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STRUMENTI MUSICALI DELL'INDIA
Saranghi
E’ uno strumento ad arco, ha quattro corde principali che suonandole tramite l’archetto, fanno risuonare le molteplici corde di risonanza. Il corpo dello strumento è fatto con legno ed un pezzo di pelle funge da tavola armonica. Le corde principali poggiano su di un ponticello in osso ed il ponticello è posizionato direttamente sulla pelle, le corde simpatiche poggiano su due piccoli ponticelli posti sulla parte superiore del manico. Le dimensioni del Saranghi non sono grandi, il manico è liscio a forma di rettangolo. Sul fianco del manico vi sono le chiavi per accordare le corde di risonanza. Le quattro corde principali sono fatte di budello mentre quelle di risonanza sono di metallo. Il suo suono armonioso e melodioso, si avvicina notevolmente alla voce umana. Viene spesso utilizzato per accompagnare la voce dei cantanti classici, ma anche ascoltato nell’assolo offre sensazioni e stati d’animo profondi..
La storia
La leggenda vuole che il sarangi nasca in tempi antichi (attorno al XVI secolo), quando un "hakim" (medico) vagabondo, stanco si sdraia sotto un albero nella foresta per riposare e viene svegliato da un suono lontano, che scopre provenire dal vento che soffia sulla pelle di una scimmia morta e appesa tra i rami dell'albero. Ispirato da questo evento costruisce il primo sarangi. Pare che compaia ufficialmente alla corte di Mohammad Shah II (1719 - 1748), nella musica epica del classico chant khyal.
Lo strumento
Il sarangi è un antico parente del violino europeo e come esso è estremamente espressivo e difficile da suonare. Il suo nome significherebbe centinaia di colori, a indicare la gamma, la profondità e l'acutezza del suo suono. Lo strumento esprime, secondo Sir Yehudi Menuhin, "i sentimenti e i pensieri dell'animo indiano". Ha un ruolo importante nella musica del Nord dell'India, del Rajasthan, dell'Uttar Pradesh, del Pakistan e dell'Afghanistan, Nepal.
Il sarangi è una cassa di legno piatta, ricavata da un singolo pezzo di legno, solitamente cedro, con tre corde di budello (do-sol-do) e un'ordinata tavola laterale con più di 40 corde di risonanza in acciaio assicurate a chiavi laterali. Il corpo ha una tavola armonica di pelle e ponti in osso o avorio.
Lo strumento si tiene verticalmente sulle gambe e appoggiato al collo e le corde vengono bloccate non con i polpastrelli, ma con le unghie. La polvere di talco è usata sulle mani per facilitare lo scivolamento sullo strumento.
Esistono numerose varietà di sarangi, un'intera famiglia di strumenti, con lo stesso nome, struttura simile, in tutta l'area del Nord dell'India, del Pakistan e dell'Afghanistan.
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Aulòs
L'aulos (in greco αὐλός, aulòs) era uno strumento musicale aerofono usato nell'Antica Grecia.
Lo strumento
Era formato da un tubo di canna, di legno, oppure d'osso o avorio, con imboccatura a bulbo e relativa ancia. Spesso lo si vede raffigurato nella forma a due tubi divergenti, in qual caso viene detto diaulos. Talora il termine greco aulos viene erroneamente tradotto in italiano con flauto, nome generico degli aerofoni a suono di taglio. In realtà l'aulos, strumento ad ancia doppia, appartiene alla famiglia dell'oboe.
Si ritiene fosse suonato con la tecnica della respirazione circolare. Nell'epoca classica, sui tubi venivano praticati sino a cinque fori; in età ellenistico-romana un numero maggiore. Il bocchino veniva inserito nei tubi. L'aulos poteva avere un'ancia semplice o doppia che, in mancanza del bocchino, poteva essere introdotta direttamente nel tubo. Per suonare l'aulos l'esecutore (auleta) indossava una fascia di cuoio, la phorbeiá, che favoriva la tenuta d'aria.
L'aulos, utilizzato nella rappresentazione delle Tragedie e all'interno dei costumi e dei riti simposiaci, comastici e funerari della Grecia antica e dell'Etruria, aveva la caratteristica di creare un forte impatto emotivo. Era utilizzato anche in guerra: sulle triremi, per ritmare la cadenza dei remi, era previsto un apposito addetto, il trièraulès, che realizzava lo scopo servendosi del suono incalzante del suo strumento. [[Immagine:Cratere a calice - Museo Archeologico Nazionele delle Marche - particolare con erote e satiro.jpg|thumb|sinistra|150px|Satiro seduto che suona il diaulos e un [[eroteùù con armi (particolare di un cratere conservato al Museo archeologico nazionale delle Marche)]] Lo strumento è presente nelle raffigurazioni delle ceramiche greche che testimoniano una delle prime rappresentazioni iconografiche di strumento a fiato.. -
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Siringa o flauto di Pan
Il flauto di Pan (o siringa) è uno strumento musicale aerofono, costituito da più canne, il cui numero può variare, di lunghezza diversa e legate o unite tra loro. Per ottenere il suono si soffia trasversalmente sulle aperture superiori delle canne.
Storia
La sua origine è fra le più antiche. Nel tempo questo strumento divenne molto popolare, soprattutto tra le comunità pastorali, per tale motivo i ceti sociali più agiati disprezzavano questo strumento. Tuttavia, i liutai rumeni del XVIII secolo lo modificarono sia per lunghezza, aumentando il numero delle canne, sia per materiale, utilizzando canne migliori, facendo sì che questo strumento comparisse anche nelle orchestre.
Formato da canne di bambù o da canne palustri tagliate secondo lunghezze differenti, è diffuso con varie forme in varie regioni del mondo.
