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La cucina romagnola
Ragioni politiche e amministrative la legano all'Emilia in una sola regione, ma per aspetti, carattere, storia, tradizioni, la Romagna è un'entità a se stante, che riflette la sua personalità, il suo temperamento sanguigno e deciso anche a tavola. Persino il paesaggio della pianura, il caldo colore del cotto, che si ritrovava in ogni abitato, segno indelebile del legame alla terra agricola, sembrano condurre pensiero e sensi alle gioie del mangiare. Parlare di cucina tradizionale romagnola è parlare soprattutto di cucina contadina. E per meglio comprendere la varietà e ricchezza delle creazioni culinarie, è necessario soffermarsi sull'aspetto geografico: distesa lungo l'Adriatico, la Romagna, il cui confine con l'Emilia viene concordemente segnato sul corso del fiume Sillaro, comprende una fascia costiera, con le sue zone semipaludose e le grandi pinete, una zona appenninica di forme addolcite, e la pianura, il vero cuore della regione, l'elemento unificatore di usi, costumi e tradizioni, con le sue sedi municipali, le importanti vie di comunicazione, la presenza dei grossi mercati. La popolazione è prevalentemente rurale, come del resto lascia intendere l'estensione del paesaggio agrario, geometrico, razionale. Tutta la Romagna è un giardino, curata e coltivata com'è fin dai tempi antichissimi. Già due secoli prima di Cristo, furono gli Etruschi che insegnarono ai romagnoli a bonificare e a lavorare la terra, a coltivare la vite, i frutti, i fiori, a sviluppare l'arte orientale della ceramica. Quando più tardi essa divenne provincia romana, l'agricoltura potè ulteriormente prosperare, grazie alla costruzione di canali di irrigazione alternando alle viti cereali, ortaggi, foraggi e così via. Oggi, l'abbandono delle campagne, la scomparsa di antichi mestieri, le progressive alterazioni e modificazioni del paesaggio agricolo ne hanno mutato molti aspetti, alcuni usi e costumi sono addirittura scomparsi, ma vitale e succulenta resta la tradizione della cucina di cui i romagnoli sono orgogliosi e puntigliosi cultori.
La cucina, il cuore della casa
La famiglia contadina romagnola, sia quella a mezzadria sia quella dei piccoli proprietari , era un tempo di tipo patriarcale. Il capofamiglia aveva il compito di guidare e mantenere il nucleo famigliare ed era, quindi, responsabile di tutta l'attività produttiva. A lui seguiva per importanza l'Azdora, la reggitrice, il vero perno della casa. Non sempre era la moglie del capofamiglia, sempre era però una donna dal carattere forte, che si sposava giovane e nella casa del marito compiva un tirocinio di fatica ed obbedienza sotto l'autorità della suocera, vera Azdora prima di lei, di cui avrebbe preso il posto nella gestione domestica dopo aver dimostrato le proprie capacità e la validità dell'agire, e comunque sempre quando quella fosse stata molto avanti negli anni. Nella buona e nella cattiva sorte, l'Azdora per quanto riguarda casa e famiglia, aveva tutto sotto controllo e i suoi obblighi andavano ben al di là delle responsabilità del vivere quotidiano. Suo dovere era attendere ai lavori domestici e alla loro organizzazione, provvedere al vitto, ma anche occuparsi dell'istruzione dei figli, gestire i rapporti col vicinato e gli artigiani che frequentavano periodicamente la casa, e , in questo ruolo, veniva ad assolvere il compito di conservare e tramandare tutte quelle usanze e quelle conoscenze che costituivano molta parte del ricco patrimonio della cultura contadina. Duro e pesante era il suo vivere poiché, salvo periodi particolari come la fine di una gravidanza o una malattia, partecipava anche ai lavori agricoli. Uniche distrazioni: qualche rara visita alla famiglia d'origine, gli incontri con i vicini alla sagra del paese o alle veglie serali nelle stalle, sempre però con un lavoro in mano, per non perdere tempo. Spesso, la fortuna di una famiglia, al di là delle reali risorse che l'agricoltura concedeva, dipendeva proprio da questa figura di donna, dal suo saper governare e reggere la casa, dalla sua abilità di accompagnare il pranzo con la cena. L'om l'è e sach e la dona l'è la corda, ricordava un colorito proverbio. L'attività culinaria consisteva nell'approntare i pasti quotidiani, ma anche nell'eseguire tutte quelle preparazioni necessarie per conservare i cibi e riempire la dispensa per i lunghi mesi invernali o i periodi di maggiore carestia.
