ARBUSTI e CESPUGLI FIORITI

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  1. gheagabry
     
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    Sarò anch'io come il lentischio,
    che solo per gli umili
    che ne conoscono il segreto nasconde
    nelle sue radici la potenza del fuoco,
    e nel frutto selvatico l'olio per la lampada e per gli unguenti".
    (Grazia Deledda)


    IL LENTISCO



    Il lentisco (Pistacia lentiscus) è un piccolo albero sempreverde che può arrivare a 6 metri e dalla folta chioma con andamento arrotondato. L’intera pianta emana un forte odore resinoso. Si riconosce dal fogliame coriaceo, lucido e glabro, costituito da foglie alterne, con picciolo alato, composte da 2-5 coppie di foglioline a margine intero. Il lentisco è una specie dioica, con fiori femminili e maschili separati su piante differenti. In entrambi i sessi i fiori sono piccoli, poco appariscenti, rossastri, raccolti in infiorescenze a pannocchia di forma cilindrica, portati all’ascella delle foglie dei rametti dell’anno precedente. I frutti sono drupe che si presentano come piccoli granelli rosso-porpora, quasi neri a maturità, e contengono una piccola mandorla commestibile come quella del pistacchio. La fioritura ha luogo in primavera, da aprile a maggio. I frutti rossi sono ben visibili in piena estate e in autunno e maturano in inverno.
    La corteccia è grigio cinerina, il legno di colore roseo. È una pianta eliofila, termofila e xerofila che vive dal livello del mare fino a 600 metri.
    Tipico componente della macchia mediterranea, il lentisco è diffuso in tutte le coste del Mediterraneo, in Portogallo e nelle Isole Canarie. In Italia è presente nelle regioni costiere bagnate dal Mar Tirreno e dall'Adriatico ed ha particolare frequenza in quelle più meridionali e nelle isole.

    Il lentisco ha notevole importanza ecologica per la rapidità con cui ripristina un buon grado di copertura vegetale del suolo denudato. E’ considerata una specie miglioratrice nel terreno. E' una specie eliofila, resistente alla siccità, all'azione del pascolamento e agli incendi, per via della notevole capacità di emettere nuovi polloni subito dopo il passaggio del fuoco. E' in grado di vivere in condizioni ambientali estremamente difficili; resiste bene ai venti e, in prossimità del mare, assume un caratteristico portamento "pettinato".

    Si pensa che il nome lentisco abbia origini tarde, probabilmente risalenti al XVII-XVIII secolo: tale nome richiamerebbe infatti l'uso di collante per lenti e vetri ottici per i primi strumenti introdotti con tale funzione. Precedentemente, la pianta è ricordata infatti con il nome di Sondro.

    La resina che produce ancora oggi è apprezzata per le sue proprietà balsamiche, per aromatizzare vini e liquori, e nella preparazione di vernici; in passato veniva masticata per rinforzare le gengive, profumare l'alito e mantenere i denti bianchi. La parola “mastice”, attualmente nome generico di sostanza adesiva, deriva dal greco “mastìche”, che indicava specificamente la resina chiara prodotta dal lentisco. Le sue gocce tonde o irregolari, un pochino giallastre con una spolverata bianca in superficie, hanno profumo gradevole, sapore dolce e piacevole. La resina si può estrarre praticando incisioni sul fusto e sui rami in piena estate e raccogliendola dopo che si è rappresa all'aria. Si sottopone a lavaggio per eliminare le impurità e si conserva dopo essiccazione in contenitori di legno.
    Si usa come aroma per liquori e dolci, gomma da masticare, nella cosmetica e nella farmacologia oltre ad essere una colla naturale. A Chio, che è il luogo di produzione della resina di maggior pregio, è prodotto un liquore aromatico derivato dalla resina, con funzioni digestive: il "Mastika".

    Fino al XX secolo, in Sardegna l'olio di lentisco è stato il grasso alimentare vegetale succedaneo dell'olio d'oliva e dell'olio di olivastro. L'olio di lentisco era apprezzato per le sue spiccate proprietà aromatiche, ma si trattava di un alimento destinato alle mense dei poveri, a cui si faceva largo uso nei periodi di carestia e in occasioni di scarso raccolto dagli olivi e dagli olivastri. La tradizione dell'olio di lentisco come grasso alimentare si è persa nella metà del XX secolo quando si è avuta una maggiore diffusione prima dell'olio d'oliva e poi degli oli di semi. In seguito l'olio di lentisco ha avuto rare utilizzazioni sporadiche come prodotto di nicchia o per scopi folcloristici.
    Le drupe di lentisco hanno un ruolo importante sotto l'aspetto aromatico gastronomico. Apicio, per esempio, suggeriva di usarle per condire le erbe di campo.

