La CUCINA LOMBARDA

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. ZIALAILA
     
    .

    User deleted


    Torta di pane e cacao



    torta-di-pane



    Vi proponiamo la ricetta della torta di pane e cioccolato
    Si tratta di un dolce tradizionale lombardo
    Questa torta molto facile da fare, è piuttosto equilibrata dal punto di vista nutritivo, con pochi grassi e quindi molto adatta per la merenda dei bambini, e sopratutto vi permette di riutilizzare il pane avanzato, evitando sprechi e risultando piuttosto economica.

    •1/2 litro di latte
    •3 o 4 panini raffermi
    •1 hg. di amaretti
    •4 cucchiai di cacao amaro
    •3 o 4 cucchiai di zucchero
    •1/2 hg. di uvetta secca
    •poco brandy
    •1 uovo
    •20 g. di pinoli
    •2 cucchiaini di lievito in polvere per dolci
    •1 bustina di vanillina e un pizzico di cannella in polvere
    •poco burro per la teglia
    Le dosi sono comunque indicative e possono essere modificate a seconda della quantità di pane disponibile e dei vostri gusti.


    Preparazione

    1.Tagliate il pane a pezzetti e sbriciolate gli amaretti, coprire il tutto con il latte bollente e lasciate riposare per un paio d’ore.
    Ammollate l’uvetta nel brandy.

    2.Frullate il composto e se necessario unite ancora un pochino di latte (il composto deve essere morbido ma non liquido).
    Aggiungete anche gli altri ingredienti e mescolate bene il tutto.

    3.Imburrate una teglia (oppure usate una teglia di silicone), riempitela col composto e infornate a 200 gradi per circa 45 minuti.

    4.Lasciate raffreddare, e a piacere cospargete di zucchero a velo.

    *****

     
    Top
    .
  2.  
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Quelli di sempre
    Posts
    1,263
    Location
    napoli

    Status
    Offline
    :a108.gif: GRAZIE ANTONELLA
     
    Top
    .
  3. gheagabry
     
    .

    User deleted


    CUCINA LARIANA



    Nella cucina lariana predomina il lago, ma non mancano i rustici sapori di montagna, né le delizie collinari. Montagna e collina sono custodi di quella tradizione povera e genuina che ha i suoi simboli nelle polente taragna, di grano saraceno, o nella polenta uncia: condita con burro, aglio e formaggi, oppure il toc variante bellagina, piatto unico molto ricercato e di difficile preparazione. Sulle tavole del Lago di Como ha un posto d'onore il fritto misto di lago: alborelle in quantità e agoni, da friggere infarinati in padella di ferro, bottatrice, filetti di persico e lavarello, da cuocere impanati con l'uovo in burro e salvia con un goccio d'olio.
    Il pesce in carpione, fritto e poi marinato in aceto, cipolla, alloro, è parente del pesce in salsa verde, grigliato e marinato in una salsa di prezzemolo, mollica di pane con aceto, capperi, acciughe, aglio, rosso d'uovo, olio d'oliva (ideali lavarelli, agoni e salmerini).
    Il piatto tipico della cucina del lago di Como sono i missoltini o missultin, gli agoni pescati a maggio, essiccati al sole e conservati a strati, con foglie d'alloro, nella missolta, un recipiente chiuso da un coperchio di legno gravato di pesi, in modo che i missoltini restino sotto pressione per alcuni mesi. Si degustano dopo una breve cottura su griglia, irrorati d'olio e aceto, con polenta abbrustolita e vino rosso.
    Tra i dolci la miascia è una torta dalle origini antichissime. Il masigott è un impasto rustico e friabile, dalla caratteristica forma semisferica, di fariine bianca e di grano saraceno, zucchero, burro, uova, uvette, pinoli, arancia candita e lievito.
    Nel dolce, oltre che nella classica torta di mele della nonna, la si trova nella "Miascia",tipico dolce povero della cucina lariana : il pane raffermo tagliato a tocchetti ed ammorbidito nel latte ,si aggiunge zucchero, uova, olio d'oliva ,uvette ( o meglio ancora uva "americana "molto profumata ) , scorza del limone gratuggiata, le mele (preferibilmente qualità golden o renetta ) tagliate a tocchetti.Tutto l'impasto va messo in una teglia, cosparso di rosmarino tritato ed infornato a 180 ° per circa un'ora



    dal sito fb IL MASSO GRASSO b&b

    Edited by gheagabry - 12/6/2013, 00:06
     
    Top
    .
  4. gheagabry
     
    .

    User deleted


    IL LARIO A TAVOLA
    TRATTO DA www.cucinalariana.com

    Gnocchi alla lariana



    Gnocco significa propriamente grumo o protuberanza. Ben prima dello sfruttamento alimentare della patata, almeno dal Medio Evo, in tutta l’Europa meridionale si preparavano gnocchetti (cioè rotolini o palline) di farina bianca o di farina di mistura impastata con acqua o latte e variamente insaporiti. Dalla fine del ‘700, la patata si rivelò un economico succedaneo della farina di frumento, e gli gnocchi di patata subentrarono progressivamente a quelli prodotti fino a quel momento con gli sfarinati di cereali.

    Ingredienti - per l’impasto: FARINA DI FRUMENTO (500 g), UOVA (n° 2), LATTE (500 ml), SALE, PEPE e NOCE MOSCATA (q. b.);
    per il condimento: BURRO (80 g), CIPOLLA (50 g), AGLIO (uno spicchio), PANCETTA (80 g), POMODORI (ben maturi, 100 g),
    ROBIOLA D’ALPE (100 g)

    Esecuzione: Amalgamare in una bacinella con un cucchiaio di legno, la farina, le uova e il latte, fino a ottenere una pastella abbastanza consistente Insaporire con sale, pepe e noce moscata
    Portare a ebollizione una pentola con acqua salata
    Versare a cucchiaiate la pastella nell’acqua sobbollente, facendo cuocere per circa un quarto d’ora gli gnocchi che si andranno formando Nel frattempo, soffriggere nel burro lo spicchio d’aglio (che andrà poi tolto) Affettare finemente la cipolla, ridurre i pomodori in filetti, tagliare a cubetti la pancetta e la robiola
    Riunire tutti questi ingredienti, ottenendo un sugo freddo. Scolare gli gnocchi e farli saltare in una padella con il burro. Versare sugli gnocchi anche il sugo freddo, fare amalgamare il condimento e servire ben caldi.



