva) e Chris Hemsworth (il Cacciatore). Nel film pieno d'azione la Stewart ha dalla sua la sfortuna di essere l'unica persona del reame più bella della Regina Malvagia (Theron). Manco a dirlo, quest'ultima vuole eliminare questa bellezza che è un affronto alla sua. Solo che la cattivissima regina non ha mai immaginato Biancaneve, a parte il nome, non è affatto una sprovveduta nell'arte della guerra. Anche perché è stata addestrata dal cacciatore (Hemsworth). Vale a dire proprio l'uomo che è stato incaricato di ucciderla. Il film è prodotto da Joe Roth (Alice in Wonderland), Sam Mercer (Il Sesto Senso) e il visual artist Rupert Saunders.

     
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  11. gheagabry
     
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    Al Cinema Oggi!

    Hugo Cabret

    locandina

    Un film di Martin Scorsese.Con Ben Kingsley, Sacha Baron Cohen, Asa Butterfield, Chloe Moretz, Ray Winstone.

    Una meraviglia per gli occhi con un cuore meccanico
    Marianna Cappi


    Il piccolo Hugo Cabret vive nascosto nella stazione di Paris Montparnasse. Rimasto orfano, si occupa di far funzionare i tanti orologi della stazione e coltiva il sogno di aggiustare l'uomo meccanico che conserva nel suo nascondiglio e che rappresenta tutto ciò che gli è rimasto del padre. Per farlo, sottrae gli attrezzi di cui ha bisogno dal chiosco del giocattolaio, un uomo triste e burbero, ma viene colto in flagrante dal vecchio e derubato del prezioso taccuino di suo padre con i disegni dell'automa. Riavere quel taccuino è per Hugo una questione vitale.
    Con l'adattamento di "La straordinaria invenzione di Hugo Cabret", Martin Scorsese si ritrova e si perde allo stesso tempo, andando alla ricerca del tempo perduto, lui che il meccanismo del tempo, al cinema, lo ha messo alla prova più di altri. Tra le centinaia di persone che affollano il cosmo della stazione ferroviaria, immagini di una cartolina animata da un illusionista, è difficile riconoscere di primo acchito il regista, prestato a stantii siparietti tra ufficiali e fioraie, signore col cane e pretendenti col giornale, che avremmo visto meglio in un film di Jeunet. Quello che non è difficile riconoscere, invece, è il suo amore per la settima arte, profondo come un abisso.
    Ed è proprio in quell'abisso che ci fa sprofondare l'incipit del film, in un crescendo d'incanto: la tecnologia tridimensionale smette di essere sfoggio e diviene bullone imprescindibile della costruzione; d'altronde, il film incrocerà di lì a poco Georges Meliès, il padre degli effetti speciali e dell'animazione dell'inanimato.
    Ma padre non è solo un modo di dire, non in questa circostanza. Il film, infatti, si presenta letteralmente come un'avventura da cinéfils, nel senso che Daney dava al termine, essendo la storia di un ragazzo che, cercando il proprio padre, trova il cinema. Eppure è proprio su questo punto che Hugo Cabret rischia di perderci e di vederci abbandonare il vagone. Non è tanto la fine consistenza della trama (non era certo un cinema della narrazione, quello degli esordi) e non sono solo i dialoghi artefatti. Più che mai, a frenare l'emozione, è l'abito da film per cinefili cucito su un film per neofiti.
    Al cinefilo viene qui sottratto il godimento principe, quello di partecipare ad una missione clandestina, dove l'oggetto del desiderio è qualcosa da andarsi a cercare, lontano dal plauso della critica. Nella rilettura di Scorsese del bell'ibrido cartaceo di Brian Selznick, la magia dell'esperienza cinematografica è esplicitata e ribadita ogni pochi minuti e lo stesso trattamento è riservato al mistero e all'avventura, con effetti a dir poco ridondanti. S'invita lo spettatore ad ammirare lo spettacolo sensazionale, ad emozionarsi di fronte al meraviglioso, ma di fatto lo si tira per un braccio lungo un cammino prestabilito e didattico, che nulla ha di perturbante e molto di accattivante.
    Più che dietro gli occhi del giovane Hugo, il regista sembra essersi messo al posto dell'imbonitore di un tempo, colui che, quando il cinematografo era ancora uno spettacolo da fiera, sbandierava la natura straordinaria dell'invenzione per portare gente al proprio baraccone. Di fronte a questa presa di posizione (e a questo posizionamento), si può allora legittimamente avvertire o decidere una presa di distanza, perché se il film non può non piacere è anche perché è studiato per farlo.