    Il legname è apprezzato per lavori di intarsio grazie al colore rosso venato. In passato veniva usato per produrre carbone vegetale e ancora oggi è apprezzato per alimentare i forni a legna delle pizzerie in quanto la sua combustione permette di raggiungere in tempi rapidi alte temperature. Le foglie, ricche di tannini venivano usate per la concia delle pelli.

    ..storia, miti e leggende..



    Il lentisco è stato utilizzato dall'uomo fin dall'antichità. La resina ottenuta dall'incisione della corteccia, solidifica a contatto con l'aria formano delle essudazioni aromatiche, di colore giallo-chiaro, che costituiscono il cosiddetto mastice di Chio, dal nome dell'isola greca dove la sua produzione era molta abbondante.
    Nell’antica Grecia questa pianta era consacrata a Britomarti o Dictymna, che usava per adornarsi così come facevano le vergini elleniche; per questo motivo la pianta ha continuato ad evocare i simboli della Purezza e della Verginità.
    Secondo la leggenda si trattava di una figlia di Zeus e Carme, ninfa della dea Artemide, amata da Minosse che per averla, la rincorse per nove mesi attraverso le montagne e le valli dell’Isola di Creta. Il giorno che si accorse che stava per essere raggiunta, Britomarti saltò nel mare dall’alto di una scogliera; salvata dalle reti di alcuni pescatori, venne chiamata Dittinna, ossia “Fanciulla della Rete”.
    Il lentisco era usato sin dall’antichità per le molteplici qualità terapeutiche ed come “…diuretico e per arrestare il flusso del ventre, mentre il decotto cura le ulcere serpiginose. Lo si impiastra anche sulle ulcere sierose e contro il fuoco sacro e funziona da collutorio per le gengive. …” (Gaio Plinio Secondo, Naturalis historia , XXIV, 28). Erano apprezzate le sue molteplici proprietà anche da Dioscoride, Ippocrate e Galeno.
    I piccoli frutti in epoca romana erano conservati sotto sale e impiegati per aromatizzare le carni, mentre in epoche più recenti, in tutto il Mediterraneo, erano spremuti per ottenere olio per le tavole dei poveri e per alimentare le lampade.
    La preziosa resina del lentisco, la "mastica" era uno zucchero elastico tipico dell’antichità che veniva raccolta solo sull’isola di Chios, perchè solo lì la si produceva copiosa. Per i greci questa resina era una gomma da masticare medica, rimedio di ulcere e di molti disturbi dello stomaco. Per i cristiani la mastica di Chios è la rappresentazione delle lacrime di Sant’Isidoro, martire esule sull’isola e qui decapitato.
    I rametti più teneri venivano utilizzati come deodoranti e antisudoriferi per la sudorazione eccessiva dei piedi, si mettevano sul fondo delle scarpe. Il decotto di foglie fresche profumava l'acqua e diminuiva l'eccessiva sudorazione di tutto il corpo. Veniva usato anche come antidoto alle punture della malmignatta sarda.
    I primi a sfruttare commercialmente il mastice di Chios, furono i Giustiniani, famiglia borghese di Genova che creò un veroe proprio monopolio che riforniva molti paesi del Mediterraneo: Cipro, Rodi, Costantinopoli, Alessandria, porti della Grecia e della Siria. La vendita era curata da veri e propri agenti che lavoravano al servizio dei Giustiniani. I quali, quando c'era sovra produzione, a volte, per proteggere il prezzo del mastice, bruciavano le eccedenze.
    I ladri di resina venivano puniti severamente, Kyriakus Pitsiccoli, scrittore Genovese dell'epoca, riporta un proverbio
    "se desiderate vivere a Chios, proteggete il mastice e non rubatelo mai"