Una variante chiamata firlinfeu, è tradizionalmente in uso nella Brianza; il paese europeo dove lo strumento conosce il maggior successo è probabilmente la Romania; è presente anche in altre regioni del mondo, quali ad esempio la Cina o le Isole Salomone, ma ha il suo massimo sviluppo in America del Sud, nell'area andina, dove è chiamato zampoña o siku.
Impostazione di suono
Il Flauto di Pan va suonato tenendo la fila di canne inferiori (se disposto su due file come da modello andino) rivolte verso di sé, e comunque con le canne più corte, che emettono suoni acuti, verso la sinistra di chi suona.
Il soffio deve essere emesso a labbra strette, in modo da lasciare una fessura né troppo stretta né troppo larga, abbastanza per far passare un flusso d'aria leggera e veloce, da spingere sgonfiando i polmoni, per intenderci, senza movimenti dei muscoli addominali. Inoltre, bisogna accertarsi che il Flauto di Pan, abbia le canne secche, poiché se le canne si seccano man mano che lo strumento viene suonato, l'intonazione cambia e cala. Normalmente, riguardo alle tonalità, le siringhe si rifanno ai luoghi di origine, le siringhe africane sono senza tonalità fissa, anche se la nota più grave è sempre un do e quella più acuta è spesso un sol, le siringhe dei mahori sono in diverse tonalità, che si possono paragonare, come estensione, un po' ai flauti soprano, contralto, tenore e basso.
Mitologia
Secondo la mitologia greca il creatore del "flauto di Pan" è appunto il dio Pan. Un giorno il dio si innamorò di una Ninfa degli alberi, ma lei per scappare da Pan si andò a rifugiare in un campo di canne. A questo punto chiese aiuto alla dea e le chiese se la poteva trasformare in una canna; il dio Pan vide che si rifugiò in questo campo, ma non vedendola più capì cosa era successo e allora prese una canna e la tagliò, la unì e ci soffiò dentro, consolandosi con la musica.
Utilizzo
Il flauto di Pan è uno strumento che viene molto usato nella musica popolare germanofica, più precisamente in Germania, Austria, Südtirol e Svizzera. Ma è proprio in quest'ultima che viene utilizzato di più dai cantanti, tanto da renderlo uno dei strumenti tipici della cultura svizzera. Tra i gruppi svizzeri che lo hanno utilizzato ci sono anche Peter, Sue and Marc. Il rumeno Gheorghe Zamfir è attualmente considerato, tra i flautisti dell'epoca contemporanea, l'artista più virtuoso nell'utilizzo di tale strumento.. -
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I popoli antichi e la musica.
Gli egiziani
Nella antica civiltà egiziana, la musica ha da sempre ricoperto un ruolo primario.
Ciò è visibile sulle numerose raffigurazioni nei templi sacri e nelle tombe piramidali, che testimoniano come la musica accompagnasse moltissimi rituali ed eventi della vita sociale e religiosa (gli egiziani attribuivano un'origine divina alla musica).
L'importanza della musica nella società egiziana è testimoniata inoltre dal fatto che nell'Antico e Medio Regno (terzo e secondo millennio a.C.), i musicisti occupavano posizioni sociali di rilievo ed erano considerati addirittura parenti stretti del re. In tempi successivi, la cultura egiziana venne in contatto con i popoli della Mesopotamia traendone, come sempre accade in questi casi, vari spunti: vennero introdotti ad esempio i ruoli di musicisti femminili, e si diffusero rapidamente vari strumenti usati dapprima nell'Asia Minore, come gli oboi doppi (denominati "mat"), o vari tipi di arpa. Gli strumenti più in uso erano, oltre a questi, vari tipi di flauti, percussioni (castagnette, sistri, crotali) e l'"hydraulos", un organo idraulico.
Pare che la società egiziana fosse estremamente sviluppata anche dal punto di vista tecnico-scientifico, come testimoniano le loro incredibili conquiste matematiche e conoscenze astronomiche, e, per rimanere nel campo musicale, è estremamente probabile che tale popolo fosse a conoscenza del principio della relazione tra l'altezza del suono e la lunghezza di una corda vibrante.
I popoli della Mesopotamia
La terra della Mesopotamia, letteralmente "terra tra due fiumi", compresa appunto tra il Tigri e l'Eufrate, ha visto nel corso della storia dell'uomo l'insediamento via via di numerose popolazioni: durante il IV millennio a.C., fino a circa il 2200 a.C. furono i Sumeri ad instaurarsi in questa regione, quindi fu la volta dei Babilonesi (fino a circa il 1000 a.C.), successivamente degli Assiri (fino al VII sec. a.C.), quindi nuovamente dei Babilonesi (fino al 539 a.C.).
Queste popolazioni erano estremamente avanzate nel campo delle scienze matematiche (conoscevano le formule per il calcolo delle aree), astronomiche (avevano maestosi templi che si ergevano nel cielo dai quali veniva osservato il movimento degli astri) e soprattutto agrarie: riuscirono a sfruttare una regione originariamente arida trasformandola in un terreno fertile e rigoglioso mediante un sofisticato sistema di canali da irrigazione (basti pensare ai giardini pensili di Babilonia, catalogati come una delle sette meraviglie del mondo antico).
La loro civiltà era dunque strettamente legata alle discipline tecniche, ed infatti il "numero", inteso come entità, possedeva una forza attiva, con proprietà ed attributi addirittura sacri.
Dal punto di vista musicale sembra assodato che i Babilonesi possedessero una teoria piuttosto elaborata, che costituì poi la base del nostro sistema moderno; basti ricordare che Pitagora, considerato per molti versi l'iniziatore delle nostre teorie moderne sull'armonia tonale, si recò da giovane sia in Egitto che a Babilonia, rimanendovi per dieci anni, dove apprese moltissime teorie tecniche e musicali che lo aiutarono al suo ritorno in Calabria, per le sue future elaborazioni filosofiche.
