NAPOLI

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. gheagabry
     
    .

    User deleted





    «Napule è ’nu paese curioso:»..«è ’nu teatro antico, sempre apierto.
    Ce nasce gente ca senza cuncierto scenne p’ ’e strate e sape recità.
    Nunn’è c’ ’o ffanno apposta;ma pe’ lloro ‘o panurama è ‘na scenografia, ‘o popolo è ’na bella cumpagnia, l’elettricista è Dio ch’ ’e fa campà.
    Eduardo De Filippo



    NAPOLI



    Andare alla scoperta di una città è come leggerne la storia. Ogni monumento, ogni palazzo antico, ogni chiostro ne racconta un pezzo. Un'affermazione, per la città di Napoli ancora più vera. In pochi altri luoghi oltre duemila anni di storia
    riescono ad essere letti e vissuti in così poco spazio, e con una tale ricchezza.
    Il viaggio alla scoperta di Napoli si snoda in più dimensioni, da quella orizzontale che spazia dal porto al centro storico, a quella verticale che dalla collina del Vomero scende giù, ne trafigge il suolo, giunge alla città sotterranea che, con i suoi cunicoli e le sue cavità naturali
    rappresenta un affascinante, mistico e misterioso mondo a parte.
    La città fu fondata nel 470 a.C. da un gruppo di coloni greci che la chiamarono Neapolis (nuova città) in contrapposizione con la preesisteste Palaepolis (vecchia città), fondata secoli prima sulla tomba della mitologica sirena Parthenope. Da qui il termine 'partenopeo', usato oggi per indicare ciò che pertiene al capoluogo campano. La città fu in seguito sottomessa dai Romani tanto che l'attuale chiesa di S. Lorenzo
    corrisponde allo spazio dell'agorà di epoca greca e del foro di epoca romana.
    Napoli divenne presto un importante scalo marittimo e lo rimase per tutta l'età imperiale. Nel frattempo i romani, attirati dalla splendida posizione e dal clima estremamente dolce, elessero Napoli e i dintorni a luogo privilegiato di villeggiatura. Tra i personaggi illustri che qui ebbero una residenza si annoverano Virgilio e Lucullo....Oggi non è facile imbattersi a Napoli in resti di origine greca o romana che spesso, tra l'altro, sono sotterranei. Sono visibili qua e là parti di mura di terme, di teatri e di altri edifici, spesso inglobate in costruzioni più recenti.
    Napoli, dopo aver fatto parte nell'alto medioevo del dominio bizantino e dopo esser stata capitale per oltre tre secoli di un ducato autonomo, nel XII secolo entrò a far parte del Regno Normanno e di quello Svevo; con quest'ultimo iniziano i primi mutamenti dell'assetto urbanistico che dall'epoca romana era rimasto sostanzialmente invariato. Ma un vero cambiamento, con una vivace espansione della città e un grande fervore artistico, lo si ebbe davvero nel XIII secolo, con l'avvento degli Angioini. Carlo I d'Angiò, infatti, fece di Napoli la capitale del proprio regno, avviando così la costruzione di molti nuovi edifici e un conseguente ampliamento della cinta muraria.erso la metà del Quattrocento, gli Aragonesi successero agli Angioini e Napoli visse un ulteriore periodo di sviluppo urbanistico. Ai primi del Cinquecento Napoli, insieme alla Sicilia, passò sotto il controllo spagnolo e per due secoli fu governata dai viceré...Col Seicento inizia per Napoli un periodo artistico di eccezionale intensità: in particolare, l'architettura e la pittura si distinsero per ricchezza della produzione e originalità. Nel corso del Seicento fu edificato il Palazzo Reale e fiorirono contemporaneamente belle chiese barocche, tanto numerose che oggi costituiscono un elemento caratteristico del paesaggio urbano partenopeo.
    Nel 1724 Napoli passò ai Borboni che dieci anni dopo la faranno capitale del loro regno. I Borboni resteranno a Napoli praticamente fino all'unità d'Italia, con due interruzioni: la breve esperienza della Repubblica Partenopea nel 1799, ispirata agli ideali della Rivoluzione Francese, e il periodo napoleonico 1806-1815.