    La figlia del Sultano Medjit.
    Una giovane fanciulla, dai nobili natali, si innamorò perdutamente di un giovane incontrato nei pressi di un arbusto dal profumo intenso. Non conosceva il nome del giovane, ma il suo amore era immenso. Ogni giorno, uscendo da palazzo correva al luogo del primo incontro, ove il lentisco, con il suo profumo, coronava il sogno dei due giovani innamorati.
    Un brutto giorno, la fanciulla arrivata al lentisco, non trovò nessuno. Attese inutilmente per lunghe ore, ma il giovane non ritornò. Per giorni la fanciulla sperò e si distrusse dal dolore, ma a nulla valsero le lacrime. Il sultano messo a conoscenza del fatto, cercò di consolare la figlia, ma tutti i tentativi andarono a vuoto. La sua adorata figlia rischiava di morire dal dolore.
    Fu allora che il sultano ordinò di piantare in tutta l’isola, arbusti di lentisco. Si diceva che il giovane si era perduto durante una spedizione in terre vicine, il profumo intenso lo avrebbe guidato nuovamente verso il sultanato, ridando all’amata figlia la voglia di vivere.

     
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  2. gheagabry
     
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    L' EDGEWORTHIA CHRYSANTHA


    L'Edgeworthia chrysantha è un arbusto a foglia caduca, originario dei boschi Cinesi e Himalayani, è una pianta vigorosa dallo sviluppo lento, nell'arco di alcuni anni può raggiungere un metro e mezzo di larghezza per due di altezza, dando origine ad una pianta dal magnifico portamento, tondeggiante, molto ramificata. Acquista maggior fascino durante i mesi freddi, dopo che le grosse foglie hanno lasciato il posto alle infiorescenze. Le foglie sono di forma ovale, appaiono in primavera inoltrata, dopo la fioritura invernale, come accade per il Calicanto, cadono in autunno, lasciando i rami completamente spogli. Durante l'inverno, fino ad aprile, sugli apici dei rami sbocciano grossi capolini sferici, formati da numerosi piccoli fiori che danno origine a dei pom-pom dorati. I fiori sono tubolari raccolti in mazzetti, normalmente di colore giallo o bianco crema; anche se esiste una varietà, un po’ più difficile da reperire, a fiori arancioni, chiamata ‘Red dragon’. I fiori sono, che sprigionano un dolce profumo nell’aria circostante.

    L’Edgeworthia chrysantha è originaria della Cina meridionale e orientale, da dove poi è stata introdotta in Giappone intorno al XVI secolo e in in Europa nel 1845. Il nome scientifico deriva dal suo classificatore: Michael Pakenham Edgeworth, che durante il XIX secolo lavorò per la corona britannica, sulla flora dell’India, Cina, Yemen e Sri Lanka, dando il suo nome a diverse specie botaniche.

    In Cina tutte le parti della pianta sono utilizzate nella medicina tradizionale: la corteccia e le radici sono antiinffiamatorie e analgesiche, mentre i fiori sono utilizzati per curare le malattie degli occhi.
    In Giappone grazie alle caratteristiche della sua corteccia viene utilizzata per la produzione delle banconote e e carta di alta qualità, il "WHASI" quindi spesso chiamata “pianta della carta”.


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    Aucuba


    Nome comune: Aucuba.
    Genere: Aucuba.
    Famiglia: Cornaceae.
    Provenienza: A. japonica è originaria del Giappone.



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    Descrizione genere: comprende tre specie di arbusti coltivati per la bellezza delle foglie (grandi, larghe, opposte, talvolta a margine dentato e con una grande varietà di marmorizzazioni e variegature) e per le bacche rosse che produce dopo la fioritura (che non suscita lo stesso interesse). Sono piante molto resistenti, adattabili e coltivabili sia all’aperto che in vaso (anche in appartamento).



    Specie e varietà
    Aucuba japonica: originaria del Giappone, raggiunge anche 2-3 m di altezza. Questa specie dioica (presenta piante maschili e femminili) è molto diffusa e presenta foglie verde brillante con macchie e variegature gialle. I fiori sono verdastri e poco ornamentali, mentre d’effetto sono le bacche rosse che li seguono (solo se le piante femminili sono in presenza di esemplari maschili). Ne esistono molte varietà che si differenziano per le caratteristiche del fogliame: “Aurea bicolor” (che presentano una grande macchia gialla vicino alla nervatura centrale), “Concolor” e “Crassifolia” (con le foglie spesse e coriacee), “Crotonoides” (con le foglie punteggiate di giallo), “Dentata” (con foglie profondamente incavate), “Leucocarpa” e “Luteocarpa” (con le bacche biancastre), “Longifolia” (con foglie verde brillante molto allungate), “Maculata” o “Variegata” (con foglie a macchia gialla).