Molti eventi della vita sociale erano legati alla musica, specialmente quelli di caratteri religioso: i canti rituali erano genericamente denominati "inni" o "salmi", e pare addirittura che il canto in forma antifonale (alternato) di due cori fosse alquanto diffuso. Altre occasioni pare fossero i rituali per favorire i raccolti, per invocare la protezione delle greggi e per invocare gli dei, specie nei rituali funebri con musicisti appositamente adibiti a questo scopo.
Gli ebrei
Rispetto a tutte le grandi civiltà dell'antichità gli Ebrei si distinguono per essere l'unica popolazione di religione rigorosamente monoteista e per averci lasciato la loro storia nel libro della Bibbia.
Da questo importantissimo volume abbiamo appreso la loro storia, le loro tradizioni, le loro usanze e i loro costumi. Numerosissimi sono infatti i riferimenti musicali ivi contenuti. Ad esempio, sappiamo che gli strumenti musicali erano classificati in tre categorie associate direttamente alle varie caste sociali: i corni e le trombe (ritenuti più nobili, tra cui ricordiamo il "sofar", mostrato in figura) erano riservati ai sacerdoti; gli strumenti a corde (arpe e lire) erano ad appannaggio dei musicisti addetti al servizio del Tempio; mentre i fiati erano suonati dal popolo.
La storia del popolo ebraico fu alquanto tribolata a causa delle numerose peregrinazioni. Nato all'origine come popolo tribale (ca. 1900 a.C.), si stabilì verso il 1250 a.C. nella terra di Canaan (Palestina); tra gli anni 1030 e il 587 a.C. (anno della distruzione di Gerusalemme e relativa conquista da parte dei Babilonesi con il loro re Nabucodonosor) godette il suo massimo splendore sotto il regno del re Davide e del suo figlio Salomone.
Durante la "cattività babilonese", durata fino a circa il 538 a.C. le attività fiorenti della cultura ebraica ebbero un notevole rallentamento e gli effetti negativi toccarono tutti gli aspetti della vita sociale tra cui logicamente la musica, che precedentemente aveva goduto di ottimo splendore.
Dal 539 al 332 a.C. la Palestina venne annessa all'Impero Persiano, per poi cadere sotto il dominio di Alessandro Magno ed essere definitivamente inglobata nel 63 a.C. nell'Impero Romano.
Dei rituali ebraici, che hanno influenzato largamente le nostre pratiche liturgiche, e quindi anche musicali, ricordiamo la "cantillazione", una sorta di canto a mezza strada tra la recitazione e l'intonazione vera e propria, il "jubilus" e i salmi. Dalla tradizione ebraica derivano inoltre moltissimi testi letterari presi dalla Bibbia, su cui i compositori di varie epoche hanno prodotto numerosissime composizioni: dal Canto Gregoriano, alle messe, ai mottetti, alle cantate, ecc...
I cinesi
I Cinesi sono una delle popolazioni con la tradizione musicale (e non solo) più antica in assoluto. Nel corso delle varie dinastie imperiali, che vanno dal 2697 a.C. a circa il 223 d.C., sono state prodotte numerosissime testimonianze a supporto di questa tesi.
La visione dei Cinesi metteva in relazione la musica con l'ordine cosmico che regolava l'universo: l'alternarsi delle stagioni, il moto degli astri, e così via; tutto concorreva a creare armonia con la natura delle altre cose e con l'uomo, naturalmente. Essendo quindi la musica in diretto rapporto con l'uomo, era capace di influenzare profondamente l'animo dell'individuo, producendo reazioni più o meno dinamiche e addirittura indirizzando lo sviluppo dello stato secondo determinati criteri.
Non a caso Confucio, uno dei massimi filosofi dell'antichità Cinese, si è più volte espresso riguardo il fenomeno musicale indicandolo addirittura come termometro supremo del grado di civiltà di un popolo.
Molto sviluppata era anche la teoria musicale. I teorici sono concordi nel sostenere che essi avevano elaborato una scala musicale costituita da sette suoni (eptafonica) non dissimile dalla nostra, che vide anche fissare l'altezza assoluta dei vari suoni (gradi) dall'Ufficio Imperiale della Musica, un organo statale antichissimo fondato durante la dinastia Han (206 a.C.-223 d.C.)
La scala musicale cinese era costituita a partire dal suono generatore, fondamentale, chiamato "hoang-cong" (la campana gialla), avente funzione analoga al nostro moderno diapason, dal quale venivano a realizzarsi gli altri liuh (gradi) mediante canne di bambù tagliate ad una opportuna lunghezza secondo proporzioni matematiche prestabilite.
Gli strumenti utilizzati presso i Cinesi erano assai vari: molto diffusi erano il K'in, un salterio suonato a pizzico con corde di seta, vari strumenti a percussione (gong, piatti, cròtali, tamburi), flauti, ed un organo a bocca chiamato "sceng" e costituito da una zucca cava nella quale erano inserite varie canne di bambù (v.figura).
Gli indiani
Anche il popolo indiano vanta una millenaria ed articolatissima storia musicale.
Le pratiche musicali, come testimoniato dai numerosi documenti pervenutici, accompagnavano tutti gli aspetti della vita civile: cerimonie, riti privati e pubblici, religione, ecc...
Anche la teoria musicale indiana era molto sviluppata, ed era basata su una scala eptafonica con ciascun grado suddivisibile in due, tre o quattro elementi, chiamati "srutis", in modo da formare moltissime scale (se ne contano più di mille) secondo la posizione degli intervalli. Tali scale, di carattere modale, erano chiamate "ragas", termine che significa "colore", "stato d'animo": da ciò è evidente lo stretto legame tra le varie armonie e le emozioni umane suscitate nell'ascoltatore, secondo un concetto non dissimile da quello che vedrà la luce più tardi nel mondo greco.