I mangiari nei giorni feriali e di festa
Nella gran massa di chi non aveva nient'altro che il peso del vivere, i contadini erano i meno poveri. Malgrado la precarietà dei raccolti e certe rapine padronali, avevano pur sempre qualcosa da mettere sotto i denti, perché la dispensa prevedeva anche galline, pecore, maiali, in grado di fornire carni e salumi, uova, formaggi e condimenti. Il numero dei pasti spesso dipendeva dalle stagioni, era legato al ciclo e al lavoro dei campi, agli orari di lavoro, all'andamento del raccolto. Normalmente l'Azdora doveva assicurare colazione, pranzo e cena, ma i pasti potevano ridursi a due in autunno e inverno, quando, posticipando l'ora della colazione e del pranzo, era possibile saltare la cena. Non era abitudine far colazione appena alzati: il latte non mancava, ma soltanto di rado finiva per colazione nelle tazze di vecchi e bambini. Andava risparmiato per fare il formaggio o esser venduto come le uova. Restava lo scot, lo scarto del siero, da dare ai più piccoli. Gli adulti avevano bisogno di energie per affrontare il duro lavoro dei campi; si aspettava che le donne terminassero i lavori domestici e poi ci si sedeva tutti a tavola attorno alle otto, appena pronta la quotidiana razione di legumi o erbe di stagione (cavoli, patate, cardi, finocchi, ecc.) con piadina o polenta; se i pasti erano solo due, la colazione era anche pranzo e quindi si spostava alle dieci per poter cenare verso le cinque del pomeriggio. Nella maggior parte dei casi erano proprio i fagioli e la polenta a costituire l'alimento base della colazione. Dopo una lunga bollitura venivano consumati da soli, con aggiunta di olio e aceto, oppure con l'aggiunta di cotiche di maiale, uova o frittate tagliate a cubetti, polpette di verdura o altro ancora. Con molto brodo diventavano minestra, asciutti erano il contorno di zampetti, orecchie e coda di maiale, col battuto si trasformavano in ragù. Anche la farina di granturco è sempre stata in uso in Romagna: sola o miscelata a quella di frumento, serviva per preparare un po' di tutto, oltre naturalmente alla polenta. Veniva cotta con sale e acqua e condita col profumo dell'aringa, appesa alla trave sopra il tavolo perché ognuno, a turno, vi strisciasse la propria fetta, una sola volta, per non consumarla troppo in fretta. Le minestre fatte in casa erano il piatto forte del pranzo di mezzogiorno, spesso "matte", cioè di sfoglia senza uova, insaporite più dalle verdure che dal condimento. Seguivano, a volte, formaggio e pancetta abbrustolita, schiacciati tra due fette di pane per non perdere neanche una goccia di grasso. Più ricchi e saporiti erano i piatti dei giorni di festa: a pranzo e a cena non mancavano mai minestre con brodo di gallina o pastasciutte ben condite, arrosti, stufati e magari una fetta di ciambella da inzuppare in un bicchiere di vino. Sono nati così, dietro l'incalzare delle necessità quotidiane, sulla base di quanto si aveva, un'infinita serie di piatti che, nel tempo, hanno reso la tavola contadina romagnola una delle più ricche e saporite fra quelle regionali.