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    Esigenze ambientali, substrato, concimazioni ed accorgimenti particolari
    Temperatura: sopporta anche 4-6° C in inverno. Non ama temperature superiori ai 20°C.
    Luce: pianta rustica, tollera sia l’ombra che il pieno sole, ma non nei mesi e nelle ore più calde.
    Annaffiature e umidità ambientale: annaffiature regolari in estate, diradate in autunno.
    Substrato: non necessita di terreno particolare, purché leggero e ben drenato. Possono provocarle dei danni l’umidità unita al freddo persistente.
    Concimazioni ed accorgimenti particolari: è bene concimare la pianta nel periodo primaverile-estivo ogni 20-25 giorni.


    Moltiplicazione e potatura
    Moltiplicazione: essendo una pianta dioica, per ottenere i semi, saranno necessari sia l’esemplare maschio e che quello femmina (di solito un maschio per quattro-cinque femmine). La semina può essere fatta alla fine dell’estate-autunno, ma il metodo risulta lento e non sempre dà buoni risultati. Di solito si preferisce utilizzare talee, lunghe circa 12 cm, prelevate in agosto-settembre. Queste devono essere messe a radicare in cassone freddo con un miscuglio di sabbia e torba. Le piantine devono essere trapiantate in vivaio nella primavera successiva e qui lasciate per 1-2 anni, fino alla messa a dimora definitiva.
    Potatura: dopo qualche anno può essere utile una potatura per ridare forma e compattezza alla pianta che tende a svilupparsi troppo sia in altezza che in larghezza.
    Malattie, parassiti e avversità
    - Cocciniglie: attaccano i rami e la pagina inferiore delle foglie, stimolando la pianta a produrre sostanze zuccherine che la rendono più soggetta ad attacchi di fuliggini. È necessario eliminare fisicamente i parassiti e utilizzare un prodotto anticoccidico o strofinare la parte colpita con un batuffolo di cotone imbevuto di acqua e alcool.
    - Ristagni d’acqua: possono provocare marciumi e disseccamento fogliare.
    - Comparsa di macchie nerastre sulle foglie: può essere causata da terreno troppo compatto (che andrà aerato) o secco (aumentare la frequenza delle annaffiature, facendo attenzione ai ristagni).
    - L’Aucuba può essere danneggiata dall’umidità associata a freddo persistente.
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  4. gheagabry
     
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    "Prof, guardi! Provi a toccarla!"
    Io allungavo un dito e in effetti la piantina richiudeva le foglie con dolce ritrosìa. Era un movimento delicatissimo che mi faceva pensare per analogia alla posa delle Madonne di alcune celebri Annunciazioni - di Simone Martini o dell'Angelico, per esempio - dove sorpresa, sgomento e timidezza adolescenziale di Maria si fondono in quell'istintivo ritrarsi segnato dalla curva del suo corpo.


    MINOSA PUDICA

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    La sensitiva (Mimosa pudica L.) è una pianta appartenente alla famiglia delle Mimosaceae o delle Fabaceae secondo la classificazione APG. Deve il nome comune alla sua capacità di rispondere a stimoli tattili o alle vibrazioni richiudendo le foglie su se stesse (tigmonastia). E' una pianta semilegnosa, originaria del Centro e Sud America, ma è stata introdotta in molte altre regioni dove è anche considerata specie invasiva, per esempio in Tanzania, Sud-Est asiatico e isole del Pacifico. È combattuta attivamente in quasi tutta l’Australia.
    E' una pianta perenne, i cui rami di un marrone tendente al rosso, dotati di spine, soprattutto quelli più prossimi alle radici, tendono ad uno sviluppo sempre più legnoso con l'avanzare dell'età della pianta. Gli steli sono eretti nelle piante giovani ma diventano poi rampicanti con l’età, forma piccoli arbusti che possono raggiungere 1 metro di altezza, sebbene comunemente non superino i 15-45 cm. Le foglie sono lunghe e costituite da tante foglioline più piccole, composte da 12-25 paia di foglioline, dal colore verde accesso.
    I fiori sono attinomorfi, con corolla composta da 4 o 5 petali, piccoli e ridotti, e con numerosi stami allungati, che formano un'infiorescenza di colore rosa, del diametro di circa un centimetro, con un caratteristico aspetto piumoso.