Gli strumenti più importanti nella storia della musica indiana dell'antichità erano il "sarangi", costituito da quattro corde (più numerose altre che vibrano per simpatia) su un telaio tozzo di forma quadrata, e la "vina", realizzata mediante un bastone cavo di bambù sorretto alle estremità da due zucche sulle quali erano tese sette corde che venivano sollecitate da un plettro (v.figura).
FONTE.http://www.sibemolle.it/. -
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Trembita
Con il nome di trembita (in ucraino: трембіта) si indica uno strumento musicale a fiato tradizionale ucraino, molto simile al corno alpino in uso in Svizzera e al bucium, diffuso in Romania. Nonostante la somiglianza strutturale, i suoni emessi da questi strumenti risultano essere molto diversi tra loro.
Suonatori di trembita
La trembita fu usata primariamente dagli abitanti dei Carpazi conosciuti come gutsuly. Era usato come uno strumento di segnalazione per annunciare morti, matrimoni, funerali.
Il tubo è costruito usando un ciocco di pino o abete (preferibilmente dopo essere stato colpito da un fulmine). Questo viene poi diviso in due parti, al fine di rimuoverne la parte più interna. Le sezioni vengono quindi riunite e successivamente avvolte con corteccia di betulla.
Attualmente è ancora utilizzata dai pastori per segnalazioni nelle montagne con foreste, e per guidare pecore e cani; nonché da artisti od orchestre moderne che eseguono musica folk.
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Arpeggione
L'arpeggione è uno strumento musicale inventato dal liutaio viennese Johann Georg Staufer nel 1823. È anche conosciuto come chitarra-violoncello, chitarra d'amore o chitarra ad arco.
È un ibrido tra il violoncello, del quale conserva buona parte della tecnica esecutiva, e la chitarra, della quale ha l'accordatura, la forma della cassa e la tastatura del manico. Viene suonato con l'arco e tenuto tra le ginocchia.
Lo strumento negli anni trenta dell'Ottocento era già dimenticato.
L'arpeggione fu promosso da Vinzenz Schuster che verosimilmente commissionò a Franz Schubert la sonata in La minore per arpeggione e pianoforte D 821 oggi nota come "Arpeggione". La sonata, che appartiene alla maturità artistica di Schubert, è rimasta molto popolare nonostante il prematuro declino dello strumento e viene eseguita solitamente sulla viola o sul violoncello.
Fino alla fine del XX sec. il repertorio per arpeggione era limitato alla Sonata di Schubert, a un concerto andato perduto di H. A. Birnbach (1823) e a un pezzo per arpeggione solo di Schmidt (1823). Dal 2002 molti compositori hanno invece scritto per questo strumento, principalmente per rispondere alle commissioni del arpeggionista belga Nicolas Deletaille.
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. Clavicordo
Il clavicordo o clavicordio è uno strumento musicale a corde, dotato di tastiera. È stato uno dei protagonisti del panorama musicale europeo per più di quattrocento anni.
Le raccolte di sonate, fantasie e rondò di Carl Philipp Emanuel Bach, pubblicate tra il 1779 e il 1787, rappresentano il canto del cigno del clavicordo.
Storia
Le origini del clavicordo non sono affatto chiare. Sembra certo che abbia origine dal monocordo, strumento probabilmente inventato da Pitagora di Samo nel VI secolo a.C. (e comunque di certo esistente ai suoi tempi) per studi di acustica e successivamente divenuto, soprattutto nel Medioevo, un vero e proprio strumento musicale, come risulta dal Roman de Brut del 1157, dove viene indicato con il termine "monacorde". Nel poema Der Minne Regel di Eberhard Cersne vengono menzionati tanto il monocordo quanto il clavicordo.
Successivamente, il clavicordo viene menzionato in trattati di Georgius Anselmi (1434), di Henri Arnault de Zwolle (1435 ca.) e di Ramis de Pareja (1482). Da questi scritti appare chiaro che il clavicordo aveva subito una certa evoluzione, almeno a partire dagli inizi del XV secolo: viene descritto come munito di dieci corde e dotato di tastiera cromatica. Essendo munito di più corde, il clavicordo era adatto ad essere utilizzato sia in modo melodico che armonico, divenendo presto strumento di esercizio per organisti. Era, peraltro, adatto a servire all'insegnamento della musica e i suoi costi di costruzione risultavano contenuti.
Pare che le corde di questo nuovo tipo di clavicordo sorto nel XV secolo fossero tutte di uguale lunghezza e sezione, anche se le esperienze fatte con altri strumenti, quali cetre e salteri avevano suggerito di migliorare il suono variando appunto questi valori. Nel tempo aumentò l'estensione, fino a raggiungere una gamma di quattro ottave, mentre fu raddoppiato il numero delle corde, con coppie accordate all'unisono.
Del clavicordo esiste un'illustrazione e una descrizione ad opera di Sebastian Virdung (1511), ma l'esemplare più antico giunto a noi fu costruito da Domenico di Pesaro nel 1543: è oggi conservato al Museo degli Strumenti dell'Università di Lipsia. Il clavicordo di Virdung sembra munito di non più di tredici o quattordici coppie di corde unisone, le gravi in ottone e le acute in acciaio. Quello di Domenico di Pesaro ha ventidue corde e un'estensione di quattro ottave. Negli affreschi pordenoniani della basilica di Santa Maria di Campagna a Piacenza è raffigurato un clavicordo (forse una spinetta).