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  12. gheagabry
     
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    Dalla favola di Scorsese a Millennium
    Tra le uscite anche Polisse e i Muppet


    Il fascino dell'Europa, della sua cultura, del suo cinema, della sua realtà e immaginario sembrano contagiare il cinema americano in una rinnovata "nouvelle vague" del gusto che influisce anche sulle opere in uscita questo fine settimana. A capeggiare la fila c'é naturalmente l'inatteso Martin Scorsese con la sua fiaba per ragazzi che ha sedotto i giurati dell'Oscar fino a garantirgli un record di nominations.

    -HUGO CABRET di Martin Scorsese con Asa Butterfield, Ben Kingsley, Chloe Mortz, Sacha Baron Cohen. Una viaggio onirico che diventa fiaba, un canto d'amore per una città, Parigi, che diventa dottissima e delicata memoria del cinema. Nel segno di un regista che rivendica la forza dell'emozione inventiva della settima arte come condimento essenziale all'esperienza della vita. E' la storia del piccolo Orfano Cabret che negli anni '30 vive nei meandri della stazione ferroviaria di Parigi alla ricerca della chiave per ridare vita a un misterioso automa lasciatogli dal padre. La chiave di volta sta appesa al collo di una ragazzina eccentrica mentre la soluzione dell'enigma è nelle mani di un misterioso giocattolaio che un tempo sognò con il cinematografo Dal romanzo di Brian Selznick, figlio d'arte.

    -MILLENNIUM - UOMINI CHE ODIANO LE DONNE di David Fincher con Daniel Craig, Stellan Skarsgaard, Rooney Mara, Robin Wright, Christopher Plummer. Come nel romanzo originale di Stig Larson, il giornalista Mikael Blomqvist accetta un difficile incarico investigativo da un magnate della finanza che vuole vederci chiaro nel passato della famiglia. Per venire a capo del pericoloso rompicapo su cui qualcuno vuole tenere il silenzio ad ogni costo, Blomqvist accetta l'aiuto di una hacker eccentrica e pericolosa, Lisbeth Salander. La sceneggiatura di Steven Zaillian segue passo passo il romanzo originale fino all'inattesa conclusioneCon un surplus di effetti speciali. -POLISSE di Maiwenn. Una fotografa (Melissa) viene incaricata dal Ministero dell'Interno francese di documentare la vita quotidiana della Brigata di Polizia parigina addetta alla protezione dei minori. Tra intrecci sentimentali, rovelli di coscienza e difficoltà quotidiane si svela un mondo di uomini normali a cui, ogni giorno, affidiamo senza saperlo la sicurezza dei nostri figli. Un film di clamoroso successo in Francia, sorpresa nazionale al festival di Cannes, perfino più emozionante della verità della cronaca.

    -HESHER E' STATO QUI di Spencer Susser con Joseph Gordon Levitt e Devin Brochu. La vita del ragazzino autistico T.J., che non riesce a riprendersi dal trauma della morte della madre e di so padre che si è abbandonato a uno stato di doloroso distacco dal mondo viene rivoluzionata dall'arrivo del "pericolo sociale" Hescher. Il ragazzo è una specie di angelo del male che si rivela buonissimo, salvo la sua propensione ad appiccare incendi, la vena profondamente anarchica del comportamento e la sigaretta sempre accesa. Un film sorprendente e diverso che merita una diversa attenzione dal pubblico.

    -SULLA STRADA DI CASA di Emiliano Corapi con Vinicio Marchioni, Donatella Finocchiaro, Daniele Liotti e Claudia Pandolfi. Si chiama Alberto, fa l'imprenditore a Genova, ha una bella famiglia con moglie e figli ma proprio non sa come mandare avanti l'impresa. Accetta così di fare il corriere per un'organizzazione criminale approfittando dei suoi viaggi di lavoro. Finché un gruppo rivale non si mette di traverso e vuole ricattarlo rapendogli la famiglia. Insolito noir italiano con un cast di valore e un buon esordio in regia.

    -I MUPPET di James Bobin. Il celebre gruppo di pupazzi ritenta l'avventura del grande schermo con una storia fitta di sorprese (e di risate per i più piccini).Per sventare il piano di uno speculatore che vuole radere al suolo lo storico teatro dei Muppet, il loro più grande fan (il piccolo Walter) si mette sulle tracce del gruppo storico rintraccia, uno a uno, Fozzie, Miss Piggy, Animal e Gonzo ai quattro angoli del globo.(ansa)


