STORIE DI UOMINI.....

...dialoghi con la natura e con l'uomo..

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  1. megaduu
     
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    Ben fatto, saperne di piùg
     
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  2. gheagabry
     
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    ... LA NEVE NON UCCIDE …
    ... Dicamolo con forza e sdegno; il circo mediatico ancora una volta fa come colui che indicando la luna ad un amico lo vede osservare il dito e non la luna; la comunicazione colpevole di superficialità o forse pilotata fa una cronaca del disagio causato dal mal tempo assolutamente cieca e poco obiettiva. La neve diventa quindi il paradosso, la lente di ingrandimento attraverso la quale osservare il nostro mondo e le regole e dinamiche che ne scandiscono lo scorrere. In redazione abbiamo trovavo uno scritto che fotografa perfettamente quello che sto dicendo, anzi in poche righe ne fa una foto chiara che non lascia spazi a dubbi. Mentre tutti si accaniscono a rimpallarsi varie responsabilità, mentre tanti fanno i conti con fenomeni atmosferici ai quali non erano abituati, la cronaca racconta di disagi, di morti dovute a queste condizioni metereologiche estreme. Concordo totalmente col titolo dell’articolo trovato, “La neve non uccide!”… uccide invece la cecità degli uomini, uccide quel cattivo modo di pensare per cui i benefici vanno a coloro che hanno agi e potere e non alle povere persone, ai bisognosi a quelli fortunati. “Il bollettino di guerra”di questi giorni parla di morti per il freddo; tutte le persone decedute sono poveri, bisognosi di cure e spesso senza un tetto sulla propria testa. Non c’è un ricco, un benestante tra i deceduti. Vi chiedo allora, ma è la neve a uccidere? O piuttosto gli uomini, la loro superficialità ed egoismo? A Roma, lo stanno dicendo tutti i giornali, ha nevicato e, mentre scrivo questa riflessione, ha ripreso ora a farlo; mentre ci si alzava la mattina dopo la forte nevicata della scorsa settimana, mentre le periferie, l’interland era sommerso dalla neve e dai disagia che essa porta ad una popolazione non abituata a questa condizione, il centro, le zone dove alloggiano e dimorano i “nostri” politici erano sgombre, pulite e perfettamente praticabili. Esiste una popolazione di serie A ed una di serie B, dove quelli più agiati invece di darsi da fare per aiutare e sostenere i meno fortunati ed abbienti, ottengono ancor più agi, ancora più favori ed attenzioni scavando in questo modo un solco ancora più profondo tra loro e gli altri. E’ una situazione incredibile, perché chi subisce torti e privazioni deve poi vedere questi privilegiati andare in tv e incitare all’unità ed al bene superiore della nazione. Penso a tutti quegli abitanti dell’Italia rimasti per giorni e giorni isolati sulle montagne senza aiuti o considerazione; penso a tutti quei senza tetto che sono costretti ad affrontare i disagi e la morsa del freddo senza avere i giusti sturmenti che quasi tutti hanno. Intanto il circo mediatico impazza, tutti esperti climatologi e tecnici del fredd … pochi o nessuno che però tratti questo dramma sollevando i perché esiste una popolazione più fortunata ed un’altra lasciata morire… .
    (Claudio)



    La neve non uccide!

    Freddo killer uccide trecento persone”, a
    “Gelo uccide un senzatetto”… è tutta una
    criminalizzazione dell’ondata di freddo,
    crudele e assassina che uccide e fa stragi…
    quante menzogne! Non è il gelo a uccidere,
    ma la povertà! Non si conoscono casi di
    ricchi e benestanti morti assiderati, ma solo
    di poveri e senzatetto… un po troppo
    selettivo questo gelo!? Non è il freddo che
    uccide, ma una società incapace di
    accogliere gli ultimi!
    (Alberto Maggi)
     
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  3. gheagabry
     
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    STORIE di UOMINI

    “E’ mera illusione il pretendere che un paese sia libero se tutto il potere dei suoi abitanti risiede in pochi uomini, sebbene siano scelti da essi e possano cambiarsi annualmente”.
    (Filippo Mazzei)


    FILIPPO MAZZEI,
    un italiano e la nascita degli Stati Uniti d’America.