Verso la fine del XVI secolo, la tastiera del clavicordo era divenuta interamente cromatica, mentre l'estensione raggiungeva le quattro ottave e mezzo, corrispondente a quella consueta ad altri strumenti a tastiera in uso nell'epoca. La cassa su cui veniva montato lo strumento misurava circa 130 cm per 30 di profondità.
Funzionamento e caratteristiche tecniche
Il clavicordo emette un suono molto discreto ed è dunque unicamente uno strumento da studio, non adatto per un concerto. Il suo repertorio è quello del clavicembalo, nei limiti delle possibilità tecniche della tastiera singola e della sua estensione piuttosto limitata. Il clavicordo, a differenza del clavicembalo, è uno strumento dotato di dinamica sonora, mentre la tastiera del clavicembalo è registrata su suoni di uguale intensità, motivo per cui spesso se ne trovano due (una per il piano e una per il forte).
All'estremità di ciascun tasto del clavicordo è collocato un piccolo dispositivo metallico in ottone, chiamato tangente, secondo un meccanismo di leva di primo tipo. La tangente ha un duplice scopo: divide la corda (funzionando quindi come una sorta di ponticello) e la mette in vibrazione, causando la produzione del suono.
A differenza che nel pianoforte, in cui il martello una volta percossa la corda torna indietro, nel clavicordo la tangente, finché non si lascia il tasto, resta appoggiata alla corda e fa perdurare il suono. Delle due sezioni in cui la corda è divisa dalla tangente, una sola entra in vibrazione, in quanto l'altra è opportunamente avvolta da un panno. Questo panno funge anche da smorzatore del suono una volta che la tangente si allontana dalla corda. Il suono del clavicordo è piuttosto tenue: la tangente è infatti leggera e breve è la distanza da essa percorsa. Il timbro è assai ricco, poiché tutti gli armonici sono presenti nel suono, proprio perché la corda è colpita ad una sua estremità.
Spesso i clavicordi erano costruiti in modo da poter azionare più tasti su una sola corda, ottenendo così note diverse: il numero complessivo delle corde poteva così risultare inferiore al numero delle note che lo strumento era in grado di produrre. Questo genere di clavicordo veniva definito "legato" (gebunden, in tedesco).
La Bebung
Il clavicordo è sprovvisto di un sistema di scappamento come si ritrova sul pianoforte; quindi la tangente, finché il tasto non viene rilasciato, resta a contatto della corda, creando un nodo sulla corda che vibra. Se, mantenendo il tasto premuto, si esercita una serie di micropressioni consecutive (la cui velocità è decisa dal gusto dell'esecutore), la tangente premerà più forte sulla corda ritmicamente, tendendola ulteriormente a ogni pressione: questa tensione innalza il suono prodotto e una serie di micropressioni creerà un effetto di vibrato. Questo vibrato, particolarità unica nei cordofoni a tastiera, è generalmente chiamato con il termine tedesco di Bebung.
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. Frusta (strumento musicale)
La frusta, anche conosciuta come batacchio o bataccio, è uno strumento a percussione idiofono costituito da due assicelle di legno lunghe 30–40 cm e larghe 5–10 cm, munite a un'estremità da una cerniera. Percuotendo tra loro queste due assicelle si produce uno schiocco secco e sonoro, proprio come quello di una vera frusta, da cui il nome dello strumento.
Esistono modelli con due impugnature o ad impugnatura singola. I primi hanno un suono molto potente: i secondi possono essere suonati con una mano sola, ma sono meno sonori e precisi. Per permettere il funzionamento delle fruste ad impugnatura singola (chiamate in inglese slapstick), le assicelle sono tenute a distanza da una molla.
Il batacchio è stato uno tra i primi e più popolari effetti speciali teatrali, essendo molto sonoro, robusto, economico, facile da costruire e da usare; è molto usato nella commedia dell'arte, in particolare viene utilizzato in scena da Arlecchino.
Dal suo nome inglese, slap stick, deriva il nome del genere cinematografico slapstick.. -
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Baglamas
Il baglamàs (gr. ο μπαγλαμάς) o baglamas o baglama, è uno strumento musicale greco; appartiene alla famiglia dei cordofoni, come il bouzouki, dal quale è derivato. Ha l'aspetto di un piccolo bouzouki, lungo generalmente tra i 50 e i 60 cm con una cassa armonica a forma di pera.
Il nome di questo strumento viene dal turco bağlamak (vincolare), bağlama (vincolo o nodo), da cui il sostantivo maschile greco "il baglamàs".
Esiste, d'altro canto, uno strumento della famiglia dei saz (cordofoni turchi) dal nome "bağlama" forse imparentato con il baglamàs e da cui il nome potrebbe derivare.
È principalmente uno strumento di accompagnamento, ha tre coppie di corde accordate come quelle del bouzouki tradizionale: re-la-re ma un'ottava più in su. Le coppie più acute sono all'unisono mentre la coppia più bassa è in ottava.
Il baglamàs è uno strumento a collo lungo e può essere di varie lunghezze del manico (χέρι) e della diversa grandezza della cassa di risononza (σκάφος). I tipi di legno frequentemente utilizzati sono palissandro e noce. Spesso viene decorato con madreperla.
Il baglamàs si suona adoperando il plettro e produce un suono metallico.
Agli inizi del rebetiko (ρεμπέτικο), quando questo era più un atteggiamento che non solo un tipo di musica, il baglamàs si differenziava dal bouzouki solo per la misura. Essendo uno strumento portatile era compagno fedele dei rebetes; il baglamàs talvolta veniva accordato diversamente (per esempio sol-si-mi), in modo che le corde a vuoto producessero accordi, che i rebetes - οι ρεμπέτες (vagabondi, banditi, ladri) chiamavano douzenià o baglamadodouzenià. Aveva solo cinque o sette tasti.