    Supa d'imbroj



    L’imbroj, italianizzato in imbroglio era, nella cultura tradizionale delle campagne, il rito del fidanzamento. Pare, perché già da tempo l’usanza è stata abbandonata, che questa sostanziosa zuppa non di rado arricchita con erbe spontanee raccolte la mattina stessa e magicamente efficaci soprattutto se la notte c’era stato un temporale, si preparasse per tutti i familiari in occasione della promessa di matrimonio tra due giovani. Si tramanda che, servito in capaci tazze, questa sorta di minestrone versato su fette di pane raffermo venisse consumato sulla soglia di casa, prima che le due famiglie si riunissero all’interno per i festeggiamenti veri e propri.

    Ingredienti: OLIO EXTRAVERGINE (40 ml), LARDO (100 g), AGLIO (uno spicchio), CIPOLLA (piccola, n° 1), SEDANO (2 costole), CAROTE (n° 2), FAGIOLINI (300 g), ZUCCHINE (n° 2), PORRI (n° 1), VERZA (piccola, n° 1), COSTE (biete o erbette, 300 g), BRODO DI CARNE (2000 ml),
    PATATE (500 g), CIME DI ORTICA (se ci sono, 150 g), PREZZEMOLO (un ciuffo), PANE (raffermo o tostato, 6 fettine), SALE e PEPE (q, b.), FORMAGGIO GRANA (grattugiato, a piacere)

    Esecuzione:
    • Nettare e lavare tutte le verdure.
    • Battere sul tagliere il lardo fino a renderlo una poltiglia.
    • Tritare l’aglio, affettare la cipolla, tagliare a tronchetti o a rotelle gli altri ortaggi, trinciare grossolanamente la verza, le coste e il prezzemolo. • In una capace pentola far rosolare il lardo battuto con l’olio.
    • Unirvi tutte le verdure, meno le patate e il prezzemolo, e far insaporire, mescolando per una decina di minuti.
    • Coprire con il brodo, salare e pepare leggermente e lasciar cuocere coperto, a fuoco moderato per due ore da quando prende il bollore. • Quarantacinque minuti prima del termine della cottura, aggiungere le patate a tocchetti.
    • Cospargere con il prezzemolo, mescolare e servire con le fettine di pane e con il formaggio a parte.



    POLENTA CON LA SALVIA



    Questa preparazione è desunta da "La cucina degli stomachi deboli", testo attribuito ad Antonio Dubini, medico lecchese, e stampato nel 1898 a Milano. La singolarità è quella dell'impiego dell'olio al posto del burro: il piatto risulta più leggero e digeribile, in linea con i dettami della nuova igiene alimentare che si sta affermando alla fine dell'800 e che troverà nell'Artusi il principale codificatore. La ricetta testimonia anche un altro fenomeno: quello del passaggio di molti piatti poveri dalla cucina contadina alla cucina del nuovo ceto emergente, la borghesia.

    Ingredienti: FARINA DI MAIS (350 g); CIPOLLA (n.1, 60 g); ERBA SALVIA (q.b.); PREZZEMOLO (q.b.); ACCIUGHE SALATE (n.3, 120 g); FUNGHI SECCHI (50 g); OLIO (100 g);
    FARINA BIANCA (50 g)

    Esecuzione: Portare al bollore 1,5 litri di acqua e salar. Versare a pioggia la farina, aiutandosi con un frustino per evitare la formazione di grumi. Cuocere per 50 minuti
    (nel frattempo): Mettere a fuoco vivo la casseruola con 70 g di olio
    Aggiungere la cipolla tagliata a pezzettini, l'erba salvia ed il prezzemolo tritati, le acciughe sminuzzate. Aggiungere i funghi secchi, precedentemente ammollati in acqua tiepida e sminuzzati
    Quando il composto sarà rosolato, versarlo sulla polenta e rimestare fino a completa cottura. Versare la polenta sull'apposita asse. Tagliare la polenta a fette.Infarinare e cuocere brevemente nel restante olio già riscaldato, sempre con un po' di salvia




    da IL MASSO GRASSO B&B (Facebook)
     
    Top
    .
  5. gheagabry
     
    .

    User deleted


    IL LARIO IN CUCINA

    www.buonalombardia.regione.lombardia.it/
    Come succede sovente nelle economie più semplici, le more di gelso (altrimenti dette "moroni") divennero presto un frutto impiegato nella piccola gastronomia contadina, tanto a crudo (condite con succo di limone per modularne il gusto troppo dolciastro e stucchevole), quanto cotte.

    MORE DI GELSO COTTE



    Preparazione per 4 porzioni
    Ingredienti: MORE DI GELSO (500 g), SUCCO DI 4 LIMONI (100 g), ZUCCHERO (3 cucchiai).

    ESECUZIONE
    • Mettere le more in un tegame di terracotta.
    • Portarle all’ebollizione, rimescolando col cucchiaio di legno.
    • Versare lo zucchero ed il succo di limone.
    • Versare in una zuppiera e coprire affi nché facciano un po’ di sugo. • Mettere al fresco e servire.
    Invece delle more scure, si possono impiegare le more bianche (Morus alba sativa), che sono un po’ più insipide.
    Le more di gelso cotte si servono con gallette, fette di dolci induriti, biscottini. Il vino di accompagnamento può essere un San Martino della Battaglia DOC Liquoroso o un Sangue di Giuda dell’Oltrepò Pavese DOC.