sfoglia matta
I TESORI DELLA DISPENSA
La farina di grano e granoturco Se la crusca serviva soprattutto per gli animali, il fiore, cioè la farina bianca, era destinata alla pasta e al pane. Spesso veniva mescolata al cruschello, per ottenerne un pane più scuro, ricco e saporito da consumare per primo, perché induriva più facilmente. Di sola farina di polenta poteva essere la micca specie se imperlata e dolcificata da chicchi d' uva passita, ma immangiabile appena due giorni dopo la cottura tanto diventava dura.La panificazione
La panificazione avveniva generalmente una volta alla settimana (mai di venerdì perché portava male): tutta la famiglia veniva coinvolta. Ai bambini si insegnava a non far briciole per non essere condannati, un giorno, a tornare sulla terra per raccoglierle con un forcone e conservarle in un cesto senza fondo. Il pane era qualcosa verso cui avere rispetto, non andava tenuto a pancia in su sulla tavola, non doveva essere profanato col coltello ma spezzato con le mani e portato alla bocca con la destra, la mano dell'Angelo. Anche secco e raffermo era consumato in tante maniere diverse: si ammorbidiva con acqua e si condiva con olio e sale,si cospargeva di grasso e si abbrustoliva alla fiamma. Al contrario del pane, la piadina non ha bisogno del forno, che non tutti potevano non avere in campagna, le bastava il calore del focolare e quindi poteva essere cibo quotidiano. Nella sua versione più umile era fatta di sola farina e acqua salata intiepidita; l'aggiunta di bicarbonato per alleggerire l'impasto senza giungere alla completa lievitazione risale ai primi del Novecento.
LA SFOGLIA
La sfoglia non sempre era fatta con le uova, a volte anche solo con acqua tiepida e sale e assumeva il nome di "pasta matta". Essa diventava ancora più matta quando venivano aggiunte, a seconda della disponibilità, misture di farine di grano e di granoturco, ancora più difficili da lavorare. Ma l'apoteosi della pasta fresca è senza dubbio quella ripiena: anche oggi rappresenta un vanto saperla fare a mano, con il solo aiuto del matterello, come vuole la tradizione.
IL MAIALE
Ingrassato senza spese con le brodaglie di scarto, il maiale portava, con la sua morte, la ricchezza della dispensa: l'uccisione avveniva in pieno inverno, prima dei "giorni della merla" (alla fine di gennaio), in un giorno di luna buona e subito le donne raccoglievano il sangue fiottante ancora caldo dal suino appena sgozzato. Quello che non sarebbe stato usato per fare il "migliaccio" , un dolce ricco per i giorni di festa, era subito fritto in padella con abbondante cipolla e pancetta a lardelli. Fegato e stomaco erano i primi ad essere consumati e le interiora dovevano essere ripulite alla svelta per la preparazione degli insaccati. Il grasso veniva separato dalla carne poi tagliato in cubetti e messo a sciogliere nel paiolo più grande della casa, mescolando pazientemente con un lungo bastone di legno per facilitare la fusione. Veniva poi filtrato e versato nella vescica accuratamente pulita e gonfiata; dalla spremitura dei residui dello strutto, schiacciati tra le piastre di una morsa, uscivano caldi e croccanti i ciccioli, da condire con il sale e profumare con l'alloro e la scorza di un limone.
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Ciccioli romagnoli
Migliaccio
IL PESCE
Il mare non riusciva a far giungere molto lontano i suoi profumi e i suoi sapori. Il consumo di pesce era molto limitato nelle fasce dell'entroterra, legato alle visite ai mercati e circoscritto a specie di poco prezzo: sarde, saraghine, frittura, paganelli. Più successo incontravano baccalà, aringhe, venduti sotto sale in tutti gli spacci del paese. Si sposavano bene con la polenta soprattutto le aringhe, con cui da crude si profumava anche il pane. Le anguille erano un dono in più per chi abitava vicino al fiume. Servivano per i piatti di vigilia ed entravano in molte preparazioni.
