NAPOLI

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  1. gheagabry
     
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    IL MASCHIO ANGIOINO


    Il castello, detto anche Nuovo per distinguerlo da quelli già esistenti dell'Ovo e di Capuana, fu costruito verso la fine del XIII secolo al tempo della dominazione angioina della città di Napoli. Un secolo e mezzo più tardi venne ricostruito quasi completamente dagli Aragonesi succeduti agli Angioini nel Regno di Napoli. La nuova costruzione è una singolare testimonianza del passaggio dallo stile gotico medievale alla nuova cultura rinascimentale.
    La costruzione del Maschio Angioino iniziò nel 1279 sotto il regno di Carlo I d’Angiò, su progetto dell’architetto francese Pierre de Chaule. Fu costruito sul mare anche se oggi il castello appare distante alcune centinaia di metri dalla costa a causa dell’erosione e del ritirarsi delle acque. Il re angionino volle costruire una residenza privata che fosse anche fortezza, rifugio per la popolazione. Durante il regno di Roberto d’Angiò il Castello divenne, in opposizione alla tradizione dei castelli chiusi e cupi del Duecento europeo, un vivacissimo centro di cultura aperto a viaggiatori, artisti e grandi uomini d’intelletto. Sotto Roberto d’Angiò, Carlo lo Zoppo e Roberto il Saggio, passarono infatti il Giotto, Giovanni Boccaccio e Francesco Petrarca. Gli angioini volevano infatti che il Castello testimoniasse la vitalità di Napoli, una città che anche durante i secoli cupi del Medioevo non si chiuse in se stessa, né rifiutò di svilupparsi, commerciare e produrre cultura. Ma del Castello costruito dagli angioini oggi rimane solo la cappella palatina, affrescata da Giotto. Tutto il resto è stato rivoluzionato dagli aragonesi. Agli angioini successero infatti nella metà del 1400 gli aragonesi di Alfonso I che scelse di abitare il Castel Nuovo e di rimodernarlo in senso rinascimentale, di rivoluzionarne la struttura. - (napoli4u.com)


    Il Castel Nuovo o Maschio Angioino si presenta di pianta irregolarmente trapezoidale ed è formato da cinque grandi torri cilindriche, quattro rivestite di piperno e una in tufo, e coronate da merli su beccatelli. Le tre torri sul lato rivolto verso terra, dove si trova l'ingresso, sono le torri "di San Giorgio", "di Mezzo" e "di Guardia" (da sinistra a destra), mentre le due sul lato rivolto verso il mare prendono il nome di torre "dell'Oro" e di torre "di Beverello" (ancora da sinistra a destra). Il castello è circondato da un fossato e le torri si elevano su grandi basamenti a scarpata, nei quali la tessitura dei blocchi in pietra assume disegni complessi, richiamando esempi catalani.

    ...l'Arco trionfale...


    L'arco trionfale marmoreo, che si trova all'ingresso del "Maschio Angioino", fu eretto per volere di Alfonso d'Aragona che volle celebrare la conquista del Regno di Napoli nel 1443. La costruzione dell'arco di trionfo si inseriva nel rinnovamento architettonico dell'antica fortezza angioina, divenuta nuova sede della corte aragonese. L'intento iniziale del re era stato di edificare un arco trionfale isolato, alla maniera degli imperatori romani, ma da questa primo proposito il re fu distolto per il timore che eventuali rivolte o attacchi esterni avrebbero potuto danneggiare il suo emblema, così che egli si risolse di spostarlo all'ingresso maggiormente protetto della nuova reggia. I rilievi dell'arco di trionfo rappresentano un evento storico, enfatizzato dal riferimento al trionfo imperiale romano: l'ingresso a Napoli del re Alfonso, celebrato il 26 febbraio del 1443 come vincitore di Renato d'Angiò, accuratamente preparato con un preciso cerimoniale elaborato dalla corte reale. Il corteo reale si era svolto tra la porta del Mercato, dove era stato realizzato un effimero arco di trionfo, e Castel Nuovo. Il re procedeva su un carro dorato condotto da quattro cavalli bianchi, preceduto dai musici a cavallo, da sette "Virtù" rappresentate da altrettanti cavalieri e da carri allegorici. Seguivano a piedi il principe ereditario e i nobili aragonesi e napoletani. Le sculture raffigurano l'avvenimento storico arricchendolo di significati universali.

    ....la Sala dei Baroni....