    La vera Napoli, meravigliosa, pittoresca, commovente: quella della strada.
    (Roger Peyrefitte )




    Una visita della Napoli sotterranea è un’esperienza che cambia decisamente il modo di vedere la città..Sotto i marciapiedi affollati ed i vicoli di Spaccanapoli, sotto le strade cittadine ricoperte con i lastroni del Vesuvio, ad oltre 40 metri di profondità, si estende un vasto e suggestivo intrigo di caverne, cisterne, cunicoli e pozzi che vanno a costituire una città sotto la città!..."E' stata una bellissima esperienza. Entrare in una cantina di un basso e trovarsi tra i resti di un teatro romano risalente a oltre 2000 anni fa è davvero emozionante. Il percorso nelle cave di tufo e nelle cisterne greco romane utilizzate come rifugio anti aereo nella seconda guerra mondiale è stato molto interessante. Il passaggio che viene effettuato con le candele per raggiungere la cisterna romana è davvero suggestivo e divertente."



    Che cosa sperate di trovare a Londra, a Parigi, a Vienna?
    Vi troverete Napoli. È il destino dell’Europa di diventare Napoli.
    (Curzio Malaparte)



    ...La sirena Partenope...



    Napoli è anche detta Partenope perché la sua origine è legata ad una leggenda secondo la quale la fondatrice della città fu Partenope.Parthenope (termine che in greco significa vergine”) era una leggiadra fanciulla che viveva in Grecia, in un paese che si affacciava sul mar Jonio. Dotata di una fervida fantasia, trascorreva molte ore seduta sugli scogli a guardare il mare e sognare altri paesi.da visitare. Amava ricambiata il giovane Cimone, ma il padre di lei ostacolava il rapporto in quanto l’aveva promessa ad Eumeo.Un giorno i due giovani decisero di fuggire per non avere più ostacoli al loro amore. Al loro arrivo sulla nuova terra la natura cominciò a produrre una florida vegetazione. Intanto Parthenope venne raggiunta dal padre e dalle sorelle, dai parenti e dagli amici che avevano sentito parlare di tanto di questa terra così amena e accogliente, un vero paradiso. La voce si sparse in Fenicia, in Egitto così moltissimi popoli, caricati i loro averi, i simboli dei loro dei su piccole imbarcazioni, partirono alla volta di questa favolosa terra.Costruirono le capanne prima sulla collina, poi man mano che aumentavano i popoli sorsero nuovi centri in pianura e sulla costa. Furono erette botteghe di artigiani, le mura per proteggere la città.Furono costruiti due templi dedicati a Cerere e Venere, protettrici della città. Intanto Parthenope era divenuta madre di dodici figli, era amata e rispettata da tutti per la pietà, la fedeltà che aveva sempre dimostrata e tutti rispettavano quanto lei stabiliva per legge. La pace regnò sempre su quel popolo che si distinse per l’alto grado di civiltà raggiunto.




    .....'O Munaciello.....



    Molte sono le le leggende popolari e i detti popolani sul personaggio più imprevedibile e strano di Napoli, ‘o munaciello. Il personaggio è esoterico ed è temuto dal popolo per i suoi dispetti ma è anche amato perché a volte fa sorprese gradite che sollevano anche economicamente la situazione di una famiglia. Egli si manifesta come un vecchio-bambino che indossa il saio dei trovatelli, che venivano ospitati nei conventi. Amante delle donne, leggermente vizioso, è solito palpare le ragazze belle ed in cambio di questo e/o dello spavento che il suo aspetto scheletrico procura a chi lo incontra lascia delle monete...La tradizione narra che il nome fu dato nel Cinquecento ad un fanciullo trovatello malaticcio, morto in giovane età famoso per la sua vivacità.
    Secondo gli occultisti la storia di questo fanciullo è pura invensione del popolo che volle assegnare aspetti benevoli ad un individuo demoniaco. Infatti secondo la teoria esoterica il munaciello non era altro che una presenza demoniaca del male che, ricorrendo a doni, in realtà ingannava le vittime cercava di comprare l’anima....Il popolo ha però esorcizzato la paura e ancora oggi aspetta la visita de ‘0 munaciello che può lasciare del denaro inaspettatamente senza chiedere nulla in cambio.