IL LATTE E I SUOI DERIVATI
Le carni bovine apparivano di rado sulla tavola contadina in quanto venivano allevati per vendita, mentre il latte, anche se destinato ai formaggi, aveva un uso più largo. Per i formaggi occorreva il caglio, ottenuto seccando, salando e tritando la parte più interna dello stomaco di agnelli e maialini da latte.Era sufficiente una piccola quantità poi il latte era lasciato riposare per un'oretta, riposto in recipienti di terracotta muniti di fori di scolo e premuto delicatamente per liberarlo dall'acqua e dargli forma. Lo squacquerone e il raviggiolo si gustavano freschi, il primo come accompagnamento alla piada, il secondo per dare più fragranza ai cappelletti e alla pasta ripiena. Si cercava poi di utilizzare la tela del latte per fare delle pallottine di burro, condimento che però veniva utilizzato solo per dolci speciali. Per condire trionfavano lardo, strutto e pancetta; l'olio d'oliva si usava col contagocce.
Raviggiolo
IL VINO
L'eccezionale fertilità del suolo e le favorevoli condizioni ambientali hanno avuto un ruolo notevole nel costume e nelle tradizioni vinicole romagnole. Un tempo ci si preparava alla vendemmia già in agosto, quando vivevano preparati gli attrezzi necessari, per raccogliere l'uva in ottobre. Potendo, al vino non si faceva mai disertare la tavola: a fine pasto, quello che rimaneva nei bicchieri veniva rovesciato per terra, rito pagano in omaggio alla casa. Si riteneva che la bevanda avesse anche poteri disinfettanti e talvolta sostituiva l'aceto per spegnere odori e sapori di cibi non sempre freschissimi.Cenni storici
La povertà della cucina romagnola è stata condizionata dapprima dalla presenza di piccole signorie turbolente e instabili, con la parziale eccezione di quella malatestiana, con corti e, dunque, mense di non eccelso lustro, e poi dal lungo e pesante dominio dello Stato della Chiesa.
I caratteri della cucina romagnola sono estremamente semplici e contadini; l'apporto della cultura marinara è di scarso peso e non si estende oltre la zona costiera. Il numero dei piatti è modesto; altrettanto modesta è la tradizione salumiera e casearia. Questa povertà ha indotto Max David a concludere che «noi romagnoli non abbiamo una vera cucina romagnola». Di certo non si può scambiare il ricettario di Artusi, nativo di Forlimpopoli, presso Forlì, per la cucina tradizionale della Romagna, quando si tratta invece di una brillante sintesi degli usi alimentari e gastronomici borghesi di tutta l'Italia centro-settentrionale, molto influenzati dalla cucina francese.
È, però, vero che l'opera dell'Artusi attinge in gran parte alle tradizioni della cucina romagnola: quindi, è molto utile per una prima ricerca sui questi piatti, come testimonia la formula "all'uso di Romagna", che spesso vi appare nella presentazione delle ricette.
Nel 1913 Antonio Sassi arrischiò un primo censimento della cucina «del popolo, che conserva buona parte delle vecchie costumanze». Il catalogo è di sole cinque voci: i cappelletti (diversi sia come forma sia come ripieno, che in Romagna si chiama "compenso", diversamente da quelli, omonimi, del bolognese e dell'Emilia), i passatelli, chiamate le «pappardelle asciutte condite in perfetta regola», il pollo arrosto e la piadina, che varia da zona a zona in dimensione e cottura. Dei cinque piatti elencati tre sono "paste in brodo", e ciò non fa meraviglia, dal momento che questa pasta - che un proverbio romagnolo definisce «biada dell'uomo» - è (scrive Camporesi) «il cardine del sistema alimentare» della Romagna.Passatelli prima della cottura
Attingendo all'ampia letteratura sulla cultura popolare romagnola (dal Cirelli al Battarra, dal Placucci al Bagli), è possibile recuperare altri piatti tradizionali, non tutti sopravvissuti; tra i primi piatti la «tardura» (una minestra di uova, formaggio e pan grattato), i «manfrigoli», mangiati nelle cene funebri, al ritorno dai funerali, gli gnocchi, le lasagne al forno e i maccheroni; tra i secondi piatti il galletto in umido, la carne lessa e la carne fritta; tra i salumi la salsiccia, il salame, il prosciutto e la coppa; tra i dolci il «bracciatello», tonda ciambella con il classico buco, i «sabadoni», tortelli ripieni di castagne cotte e marmellata di mele, pere cotogne o fichi, e la «saba», uno sciroppo prodotto con la riduzione a fuoco lento del mosto d'uva bianca o rossa, usato per bagnare i sabadoni.