    La rüsümada

    da http://ilmondodeidolci.blogspot.it/



    La rüsümada (o rosümada) è una antica bevanda / merenda, tonica ed energetica. E’ diffusa in tutta la Lombardia settentrionale, con piccole varianti di preparazione e di dizione dialettale. La radice dialettale del nome rimanda al tuorlo (rosso) dell’uovo: rüss d’oof o rüsümm. La sua formulazione è molto simile a quella dello zabaione di vino (sapajean o sabajessa). La rüsümada, che si prepara velocemente ma non si consuma quasi più, veniva giustamente considerata un ricostituente e un protettivo dai malanni da raffreddamento ("un ricostituent: pinul de cusina-of-e decott de cantina-vin").
    Ingredienti: per 6 persone - uova (n.4, 240 g), zucchero (4 cucchiai), vino rosso (4 bicchieri)
    Preparazione: 15’ - Mettere in una terrina i tuorli con lo zucchero e sbatterli fino a schiaritura. Montare gli albumi a neve, incorporando delicatamente i tuorli e cercando di mantenere una struttura soffice. Aggiungere il vino, incorporandolo lentamente e sempre continuando a rimestare il composto. Servire subito
    NB. Le uova utilizzate per la rüsümada devono essere freschissime sia per avere una sicurezza igienica sia perché la loro proprietà schiumogena è massima, in quanto le proteine costitutive hanno una più elevata capacità di strutturazione. Un tempo, questa tipica preparazione contadina era consumata proprio con l’uovo appena deposto.



    www.cucinalariana.com/


    TUCC E REGELL



    Tipico della zona di Bellagio, più che un piatto è un piccolo rito familiare o di gruppo, in cui proprio il rito costituisce la diversità rispetto alla normale polenta uncia (o cuncia, a seconda delle zone) che accumuna i rilievi della Lombardia. Il termine tucch deriva dalla radice tucà, poiché la polenta viene appallottolata tra le dita. Regell è invece nell'ambito semantico di regiùu (capofamiglia), forse perché era compito rituale del patriarca versare il regell ai presenti, quasi un bicchiere della staffa, prima di concludere il pasto.


    Ingredienti per il tucch: FARINA GIALLA (700 g), FORMAGGIO MAGRO D'ALPEGGIO (1,2 kg, di mezza stagionatura), BURRO (800 g), ACQUA (3 l abbondanti), OLIO (un cucchiaio), SALE (q. b.).
    per il regell: VINO ROSSO (1,5 l), SCORZA DI UN LIMONE, MELA (n. 1), CHIODI DI GAROFANO (n. 3), CANNELLA (una stecca).


    Esecuzione: Preparare nel paiolo la polenta, versando nell'acqua salata la farina gialla e l'olio e sbattendo tutto con il bastone.
    Dopo circa 45 minuti di cottura incorporare alla polenta, sempre rimestando col bastone, piccole quantità di formaggio, alternandole con piccole quantità di burro, fino a esaurire entrambi gli ingredienti e ad ottenere un composto perfettamente amalgamato.
    Lasciar cuocere ancora per 30 minuti e portare a tavola, se così si può dire . Una volta consumato il tucch, rimettere il paiolo sul fuoco, con tutta la sua camicia di polenta, e versarvi le due bottiglie di vino rosso. Aggiungere lo zucchero, i chiodi di garofano, la cannella, la scorza del limone e la mela tagliata a pezzi. Lasciar sobbollire per un quarto d'ora e servire ben caldo in scodelle di terracotta.
    un rito contadino - Il tucch è uno dei piatti tipici della zona di Bellagio. Più che il cibo e la bevanda in sé (in fondo, una polenta uncia e un vin brûlé), conta quella sorta di liturgia che ne governa la preparazione e la consumazione. Il tucch si mangia, infatti, non necessariamente a tavola, stando in cerchio attorno al paiolo, che può essere appoggiato anche su una sedia. Ognuno dei presenti raccoglie dal paiolo, con un cucchiaio di legno, un po' di polenta e la porta alla bocca dopo averla rapidamente appallottolata tra le mani. Il regell, cui si attribuivano particolari qualità toniche e digestive, viene distribuito dal regiùu per mezzo del mestolo (cazzù).




    da IL MASSO GRASSO su Facebook
     
    Top
    .
  6. gheagabry
     
    .

    User deleted


    IL LARIO IN CUCINA
    www.cucinalariana.com/

    MISSOLTINI



    I missoltini (misultit) sono una semiconserva ittica agoni salati ed essiccati), tipici del lago di Como: forse proprio all’uso del sale devono il loro nome. I più pregiati sono quelli ottenuti dalla pesca nel mese di maggio (sebbene oggi sia vietato) su fondali sassosi, ove gli agoni vanno a deporre le uova. I missoltini sono ormai una specialità / rarità gastronomica, imparentata con altre formulazioni più povere, come i saracch o l’aringa. Anche l’uso di accompagnarli con la polenta rimanda alle tipiche combinazioni di tutto il pesce azzurro con alimenti ricchi di carboidrati complessi (amido)
    Gli agoni nel Rinascimento erano cucinati con uova e succo di melograno. Maestro Martino prima li friggeva e poi li immergeva in una carpionatura di succo d’arance e agresto. Oggi l’agone si può consumare anche in carpione, oppure infarinato e fritto con burro e salvia. Queste varianti riguardano la cucina dell’agone: per i missoltini basterà ricordare la loro sostituzione in piatti più poveri con i saracchi (polenta e saracch) o con l’aringa affumicata.

    RICETTA - Ingredienti:
    MISSOLTINI (n.12; 800 g circa), PREZZEMOLO TRITATO (2 cucchiai), OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA (6 cucchiai), ACETO (6 cucchiai), POLENTA ABBRUSTOLITA (6 fette, 600 g)

    Esecuzione: (preparare una polenta, tagliarla a fette). Risciacquare i missoltini in acqua tiepida con aceto per eliminare l’eccesso di sale ed il grasso rassegato. Con il batticarne, pressare i missoltini delicatamente. Porre i missoltini su una griglia sufficientemente calda o, se si usa la piastra, in leggera inclinazione per evitare che friggano nel loro olio .rigliare per pochi minuti.Rimuovere le scaglie con un coltello. Deporli su un piatto di portata, cospargere con prezzemolo tritato, aceto e olio
    Servire in combinazione alle fette di polenta, anch’esse grigliate.



    "Ci sono dei pesci che nessuno riesce a catturare. Non è che sono più veloci o forti di altri pesci. È solo che sembrano sfiorati da una particolare grazia" (Big Fish).