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    Il frutto è un baccello irsuto lungo circa 2 cm, che contiene da 2 a 4 semi tondeggianti del diametro di circa 2 mm, di colore bruno.
    Una caratteristica evidente di questa pianta è la contrazione immediata delle sue foglie al minimo stimolo tattile, che causa anche un abbassamento dei rami più sottili. Questo movimento è definito tigmonastia.
    I movimenti serali e notturni delle foglie si conoscono come nictinastia, e sono un esempio ben descritto di un ritmo circadiano vegetale regolato dalla luce. Il meccanismo si presenta ottimale come difesa contro i predatori che al ripiegarsi delle foglie si ritroveranno di fronte a una pianta apparentemente marcia, ma è anche funzionale alla limitazione di perdita di liquidi utili durante le ore di caldo eccessivo o per proteggersi dal vento riducendo la superficie esposta.

    ..proprietà..

    Contiene calcio, mimosina e alcune sostanze simili all’adrenalina. Secondo la cultura orientale sarebbero proprio queste sostanze a potenziare le capacità tattili e sensoriali degli esseri umani. Nella medicina ayurvedica, alla radice di mimosa pudica vengono attribuite anche proprietà afrodisiache. La radice ha un sapore dolciastro. Sempre secondo gli orientali, il suo consumo aiuta a raggiungere l’armonia interiore e a ristabilire l’equilibrio emozionale. Si sconsiglia, però, di consumare parti di pianta senza il consiglio di un medico specializzato. Molti usi infatti risalgono a tradizioni antichissime e non sempre praticabili.

    ...storia, miti e leggende...


    La Mimosa pudica, nel 1729 permise all'astronomo e biologo Ortous de Marain di scoprire il ritmo biologico circadiano corrispondente, all'incirca, all'alternanza giorno/notte.
    Interessandosi all'avvicendarsi delle stagioni e del giorno e della notte pensò di togliere la luce del sole a una pianta, la Mimosa pudica, osservando che al tramonto le sue foglie si chiudevano per riaprirsi il mattino dopo. Mise le piantine in grosse scatole per capire meglio il fenomeno. Scoperchiandole all'alba e dopo il tramonto ebbe la sorpresa di costatare che le foglie continuavano ad aprirsi e chiudersi regolarmente alla solita ora: le piantine non vedevano la luce del Sole, ma rispondevano a una specie di orologio interno.
    Non è di molti anni la scoperta che il nostro patrimonio genetico abbia un gruppo di geni identico nel DNA delle piante, stessi geni che regolano la risposta alla luce negli organismi vegetali, negli animali e nell'uomo. Sono fondamentali per la vita, comparsi in epoca assai lontana e conservati intatti dall'evoluzione biologica, dalle alghe fino all'Homo sapiens.

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    Naturalmente, considerate le sue particolari caratteristiche ha ispirato il simbolo della pudicizia. Come tutte le Acacie indica il passaggio dalla morte ad uno stato di luce nella Luce.
    In Oriente, la mimosa pudica viene chiamata Lajia. La pianta viene apprezzata per la sua sensibilità e per la bellezza dei fiori. Secondo la tradizione ayurvedica, la sensibilità della pianta può trasferirsi all’essere umano rendendolo più saggio e più calmo. Secondo questa “scienza”, chi tocca la pianta può sviluppare una maggiore sensibilità tattile e affinare le sue percezioni al semplice tocco delle cose. Per le sue caratteristiche, la mimosa pudica viene anche annoverata tra le piante che conducono alla felicità.

    ...simbologia...

    La mimosa pudica racchiude in sé tutti i significati delle altre varietà di mimosa. Questa pianta, infatti, indica il passaggio dalle tenebre alla luce, ovvero dalla morte alla vita. In particolare, la mimosa pudica indica proprio la pudicizia e la timidezza. Questo significato dipende dal particolare comportamento della pianta. Come già detto, le foglie, se toccate, si restringono e si piegano l’una sull’altra, il picciolo si abbassa e il movimento si trasferisce velocemente su tutte le foglie dello stesso ramo.