Erano, questi, i piatti delle occasioni solenni, delle grandi feste del ciclo dell'anno (Natale e carnevale) e del ciclo della vita (nascita, nozze, morte). La cucina feriale era finalizzata a riscaldare e a corroborare (zuppe e minestre di verdure) o a tacitare brutalmente i morsi della fame (schiacciate, focacce, granitici dolci di farina di mais).
L'identità culinaria romagnola sta, piuttosto che in una lista di piatti caratteristici, in un complesso di saperi, soprattutto popolari. Il primo e il più antico di questi saperi è - se la parola «cultura» non imbarazza - la «cultura delle insalate», cioè delle piante commestibili, sia coltivate che spontanee: centinaia di specie la cui sicura conoscenza, trasmessa di madre in figlia, ha resistito fin quasi ai nostri giorni. Di questo sapere, che accomuna la Romagna, il Montefeltro e il pesarese, ci resta una straordinaria testimonianza cinquecentesca: la Lettera sulle insalate scritta nel 1565 dal medico Costanzo Felici. Catalogo ragionato di tutte le piante mangerecce, la Lettera censisce 180 varietà: oltre alle erbe che si consumano in insalata e a quelle che si usa cuocere, i bulbi, le radici, i frutti, le bacche, i cereali, i legumi, le spezie, i funghi e il tartufo. Di numerose specie il Felici tramanda gli impieghi in cucina.
Una cultura ampia e raffinata è quella - strettamente connessa con le minestre - della sfoglia «fatta in casa», che dev'essere, potendo, (dialetto) «smortadòva», cioè di farina e uova, senz'acqua; dalla sfoglia, più o meno sottile, si ricavano le tagliatelle, i tagliolini, i quadrettini, i maltagliati, gli strichetti (o farfalline), i malfattini, i garganelli di Ravenna, nonché le paste ripiene come i cappelletti, il piatto natalizio per eccellenza, e i ravioli, con ripieno di spinaci e ricotta. Sempre con la sfoglia senza uova sono fatti i ritorti «strozzapreti». Nell'arte della sfoglia ha piena cittadinanza anche la preparazione della piada - spessa e scondita (tranne che nel cesenate dove veniva condita con strutto, sottile condita con olio d'oliva nel riminese e nel Montefeltro) - e dei «crescioni» alle erbe dei campi.Manfrigoli
Bracciatelli
Un sapere non meno ampio e raffinato, seppur ristretto alla fascia costiera, è quello dei pesci e degli altri animali marini. Quondamatteo e Bellosi, in Romagna civiltà, elencano 165 specie di pesci, crostacei e molluschi dell'Adriatico con il loro nome dialettale. Ne censisce 213, nel 1576, il giurista, letterato e naturalista Malatesta Fiordiano, autore di una Operetta della natura et qualità di tutti i pesci, che canta in ottave tutto ciò che vive e si riproduce nell'acqua marina e fluviale. Il vertice della cucina marinara è rappresentato dal «brodetto», che in Romagna si esige robusto e casalingo, denso di conserva di pomodoro, di aceto e di pepe nero; le capitali del brodetto sono Cesenatico e Cattolica. Altrettanto deciso è il sapore del pesce in graticola (la «rustìda»), infilzato negli spiedini e protetto da una panatura all'aglio e al prezzemolo. Le minestre di pesce - tolti il risotto, gli spaghetti alle vongole e i quadrucci alla seppia - sono tutte d'origine recente.