    .....Il corno portafortuna....


    Varie sono le notizie sull’epoca e sulle modalità d’uso del corno:
    - Intorno al 3500 a.C., età neolitica, gli abitanti delle capanne erano soliti appendere sull’uscio della porta un corno, simbolo di fertilità. La fertilità, allora, era abbinata alla potenza e quindi al successo. Si era soliti offrire dei corni come voto alla dea Iside affinchè assistesse gli animali nella procreazione.
    - Secondo la mitologia, Giove per ringraziare la sua nutrice le donò un corno dotato di poteri magici.
    - Nell’età medievale il corno per portare fortuna doveva essere rosso e fatto a mano. Il rosso simboleggiava la vittoria sui nemici e doveva essere fatto a amno perché ogni talismano acquisisce poteri benefici dalle mani che lo producono.
    Il corno è il referente apotropaico (allontanante) per antonomasia: simbolo della vita, che allontana un’influenza magica maligna. Secondo la scaramanzia napoletana il corno deve essere un dono quindi per portare fortuna non deve essere comprato, inoltre deve essere: rigido, cavo all’interno, a forma sinusoidale e a punta.



    "Una bancarella con oggetti contro il malocchio e le fatture: corni, cipolle, aglio. La superstizione a Napoli nasce con l'individuo è nel proprio DNA , si trasmette di generazione in generazione e sono pochi i napoletani che ne sono immuni, io sono uno di quelli. Anche nel mio lavoro di attore non lo sono e non ho nulla in tasca come portafortuna. Mentre per quelli che ci credono e ne sono schiavi, un drappo viola, un gatto nero che attraversa la strada, un gobbo incontrato nelle prime ore del mattino, una donna vestita a lutto, etc. basta per rovinare la giornata. Ci sono addirittura persone che evitano di cucinare lenticchie perchè, dicono, "portan''a miseria" (rendono poveri). Il Martedi ed il Venerdi bisogna stare attenti perchè sono i giorni in cui il diavolo ci mette la coda. Ricordo che mio padre in questi giorni se poteva, evitava anche di uscire. Se incontrava un gobbo faceva centomila spergiuri. Anche questo fa parte della nostra cultura."



    Né di Venere e né di Marte
    non si sposa e non si parte,
    e non si da principio all’arte.
    Né di Venere e né di Marte
    Non si sposa e non si parte
    E non si da principio all’arte.
    Stateve attiente uagliù,
    ‘o diavolo stà aret’’o mure.
    Nun ce date l’occasione,
    nun ‘o facite sfugà.
    O ditte antiche facite rispettà
    E niente ve po’ arravuglià...



    ...la smorfia...



    "La Smorfia è spesso stata fonte di ispirazione anche per il cinema diventando talvolta protagonista di dialoghi e sketch ideati e proposti soprattutto da attori napoletani.




    Indimenticabile l'errore commesso da Totò in "Totò e Peppino divisi a Berlino" del 1962. In una celebre scena Totò riferendosi alla cameriera afferma che gli piacciono molto i suoi "19", riproducendo con le mani la forma dei seni. È un chiaro riferimento alla Smorfia Napoletana, dove però i seni fanno "28" e non "19".
    Nella stessa pellicola, i russi, scambiando il libro "La Smorfia" per un documento scritto in un codice segreto in grado di fornire le coordinate dei voli-spia americani, obbligano Totò e Peppino a decifrare il testo. Non sapendo cosa fare, i due riferiscono ai russi i numeri dettati in sogno dalla zia di Totò. Elaborati i dati, i russi abbattono un proprio aereo e, resisi conto di avere a che fare con due "poveracci", li cacciano via.


    È poi scontato ricordare che "La Smorfia" è diventato anche il nome con il quale si presentavano al grande pubblico, l’indimenticabile trio comico composto da Massimo Troisi, Lello Arena e Enzo De Caro."