    I MISSOLTINI



    E ci vuole tutta l’abilità dei pescatori comaschi per catturare i missoltini! Tant’è che ancora pochi anni fa la prima metà del mese di giugno sul lago di Como veniva dedicata alla loro pesca: ogni angolo di riva era occupato da qualche pescatore e tutti avevano una gran voglia di pescare quanti più agoni possibili, se è vero che un proverbio comasco recita: “Chi ha minga ciapaa agon per san Giuann, sò dagn”. (“Chi non ha preso agoni per San Giovanni (24 giugno), è suo danno!”
    L’agone (Alosa finta lacustris) appartiene al genere delle alose e alla famiglia dei clupeidi, di cui è un parente stretto l’aringa. La pesca dell’agone è tradizionalmente regolamentata (fin dal Medioevo) e avviene nei mesi di giugno e luglio, con diverse tecniche (rete, bilancere, esche artificiali). Per diventare missoltino, l’agone subisce una complessa lavorazione: i pesci vengono privati delle interiora (la curada), strofinati con sale e, dopo un eventuale taglio dorsale, vengono deposti in una marmitta, ancora con sale, ove vengono rivoltati ogni 12 ore. La quantità di sale è critica per la successiva lavorazione. Dopo un paio di giorni, vengono risciacquati e infilzati in uno spago, così da poterli essiccare all’aria aperta. L’essiccamento procede per alcuni giorni, poi i pesci sono
    disposti in una latta (missolta, originariamente di legno), insieme a foglie di alloro. Le latte vengono incoperchiate e il coperchio (di legno) esercita una leggera pressione, modulata dalla sovrapposizione di più latte e da sassi. La pressatura procede per un paio di eliminando l’olio fuoriuscito. Questo procedimento è esclusivamente artigianale.




    da IL MASSO GRASSO B&B su Facebook
     
    Top
    .
  7. gheagabry
     
    .

    User deleted


    IL LARIO IN CUCINA
    www.lakecomotourism.com/

    IL PAN MATALOC




    Il Pan Mataloc (o Mataloch secondo alcune diciture) è un pane dolce, tipico della cucina semplice e tradizionale del Lago di Como. Le sue origini sono legati ai territori del centro e dell’Alto Lago, in particolare questo dolce viene spesso accostato a Bellagio. Il Pan Mataloc somiglia per lavorazione e ingredienti al Panettone e si pensa infatti che venisse preparato in passato in occasione delle festività natalizie.


    INGREDIENTI - 500 gr. farina. 5 uova. 250 gr. burro. 200 gr. zucchero. 100 gr. uva sultanina. 100 gr. canditi di cedro e arancia.
    1 bustina di lievito. nocciole e mandorle. semi di finocchio. 1 bicchierino di liquore.

    PREPARAZIONE - Come primo passo mettere a bagno nel liquore l’uva sultanina e lasciatele riposare una decina di minuti. Nel frattempo preparate l’impasto del pane unendo il burro, precedentemente sciolto a bagnomaria, allo zucchero, mescolate bene e aggiungete i tuorli delle uova e gradatamente la farina con il lievito. Ora montate a neve gli albumi e aggiungeteli all’impasto mescolando sempre e dolcemente. Una volta amalgamato il tutto aggiungete l’uvetta con il liquore, i canditi, le nocciole, le mandorle e i semi di finocchio (il particolare aroma di anice che caratterizza questo dolce deriva proprio dai semi di finocchio).
    ora lasciate lievitare l’impasto e infornate poi a 190/200° in forno preriscaldato per circa 30 minuti, fino a quando il pane diventa ben colorito.


    Pur essendo generato da prodotti della terra come farina, latte, burro, uova, noci, nocciole, mandorle, canditi e fichi secchi era destinato al lago, perché questo dolce molto nutriente veniva preparato dalle massaie per i pescatori che al mattino presto trainavano in acqua la propria barca per gettare le reti e affrontare con notevole sforzo qualsiasi avversità.




    .................


    www.cucinalariana.com

    Zuppa di ciliege e marasche



    Ingredienti: AMARENE SNOCCIOLATE (1 kg), VINO ROSSO (6 bicchieri, 750 g), ZUCCHERO (250 g), CANNELLA (q.b.), CHIODI DI GAROFANO (q.b.), SCORZA GIALLA DI LIMONE (q.b.), FETTINE DI PANE (n. 20, 200 g)

    Esecuzione: Portare ad ebollizione il vino in un recipiente di coccio. Unire lo zucchero, la cannella, i chiodi di garofano e la scorza di limone. Continuare a bollire fino ad evaporare la metà del volume. Versare le amarene e lasciare sobbollire un attimo
    Dopo aver separato gli aromi, travasare in una zuppiera sul cui fondo sono disposte le fettine di pane Mettere al fresco e servire.
    Sono conosciute versioni di questa zuppa che risalgono al XVI secolo: secondo l’uso del tempo, le fette di pane erano precedentemente fritte nel burro. Un’altra variante consisteva nel riempire con il liquido e la frutta una "cassetta" di pane (cioè un panino a forma parallelepipedo, privato della mollica) da passare in forno e servire calda.


    La preparazione è basata sulla "cottura" del vino e sulla sua aromatizzazione con cannella e chiodi di garofano, come per il "vin brulée". Questa operazione determina una forte ossidazione delle sostanze fenoliche presenti in buona concentrazione nel vino rosso (soprattutto in quello ottenuto dall’uva americana o Clinton, un tempo tipica della Brianza e di tutta la zona prealpina).Il vino così preparato manifesta una certa proprietà antivirale (oggi dimostrata anche a livello scientifico). Le amarene Dette anche visciole o marasche (a seconda delle sottospecie di derivazione), sono i frutti del Prunus Cerasus (parente stretto del Prunus Avium che fornisce le cilegie dolci). Sono un frutto antichissimo, probabilmente originario dell’Estremo Oriente ma già acclimatato nelle nostre zone nel periodo neolitico, come testimoniano i ritrovamenti di suoi noccioli in insediamenti palafitticoli dei laghi svizzeri. La coltivazione delle ciliegie e delle amarene fu poi diffusa in tutto il Nord dell’Europa dai coloni romani. Rispetto alle visciole e alle marasche, che hanno un colore rosso scuro, l’amarena è caratterizzata da una tonalità più pallida e da un sapore fortemente acido ed amarognolo





    da IL MASSO GRASSO B&B - facebook
     
    Top
    .
  8. gheagabry
     
    .