    “Un mio amico Olandese, qualche mese fa mi scrisse una lettera che si concludeva con un assunto storico semplice ma ineccepibile: non sono stati gli uomini politici a scrivere la storia dell’Europa, né i Re, né gli eserciti ma l’intraprendenza e il coraggio di mercanti Olandesi, Francesi, Inglesi che partivano dai loro paesi con l’obiettivo di fare business – perché di questo si trattava – ma fu proprio pensando al loro personale benessere che finirono per aiutare un intero continente a trovare la propria strada nel solco della libertà e della prosperità. I semi di queste idee rivoluzionarie, attecchirono in maniera naturale e meravigliosa nel Nuovo Mondo: l’America, da sempre la migliore e più salda frontiera della Libertà.
    Tra quei mercanti c’era anche un italiano, un vero Mad in Italy ante litteram la cui storia in patria è – ahinoi – oggi quasi dimenticata, a favore di tanti altri personaggi che una strada e un monumento non se lo meriterebbero di certo. Filippo Mazzei, pratese di Poggio a Caiano, nato tra i colli toscani il giorno di Natale del 1730 fu medico, filosofo e mercante ed ebbe una vita che in gergo cinematografico, definiremmo quanto mai avventurosa! La sua curiosità e il suo spirito di iniziativa, squisitamente toscano, lo porterà prima a Livorno e poi a Costantinopoli e a Smirne, nel 1753 importanti città dell’impero ottomano e a Londra nel 1756 dove commerciò con grande successo vini e prodotti agricoli toscani. Proprio nella capitale inglese Mazzei farà un incontro che gli cambierà per sempre la vita, quello con Benjamin Franklin. Sarà proprio lui a convincerlo a trasferirsi negli Stati Uniti, una terra che aveva attratto il mercante pratese da sempre, affascinato dalle idee di libertà e di autogoverno dei coloni, che si opponevano alla madrepatria sognando una società più giusta, basata sul merito e non sull’aristocrazia, fondata sui valori della libertà, dell’autonomia personale e della responsabilità individuale. In poche parole, la chance di una vita per costruire un mondo incentrato sulla persona e non sullo stato o sulle masse, come stava avvenendo nella (già allora) vecchia Europa.
    Il 2 settembre 1773 Mazzei si imbarca così a Livorno con una decina di contadini lucchesi con l’intenzione di stabilirsi dall’altra parte dell’oceano. In Virginia c’è ad aspettarlo niente di meno che George Washington, Thomas Adams e Thomas Jefferson. Sarà quest’ultimo a trovargli una casa e a convincerlo ad acquistare una fattoria confinante con la sua tenuta di Monticello nei pressi di Charlottesville (città con cui Poggio a Caiano è – non a caso – gemellata tutt’ora). Nacque così la tenuta di Colle (il nome deriva da Colle di Val d’Elsa). Una grande amicizia, quella con Jefferson, che durerà ben 40 anni, durante i quali i due non condivideranno solo il commercio ma anche una visione della vita e della società che influenzerà per sempre il futuro Presidente americano. I suoi editoriali sulla Virginia Gazete che firmava “Il furioso” erano già un piccolo cult nel panorama dell’informazione della neo-nata colonia. Mazzei diventa famosissimo e, in una società dove contano le capacità e non il pedigree, Mazzei è ascoltato e non escluso: fu lo stesso Congresso americano a riconoscere con una risoluzione che la frase “All the men are created equal”, fu inserita nella Dichiarazione su suggerimento di Mazzei.