    ...il teatro...



    Il vero autentico teatro napoletano. Il teatro dei sentimenti. Quei sentimenti che non muoiono mai nella storia e nelle tradizioni di un popolo. Con Eduardo il teatro napoletano raggiunge alte vette e si nobilita nelle epressioni più autentiche della cultura popolare e della vita quotidiana divenendo teatro internazionale. Infatti le commedie di Eduardo sono state rappresentate ed apprezzate in tutto il mondo......


    Di notte, quando sono a letto,
    nel buio della mia camera, sento due occhi che mi fissano,
    mi scrutano, mi interrogano. Sono gli occhi della mia coscienza.ToTò


    Napoli ha una grande tradizione di teatro con Scarpetta, De Filippo, Viviani... e naturalmente il principe della risata Antonio De Curtis, in arte Totò. Nato nel rione Sanità nel 1898, Totò arriva alla ribaltà nazionale con spettacoli di varietà e di avanspettacolo e oltre ad aver realizzato innumerevoli film (quasi cento!), ha scritto anche diverse canzoni (tra cui la famosa Malafemmena) e poesie (da ricordare la 'A Livella).


    « Lo sforzo disperato che compie l'uomo nel tentativo di dare alla vita un qualsiasi significato è teatro »
    (Da un manoscritto di Eduardo De Filippo)




    “Se mi accostano a TOTO’ e a EDUARDO a me sta benissimo,
    sono loro che si offendono…"


    E’ una delle tante frasi attribuite a MASSIMO TROISI ..In realtà penso che, se la morte improvvisa e prematura non ce l’avesse rubato il 4 giugno 1996 a soli 41 anni, MASSIMO avrebbe avuto a buon diritto il suo posto d’onore accanto ai due grandi sopracitati, i meriti li aveva tutti...MASSIMO TROISI aveva creato la sua MASCHERA...IL VOLTO triste ,lo sguardo dolente, la gestualita’ a tratti imbarazzata, le movenze scoordinate del corpo lo ponevano subito ai vertici dei grandi interpreti Partenopei del passato come TOTO’, EDUARDO-PEPPINO e TITINA DE FILIPPO.



    'O "SSAJE COMME FA 'O CORE

    Tu stive 'nzieme a n'ato
    je te guardaje
    e primma 'e da' 'o tiempo all'uocchie
    pe' s'annammura'
    già s'era fatt' annanze 'o core.
    "A me, a me" ...
    'o "ssaje comme fa 'o core
    quann' s'è 'nnamurato ...

    Tu stive 'nzieme a me
    je te guardavo e me dicevo ...
    comme sarrà succiesso ca è fernuto
    ma je nun m'arrenno
    ce voglio pruva'.

    Po' se facette annanze 'o core e me ricette:
    tu vuo' pruvà? E pruova,
    je me ne vaco ...
    'o "ssaje comme fa 'o core
    quanno s'è sbagliato
    M.Troisi



    .
     
    Top
    .
  2. gheagabry
     
    .

    User deleted




    I fantasmi non abitano più a Napoli



    Nella mia infanzia napoletana esistevano i fantasmi. Eramo residui incorporei di vite vissute, erano persone che prolungavano un'insonnia oltre la morte. I napoletani dicevano "ci stanno i fantasmi!".
    Vivevano nelle vecchie case, loro ultima residenza, mentre mancavano nelle nuove che spuntavano a gramigna sopra il tufo del Golfo. Una buona parte dell'edilizia selvaggia era anti-fantasma e per niente antisismica..Come quello scozzese, il fantasma meridionale era un residente che non aveva accettato lo sfratto della morte. Continuava a rasentare i muri e i vivi. A differenza di quello del nord, non indossava lenzuola né trascinava catene..andava invisibile, cioè nudo, oppure aveva i panni di un piccolo monaco, se maschio, e di una contadinella se femmina. A causa della forte mortalità infantile, i fantasmi erano anche quelli dispettosi dei bambini.
    Nella mia infanzia le storie di fantasmi si sono divise lo spazio dei racconti, insieme ai terremoti e ai bombardamenti aerei. Avevano la stessa quota di realismo. Nessuno obiettava la loro autencità.lo scettico, se c'era taceva.. Uno zio di mia madre, era considerato un sensitivo capace di avvertirne le presenze. Andava prima lui a visitare l'appartamento nuovo.poi emetteva il verdetto. Una zia di mia madre scappò di casa lasciando porta aperta e pentola sul fuoco, come per il terremoto, senza più rimetterci piede. Un bastone del nonno si animava ed inseguiva qualche membro della famiglia. I fantasmi rendevano una casa inabitabile, più gravemente di una crepa sismica.