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    Edited by gheagabry1 - 10/6/2020, 10:38
     
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    "L’ortensia è una pianta molto teatrale. Quando ha sete, per esempio, non si limita a inchinarsi un pochino come fanno le altre piante per chiedere con cortesia dell’acqua. No, lei si butta a terra in modo plateale, simula uno svenimento da damigella, affloscia drammaticamente i rami erbacei come se stesse interpretando La morte del cigno davanti a centinaia di spettatori in lacrime. Poi, una volta dissetata, eccola che ostenta quelle sue sfere fiorite come fossero fuochi d’artificio, bum bum patatrac, e tende le grosse foglie carnose verso il cielo come a invocare un applauso divino."
    (Rossella Calabrò)

     
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    L'AMBORELA TRICOPODA



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    L' Amborella trichopoda è una pianta angiosperma endemica della foresta pluviale della Nuova Caledonia, è l' unica specie vivente della famiglia Amborellaceae. Apparsa sulla terra circa 130 milioni di anni fa, è considerata un vero e proprio fossile vivente. Cresce all'ombra delle foreste di montagna della Nuova Caledonia è un arbusto cui aspetto umile smentisce il suo posto speciale nella storia evolutiva. Se mettete tutte le piante da fiore (chiamati anche angiosperme ) su un albero evolutivo, Amborella è sul ramo più basso. Fossili di anziani, angiosperme estinti sono stati trovati, ma Amborella trichopoda è la più antica famiglia angiosperme noto con un membro ancora in vita. Le altre piante da fiore, da cui Amborella ramificato, evoluti e diversificati tanto successo che rapidamente eclissato le gimnosperme (inclusi i Araucariads ) a dominare la flora della Terra.

    Amborella è un arbusto o piccolo albero alto fino a 8 m. Haun tessuto legnoso (xilema) che si differenzia da quello di altre piante da fiore, conduce verso l'alto, l'acqua in una pianta vascolare. La xilema di Amborella contiene solo tracheidi; elementi della nave sono assenti. E' stato considerato a lungo come una " caratteristica primitivo "delle piante da fiore.
    La specie è dioica . Questo significa che ogni pianta produce sia "fiori maschili" o "fiori femminili", ma non entrambi. In realtà, Amborella ha un'altra qualità interessante quando si tratta di determinazione di genere. Si tratta di un genere-switcher. Ron Determann, (Direttore del Conservatorio ed esperto di coltivare Amborella), ha notato che le piante che crescono al giardino botanico di Atlanta possono iniziare con fiori maschili per poi diventare femminile.
    I piccoli fiori, bianco crema, poco appariscenti, sono disposti in infiorescenze terminali di 2 a 30 fiori, sostenuti nelle ascelle delle foglie fogliame. I fiori sono circa 3 a 4 mm di diametro, con 7 o 8 petali.
    In genere, da 1 a 3 carpelli per fiori si sviluppano in frutta. Il frutto è una drupe ovoidale rossa di circa 5 a 7 mm. La pelle del frutto è cartaceo,e circonda uno strato sottile carnoso contenente un succo rosso.
    Oggi fioritura piante comprendono 250.000 specie, che comprendono la maggior parte dei frutti, verdura e cereali che mangiamo. Charles Darwin, il grande fautore di graduale evoluzione nel tempo, ha chiamato il rapido aumento delle angiosperme " abominevole mistero ".