    La Sala dei Baroni è l’ambiente principale del castello, nata come sala del trono per volontà di Roberto d’Angiò che, intorno al 1330, affidò a Giotto gli affreschi oggi perduti e rimasti solamente nella memoria di qualche testimonianza scritta. Essi raffiguravano gli uomini e le donne illustri dell’antichità e della mitologia: Sansone, Ercole, Salomone, Paride, Ettore, Achille, Enea, Alessandro e Cesare, ognuno dei quali disegnati insieme alla propria compagna.
    Più tardi, con il dominio aragonese, Alfonso d’Aragona, regnante tra il 1442 e il 1458, affidò a Guillem Sagrera l’ampliamento della sala che, successivamente, prenderà il nome di “sala dei Baroni” in quanto, nel 1487, fu teatro dell’atto finale della cosiddetta “Congiura dei Baroni” contro Ferrante I d’Aragona. Il soffitto è composto da una volta ottagonale, poggiante su strombature angolari, con sedici costoloni che vanno a formare un disegno a stella con al centro un luminoso loculo. Tutt’intorno delle finestre, accessibili attraverso la scala della torre (realizzata in piperno e tufo da Guillem Sagrera), da cui guardie e soldati potevano controllare l’interno durante gli appuntamenti ufficiali del sovrano. Più in basso, lungo la parete che si affaccia sul mare, tra le due finestre si trova un camino sormontato dai palchi utilizzati dai musicisti che suonavano durante le feste. Il pavimento, invece, era decorato da maiolica bianca e azzurra proveniente da Valencia. (napoligrafia.it)

    ....la storia....


    Occupata Napoli, nel 1266, Carlo d'Angiò non trovò adeguata la residenza reale di Castel Capuano, che pure era stata resa fastosa ed accogliente da Federico II, e volle costruirsi una reggia fortificata, preferibilmente prossima al mare. Scelse una zona fuori le mura, conosciuta col nome di Campus oppidi, nel cui centro sorgeva una chiesetta francescana. Il tempietto fu demolito e ricostruito altrove a spese del sovrano e i lavori della nuova residenza, denominata Castel Nuovo, furono affidati, secondo i registri angioini, agli architetti francesi Pierre de Chaulnes e Pierre d'Angicourt anche se il Vasari assegna il progetto a Giovanni Pisano. Di schietta architettura gotica, il maniero fu iniziato nel 1279 e finito nel 1282. Aveva una pianta quadrilatera irregolare, quattro torri di difesa, alte mura merlate dalle strettissime feritoie, un profondo fossato che lo circondava interamente e un ampio portale d'ingresso con ponte levatoio. Carlo d'Angiò, però, non vi abitò mai mentre vi si stabilì il figlio Carlo II, che ordinò radicali lavori di ampliamento. Altri lavori di ristrutturazione e di abbellimento furono fatti eseguire da Roberto d'Angiò detto il Saggio, che si servì anche dell'opera di Giotto che lavorò a Napoli dal 1328 al 1333 affrescando, fra l'altro, anche la Cappella Palatina con "Scene del Nuovo e del Vecchio Testamento", opere che oggi non esistono più, forse distrutte da uno degli innumerevoli terremoti. Anche Boccaccio visse a Napoli in quegli anni così come Tino di Camaino perché Roberto d'Angiò amava circondarsi di artisti e letterati. Durante il periodo angioino fra le mura di Castel Nuovo si verificò uno dei più noti eventi della storia medioevale: il "gran rifiuto" di Celestino V il 13 dicembre del 1294. Sempre nelle sue sale, il nuovo conclave elesse il cardinale Benedetto Caetani che con il nome di Bonifacio VIII fece rimpiangere moltissimo il vecchio eremita. Alla morte di Roberto il Saggio il castello fu abitato da Giovanna d'Angiò, descritta dai più come donna frivola e vogliosa che, fra l'altro, non esitò a commissionare l'assassinio del marito Andrea d'Angiò, fratello del re d'Ungheria. Anche la seconda regina di nome Giovanna, sorella di re Ladislao, salita al trono nel 1414, fu donna di costumi alquanto "liberi", la leggenda racconta che facesse uccidere tutti i suoi amanti per evitare che andassero in giro a parlare male di lei.
    Fortunatamente nel 1442 la corona di Napoli fu cinta da Alfonso d'Aragona detto il Magnanimo, mecenate di eccezionali virtù; presso la sua corte sorse la famosa Accademia Pontaniana che coinvolgeva i migliori ingegni di cui disponeva il Mezzogiorno. Alfonso d'Aragona ordinò una radicale ristrutturazione della sua residenza all'architetto aragonese Guglielmo Sagrera che diede alla costruzione l'aspetto che oggi conserva quasi integralmente.(dal web)

    ....miti e leggende....