    Erano storie che mischiavano il terrore alla risata nervosa, ingredienti sfruttati dal cinema e dal teatro. .Ma a Napoli non "ristanno più i fantasmi. Si muore definitivamente senza residui di presenza. Se il salario dei morti è di essere ricordati, è avvenuto il licenziamento. Scompaiono dal pensiero dei vivi, non vengono più nominati. Non resta loro altra via che il sogno, per farsi ricordare da quelli che hanno amato. Se mi capita una loro visita e all'alba me la ricordo, inauguro il giorno con la parola "grazie".

    (Erri De Luca)


    .
     
    Top
    .
  3. gheagabry
     
    .

    User deleted



    LA VECCHIA STAZIONE DI NAPOLI




    La piazza che i napoletani ancora oggi non gradiscono chiamare con la sua denominazione ufficiale “piazza Garibaldi” (forse perché non hanno mai amato il personaggio cui essa è dedicata) agli inizi degli anni '60 era tutta un cantiere. Sotto il piccone cadevano ad una ad una le granitiche rosee colonne della vecchia stazione e con esse tanti ricordi dei napoletani.
    Si demoliva per allargare la piazza e far posto ad un moderno complesso.

    Il fabbricato abbattuto, progettato dagli architetti Breglia ed Alvino, era stato inaugurato poco dopo l’Unità d’Italia, nel 1867, ed era stato denominato "Stazione Centrale delle Ferrovie" proprio a voler sottolineare la funzione di capolinea comune delle due linee che dirigevano a sud ed a nord.

     
    Top
    .
  4. gheagabry
     
    .

    User deleted


    .

    IL MASCHIO ANGIOINO


    Il castello, detto anche Nuovo per distinguerlo da quelli già esistenti dell'Ovo e di Capuana, fu costruito verso la fine del XIII secolo al tempo della dominazione angioina della città di Napoli. Un secolo e mezzo più tardi venne ricostruito quasi completamente dagli Aragonesi succeduti agli Angioini nel Regno di Napoli. La nuova costruzione è una singolare testimonianza del passaggio dallo stile gotico medievale alla nuova cultura rinascimentale.
    La costruzione del Maschio Angioino iniziò nel 1279 sotto il regno di Carlo I d’Angiò, su progetto dell’architetto francese Pierre de Chaule. Fu costruito sul mare anche se oggi il castello appare distante alcune centinaia di metri dalla costa a causa dell’erosione e del ritirarsi delle acque. Il re angionino volle costruire una residenza privata che fosse anche fortezza, rifugio per la popolazione. Durante il regno di Roberto d’Angiò il Castello divenne, in opposizione alla tradizione dei castelli chiusi e cupi del Duecento europeo, un vivacissimo centro di cultura aperto a viaggiatori, artisti e grandi uomini d’intelletto. Sotto Roberto d’Angiò, Carlo lo Zoppo e Roberto il Saggio, passarono infatti il Giotto, Giovanni Boccaccio e Francesco Petrarca. Gli angioini volevano infatti che il Castello testimoniasse la vitalità di Napoli, una città che anche durante i secoli cupi del Medioevo non si chiuse in se stessa, né rifiutò di svilupparsi, commerciare e produrre cultura. Ma del Castello costruito dagli angioini oggi rimane solo la cappella palatina, affrescata da Giotto. Tutto il resto è stato rivoluzionato dagli aragonesi. Agli angioini successero infatti nella metà del 1400 gli aragonesi di Alfonso I che scelse di abitare il Castel Nuovo e di rimodernarlo in senso rinascimentale, di rivoluzionarne la struttura. - (napoli4u.com)