    User deleted


    IL LARIO IN CUCINA
    www.cucinalariana.com/

    PER FARE GLI ZANZARELLI
    da Maestro Martino da Como,
    "Libro de arte coquinaria" (1450 c.a)




    “Per farne dece menestre: togli octo ova et meza libra de caso grattugiato, et un pane grattato, et mescola ogni cosa inseme. Da poi togli una pignatta con brodo di carne giallo di zafrano et ponila al focho; et como comincia a bollire getta dentro quella materia, et dagli una volta col cocchiaro. Et como te pare che sia presa toglila dal focho, et fa le menestre, et mittivi de le spetie sopra”. (Per dieci minestre: prendi otto uova, mezza libbra [400 g c.a] di formaggio e un pane grattugiati e mischia insieme. Prendi poi una pentola con brodo di carne insaporito con zafferano, mettila sul fuoco e come comincia a bollire, versaci l’impasto, mescolando con il cucchiaio. Quando il composto si sarà rappreso, togli dal fuoco, versa nei piatti e condisci con spezie).

    Nella ricetta degli zanzarelli è facile riconoscere la prima descrizione di una minestra tradizionale, diffusa in Lombardia e chiamata comunemente pantriid maridaa (letteralmente: pangrattato sposato, perché alla più comune minestra di pane, la panada, si aggiungono delle uova).

    Zanzarelli....ovvero una versione medievale della moderna stracciatella!
    Per molto tempo è stata opinione comune che la cucina medievale fosse rozza e monotona, ma non era così! Era, al contrario, una cucina alla continua ricerca di sapori, colori e abbinamenti decisamente raffinati. Era soggetta ad alcune costrizioni religiose, scandite dal calendario liturgico, che imponeva l'alternanza di menù grassi a quelli magri. Durante la Quaresima si imponeva l'astensione dalla carne come pure durante i giorni di vigilia, facendo nascere una cucina fondata su prodotti magri ed altri sostitutivi, come il latte di mandorla utilizzato al posto di quello naturale. Altra caratteristica di questa cucina è l'abbondante uso di spezie, dovuto all'influenza della cucina araba ed orientale. Quelle più utilizzate erano zafferano, zenzero, cannella, cumino, pepe e chiodi di garofano, che non erano però prodotti alla portata di tutti, e per tale motivo il loro utilizzo era segno di agiatezza e quindi di distinzione sociale (a tutt'oggi l'uso di espressioni come "pepato" o "salato", per riferirsi a prezzi molto alti, sono espressioni che trovano la loro origine proprio in questo fatto). L'alternanza delle pietanze non era regolata come nella nostra moderna concezione di pasto (primo, secondo, contorno, dolce), ma sulle tavole potevano trovarsi tranquillamente dei piatti dolci alternati a quelli salati (sulle tavole dei poveri erano spesso presenti piatti unici). La gastronomia antica apprezzava molto il gusto agrodolce, ottenuto dall'accostamento di alimenti zuccherini all'aceto o all'agresto (succo acido dell'uva acerba ), fino all'uso di succhi di agrumi e di melograno.(orizzontidelgusto.blogspot.it/)




    FRITTATA CON LE ORTICHE



    E' un classico cibo di sussistenza, il cui consumo di massa ritorna d'attualità solo in casi di eccezionale carenza di generi alimentari: l'ultima volta è stato nel corso della guerra 1940-45. Oggi è, se ci si passa il termine, una raffinatezza per ghiottoni inveterati.


    Ingredienti: PUNTE DI ORTICA (1 bel mazzetto), UOVA (n.6-8),
    BURRO (30 g), FORMAGGIO GRANA GRATTUGIATO (2 cucchiai),
    SALE (q.b.), PEPE (q.b.)

    Esecuzione: Lavare bene le punte di ortica. Mettere poca acqua in una casseruola e portarla a ebollizione. Scottare le punte di ortica nell'acqua bollente per pochi minuti, scolarle e strizzarle
    Riunire le uova in una ciotola, salarle e sbatterle leggermente
    In una padella insaporire le punte di ortica con il burro e versarvi sopra le uova. Insaporire la frittata con il grana e un pizzico di pepe
    Dopo circa 5 minuti, voltare la frittata e finire di cuocere

    I germogli possono anche essere cucinati direttamente, senza scottatura preventiva, ma è necessario evitare che finiscano nel tegame i semi (ci si riferisce alle piante non proprio giovani), che hanno azione purgativa. Poche varianti per un piatto semplicissimo. I germogli di ortica crudi possono essere mischiati direttamente all'uovo sbattuti, tagliati sottili, senza prebollitura. Vi si può aggiungere un mezzo spicchio d'aglio tritato finisimo e/o un'idea di noce moscata.






    Carpionar trutte al modo di carpioni
    da Maestro Martino de Rossi Libro de arte coquinaria (1450 c.a)




    Il Testo
    “Netta le trutte molto bene et cavane fora l’interiori, pugnendole in molti lochi con la punta del coltello da ogni parte, et farai una salimora d’acqua et aceto tanto dell’uno quanto dell’altro, mettendogli del sale assai, el quale farai struggere molto bene, et dentro gli metterai le trotte per un mezzo giorno o più. Et facto questo le caverai sopra una tavola mettendole in soprescia per tre o quattro hore, et frigerle bene in olio bono et assai, che sian ben cotte e non arse. Et queste trutte poterai conservare un mese frigendole dell’altre volte se ti piacerà et refacendole a modo di carpioni”. [Ripulisci le trote dalle scaglie, togli loro le interiora e pungile in tutto il corpo con la punta del coltello. Prepara una salamoia con acqua e aceto in parti uguali, in cui farai sciogliere con cura molto sale. Mettici dentro le trote e lasciale a bagno una mezza giornata o più, scolale e mettile a sgrondare sopra una tavola con un peso sopra per tre o quattro ore. Quindi friggile in abbondante olio della migliore qualità finché non saranno ben cotte ma non risecchite. Le potrai conservare per un mese friggendole altre volte e rifacendole al modo dei carpioni].