    Gli anni seguenti Mazzei tornerà in Europa come rappresentante della Virginia. L’ultima volta che mise piede in America correva l’anno 1783. Intanto il Re di Polonia, Stanislao Augusto, suo grande ammiratore gli offre di fare l’ambasciatore a Parigi e Mazzei accetta. Qui il nostro entra subito in rapporti con La Fayette, Condorcet e molti altri rivoluzionari ma prende subito le distanze da loro perché così lontani da quei sinceri valori di libertà che aveva perseguito per tutta la vita. Nel 1792 torna a Pisa, dove si dedica di nuovo allo studio. Nel frattempo Thomas Jefferson, è diventato Presidente degli Stati Uniti e Mazzei fa ancora in tempo ad inviare dalla Toscana sei scultori per abbellire il Campidoglio a Washington. Morirà a Pisa il 19 marzo 1816.

    Ricevuta la notizia della sua morte Thomas Jefferson scriverà ad un amico: “La tua lettera che mi informa della morte di Mazzei mi ha recato molto dispiacere. Mazzei era un personaggio particolare (ma chi fra di noi non lo è?), ma era una persona affidabile, onesta, abile, di ferma drittura morale e politica. Un amico sincero e rispettoso di tutti i suoi impegni. Era molto stimato in questo Paese”.
    (David Mazzerelli, madeintitaly)


    Partecipò alla rivoluzione americana e alla stesura delle mitiche carte dei dipinti, acquistò fama nel mondo è fu mandato dal re di Polonia Stanislao Augusto come suo agente a Parigi, dove partecipò anche alla Rivoluzione francese e conobbe tutti: da Maria Antonietta a Mirabeau, da Condorcet a La Favette, a Marat, a Lavoiser: Nelle sue scintillanti memorie, uno dei testi più curiosi del XVIII secolo, ha raccontato un’avventura intellettuale unica tra due mondi, con la vivacità e la fantasia di un gran figlio del secolo Lumi.
    Apparteneva al genere dei grandi avventurieri ed eroi cosmopoliti senza frontiere del settecento: fù un po’ Casanova e un po’ Cagliostro, ma con assai maggiore profondità, con raro talento diplomatico e politico, con vasti orizzonti intellettuali e con una inesauribile ironia.
    Partecipò da protagonista alle grandi vicende del suo secolo, conobbe gli uomini più rappresentativi, fu «impresario» di cultura e di politica tra Europa ed America ed è stato giudicato l’italiano che più ha fatto conoscere l’ideologia e i costumi dell’America in Europa, qualche decennio prima di Tocqueville. Trascorse gli ultimi decenni della sua vita a Pisa, dove scrisse le sue memorie e dove è sepolto, nella chiesa del cimitero suburbano. Mazzei è una grande figura della nostra storia: paragonabile come senso dell’avventura a Cristoforo Colombo e a Garibaldi, come sete di cultura e di conoscenza a Beccarla, Alfieri e Algarotti.
    Figura non provinciale : cittadino del mondo, cosmopolita d’istinto. Incredibilmente, questo eroe italiano della conoscenza è pochissimo noto in Italia ed è stato più studiato all’estero che da noi. E’ tempo di riparare ad un’ingiustizia verso un personaggio storicamente rilevante ma anche simpaticissimo e affascinante, un Casanova alla corte di George Washington.

    Piuttosto consistente era la corrispondenza negli anni 1795 e 1796 tra Filippo Mazzei e Thomas Jefferson che tuttavia culmina con l’ “incidente” della Mazzei Letter, ovvero con la divulgazione ad un giornale fiorentino del contenuto molto riservato e confidenziale di una lettera inviata da Jefferson in cui venivano espresse considerazioni molto pesanti sulla classe politica americana sospettata dal Jefferson di collusioni con antiche reminescenze aristocratiche tramandate dagli inglesi. Il giornale fiorentino pubblicava tale “scoop” e la notizia delle critiche feroci quanto esplosive del Jefferson facevano il giro del mondo venendo dapprima pubblicate a Parigi e poi, inevitabilmente, sul giornale americano “New York Minerva”. Thomas Jefferson non perdonò mai questa scorrettezza dell’amico anche se non replicò mai direttamente al Mazzei contestandogli lo spiacevole accaduto. Per ironia della sorte, la triste vicenda della Mazzei Letter aiutava invece il nostro illustre personaggio a conservare la memoria storica delle sue gesta politiche e della diffusione dei suoi ideali proprio in America e a contribuire alla sua grande popolarità di cui gode ancora oggi in quel continente.
     