    Il Castel Nuovo o Maschio Angioino si presenta di pianta irregolarmente trapezoidale ed è formato da cinque grandi torri cilindriche, quattro rivestite di piperno e una in tufo, e coronate da merli su beccatelli. Le tre torri sul lato rivolto verso terra, dove si trova l'ingresso, sono le torri "di San Giorgio", "di Mezzo" e "di Guardia" (da sinistra a destra), mentre le due sul lato rivolto verso il mare prendono il nome di torre "dell'Oro" e di torre "di Beverello" (ancora da sinistra a destra). Il castello è circondato da un fossato e le torri si elevano su grandi basamenti a scarpata, nei quali la tessitura dei blocchi in pietra assume disegni complessi, richiamando esempi catalani.

    ...l'Arco trionfale...


    L'arco trionfale marmoreo, che si trova all'ingresso del "Maschio Angioino", fu eretto per volere di Alfonso d'Aragona che volle celebrare la conquista del Regno di Napoli nel 1443. La costruzione dell'arco di trionfo si inseriva nel rinnovamento architettonico dell'antica fortezza angioina, divenuta nuova sede della corte aragonese. L'intento iniziale del re era stato di edificare un arco trionfale isolato, alla maniera degli imperatori romani, ma da questa primo proposito il re fu distolto per il timore che eventuali rivolte o attacchi esterni avrebbero potuto danneggiare il suo emblema, così che egli si risolse di spostarlo all'ingresso maggiormente protetto della nuova reggia. I rilievi dell'arco di trionfo rappresentano un evento storico, enfatizzato dal riferimento al trionfo imperiale romano: l'ingresso a Napoli del re Alfonso, celebrato il 26 febbraio del 1443 come vincitore di Renato d'Angiò, accuratamente preparato con un preciso cerimoniale elaborato dalla corte reale. Il corteo reale si era svolto tra la porta del Mercato, dove era stato realizzato un effimero arco di trionfo, e Castel Nuovo. Il re procedeva su un carro dorato condotto da quattro cavalli bianchi, preceduto dai musici a cavallo, da sette "Virtù" rappresentate da altrettanti cavalieri e da carri allegorici. Seguivano a piedi il principe ereditario e i nobili aragonesi e napoletani. Le sculture raffigurano l'avvenimento storico arricchendolo di significati universali.

    ....la Sala dei Baroni....


    La Sala dei Baroni è l’ambiente principale del castello, nata come sala del trono per volontà di Roberto d’Angiò che, intorno al 1330, affidò a Giotto gli affreschi oggi perduti e rimasti solamente nella memoria di qualche testimonianza scritta. Essi raffiguravano gli uomini e le donne illustri dell’antichità e della mitologia: Sansone, Ercole, Salomone, Paride, Ettore, Achille, Enea, Alessandro e Cesare, ognuno dei quali disegnati insieme alla propria compagna.
    Più tardi, con il dominio aragonese, Alfonso d’Aragona, regnante tra il 1442 e il 1458, affidò a Guillem Sagrera l’ampliamento della sala che, successivamente, prenderà il nome di “sala dei Baroni” in quanto, nel 1487, fu teatro dell’atto finale della cosiddetta “Congiura dei Baroni” contro Ferrante I d’Aragona. Il soffitto è composto da una volta ottagonale, poggiante su strombature angolari, con sedici costoloni che vanno a formare un disegno a stella con al centro un luminoso loculo. Tutt’intorno delle finestre, accessibili attraverso la scala della torre (realizzata in piperno e tufo da Guillem Sagrera), da cui guardie e soldati potevano controllare l’interno durante gli appuntamenti ufficiali del sovrano. Più in basso, lungo la parete che si affaccia sul mare, tra le due finestre si trova un camino sormontato dai palchi utilizzati dai musicisti che suonavano durante le feste. Il pavimento, invece, era decorato da maiolica bianca e azzurra proveniente da Valencia. (napoligrafia.it)

    ....la storia....