Quando il moderno bouzouki a quattro cori doppi si affermò, nella prima metà del novecento, come strumento principe della musica popolare greca, il baglamàs divenne uno strumento più completo, con molti più tasti (fino a 36), usato per dare colore nelle piccole orchestre di strumenti a corde, composte generalmente da due bouzouki, un baglamàs ed una chitarra.
Esiste inoltre una variante ancor più minuta di baglamàs (di 30 cm ca.), chiamato con il diminutivo baglamadàki (το μπαγλαμαδάκι). Le sue dimensioni ridotte lo rendevano molto popolare tra i rebetes, che così potevano facilmente trasportarlo e nasconderlo sotto il cappotto, soprattutto durante la prima metà del XX secolo, quando questa musica, insieme ai suoi esecutori, veniva considerata malsana e fu proibita dal governo, e gli strumenti, quando trovati, distrutti.
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. Colascione
l Colascione (anche Calascione, ital,. [Kolaʃoːne];. Franz Colachon [kɔlaʃɔ]) è un suono dello strumento. Il Colascione è stato principalmente in Italia meridionale in uso. Il più antico strumento conosciuto ci porta l'anno 1564. Ma il suo predecessore era da tempo precedentemente conosciuto dai paesi islamici.
Il "Colascione", detto anche a Napoli "tiorba a taccone", risalente al secolo XVII, era uno strumento con un manico lunghissimo (da 1 a 2 metri) e cassa piccola (a forma di pera); veniva usato per la realizzazione del "basso continuo" nei complessi da camera, nei brani di danza e nella musica sacra. Ispirato all’arabo "tanbur" (liuto dal lungo manico), il suo nome deriva dal greco "galischan" (piccola cesta).Aveva da 16 a 24 tasti ed era armato con 2 o 3 corde (chiave di basso: "mi" sotto il rigo con un taglio in testa, "la" primo spazio e "re" terzo rigo; se le corde erano 2, veniva eliminato il "mi" basso).
Nel XVIII secolo le corde furono portate prima a 5 ed in seguito a 6 (chiave di basso: "re" sotto il rigo con un taglio in gola, "sol" primo rigo, "do" secondo spazio, "fa" quarto rigo, "la" quinto rigo e "re" sopra il rigo con un taglio in gola).
A Napoli si usava un modello più piccolo di "Colascione" (lungo circa 1 metro), il "Colasciontino" o "Mezzo Colascione", che il popolo partenopeo chiamava "Calascione".
Il Calascione napoletano (armato di 2 o 3 corde intonate un’ottava sopra a quelle del Colascione) era costruito con molta più cura, rispetto al fratello maggiore, poiché venivano usati legni pregiati e preziosi intarsi d’ebano, madreperla e avorio. A Napoli rappresentava uno strumento prettamente popolare (persino la maschera "Pulcinella" veniva raffigurata con un Calascione tra le braccia), la cui funzione nei gruppi musicali era quella del "basso".
A partire dalla metà del secolo XVIII, il Colascione e il suo fratellino napoletano, il Calascione, sono caduti man mano in disuso, sia nell’ambito popolare che in quello colto, soppiantati da strumenti più moderni ed efficienti.
Immobile
Il liuto ha un box piolo con riccioli laterali e un 42 a 54 cm di lunghezza e da 28 a 34 cm di larghezza corpo, nel complesso è lunga 135-200 cm. Lo strumento dispone di due a sei corde, che a Quinten sintonizzati. La lunga tastiera è 16-24 tasti gut chiusi.
Marin Mersenne ha dato il numero di stringhe anche con due o tre. Nella seconda metà del 17 ° secolo assimilato la Colascione e come la mandola dotato di cinque o sei corde. Johann Mattheson lo cita nel suo 1713 l'Orchestre recente apertura di occasionale strumento di accompagnamento per la musica da camera.
Nella prima metà del 18 ° secolo fu espulso dalla Chiesa in Italia e fu presto dimenticato. Nell'ultimo terzo del 18 ° secolo, i fratelli Colla espulsi da Brescia dal Colascione e Colasciontino (Mezzo-Colascione) come strumenti nuovi, non era vero. Oggi la Colascione è raramente, per esempio, nel siciliana Sunaturi .
Invece di un soffitto in legno sul corpo alcuni strumenti avevano un soffitto pergamena divisa per l'arte orientale.
Nella letteratura di Colascione spesso calichon confusa, una versione basso di mandora.
Formazione e sviluppo
Degno di nota è la grande somiglianza di Colascione con strumenti come la Dutar o il sitar. Tuttavia, vi è una grande deviazione, che è dato dal web sul soffitto. Forse il sitar nel sud Italia è stato sviluppato sotto l'influsso di costruzione Secondo Colascione.
Il più antico sopravvissuto Colascione ha cavigliere piegato un liuto.. -
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Legnetti
I legnetti (o claves) sono uno strumento a percussione della famiglia degli idiofoni, formato da un paio di cilindretti (20-30 cm), tradizionalmente di legno ma che possono anche essere costruiti in fibra di vetro o plastica, data la più lunga resistenza di questi materiali.
Quando vengono percossi tra loro, i legnetti producono un suono abbastanza brillante. La forma è regolarmente appiattita o cilindrica, in legno pieno, ma occasionalmente possono essere usate altre forme (scavati al centro o resi concavi), per amplificare il suono.
Le claves sono molto importanti nella musica afro-cubana, come nel son e nella salsa. Esse sono spesso usate per suonare una figura ritmica ripetitiva all'interno del pezzo, conosciuta come il ritmo della clave, del quale si conoscono molte differenti variazioni, ciascuna usata per un differente stile musicale. I legnetti in molte brani accompagnano il didjeridoo.