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  4. gheagabry
     
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    "Questo modo di rendere comprensibili per se stessi gesti e segni è veramente da qualsiasi punto di vista più nobile, soprattutto a causa della sua antichità, perché è vero (in parole di Aristotele) che l'uomo è nato muto e sordo e, prima di saper ascoltare e poi parlare, vede molto prima e inventa azioni e gesti"



    La storia dei gesti..



    All'inizio dell’evoluzione umana, i gesti erano l’aspetto fondamentale della comunicazione. I gesti erano necessari alla messa a punto della lingua verbale. Nello sviluppo dell’uomo, da quadrupede a bipede, le mani sono state liberate per interagire con l’ambiente. Da quel momento, le mani sono diventate strumenti, delle estensioni del corpo. Divennero utili strumenti per lo sviluppo di molte cose, in particolare per lo sviluppo del linguaggio. L'uomo primitivo ha cominciato a utilizzare questi strumenti per esprimere se stesso, per chiarire con le mani quello che voleva comunicare ai suoi colleghi uomini.



    ...il gesto della "V"....



    La V nel significato di Vittoria ha una storia breve: è nato infatti in Inghilterra nel luglio del 1941. Ma fino a quel momento, il gesto della V (pur se fatto col palmo della mano rivolto in dentro, verso chi lo esegue), era stato, proprio in Inghilterra, un insulto. Feroce, come quello del medio. Secondo alcuni studiosi l'origine di questo gesto insultante è araba. Sarebbe arrivato in Inghilterra ai tempi dell'Impero Britannico, al seguito dei soldati inglesi che l'avevano imparato nei paesi arabi.
    "All'origine della V fatta con l'indice ed il medio - ecco l' ipotesi di Claudio Ciaravolo - potrebbe essere stato non il gesto arabo, ma il riferimento ad un numero. Un numero romano: in questo tipo di numerazione, "V" significa, com'è noto, "Quinto". V come Enrico V, il re che con la sua lungimiranza (ampiamente riconosciuta dalla storia) condusse alla rovina il regno di Francia, e con esso i francesi tutti. Enrico V riuscì a sconfiggere i francesi grazie al ruolo fondamentale che aveva conferito, nel proprio esercito, agli arcieri. La comparsa di questo gesto in Inghilterra risalirebbe, secondo Ciaravolo, a quasi settecento anni fa: all' epoca della guerra dei Cent'anni (1337-1453) tra Francia ed Inghilterra.
    Il gesto della V insultante avrebbe una data di nascita ben precisa: 24 ottobre 1415, il giorno prima di quello in cui venne combattuta la battaglia di Azincourt tra i cavalieri francesi di Carlo VI e gli arcieri inglesi di Enrico V, e conclusasi con il trionfo degli inglesi. Gli arcieri inglesi erano straordinariamente abili, e ad Azincourt furono l'arma vincente: i famosi cavalieri francesi, che pure erano dieci volte di più, finirono sepolti da nugoli di frecce lanciate con perizia dagli arcieri nemici con i loro archi particolarmente lunghi. E' verosimile - prosegue Ciaravolo - che, da quel momento, mostrare la V ai francesi significasse offenderli: li costringeva infatti a ricordarsi di Enrico V, il Sovrano d'Inghilterra che li aveva umiliati grazie ai suoi formidabili arcieri. Questo gesto, per un processo di generalizzazione, può essere diventato nel tempo un comune gesto offensivo, da usare nei confronti di chiunque, nelle circostanze adatte. Via via si sarebbe perso del tutto il ricordo del riferimento ad Enrico V .