    Occupata Napoli, nel 1266, Carlo d'Angiò non trovò adeguata la residenza reale di Castel Capuano, che pure era stata resa fastosa ed accogliente da Federico II, e volle costruirsi una reggia fortificata, preferibilmente prossima al mare. Scelse una zona fuori le mura, conosciuta col nome di Campus oppidi, nel cui centro sorgeva una chiesetta francescana. Il tempietto fu demolito e ricostruito altrove a spese del sovrano e i lavori della nuova residenza, denominata Castel Nuovo, furono affidati, secondo i registri angioini, agli architetti francesi Pierre de Chaulnes e Pierre d'Angicourt anche se il Vasari assegna il progetto a Giovanni Pisano. Di schietta architettura gotica, il maniero fu iniziato nel 1279 e finito nel 1282. Aveva una pianta quadrilatera irregolare, quattro torri di difesa, alte mura merlate dalle strettissime feritoie, un profondo fossato che lo circondava interamente e un ampio portale d'ingresso con ponte levatoio. Carlo d'Angiò, però, non vi abitò mai mentre vi si stabilì il figlio Carlo II, che ordinò radicali lavori di ampliamento. Altri lavori di ristrutturazione e di abbellimento furono fatti eseguire da Roberto d'Angiò detto il Saggio, che si servì anche dell'opera di Giotto che lavorò a Napoli dal 1328 al 1333 affrescando, fra l'altro, anche la Cappella Palatina con "Scene del Nuovo e del Vecchio Testamento", opere che oggi non esistono più, forse distrutte da uno degli innumerevoli terremoti. Anche Boccaccio visse a Napoli in quegli anni così come Tino di Camaino perché Roberto d'Angiò amava circondarsi di artisti e letterati. Durante il periodo angioino fra le mura di Castel Nuovo si verificò uno dei più noti eventi della storia medioevale: il "gran rifiuto" di Celestino V il 13 dicembre del 1294. Sempre nelle sue sale, il nuovo conclave elesse il cardinale Benedetto Caetani che con il nome di Bonifacio VIII fece rimpiangere moltissimo il vecchio eremita. Alla morte di Roberto il Saggio il castello fu abitato da Giovanna d'Angiò, descritta dai più come donna frivola e vogliosa che, fra l'altro, non esitò a commissionare l'assassinio del marito Andrea d'Angiò, fratello del re d'Ungheria. Anche la seconda regina di nome Giovanna, sorella di re Ladislao, salita al trono nel 1414, fu donna di costumi alquanto "liberi", la leggenda racconta che facesse uccidere tutti i suoi amanti per evitare che andassero in giro a parlare male di lei.
    Fortunatamente nel 1442 la corona di Napoli fu cinta da Alfonso d'Aragona detto il Magnanimo, mecenate di eccezionali virtù; presso la sua corte sorse la famosa Accademia Pontaniana che coinvolgeva i migliori ingegni di cui disponeva il Mezzogiorno. Alfonso d'Aragona ordinò una radicale ristrutturazione della sua residenza all'architetto aragonese Guglielmo Sagrera che diede alla costruzione l'aspetto che oggi conserva quasi integralmente.(dal web)

    ....miti e leggende....


    Il Coccodrillo - In una fossa nelle prigioni del Maschio Angioino, buia, umida, posta sotto il livello del mare e in cui venivano gettati prigionieri ritenuti meritevoli di particolari castighi, iniziarono un giorno ad avvenire misteriose sparizioni. La causa fu poi individuata in un coccodrillo, giunto a Napoli dall'Egitto dopo essersi probabilmente attaccato alla fiancata di una nave. Entrando da un buco non notato precedentemente, la vorace bestia azzannava i prigionieri prendendoli per le gambe e portandoli via con sé. In un primo momento, si approfittò della sua presenza dandogli in pasto condannati ritenuti scomodi. Laddove risultò poi piuttosto pericoloso tollerarlo oltre, si ritenne più opportuno ucciderlo. Il bestione fu quindi pescato (grazie a un'ancora di nave come canna da pesca e a una coscia di cavallo come esca), eliminato, impagliato ed appeso su una porta del maniero, rimanendovi praticamente fino alla metà dell'800. Ricordando che pur sempre di leggenda si tratta, i personaggi che finivano scaraventati nella spaventosa fossa del coccodrillo, erano, naturalmente, i condannati a morte che dovevano essere sbrigativamente giustiziati risparmiando inoltre di essere seppelliti. Ma, erano destinati anche, e qui incontriamo un’altra leggenda popolare legata al castello, uomini e giovani, nobili e plebei, che prima la regina Giovanna d’Angiò e poi la regina Giovanna di Durazzo sceglievano come amanti.