    L’abitudine di friggere il pesce e di bagnarlo con aceto è documentata già nel De agri cultura di Catone (II secolo a. C.). L’aceto o, come nel caso di una delle ricette di Maestro Martino, l’agresto (una sorta di aceto ottenuto dalla bollitura del succo di uva acerba) e il succo di arancia (frutto che nel Medioevo, non essendo ancora stato ibridato aveva un gusto molto aspro simile a quello del limone), erano sostanze che permettevano di conservare il pesce per molti giorni, e “refacendolo”, cioè friggendolo molte volte, anche per un mese. Nessuna delle tre ricette di campionatura presenti nel ricettario di Martino può essere identificata come origine diretta del pesce in carpione quale si prepara ai nostri giorni. Idealmente sono però tutte nella stessa linea di evoluzione (aceto, infarinatura, frittura, prezzemolo e aromi), confermata anche dalle annotazioni riportate, un secolo più tardi, da Paolo Giovio e da Ippolito Salviano nelle loro dotte operette sui pesci. Considerando che nel XVII secolo anche Bartolomeo Stefani, cuoco dei Gonzaga, propone una ricetta identica, se ne può indurre che l’abitudine di arricchire il condimento del carpione con vegetali aromatici (cipolla, aglio, carota, sedano e timo) diventa comune nella gastronomia settecentesca, con la progressiva riduzione delle spezie, e per soddisfare la necessità di pucia abbondante con cui insaporire la polenta o il pane.




    da IL MASSO GRASSO FACEBOOK
     
    Top
    .
  9. gheagabry
     
    .

    User deleted


    IL LARIO IN CUCINA

    LA PETAMURA

    "bun bucun custen car
    Mangia e tas, se ta voret vif in pas
    Panza piena la ciama ripos
    Ul vin al fa sang, l'acqua fa tremà i gamb"





    Al mondo esistono pochissime persone che conoscono ed hanno mangiato la petamura, solo gli abitanti di Faggeto Lario. Su quel ramo del lago di Como che conta 1000 anime o poco più, i nonni a tavola come pasto servivano la petamura.
    LA PETANURA
    Ingredienti (per due coppette): 3 cucchiai di farina, ma poi fai ad occhio, 250 ml di latte, ma poi fai ad occhio, 3 cucchiai di zucchero, ma poi fai ad occhio, 1 bicchiere di vino rosso corposo della casa, ma poi...fai ad occhio
    Procedimento: Mettere sul fuoco la casseruola con dentro la farina alla quale abbiamo aggiunto, poco alla volta, in latte. E' importante continuare a girare bene per evitare la formazione di grumi.
    Aggiungere lo zucchero e continuare a girare. Aggiungere il vino e portare ad ebollizione. A questo punto inizia la fase ad occhio: la petamura deve prendere la consistenza di un budino, quindi non può rimanere liquida. Io ho aggiunto un pochino di maizena ed ho assaggiato. Aggiungendo la maizena ho dovuto aggiungere un goccino di vino (che poi dona quel colore violaceo e quel sapore, quel profumo che caratterizzano la petamura) e aggiustare di zucchero. Se dopo 2 minuti dalla bollitura la crema inizia a indurirsi vuol dire che è pronta. La si serve in coppette.





    http://dolcezzedinonnapapera.blogspot.it/

    tratto da IL MASSO GRASSO B&B da Facebook
     
    Top
    .
  10. gheagabry
     
    .

    User deleted


    OSEI SCAPA' o Uslin scapà (uccelli scapati)



    Si legge usei scapà, ed è un piatto tipico del nord italia. Come per tutte le pietanze della tradizione popolare, non esiste la Ricetta perfetta, bensì varie versioni che dipendono, oltre che dalla collocazione geografica, dai gusti della famiglia che di generazione in generazione si tramanda la ricetta.
    Sull’origine del nome ci sono due versioni, che comportano due traduzioni diverse dal dialetto: uccelli scapati o uccelli scappati. Nel primo caso, visto che nella gran parte delle versioni gli osei scapaa sono degli involtini con uno stuzzicadenti infilato perpendicolarmente rispetto alla carne, si sostiene che il nome derivi dal fatto che ricordano degli uccelli, ma senza testa: scapaa dunque si tradurrebbe “scapati”, senza capo.
    L’origine di questa ricetta non è certa, ma sicuramente questo piatto è nato come sostituto della selvaggina. Una leggenda narra che la stessa povera massaia che aveva inventato la “Zuppa alla pavese” per sfamare Francesco I, dopo la sconfitta nella battaglia di Pavia per opera di Carlo V, dovesse servire agli ospiti presenti della finta selvaggina per ovviare alla mancanza di quella reale.


    RICETTA

    Prendere della lonza di maiale (o della fesa di vitello) in piccole e sottili fettine e stendere su ciascuna di esse una fetta di pancetta, poi arrotolarle e infilarle su uno stecchino di legno mettendo, prima e dopo quest'involtino, un dado di pancetta e una fogliolina di salvia in modo da ottenere 2 o 3 involtini per stecco. Fare spumeggiare del burro in una padella e mettervi gli uccelli scapati. Salare, pepare e cuocere per circa 15 minuti a fuoco vivo rivoltando gli involtini da ogni lato. Per una cottura a fuoco lento, invece, si aggiunge un poco di brodo.



    (Ricetta del signor Luigi Pelandini di Molina, pubblicata da Emilio Montorfano in "Storia e tradizioni nella cucina lariana", Como)
     
    Top
    .
  11. gheagabry
     
    .