    Claudio Ciaravolo non è il solo a far risalire l'origine del gesto della V alla battaglia di Azincourt.
    Molti credono che, durante la battaglia, agli arcieri inglesi che riuscivano a catturare i francesi tagliassero l'indice e il medio per impedire loro di scoccare in seguito anche una sola freccia.
    Questa però è soltanto una leggenda. Come esperto di leggende, Ciaravolo ha cercato spesso di smentire questa spiegazione dell'origine del gesto della V insultante: una spiegazione suggestiva, ma inverosimile.
    Questo presunto evento cruento non si è mai verificato. E' perciò falso che in risposta a questa pratica efferata gli arcieri inglesi cominciassero a mostrare ai francesi attestati di fronte a loro l'indice ed il medio tenuti in alto, in segno di sfida, a significare: "io le dita ce le ho, e le userò per tirare la freccia che ti ucciderà", e successivamente solo per insultare in senso generico. Questo del taglio delle dita degli arcieri è una leggenda che, secondo Ciaravolo, ha avuto origine da un discorso di Enrico V ai suoi arcieri, questo sì riportato dalle cronache dell'epoca. La sera prima della battaglia di Azincourt, Enrico V, grande motivatore, spaventa i suoi uomini, e racconta loro, per spingerli a combattere fino alla morte, che se verranno fatti prigionieri i francesi taglieranno loro l'indice e il medio.
    "I francesi vi faranno quello che i barbari facevano agli arcieri romani tanto tempo fa!", disse il Re, citando furbescamente un evento a quell'epoca noto ad ogni arciere; evento che, anche se privo di prove storiche, ha buone probabilità di essersi davvero verificato, almeno in qualche caso.

    Sul significato di Vittoria del gesto della V tutti credono che l'abbia inventato Winston Churchill durante la seconda guerra mondiale: invece fu, il 14 gennaio 1941, l'avvocato belga Victor De Lavelaye, alla radio. Per una campagna di comunicazione contro i nazisti, De Lavelaye , in una trasmissione radio della BBC, propose di utilizzare il segno della V nel senso di "V"ictoir -vittoria, o - in olandese, "V"rijeid-libertà. LA BBC realizzò questa campagna nel luglio del 1941. Fu utilizzato anche l'alfabeto Morse (punto.punto.linea-) per rendere "sonora" la V, in molte occasioni: ad esempio, battendo le mani.
    A Winston Churchill la cosa piacque: raccolse perciò anche lui il suggerimento, e fece un uso intensivo della V tutte le volte che appariva in pubblico, utilizzando il gesto che sarebbe diventato il simbolo della vittoria sui nazisti. Così, grazie a lui, le due dita a V hanno assunto universalmente il significato di Vittoria. Il ruolo di Churchill nella diffusione di questo gesto è indubbiamente vero, ma è falso quello che quasi tutti credono: che l'abbia inventato lui.
    Secondo Ciaravolo, Churchill invertì peraltro il verso del palmo della mano, che nella V di Vittoria è rivolto verso l'esterno, mentre nella V insultante è orientato all'interno. Tanto per dare a Churchill quel che è di Churchill ...
    (inmediostatvirtus.it)
     
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  5. gheagabry
     
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    “Sul meridiano del tempo non c'è ingiustizia; c'è soltanto la poesia del movimento, che crea l'illusione della verità e del dramma”
    (Henry Miller)


    Le CAPSULE DEL TEMPO



    Una capsula del tempo è un contenitore appositamente preparato per conservare oggetti o informazioni destinate ad essere ritrovate in un'epoca futura. È un metodo per comunicare in modo unidirezionale con il futuro e non è da non confondersi con la macchina del tempo.Le capsule del tempo sono contenitori studiati per durare nel tempo salvaguardando il contenuto. Possono essere piccoli barattoli oppure intere stanze sigillate. L'atmosfera interna può essere alterata per ridurre il contenuto di ossigeno e limitare l'ossidazione. Il posizionamento deve essere fatto in modo da consentire il ritrovamento in un'epoca prestabilita e all'esterno possono essere apposte indicazioni sulla data di apertura, tenendo conto dei possibili cambiamenti nella lingua usata.
     