    I Congiurati - Nei sotterranei del castello sono ancora presenti quattro casse scoperte, nelle quali ben visibili quattro cadaveri risalenti al periodo a cavallo tra il XV e il XVI secolo. Tra di essi anche un prelato, con le mani legate e il viso contratto, morto probabilmente per soffocamento. Si tratta degli sventurati protagonisti della famigerata "congiura dei baroni", appoggiata da papa Innocenzo VIII e scoppiata a Napoli tra il 1485 ed il 1486 sotto il regno di Ferdinando I (o Ferrante) d'Aragona (1431 - 1494). Usando come stratagemma il falso matrimonio di una sua nipote, organizzato nella grande sala aragonese del castello e al quale vennero infatti invitati i più importanti baroni del regno, il sovrano riuscì a far arrestare i principali responsabili della congiura, facendoli poi uccidere nelle carceri ed imbalsamare appunto in alcune casse. Si ritiene che gli spiriti dei congiurati, ancora senza pace, vaghino per le segrete del castello reclamando giustizia.(letturefantastiche.com)

    Nel sottosuolo, il mito si rinnova dopo l'ultima scoperta degli archeologi e speleologi che riguarda l'Ordine dei Templari. Dodici croci incise sui muri di un antico acquedotto, a 35 metri di profondità dal manto stradale. Lì sotto c'è la città greca e poi romana, seguita dai segni della Cristianità. In E' un percorso stretto e tortuoso quello da seguire, che va dalla chiesa di Pietrasanta al palazzo del principe di Sansevero.

    « vidi e conobbi l'ombra di colui
    che fece per viltade il gran rifiuto. »
    (LX verso del III canto dell'Inferno, Dante Alighieri)


    ..."il grande rifiuto"...


    Il pontificato di Celestino V durò solo quattro mesi, periodo in cui lasciò la maggior parte delle sue decisioni al re Carlo d’Angiò, affidandosi completamente a lui. Uno dei suoi primi atti da pontefice fu l’istituzione di un prototipo del Giubileo (che sarebbe nato sei anni dopo), la Perdonanza, una celebrazione religiosa che si svolse a L’Aquila. In quei quattro mesi Celestino si ritirò spesso a pregare e meditare in una stanza della sua residenza al Maschio Angioino, meditazioni che probabilmente acuirono i suoi dubbi iniziali, fino a portarlo alla decisione di abdicare. Durante un Concistoro, il 13 dicembre 1294 Celestino V lesse queste parole:
    «Io Papa Celestino V, spinto da legittime ragioni, per umilità e debolezza del mio corpo e la malignità della plebe, al fine di recuperare con la consolazione della vita di prima, la tranquillità perduta, abbandono liberamente e spontaneamente il Pontificato e rinuncio espressamente al trono, alla dignità, all’onere e all’onore che esso comporta.»
    Undici giorni dopo le sue dimissioni il cardinale Benedetto Caetano venne eletto Papa, con il nome di Bonifacio VIII. Insieme a Carlo d’Angiò ordinò la cattura di Celestino, che venne fermato sul Gargano mentre stava cercando di andare in Grecia e portato nel carcere di Fumone, in Ciociaria. Dove, a causa delle condizioni della prigionia, morì il 19 maggio 1296. Nonostante sia stato in parte artefice della sua morte, Bonifacio VIII portò il lutto e celebrò la messa per lui, avviandone poi il processo di canonizzazione.(dal web)
     
    Top
    .
3 replies since 1/9/2011, 22:56   1795 views
  Share  
.