    HUGO CABRET



    Un paio d’anni fa cominciò a serpeggiare la voce che Martin Scorsese si sarebbe cimentato con il 3D in un fantasy ambientato nella Parigi degli anni ’30. Tutti abbiamo aspettato con ansia questa rivelazione, questo inedito rapporto tra un regista come Scorsese e un tecnologia e un genere che mai aveva affrontato prima, e finalmente il prossimo 3 febbraio ognuno saprà.Ognuno vedrà l’incredibile dolcezza e la vibrante passione di un ragazzino che insegue un sogno, ancorato all’unico oggetto che gli resta di un padre prematuramente morto.
    Hugo (Asa Butterfield) è un orfano che nella stazione ferroviaria di Parigi regola gli orologi, al posto di uno zio ubriacone e sempre in giro a far chissà cosa. Un giorno però incontra Isabelle e con lei, a poco a poco scoprirà un mondo di sogni lì dove non avrebbe mai sospettato ci fosse qualcosa di così meraviglioso da scoprire.
    Scorsese parte dal romanzo bestseller The Invention of Hugo Cabret e ci racconta la storia di un amore verso il cinema, verso l’illusione, verso l’infinita capacità che questo mezzo ha di raccontarci i nostri sogni. Lo fa attraverso gli occhi meravigliati di Hugo, che per una serie di fortunate coincidenze si trova in casa del grande Méliès (interpretato da Ben Kingsley), primo grande poeta dell’immaginario umano al cinema. Scorsese ci racconta il suo amore verso questo cinema, così grande e profondo da ritagliarsi addirittura un cameo nel film.
    L’idea del romanzo, che Scorsese riesce appieno a centrare è quella di rileggere la storia con il genuino senso di ri-scoperta che si cela negli occhi dei ragazzi, anche di quelli, come Hugo e Isabelle (Chloe Grace Moretz), che nella loro giovane vita hanno sofferto la solitudine. Per Hugo il cinema è un luogo di compagnia, di dolce malinconia e di rifugio poiché nella sala buia e nelle immagini in movimento risiede il vivido ricordo di un padre che gli ha lasciato molto più di quello che il ragazzo pensa. Una mente ingegnosa, il desiderio di scoperta, la furbizia nell’ingenuità dell’infanzia, fanno di Hugo un protagonista perfetto per una qualsiasi avventura per ragazzi.
    Da un punto di vista tecnico, Scorsese passa l’esame con il 3D a pieni voti, realizzando dei piccoli piani sequenza in cui la stereoscopia è perfettamente sincronizzata con il movimento di macchina aiutando lo spettatore ad essere coinvolto nella storia. E qui Scorsese si conferma il grande regista che è, mettendo al suo servizio la tecnica, il tutto per realizzare un racconto favoloso, che forse pecca di lentezza nella parte iniziale, ma che ci regala un vero e proprio viaggio nel cinema che fu.
    Qualcuno potrebbe dire che nel film c’è poco del regista newyorkese, tuttavia Hugo Cabret è a tutti gli effetti una dichiarazione d’amore verso il cinema, verso l’attrazione e verso la meraviglia, concetti più autoreferenziali che legati alla filmografia precedente del regista. Il film si sostiene anche su di una scenografia luminosa, opera di Dante Ferretti, e su una soundtrack del grande Howard Shore.
    Interpreti del film sono anche Sacha Baron Cohen nel divertente ruolo del Capostazione, Helen McCrory nei panni di Jeanne, moglie e musa di Méliès, e in piccoli ruoli Jude Law, Emily Mortimer, Johnny Depp (che compare anche in veste di produttore), Michael Pitt, Christopher Lee, Richard Griffiths e France de la Tour.
    (Chiara Guida)

     
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    Arriva Star Wars 3d



    Arriva nelle sale il 10 febbraio Star Wars Episodio I - La minaccia fantasma, una versione rimasterizzata e convertita in uno stupefacente 3D del film che ha inaugurato nel 1999 la nuova trilogia di Guerre Stellari, la famosa saga creata da George Lucas nel 1977. Il film avrà un'anteprima al Carnevale di Viareggio lunedì e domani alla cerimonia di apertura e poi alla sfilata di domenica sarà presente il cattivissimo Darth Maul, accompagnato da una delegazione dei vari fan club della saga. Lucasfilm e 20th Century Fox hanno siglato un accordo di partnership con il Carnevale di Viareggio e questo è l'unico evento ufficiale in Italia per la promozione di Star Wars Episodio I in 3D.