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  6. gheagabry
     
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    THE MIRROR

    ....di VIGANELLA



    Regia David Christensen
    Soggetto David Christensen
    Sceneggiatura David Christensen
    Genere Documentario
    Fotografia Patrick McLaughlin
    Montaggio Annalisa Schillaci, Luca Gasparini
    Musica originale autori vari
    Suono Gianluca Costamagna
    Operatore Ezio Gamba
    Organizzatore generale Marco Parvopassu
    Produttore Gregorio Paonessa, Marta Donzelli
    Produzione Vivo Film, Agitprop Films Inc. (Canada) per The Documentary Channel Canada - Fox International Channels Italy.
    con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte e della Regione Piemonte (Piemonte Doc Film Fund - Fondo regionale per il documentario - produzione aprile 2007)
    Distribuzione/Diffusione Vivo film



    In un remoto angolo del Piemonte, nella tranquilla valle Antrona dominata da erte montagne, sorge il piccolo borgo di Viganella. Per raggiungerlo ci si deve avventurare su per una stretta strada ventosa, dove una macchina passa a malapena. Arrivando da valle, Viganella ha l’aspetto di un insediamento moderno, ma dietro le poche case di recente costruzione, si nasconde il cuore del paese completamente in rovina. Un borgo per lo più disabitato, solo un pallido ricordo della florida comunità di contadini e vignaioli di un tempo. Viganella è uno di quei rari luoghi in Europa dove la natura sembra aver reclamato indietro la terra.
    È un paese di vecchi. Gli under 40 si contano sulle dita di una mano, la maggior parte degli abitanti ha più di settant’anni; andando avanti così, nei prossimi 15 anni la popolazione potrebbe scendere da cento a meno di trenta elementi. Le case di pietra abbandonate alle spalle della piazza centrale sembrano voler lanciare un monito: il borgo sta morendo e presto sarà in rovine.
    Il sindaco di Viganella, Pierfranco Midali (Franco), lo sa. A quarant’anni suonati è appunto uno dei più giovani abitanti del paesino e non vuole affatto vederlo scomparire. Per questo prova a realizzare il suo folle sogno: far rinascere la comunità costruendo un enorme specchio sulla montagna dietro al villaggio, in modo che la piazza, il cuore di Viganella, riceva la sua luce riflessa.
    La storia ha tutti gli elementi della fiaba. Da novembre a febbraio, infatti, Viganella è sempre all’ombra. Le montagne a sud schermano il fioco sole invernale e per tre mesi nessun angolo del paese riceve un solo raggio di sole. È sempre stato così, sin da quando mille anni fa furono costruiti i primi insediamenti per via della presenza delle sorgenti d’acqua: gli abitanti di questo fazzoletto di terra hanno sempre saputo che i loro lunghi inverni sarebbero trascorsi all’ombra.
    D’inverno, l’unico momento in cui la gente si sofferma un po’ più a lungo fuori casa, è la domenica mattina subito dopo la messa. Ma dura poco, il freddo e la mancanza di luce fanno tornare tutti a casa. Franco è sicuro che lo specchio potrebbe cambiare tutto. Permetterebbe alle persone di trattenersi a chiacchierare, come d’estate; li indurrebbe a uscire durante la settimana, a mezzogiorno, per parlare alla luce del sole. Potrebbe persino indurre qualcuno a metter su un bar. Sarebbe anche un’attrazione per i turisti, che oltre alle bellezze della valle, troverebbero qualcosa di unico e a impatto ambientale ridotto. “Il nostro sogno è far sì che qui ci sia il sole tutto l’anno”.
    Lo specchio è un film sul sogno di illuminare un posto sperduto e lontano da tutto, e su come quest’idea straordinaria penetri le vite delle persone che popolano il villaggio e la valle circostante.
    Abbiamo seguito Franco per un anno, mentre cerca di realizzare il suo incredibile progetto. Riuscirà lo specchio a raccoglier la comunità, a farla rinascere, ad aiutarla a sopravvivere? Oppure sarà soltanto una curiosità per i turisti, pronta con la sua luce debole e inefficace a illuminare gli ultimi giorni del villaggio e a finire nel dimenticatoio?
    A far da sfondo a questa storia, c’è il ritratto della gente di Viganella e della valle Antrona; persone che non hanno paura di pensare in grande, che siano intente a costruire uno specchio gigante, a far risorgere un paese in rovina, o a rifarsi una vita lontano dalla frenesia del XXI secolo, come nel caso delle comunità tedesche e svizzere che popolano i borghi di Bordo e Cheggio – ancor più in alto di Viganella, dove le macchine non arrivano, ma la luce del sole c’è tutto l’anno…
    Ma in uno specchio, si sa, ognuno può vedere ciò che vuole. Alcuni credono sia un modo per riunire una piccola comunità. Altri, come Franco, vi leggono una strada per attrarre turisti; altri ancora, lo considerano semplicemente come un modo per evitare di guardare in faccia i veri problemi della valle. O invece, c’è chi osserva divertito e benevolo la costruzione di qualcosa che potrebbe non cambiare nulla. Speranze, desideri, paure e frustrazioni che nascono nella piccola valle Antrona si intrecciano in questa storia straordinaria e un po’ folle.
    Commovente, bizzarro, Lo specchio parla della luce e del buio e di ciò che c’è tra i due estremi – un documentario su persone fuori dall’ordinario, e sui loro straordinari sogni di luce.