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    Charles Darwin non sapeva darsene una ragione: la comparsa sulla Terra delle piante da fiore e la loro incredibile diffusione rappresentava un ‘abominevole mistero’ agli occhi del padre della teoria sull’evoluzione. Oggi la soluzione arriva dalla genetica: la prima mappa completa del Dna dell'Amborella’ trichopoda, un fossile vivente delle piante da fiore, ha infatti svelato che la loro origine si deve ad un evento di duplicazione dell’intero genoma avvenuto 200 milioni di anni fa. I risultati sono illustrati in uno studio internazionale pubblicato su Science.
    L’Amborella è una piccola pianta cespugliosa con fiori color crema presente solo in Nuova Caledonia nell’oceano Pacifico. Si tratta dell’unica sopravvissuta di un’antica linea evolutiva che riconduce direttamente ai progenitori di tutte le piante da fiore. Per questo l’analisi completa del suo Dna è diventato l’obiettivo di una task-force internazionale, chiamata Amborella Genome Project, che vuole ricostruire il processo evolutivo che ha portato alle oltre 300milaspecie di fiori oggi presenti sul nostro Pianeta. Una ricerca molto complessa, che però potrà aiutare a migliorare la coltivazione delle specie più diffuse in agricoltura. Una prima e importante risposta viene dal sequenziamento completo del genoma contenuto nel nucleo delle cellule dell’Amborella. L’analisi dimostra che la nascita dei fiori si deve ad un evento di duplicazione dei geni avvenuto circa 200 milioni di anni fa: alcuni geni duplicati sono stati persi nel tempo, mentre altri hanno acquisito nuove funzioni, compreso quelle fondamentali per lo sviluppo dei fiori. In un secondo studio, pubblicato sempre da Science, i ricercatori dell’università dell’Indiana svelano invece la sequenza del Dna contenuto nei mitocondri delle cellule dell’Amborella. I risultati dimostrano che nel tempo sono entrati a farne parte anche molti geni di muschi e alghe verdi che vivono in stretta connessione con la pianta. (Fonte Tgcom 24)


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    Tea-Tree-Melaleuca-alternifolia-Mill


    Melaleuca alternifolia, Tea Tree



    La Melaleuca alternifolia (da non confondersi con la Melaleuca leucadendron o Cajeput e la Melaleuca quinquenervia o Niaouli) appartiene alla famiglia delle mirtacee ed è conosciuta col nome comune di Albero del tè o Tea tree. Questa pianta, dal punto di vista botanico, non ha parentela con la vera pianta del the (Camelia sinensis L.).
    Cresce in Australia, in particolare sulla costa nord del Nuovo Galles del Sud e nel Queensland del Sud.

    Prende il nome da mélas (nero) e leukòs (bianco) per via del colore della corteccia, chiara da giovane e via via più scura man mano che matura. I nomi popolari ed internazionali sono: Albero del tè, Pianta spazzolino, Melasol, Tea tree, Narrow leaved Paperbark, Tea-tree, Ti-tree, Snow in summer, Manuka. Il nome “tea tree” con cui la M. alternifolia è conosciuta tutt’oggi, risale al XVIII secolo e fu coniato da esploratori inglesi che, vedendo l’albero per la prima volta, furono colpiti dalla similarità tra le sue foglie e quelle della tradizionale pianta del tè, tanto che ne trassero e assaggiarono una bevanda calda, che risultò essere particolarmente speziata, dal retrogusto di noce moscata.

    Si conoscono quasi 150 specie, sempreverde, dalla chioma folta, ha foglie coriacee ed è molto ornamentale sia come alberello che come cespuglio. Di origine tropicale, è una pianta delicata, da riservare a zone a clima mite. Appartiene della famiglia delle Mirtacee, come il Callistemon, che le assomiglia nella fioritura: la melaleuca produce fiori simili a scovolini, di colore bianco (ma anche altre tinte a seconda delle specie), con ciuffi di stami colorati, in primavera ed estate. Le parti utilizzate sono le foglie dalla cui distillazione, per corrente di vapore, si estrae l’olio essenziale.

    Il curioso nome di Albero del the (Tea Tree) gli è stato attribuito poiché lo scopritore dell'Australia, James Cook, imparò a preparare, imitando le usanze locali, un the rinfrescante con le foglie di quest'albero. Da allora questo nome è rimasto, e anche i nuovi abitanti dell'Australia hanno imparato ad utilizzare le foglie di Melaleuca, per trarne tutte le benefiche virtù che gli aborigeni conoscevano da tantissimi anni.



    ..storia..



    Le origini dell’utilizzo della Melaleuca sono antichissime e risalgono a quando gli aborigeni australiani della tribù Bundjalung curavano ferite, piaghe e ulcere con le sue foglie.

    Le loro leggende descrivono laghi circondati da alberi di Melaleuca alternifolia. Le foglie e i rametti caduti dagli alberi rilasciavano i propri olii essenziali nell'acqua, trasformando i laghi in veri e propri bagni antisettici. Gli aborigeni locali usavano questi bagni curativi naturali per trattare una serie di condizioni come infezioni cutanee, scottature, tagli e punture di insetto.