Tecnica
Come si suonano i legnetti
Il principio alla base dell'uso delle claves è di permettere che almeno uno dei legnetti possa risuonare. La tecnica classica è quella di tenerne uno debolmente tra il pollice e i polpastrelli della mano non dominante, con il palmo rivolto verso l'alto. Ciò conferisce alla mano una forma che ricrea una camera di risonanza per la clave. Tenendo la clave sulla punta delle unghie viene prodotto un suono più chiaro. L'altro legnetto è tenuto dalla mano dominante con fermezza, quasi come una normale bacchetta da tamburo. Con l'estremità di questa clave, il suonatore batte al centro dell'altra clave.
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Rebab
Il rebab , arabo الرباب o رباب (anche rebap, rabab, rebeb, rababah, al-rababa) è uno strumento ad arco la cui origine si fa ascendere all'Afghanistan, intorno all'VIII secolo e diffuso dagli arabi in nord Africa, e nel bacino del Mediterraneo. Il rebab è lo strumento dal quale è poi nato il violino, per filiazione dalla medioevale ribeca.
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Lo strumento
Vi sono differenti tipi di rebab che hanno diversi impieghi. Nell'Asia di sud-est il rebab è un grosso strumento simile alla viola da gamba mentre spostandosi verso ovest gli strumenti tendono ad essere più piccoli e dal suono più acuto. I modelli passano dagli artisticamente scolpiti dell'isola di Giava al semplice rebab a due corde egiziano, realizzato da una mezza noce di cocco.Gli esemplari più ricchi ed elaborati hanno una cassa in legno pregiato parzialmente ricoperta da una lamina di rame battuto.
Impiego
Il rebab è lo strumento base della musica popolare di molti paesi, ed è penetrato anche nella musica classica araba e persiana. Fu uno degli strumenti prediletti dell'Impero Ottomano ed è ancora oggi molto diffuso in Turchia nei locali pubblici come le sale da the.
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Tamburo a cornice
Il tamburo a cornice è uno strumento musicale a percussione che consiste di una singola pelle montata su un anello con piccoli cembali di metallo, oppure senza quest'ultimi caso in cui viene a volte definito "muto". Tecnicamente un tamburo a cornice (frame drum in inglese) è definito come un tamburo la cui profondità è inferiore al diametro.
Origine
L'origine dei tamburi a cornice si perde davvero nella notte dei tempi: esiste materiale iconografico che data di oltre 6000 anni che rappresenta uomini e donne che suonano questo tipo di strumento, soprattutto durante rituali o cerimonie religiose. Anticamente esistevano (ma esistono ancor oggi) culture in cui il compito di suonare lo strumento era esclusivamente demandato alle donne. Nell'antica Mesopotamia, nell'Antico Egitto, nella Grecia Antica già era diffusissimo. Il tamburo a cornice è arrivato fino ai giorni nostri ed è specialmente importante nella tradizione musicale popolare (si pensi al tamburello e alla tammorra in Italia). Si stima che le tecniche costruttive (peraltro molto semplici) siano cambiate ben poco (per non dire quasi per nulla) con il passare dei millenni.
Forme e tecniche costruttive
Sebbene la maggior parte dei tamburi a cornice sia rotonda, ne esistono di quadrati (es. il pandeiro galiziano), di esagonali (alcuni tamburi degli indigeni del Nord America) e addirittura di triangolari. La tecnica costruttiva è davvero semplice: si tratta di una cornice quasi sempre in legno su cui viene tesa una pelle di animale precedentemente bagnata in acqua. La pelle al seccarsi acquisisce la tensione necessaria a produrre il suono desiderato. Per la realizzazione delle cornici rotonde, si suole utilizzare una fascia di legno resa duttile per mezzo di vapore.
Le pelli usate sono le più diverse: capra, capretto, pecora, cavallo, cammello, pesce, lucertola, cane, gatto, vacca, asino. Più recentemente si è introdotto l'uso di pelli sintetiche realizzate in materiali come il Mylar e si sono migliorate le tecniche costruttive inserendo meccanismi di intonazione mediante tensione della pelle. Pelli poco conciate o molto grosse producono tipicamente un suono più sordo e profondo, si potrebbe dire meno raffinato, mentre pelli molto elaborate e sottili tendono a produrre un suono più brillante e pulito.
La maggior parte dei tamburi a cornice è monopelle ma ne esistono con una pelle su ciascun lato (risultano quindi chiusi) come ad esempio l'adufe portoghese e il pandeiro galiziano.
In alcuni casi si aggiungono sonagli o altri artefatti metallici per arricchire il suono: si pensi al tamburello italiano per esempio, o alla pandeireta spagnola, al pandeiro brasiliano, alla kanjira indiana (un solo piccolo sonaglio), al riqq egiziano (sonagli in bronzo molto pesanti). Nell'attuale Iran (Persia) esistono tamburi a cornice come il Daf e il Ghaval, ai quali si applicano una o più file di anelli di metallo nella parte interna della cornice, perché questi, sbattendo contro la pelle mentre si suona, producano arricchimenti del ritmo. Altri tamburi (come il bendir marocchino e il pandeiro galiziano) hanno delle corde applicate nella parte interna a diretto contatto con la pelle che producono un suono "rotto" simile a quello del rullante delle moderne batterie.
Tecniche esecutive
Si può dire che le tecniche esecutive cambino da tamburo a tamburo, sebbene ovviamente esistano delle similitudini chiare. La maggior parte dei tamburi a cornice ha due tipi fondamentali di suono:
suoni aperti: solitamente chiamato DUM, è prodotto percuotendo la pelle nella parte mediana posta tra la cornice e il centro, facendola vibrare liberamente
suoni chiusi: sono prodotti colpendo il tamburo nella parte centrale (ma senza lasciar vibrare la pelle: un colpo secco, spesso dato con la mano aperta che viene lasciata a contatto con la pelle per non permettergli di vibrare) o sul bordo (spesso utilizzando le dita, non l'intera mano).