    "Speranze, desideri, paure e frustrazioni che nascono nella piccola valle Antrona si intrecciano in questa storia straordinaria e un po’ folle – dice la presentazione ufficiale – . Commovente e bizzarro, Lo specchio parla della luce e del buio e di ciò che c’è tra i due estremi – un documentario su persone fuori dall’ordinario, e sui loro straordinari sogni di luce”.

    “Quello che conta è restituire con fedeltà la vita delle persone – sostiene il regista - allora fare un film vuol dire seguire il proprio istinto, correndo il rischio di girare, anche se non sai come andrà a finire. È quello che abbiamo fatto. Questo modo di fare cinema richiede uno slancio fideistico. Richiede che il regista entri nella situazione senza sapere cosa accadrà, ma con la convinzione che qualcosa di incredibilmente speciale e commovente emergerà dalle storie di queste persone che stanno cercando di portare la luce nel loro piccolo paese. La trama del film segue più di un filo narrativo, perché tante sono le storie vissute, giorno dopo giorno, dagli abitanti di Viganella e della Valle Antrona, tutte si intrecciano con la storia dello specchio… Spero di essere riuscito a rivelare l’umanità, la compassione, lo humour di questa piccola, unica valle”. (DAVID CHRISTENSEN)
     
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  7. gheagabry
     
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    Storie per riflettere............