Un sapere che accomuna la Romagna al resto delle regioni italiane è quello della vite e del vino. Nel 1792 Giovanni Antonio Battarra scrive sulla viticultura per novantuno pagine la sua Pratica agraria. I vini romagnoli più noti sono il Sangiovese (rosso) e i bianchi Trebbiano (ottimo con il pesce) e Albana di Romagna, secca e amabile; meno popolari e da conoscitori sono il Pagadèbit, il Biancale, la Cagnina e il Rosso di Bosco.Brodetto di pesce romagnolo
La rustìda romagnola
cibi tipici romagnoli
Primi
Cappelletti
Garganelli
Gnocchi
Passatelli in brodo o asciutti
Tagliatelle
Tortelli
Strozzapreti
Patacucci e fagioli
[CENTER]Antipasto romagnolo
Tortelli romagnoli
Passatelli in brodo
Secondi
Salumi romagnoli
Castrato
Ciccioli di maiale
Coppa
Cotechino
Prosciutto
Salsiccia matta
Pollo-Galletto arrosto
Brodetto alla marinarasalumi romagnoli
Salsiccia matta o ciavar
Contorni
Fagioli in giubbalunga
Scalogno di Romagna
[/CENTER]Dolci
Bracciatello
Bustrengo, bostringo o castagnaccio - a base di farina di castagne, uvetta e pinoli
Ciambella
Ciambellone
Crostata
Fave dei morti - all'anice
Mantovana
Migliaccio - dolce a base di sangue di maiale
Pagnotta pasquale
Panina
Piada dei morti (a Rimini)
Saba
Savor
Scroccadenti
Sfrappole
Zuppa inglese
[CENTER]Bostrengo o burlengo
Sabadoni
Formaggi
Casatella
Formaggio di fossa di Sogliano al Rubicone
Raviggiolo
Squacquerone
StracchinoFormaggio di fossa
Vari
Crescione o Cassone o Cascione
piada riminese, piada ravennate con scorza di limone
Tortello nella lastra
SpianataPiadina riminese
[/CENTER]Prodotti DOP e IGP
Prodotti con certificazione ufficiale dall'Unione Europea di Denominazione d'Origine Protetta (DOP) e di Indicazione Geografica Protetta (IGP) romagnoli.
Marrone di Castel del Rio IGP
Olio Extra Vergine di oliva Colline di Romagna DOP
Olio Extra Vergine di oliva di Brisighella DOP
Pere dell'Emilia-Romagna IGP
Pesca e Nettarina di Romagna IGP
Scalogno di Romagna IGP
Vitellone bianco dell'Appennino Centrale IGP
Formaggio di fossa di Sogliano Dop
Enologia
In Romagna sono presenti diversi vini:
Albana di Romagna
Albana di Romagna spumante
Albana di Romagna amabile
Albana di Romagna dolce
Albana di Romagna passito
Albana di Romagna passito riserva
Albana di Romagna secco
Bosco Eliceo Fortana
Bosco Eliceo Merlot
Bosco Eliceo Sauvignon
Bosco Eliceo bianco
Cagnina di Romagna
Colli di Faenza Pinot Bianco
Colli di Faenza Sangiovese
Colli di Faenza Sangiovese riserva
Colli di Faenza Trebbiano
Colli di Faenza bianco
Colli di Faenza rosso
Colli di Faenza rosso riserva
Colli di Rimini Biancame
Colli di Rimini Cabernet Sauvignon
Colli di Rimini Cabernet Sauvignon riserva
Colli di Rimini Rebola amabile
Colli di Rimini Rebola dolce
Colli di Rimini Rebola passito
Colli di Rimini Rebola secco
Colli di Rimini bianco
Colli di Rimini rosso
Pagadebit di Romagna Bertinoro amabile
Pagadebit di Romagna Bertinoro secco
Pagadebit di Romagna amabile
Pagadebit di Romagna secco
Romagna Albana spumante
Sangiovese di Romagna
Sangiovese di Romagna novello
Sangiovese di Romagna riserva
Sangiovese di Romagna superiore
Trebbiano di Romagna
Trebbiano di Romagna frizzante
Trebbiano di Romagna spumanteSangiovese di Romagna
fonte dal web e Wikipedia
Edited by tappi - 5/9/2011, 15:16. -
arca1959.
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grazie Silvana . -
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SILVANA.