    User deleted


    Riso e Luganega

    Risott E Lüganega




    "Lucanica, a lucanis populi a quibus romani milites primum didicerunt": così Varrone indica l'origine del nome di questa salsiccia di suino, diffusa (probabilmente dai soldati romani) con diverse etimologie nel Nord Italia (luganica, luganeca, luganga). Il salumiere che a Milano si chiamava cervellée (per il prevalente smercio di cervella e altre frattaglie povere) era in Brianza il luganeghée, mentre le salamelle diventavano luganeghitt, il cotechino luganeghin de codega ed il cotechino con aglio luganeghin d'aj.
    Nell'area brianzola il consumo di luganega era un tempo molto diffuso, data la presenza di un maiale grasso in quasi ogni famiglia.
    La LUGANEGA di Monza è la quasi ormai dimenticata salsiccia tipica monzese. Una salsiccia di colore più tendente al bianco che al rosso, di dimensioni grosse e che al palato risulta molto delicata. Gli ingredienti principali sono: carne di suino, grana padano, brodo di carne e vino marsalato. La sua particolarità è data proprio dalla presenza nel suo impasto di ingredienti come il grana, che la rende chiara e dolce, e il brodo di carne. Il fatto che sia di colore chiaro può trarre in inganno: non è una salsiccia grassa. L'uso di vino invece che di liquidi più economici è una dimostrazione dell'abbondanza di questo prodotto nella Brianza di un tempo. Una volta il consumo della luganega era tra i più importanti prodotti suini, tanto che il salumiere veniva chiamato "luganeghe". Le sue origini le ritroviamo già nel Treecento menzionata nella Disputatio Mensium di Bonvesin de la Riva, che era nativo della vicina Legnano, e un paio di secoli più tardi da Maestro Martino da Como e grazie a Stefano Ortensio Lando, uno storico milanese vissuto nel 1500. Questi in "Commentari delle cose d'Italia" scrisse "Non ti scordar della luganega di Monza". Ma, dobbiamo ringraziare ancora di più Francesco Cherubini che nel suo vocabolario milanese-italiano del 1839 ne riporta addirittura gli ingredienti. Scrisse: "Luganega, Corda di Monscia - Salsiccia - Carne di majale sottilmente tritata, addobbata di sale e droghe, e messa dentro le intestina d'agnello ben ripulite."

    Tante sono le etimologie più o meno fantasiose attribuite alla lüganega: da quella di Apicio che la collega alla Lucania, a quella che la vedrebbe imparentata con la città di Lucca. Una terza ipotesi, quella forse più suggestiva, è che sia originaria del territorio insubre, e che addirittura fosse confezionata dalla norcineria della città di Lugano, che sino al Cinquecento fu legata al ducato milanese. Il cerchio si chiuderebbe riportandoci anche ai primissimi passi del risotto, attestato proprio in Martino che lo propose probabilmente nelle cucine degli Sforza: e qui la storia si incastra nella leggenda, perché è risaputo e documentato che a portare il riso in Lombardia siano stati proprio loro.

    La Brianza ha come uno dei piatti forti il risotto alla monzese. Risotto bianco che come ingrediente principale ovviamente ha la luganega di Monza. Tipico è anche il risotto giallo con luganega che, la tradizione vuole, è d'obbligo mangiare l'ultimo giovedì di gennaio in occasione del rogo della Giubbiana. Una rimanenza di festa celtica durante la quale un fantoccio raffigurante una strega viene bruciato con un sottofondo molto rumoroso. Bruciandola ci si sarebbe protetti dagli influssi negativi e si avrebbe goduto di salute e prosperità tutto l'anno.
    Infatti fra le leggende che ruotano attorno a questo piatto, risalta quella della città di Gallarate stravolta da un assedio, in una gelida fine di gennaio di metà Settecento. Per far credere al nemico che la città era in fiamme, le donne ebbero l’idea di accendere i fuochi della Gioebia all’interno delle mura cittadine. Il nemico, credendo di non poter più depredare nulla, passò oltre, e la città fu tratta in salvo. Per festeggiare degnamente, si diede fondo ai sacchi di riso e alla lüganega che si riuscirono a trovare e le donne fecero una gran risottata, proprio in concomitanza con la ricorrenza della Gioebia, che cade l’ultimo giovedì di gennaio.



    INGREDIENTI per 4 persone:
    50 grammi di burro
    1 cipollina
    320 grammi di riso
    1 bicchiere di vino possibilmente rosso
    (Anche se esiste una variante con del vino bianco)
    700/800 ml di brodo vegetale
    200 grammi di Luganega di Monza
    sale (quanto basta).

    PREPARAZIONE


    Prima di tutto affettare la cipollina e porla in una padella insieme al burro, farla rosolare, in seguito aggiungere il riso, mescolare e irrorare con del vino rosso facendolo sfumare per bene.
    Dopo pochi minuti con un mestolo prendere il brodo e versarlo nella padella contenente il riso, piano piano, un pò alla volta, man mano che il precedente si assorbe, continuare cosi fino a cottura.
    Nel frattempo spennellare la luganega e farla bollire in acqua per circa 1/2 minuti. Una volta scottata, versarci il vino rosso per 5 minuti e lasciala nella padella ad insaporirsi per circa 10 minuti a fuoco spento ma ben coperta in modo tale da creare un pò di sugo.
    In seguito tagliare la Luganega in pezzi molto grandi e metterla al centro di ogni singolo piatto con un pò di sugo e tutto intorno posizionare il risotto.
    Spolverare con parmigiano e servire!




    testi dal web, ricetta "tuttericette.it"
     
    Top
    .
  12. gheagabry
     
    .

    User deleted


    IL LARIO IN CUCINA

    FILASCETTA



    Questa focaccia, le cui origini vanno ricercate a Dongo, nell'Alto Lago, è a base di pasta di pane e di cipolle. La pasta di pane va lavorata per qualche minuto dopo averla inumidita con un po' d'acqua tiepida; va poi modellata a forma,

    Ingredienti:
    400 gr. cipolle rosse, 400 gr. pasta di pane
    150 gr. Formaggio (che fili, non troppo grasso!)
    50 gr. burro, un pizzico di zucchero
    sale, olio per la teglia
    Esecuzione: Appassite nel burro le cipolle affettate per circa un'ora; ricordatevi di tenere la fiamma bassa in modo che le cipolle non prendano un colore scuro e diventino, quindi, amare; mettete un pizzico di sale quando sono cotte.
    Lavorate la pasta di pane per qualche minuto dopo averla inumidita con poca acqua tiepida; modellatela a forma di ciambella e riponetela direttamente sulla teglia del forno o in una tortiera. Distribuite le cipolle sulla superficie della pasta, poi il formaggio e il pizzico di zucchero.
    Mettete nel forno già caldo, a 190° e lasciate cuocere per mezz'ora circa. (www.lagodicomo.com)



    TAROZ



    INGREDIENTI

    Per 4 persone.

    Ingredienti.
    400 gr. di patate
    300 gr. di fagiolini
    100 gr. di fagioli
    200 gr. di formaggio semigrasso
    150 gr. di burro
    1 cipolla
    sale e pepe
    PREPARAZIONE

    I Taroz sono un piatto tradizionale della gastronomia valtellinese basato sull'utilizzo di verdure facilmente coltivabili anche in terreni montuosi. Si tratta infatti di una purea di patate, fagioli e fagiolini conditi con il tradizionale burro e formaggio valtellinese.