Sebbene, come sopra riportato, si utilizzino spesso le mani per suonare, esistono tamburi a cornice, come il bodhràn irlandese, che si suonano con un bacchetta o altro utensile.
Ovviamente le tecniche di esecuzione possono arrivare ad essere molto complesse e richiedere molta destrezza ed abilità, come nel caso del tamburello italiano o del riq egiziano.
Tradizione musicale
In tutte le culture in cui è presente, il tamburo a cornice è strettamente legato alla tradizione musicale popolare. Per fare alcuni esempi: non serve forse ricordare il tamburello in Italia legato alla tradizione della Tammurriata e della Tarantella in tutte le loro sfaccettature; in Spagna (specialmente in Galizia) il pandeiro, la pandeira e la pandeireta, sono strettamente legati a canti e balli che hanno parecchie affinità con la tradizione popolare italiana; in Persia (attuale Iran) il Daf è il tamburo utilizzato dai Sufi nei canti e danze (si pensi ai noti Dervisci danzanti); in India la kanjira è utilizzata come strumento di accompagnamento (ma anche solista) nella musica classica del sud del paese.
Negli anni settanta, con l'avvicinamento delle culture musicali popolari di altri paesi alla musica occidentale (specialmente al jazz) i tamburi a cornice hanno iniziato a diffondersi fuori dal loro paese di origine. Grazie a straordinari talenti come quello di Glen Velez, questo tipo di strumento ha potuto trovare nuovi spazi in contesti musicali inconsueti.
È innegabile che il tamburo a cornice abbia, grazie alla sua apparente semplicità e al fascino che lo accompagna dovuto alla sua remota origine, un potere evocativo straordinario e una versatilità difficilmente comparabile con quella di altri strumenti.
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fonte:wikipedia. -
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. Muselar
Il muselar (o muselaar termine fiammingo del XVI secolo) è una variante del virginale, strumento musicale a tastiera e corde pizzicate, appartenente alla famiglia del clavicembalo.
Simile al virginale e alla spinetta italiana, per la disposizione della tastiera in rapporto alle corde, sono tutti strumenti a salterello. Il tasto ha un angolo di 10 gradi rispetto al piano della cordiera. Esiste una corda per nota e le corde consecutive sono abbinate. Vi è una corda a sinistra ed una a destra nell'arcata che regge i due salterelli alternati, il ponticello doppio. Per esempio Mi bemolle a sinistra e Mi a destra.
La particolatità principale risiede nel fatto che il virginale e la spinetta italiana sono i soli strumenti della famiglia del clavicembalo a possedere due cavalletti vibranti.
La forma del muselar è quella di una cassa e la tastiera è contenuta in una nicchia. La spenetta italiana segue lo stesso principio ma gli angoli posteriori sono tagliati in senso obbliguo e la tastiera è sporgente coma una mensola.
Il muselar ha la tastiera a destra, contrariamente al virginale la cui tastiera è a sinistra. Vedere il dipinto di Johannes Vermeer (1632-1675) rappresentante una giovane donna che suona il muselar:
La specificità del muselar sta nel punto in cui viene pizzicata la corda: dal 50% delle note alte al 27% delle note basse. Le corde vengono pizzicate, per la maggior parte, intorno ad un terzo della loro lunghezza. Questo spiega il posizionamento della tastiera a destra.
Altra caratteristica importante: i tasti, come nel virginale e nella spinetta, hanno dei tasti di lunghezza diversa. I tasti delle note alte hanno una lunghezza doppia rispetto a quelli delle note basse e pertanto conferiscono una differenza di sensazione al tocco. Il tasto grave può essere così corto che il dito deve posarsi sul punto di incernieramento del tasto; con la corda molto molle la ripetizione è delicata.
Queste difficoltà di esecuzione hanno fatto dire ai detrattori dello strumento che il suono emesso dal muselar assomiglia al « grugnito di un maialino » (Blankenburg Elementa Musica 1739).
Questo apprezzamento è dovuto al movimento dell'arpicordum di cui è dotato il muselar. Esso consiste in un righello che costeggia il cavalletto di destra, che è azionato a volontà. Questo righello porta degli uncini metallici che venendo a contatto con le corde producono un ronzio. Questo, modifica il suono della corda producendo un effetto di bordone.
Il suono ottenuto è rotondo ed al tempo stesso chiaro e più dolce, avvicinandosi a quello di un'arpa o di un liuto.
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fonte wikipedia. -
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. Rebab
Il rebab , arabo الرباب o رباب (anche rebap, rabab, rebeb, rababah, al-rababa) è uno strumento ad arco la cui origine si fa ascendere all'Afghanistan, intorno all'VIII secolo e diffuso dagli arabi in nord Africa, e nel bacino del Mediterraneo. Il rebab è lo strumento dal quale è poi nato il violino, per filiazione dalla medioevale ribeca.
Lo strumento
Vi sono differenti tipi di rebab che hanno diversi impieghi. Nell'Asia di sud-est il rebab è un grosso strumento simile alla viola da gamba mentre spostandosi verso ovest gli strumenti tendono ad essere più piccoli e dal suono più acuto. I modelli passano dagli artisticamente scolpiti dell'isola di Giava al semplice rebab a due corde egiziano, realizzato da una mezza noce di cocco.Gli esemplari più ricchi ed elaborati hanno una cassa in legno pregiato parzialmente ricoperta da una lamina di rame battuto.
Impiego
Il rebab è lo strumento base della musica popolare di molti paesi, ed è penetrato anche nella musica classica araba e persiana. Fu uno degli strumenti prediletti dell'Impero Ottomano ed è ancora oggi molto diffuso in Turchia nei locali pubblici come le sale da the..