    Tuttavia, la tribù aborigena locale, i Bundjalung, aveva compreso da tempo i poteri protettivi e curativi degli alberi del tè e usava le loro foglie schiacciate per curare varie ferite e infezioni cutanee. Gli aborigeni hanno dato alla terra del Tea Tree il nome ‘Healing Ground’ - "Terra di Guarigione".

    I contadini e gli allevatori australiani l’hanno sempre considerata una pianta particolarmente fastidiosa in quanto è davvero difficile sbarazzarsene. Infatti, occorre estirpare tutte le radici per eliminarla definitivamente, ma all’inizio del XX secolo, il chimico australiano A.R. Pendolf ha descritto, per la prima volta, le proprietà antisettiche dell’olio essenziale estratto delle foglie della Melaleuca alternifolia. I benefici curativi degli alberi del tè non furono ufficialmente registrati fino al 1923.

    Nel corso degli anni ‘20 si è cominciato a impiegare l’olio essenziale di Albero del tè in chirurgia e odontoiatria per prevenire e combattere le infezioni della pelle e delle mucose. Del resto, gli aborigeni australiani hanno sempre utilizzato le foglie dell’Albero del tè per trattare le ferite e le infezioni cutanee. Nel 1930 un chirurgo di Sidney pubblicò, sulla prestigiosa rivista Medical Journal of Australia, uno studio sull’efficacia di questo olio essenziale nella disinfezione delle ferite chirurgiche.

    In Australia, durante la Seconda Guerra Mondiale, i raccoglitori di foglie di Albero del tè e i produttori di olio essenziale furono dispensati dal servizio militare.

    tea-tree-4



    L’olio essenziale, ricavato dalle foglie di Malaleuca alternifolia, viene estratto o per distillazione in corrente di vapore o per pressione, meglio se effettuata a freddo per non alterare i principi attivi presenti nella pianta, o per estrazione con gas supercritici. Il governo australiano ha infatti stabilito per legge che, per essere classificato come Tea tree oil, l’olio essenziale di Melaleuca alternifolia deve contenere più del 30% di Terpinene e meno del 15% di Cineolo (poiché esso sarebbe irritante se presente a concentrazioni maggiori), rispettando l’equilibrio che troviamo in natura. Sono anche presenti quantità significative: di eucalyptolo, di pineni di vario tipo, cimene, limonene, alfa-terpineolo, fenoli, sesquiterpeni...

    All'olio di melaleuca sono attribuite spiccate proprietà antibatteriche confermate da diversi studi condotti in merito.
    Quest'azione antimicrobica sembra sia svolta dal suddetto olio attraverso la denaturazione delle proteine della membrana cellulare batterica, con conseguente distruzione della membrana stessa e morte del batterio.
    L'olio di melaleuca ha anche dimostrato di possedere un'attività antifungina.

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    È il lillà un arboscello antico,
    ma più antico di lui
    è il lillà del firmamento
    sopra il colle, a sera.
    Il sole declinato lascia
    in retaggio quella estrema pianta
    alla contemplazione, non al tatto.
    Il fiore d’Occidente.
    Una sola corolla è l’ovest,
    il calice è la terra,
    le capsule, semi ardenti, le stelle.
    Lo scienziato della fede
    ha iniziato appena le ricerche.
    C’è al di sopra della sintesi
    la flora inattaccabile
    dall’analisi del tempo.
    “ Occhio non ha veduto “ è possibile
    sia norma per un cieco,
    ma la Rivelazione
    non sia di tesi prigioniera.


    The Lilac is an ancient shrub
    The Lilac is an ancient shrub
    But ancienter than that
    The Firmamental Lilac
    Upon the Hill tonight –
    The Sun subsiding on his Course
    Bequeaths this final Plant
    To Contemplation – not to Touch –
    The Flower of Occident.
    Of one Corolla is the West –
    The Calyx is the Earth –.
    The Capsules burnished Seeds the Stars
    The Scientist of Faith
    His research has just begun –
    Above his synthesis
    The Flora unimpeachable
    To Time’s Analysis –
    “Eye hath not seen” may possibly
    Be current with the Blind
    But let not Revelation
    By theses be detained –


    Emily Dickinson


    (trad. di Mario Luzi)
     
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37 replies since 1/9/2011, 10:49   146124 views
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