    Preparazione:

    Fate bollire le patate (meglio con la buccia per mantenere intatte tutte le proprietà nutritive), i fagioli e i fagiolini. A cottura ultimata sbucciate le patate, unitele ai fagiolini e, aiutandovi con un cucchiaio di legno, schiacciateli sino ad ottenere una purea. Mettete l'impasto in una pirofila alternandolo a strati di formaggio tagliato a cubetti. Cospargete poi il tutto con un soffritto di burro, cipolla, e pepe.



    www.waltellina.com/
     
    Top
    .
  13. gheagabry
     
    .

    User deleted


    .

    « Un bel dì a Madôna da Prà L'ha vorzü vegnì foeua dàa cà: Ul so coeui ga renda cumpassion Che in d'un Bust ga füss nanca un bumbon. Chi pescitti, spassegiandu sutti i pianti Han cambià tücci i sassi in crôccanti: Chi manitti, inscì bianchi e devotti, I han quatà cont'à a nevi sua e suttu E vedendo a passà ul diavaén Par cuppall gh'ì à tià in d’ul cuppén. E peu, dopu d’avéi benedetti L'ha vorzü ch'u ciamassen “cuppetti”. »(Dialetto bustocco)


    « Un bel giorno la Madonna del prato ha voluto uscire di casa e si è dispiaciuta che a Busto non ci fosse nemmeno un dolce tipico. Con i piedi, passeggiando sotto gli alberi ha trasformato tutti i sassi in croccanti, e con le mani candide li ha coperti di neve sopra e sotto e vedendo passare il diavolo per ucciderlo glieli ha tirati nel coppino [il collo] e dopo averli benedetti ha voluto che si chiamassero "cuppetti". »

    Cupett o cupeti



    E' un dolce tradizionale di Busto Arsizio. COPATE, dall'arabo QUBBAIT(fatto di mandorle), sono dolcetti di origine mediovale.
    La storia vuole che i promessi sposi delle giovani bustocche portassero le tipiche cialde ripiene di mandorle caramellate (i cupeti) a casa dell'amata l'8 dicembre per chiederne la mano.




    Ingredienti : 300 g di miele, 250 gr di frutta secca (mandorle), 250 g di frutta candita sminuzzata, cialde (2 per ogni cupett)

    Preparazione:

    Tritare grossolanamente la frutta secca, tagliare i canditi a pezzetti.
    Porre in un pentolino il miele e scaldare fino a fusione. Aggiungere mescolando il trito di frutta secca e canditi. Quando il miele comincia a caramellare, togliere dal fuoco e disporre l'impasto a mucchietti su una cialda e coprire con un'altra, schiacciando per farle ben aderire. Lasciar raffreddare.

     
    Top
    .
  14. gheagabry
     
    .

    User deleted


    .

    Cuz, la più antica pietanza lombarda

    cuz

    Preparato con carne di pecora secondo una ricetta risalente all'VIII-X secolo, il cuz viene da molti considerato la pietanza più antica della tradizione lombarda nata per cucinare e preservare a lungo la carne di pecora. Rappresenta la storia culinaria di Corteno Golgi, borgo montano dell'alta val Camonica. Il cuz sia stato inserito nell'elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) della regione Lombardia.

    Il cuz si presenta come uno spezzatino di carne ovina, di pecora della razza locale “cortenese” che ha caratteristiche tipiche come l’altezza non superiore ai 77 centimetri, il peso tras i 60 ed i 70 chili, l’assenza di corna, una testa corta ed un manto bianco ed è considerata in via di estinzione. Viene cotta a lungo in un calderone di rame senza essere girata se non dando qualche colpo alla pentola al centro della quale viene posizionato un bastone di ginepro per far salire il grasso in superficie. A cottura ultimata, la carne può essere trasferita, coperta dal grasso di cottura, in otri di legno o terracotta all'interno dei quali viene conservata fino al consumo. Conservato all'interno dei contenitori, il cuz si manteneva per tutta la stagione invernale, durante la quale veniva impiegato per preparare la minestra o servito, anche freddo, assieme alle patate bollite o alla polenta.
    Oggi il Cuz è il piatto d’obbligo nel giorno di Ferragosto,lo si trova in tutte le sagre della zona, dove, chi lo cucina, aggiunge sempre qualche ingrediente segreto, capace di trasmettere piccole sfumature di gusto.


    jpg

    ..storia..

    Il cuz è una preparazione che vanta oltre un millennio di storia ed una tradizione lunghissima nata per poter conservare a lungo la carne degli animali che rimanevano feriti durante la transumanza. Si dice che sia stato introdotto, tra il 750 e il 100, nella tradizione del borgo di Corteno Golgi, in alta val Camonica, da tribù di origine ungare e saracene, altri sostengono che sia stato ideato da un frate di passaggio a Corteno. Più che una pietanza, il cuz è un modo di cucinare la carne, generalmente ovina, in modo da poterla conservare nelle ule, dei contenitori di terracotta, o in appositi recipienti di legno assieme al suo grasso che la preserva. Nato tra il 750 e il 1000 si è radicato nella cultura della valle giungendo pressochè immutato sino ai giorni nostri.


    La ricetta

    Ingredienti: carne di castrato, burro, acqua, sale.
    Per preparare il cuz si prende un castrato e si taglia a pezzi, si mette la carne in un paiolo di rame (caldera) con un po’ di burro e un goccio di acqua e si cuoce lentamente per 5 o 6 ore con un bastone di ginepro al centro del paiolo, che fa salire in superficie il grasso. La carne va salata solo se deve essere conservata a lungo e non va mai girata. (fondazioneslowfood.com)




    Curiosità - Il paese di Corteno Golgi è famoso per aver dato i natali al Premio Nobel Camillo Golgi, (Corteno, 7 luglio 1843 - Pavia, 21 gennaio 1926) scopritore della cosiddetta reazione nera che ha permesso di vedere al microscopio le cellule nervose. I suoi studi sono all’origine della moderna neuroistologia.

     
    Top
    .
43 replies since 12/9/2011, 20:53   13166 views
  Share  
.