    Il Coccodrillo - In una fossa nelle prigioni del Maschio Angioino, buia, umida, posta sotto il livello del mare e in cui venivano gettati prigionieri ritenuti meritevoli di particolari castighi, iniziarono un giorno ad avvenire misteriose sparizioni. La causa fu poi individuata in un coccodrillo, giunto a Napoli dall'Egitto dopo essersi probabilmente attaccato alla fiancata di una nave. Entrando da un buco non notato precedentemente, la vorace bestia azzannava i prigionieri prendendoli per le gambe e portandoli via con sé. In un primo momento, si approfittò della sua presenza dandogli in pasto condannati ritenuti scomodi. Laddove risultò poi piuttosto pericoloso tollerarlo oltre, si ritenne più opportuno ucciderlo. Il bestione fu quindi pescato (grazie a un'ancora di nave come canna da pesca e a una coscia di cavallo come esca), eliminato, impagliato ed appeso su una porta del maniero, rimanendovi praticamente fino alla metà dell'800. Ricordando che pur sempre di leggenda si tratta, i personaggi che finivano scaraventati nella spaventosa fossa del coccodrillo, erano, naturalmente, i condannati a morte che dovevano essere sbrigativamente giustiziati risparmiando inoltre di essere seppelliti. Ma, erano destinati anche, e qui incontriamo un’altra leggenda popolare legata al castello, uomini e giovani, nobili e plebei, che prima la regina Giovanna d’Angiò e poi la regina Giovanna di Durazzo sceglievano come amanti.

    I Congiurati - Nei sotterranei del castello sono ancora presenti quattro casse scoperte, nelle quali ben visibili quattro cadaveri risalenti al periodo a cavallo tra il XV e il XVI secolo. Tra di essi anche un prelato, con le mani legate e il viso contratto, morto probabilmente per soffocamento. Si tratta degli sventurati protagonisti della famigerata "congiura dei baroni", appoggiata da papa Innocenzo VIII e scoppiata a Napoli tra il 1485 ed il 1486 sotto il regno di Ferdinando I (o Ferrante) d'Aragona (1431 - 1494). Usando come stratagemma il falso matrimonio di una sua nipote, organizzato nella grande sala aragonese del castello e al quale vennero infatti invitati i più importanti baroni del regno, il sovrano riuscì a far arrestare i principali responsabili della congiura, facendoli poi uccidere nelle carceri ed imbalsamare appunto in alcune casse. Si ritiene che gli spiriti dei congiurati, ancora senza pace, vaghino per le segrete del castello reclamando giustizia.(letturefantastiche.com)

    Nel sottosuolo, il mito si rinnova dopo l'ultima scoperta degli archeologi e speleologi che riguarda l'Ordine dei Templari. Dodici croci incise sui muri di un antico acquedotto, a 35 metri di profondità dal manto stradale. Lì sotto c'è la città greca e poi romana, seguita dai segni della Cristianità. In E' un percorso stretto e tortuoso quello da seguire, che va dalla chiesa di Pietrasanta al palazzo del principe di Sansevero.

    « vidi e conobbi l'ombra di colui
    che fece per viltade il gran rifiuto. »
    (LX verso del III canto dell'Inferno, Dante Alighieri)


    ..."il grande rifiuto"...


    Il pontificato di Celestino V durò solo quattro mesi, periodo in cui lasciò la maggior parte delle sue decisioni al re Carlo d’Angiò, affidandosi completamente a lui. Uno dei suoi primi atti da pontefice fu l’istituzione di un prototipo del Giubileo (che sarebbe nato sei anni dopo), la Perdonanza, una celebrazione religiosa che si svolse a L’Aquila. In quei quattro mesi Celestino si ritirò spesso a pregare e meditare in una stanza della sua residenza al Maschio Angioino, meditazioni che probabilmente acuirono i suoi dubbi iniziali, fino a portarlo alla decisione di abdicare. Durante un Concistoro, il 13 dicembre 1294 Celestino V lesse queste parole:
    «Io Papa Celestino V, spinto da legittime ragioni, per umilità e debolezza del mio corpo e la malignità della plebe, al fine di recuperare con la consolazione della vita di prima, la tranquillità perduta, abbandono liberamente e spontaneamente il Pontificato e rinuncio espressamente al trono, alla dignità, all’onere e all’onore che esso comporta.»
    Undici giorni dopo le sue dimissioni il cardinale Benedetto Caetano venne eletto Papa, con il nome di Bonifacio VIII. Insieme a Carlo d’Angiò ordinò la cattura di Celestino, che venne fermato sul Gargano mentre stava cercando di andare in Grecia e portato nel carcere di Fumone, in Ciociaria. Dove, a causa delle condizioni della prigionia, morì il 19 maggio 1296. Nonostante sia stato in parte artefice della sua morte, Bonifacio VIII portò il lutto e celebrò la messa per lui, avviandone poi il processo di canonizzazione.(dal web)
     
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3 replies since 1/9/2011, 22:56   1795 views
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