    I due gruppi mondiali di costuming ufficializzati della Lucasfilm, 501st Legion e Rebel Legion, saranno presenti nella parata Star Wars che aprirà la sfilata del primo corso mascherato. In Episodio I, i cavalieri Jedi Qui-Gon Jinn (Liam Neeson) e il suo padawan Obi-Wan Kenobi (Ewan McGregor) vengono mandati sul pianeta Naboo per mediare una disputa tra la Repubblica Galattica e la corrotta Federazione dei Mercanti. Dopo il fallimento della mediazione, vengono incaricati di proteggere la regina del pianeta, Padmé Amidala (Natalie Portman). I tre, a causa di un guasto all'iperpropulsore, devono atterrare sul pianeta desertico Tatooine, dove incontrano Anakin Skywalker (Jake Lloyd), uno schiavo di nove anni che Qui-Gon crede essere il Prescelto

     
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  14. gheagabry
     
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    The Last Days of Emma Blank

    Un film di Alex Van Warmerdam. Con Marlies Heuer, Annet Malherbe, Eva van de Wijdeven, Gene Bervoets, Gijs Naber.

    locandina

    Commedia aspra e pungente di critica sociale.
    Gabriele Niola


    In una grande casa nella campagna olandese vive Emma Blank. Servita da una cuoca, una cameriera, un assistente personale, un giardiniere e un cane (che in realtà è un uomo che si comporta da cane) la donna è malata e attende la propria morte. Ad attendere però sono anche i servitori i quali intrattengono con la signora uno strano rapporto.
    Raramente il cinema olandese trova riscontro internazionale, in questo caso però Alex van Warmerdam azzecca una commedia molto divertente e dai toni caricaturali che ha il suo punto di forza maggiore nella continua curiosità che sa instillare nello spettatore. Di scena in scena, di inquadratura in inquadratura si desidera sempre di più conoscere cosa leghi la signora Blank ai suoi servitori i quali malvolentieri eseguono ogni suo ordine aspettandone la morte.
    Con passo deciso il regista ci porta verso la soluzione finale non lasciando mai che ci sia un'effettiva evoluzione dei personaggi. Mentre la trama si attorciglia e i rapporti di forza cambiano, le idee e la mentalità dei singoli caratteri coinvolti non mutano, lasciando così l'impressione di un'opera grottesca alla fine della quale tutto è come prima e nessuno è migliore di quando il film è iniziato. In questo senso non c'è catarsi in The last days of Emma Blank ma solo la soluzione della trama e il sistema familiare raccontato non farà che perpetuarsi.
    Questo effetto di sottile critica van Warmerdam lo raggiunge procedendo per piccoli episodi, aiutato da una messa in scena raffinata che affianca i quadretti in cui è articolata la storia grazie ad un montaggio invisibile che si palesa unicamente quando vuole diventare espediente comico. E proprio l'unione tra comicità, patetismo, tragedia e grottesca singolarità della condizione raccontata consentono al film di criticare con grande forza il sistema paleoaristocratico delle grandi alcove familiari (nelle quali si cova più che altro rancore) senza essere mai esplicito ma anzi instillando solo sottili dubbi.


    Video

     
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    ANDIAMO AL CINEMA


    TRE UOMINI E UNA PECORA
    (A Few Best Men)




    Tre uomini e una pecora è un divertente "scontro di civiltà" tra gli amici di lui e la famiglia di lei perché: quando il giovane inglese David annuncia che sta per sposarsi con un'australiana, i suoi sciagurati compagni danno un significato completamente nuovo alla frase "nella buona e nella cattiva sorte"! L'ultra-caotico giorno delle nozze mette alla prova il matrimonio tra i due, il rapporto di David con i suoi tre testimoni, e rischia di trasformare quello che dovrebbe essere il più bel giorno della loro vita nel peggiore di tutti.

    USCITA CINEMA: 10/02/2012
    GENERE: Commedia
    REGIA: Stephan Elliott
    SCENEGGIATURA: Dean Craig
    ATTORI: Xavier Samuel, Kris Marshall, Kevin Bishop, Tim Draxl, Olivia Newton John, Laura Brent, Rebel Wilson, Jonathan Biggins, Steve Le Marquand
    Ruoli ed Interpreti

    MONTAGGIO: Sue Blainey
    MUSICHE: Guy Gross
    PRODUZIONE: Quickfire Films
    DISTRIBUZIONE: Lucky Red
    PAESE: Australia, Gran Bretagna 2012
    DURATA: 97 Min
    FORMATO: Colore
    Sito Italiano
    Sito Ufficiale


    CRITICA:
    Sorta di versione versione down-under di Una notte da leoni, Tre uomini e una pecora non suscita alcun déja-vu e non rimane affatto schiacciato dal confronto con il film di Todd Phillips, riuscendo a risultare perfino più divertente e (paradossalmente) più dolce al tempo stesso. Stephan Elliot ha dalla sua un buon ritmo registico e un copione che riesce ad essere spigoloso, sboccato e rude senza scadere mai nella volgarità gratuita. E proprio per questo a restituire con efficacia, per contrasto, la natura più essenziale e intima del legame affettivo tra i quattro folli amici britannici e tra i due sposini. (federico gironi)

    NOTE:
    Fuori concorso al Festival di Roma 2011.
    (comingsoon.it)