    La storia di una FOTO





    Nel giugno del 1972 i soldati statunitensi avevano cominciato da tempo il graduale ritiro dal Vietnam meridionale, ma i combattimenti con le forze del nord comunista erano molto intensi in diverse zone. L’8 giugno, in un paesino di nome Trang Bang vicino al confine con la Cambogia (una quarantina di chilometri a nordovest di Saigon), un gruppo di cacciabombardieri Douglas A-1 Skyraider dell’aviazione sudvietnamita attaccò con le bombe al napalm in un’area che era stata attaccata da due divisioni nordvietnamite e intorno a cui si combatteva da diversi giorni.
    Kim Phúc, una bambina di 9 anni che viveva a Trang Bang con la sua famiglia, si riparava da tre giorni nel tempio Cao Dai (una religione monoteista diffusa in Vietnam e fondata negli anni Venti del Novecento) quando le bombe al napalm cominciarono a cadere sulla costruzione. Per errore, i cacciabombardieri stavano sganciando le bombe incendiarie sulle posizioni dei soldati sudvietnamiti che cercavano di resistere all’attacco e su diverse costruzioni in cui si erano rifugiati i civili, tra cui il tempio. Il napalm è una sostanza acida altamente infiammabile, che venne sganciato a tonnellate nelle operazioni militari in Vietnam.
    Il suo braccio sinistro prese immediatamente fuoco, mentre il suo vestito si distrusse in pochi secondi. Insieme ai suoi fratelli e ai suoi cugini scappò dal tempio e cominciò a correre – gridando “Scotta! Scotta!” – lungo la Route 1, unendosi a soldati sudvietnamiti e ad altri abitanti del villaggio che andavano verso le posizioni controllate dall’esercito sudvietnamita.
    Il fotografo dell’Associated Press Huynh Cong “Nick” Ut scattò l’immagine dei bambini che correvano lungo la Route 1, vicino a soldati sudvietnamiti della 25esima divisione. Poco dopo, la bambina perse conoscenza. Ut, che allora aveva 21 anni e che aveva perso un fratello, anche lui fotografo, mentre questi era in servizio per l’Associated Press nel delta del Mekong meridionale, trasportò la bambina in auto a un piccolo ospedale. Inizialmente i medici non volevano curare la bambina, dicendo che le sue ferite erano troppo gravi, ma Ut mostrò il suo tesserino della stampa americana e lasciò l’ospedale con l’assicurazione che sarebbe stato fatto il possibile. Ut, molto scosso dall’accaduto, tornò a Saigon, sviluppò la pellicola nel suo studio e la girò ai suoi superiori dell’Associated Press.



    Chi prese la decisione di diffondere la foto – contrariamente agli stretti regolamenti dell’AP che vietavano di diffondere foto di nudi, a maggior ragione di una bambina nuda – fu Horst Faas, capo dei fotografi dell’Associated Press nel Sudest asiatico, premio Pulitzer nel 1965 per le sue foto dal Vietnam e poi in quello stesso anno, nel 1972, per un reportage in Bangladesh. Faas, che visse a Saigon fino al 1974 e che è morto lo scorso 11 maggio a 79 anni, decise anche la diffusione di un’altra delle immagini più famose della guerra in Vietnam: quella che mostra il generale della polizia di Saigon, Nguyen Ngoc Loan, sparare alla testa di un prigioniero vietcong.
    La foto venne pubblicata nei giorni successivi in molti dei principali quotidiani statunitensi – in prima pagina sul New York Times del 9 giugno, con il bordo destro tagliato, in cui c’era un fotografo – e fece molta impressione nell’opinione pubblica. I giornali raccontarono anche il seguito della sua storia e come Kim Phúc sopravvisse all’attacco (qui un trafiletto di tre giorni dopo, sul New York Times) tanto che negli anni successivi si arrivò a dire, esagerando, che potesse aver contribuito a far finire la guerra. L’immagine – con cui Ut vinse un premio Pulitzer nel 1973 – fa parte di una serie di altre sei fotografie pubblicate da Associated Press e scattate quello stesso giorno da Ut.
    Nell’immagine più celebre, oltre a Kim Phúc, compaiono a sinistra Phan Thanh Tam, fratello minore di Kim Phúc, che perse un occhio nell’attacco, il fratello più piccolo dei due Phan Thanh Phouc, e a destra della bambina i suoi due cugini Ho Van Bon e Ho Thi Ting.



    Quello che successe dopo alla bambina ritratta nella foto è stato raccontato in un pezzo di AP pubblicato pochi giorni fa, in occasione dell’anniversario della foto. Un altro giornalista, Christopher Wain, corrispondente dell’ITN che era stato tra i soccorritori della bambina ai margini della Route 1, rintracciò Kim Phúc e insistette perché venisse trasferita in un ospedale gestito dagli americani, l’unico posto a Saigon dove le sue gravi ferite potevano essere trattate.
    Il trenta per cento del suo corpo aveva subito ustioni di terzo grado, che le hanno lasciato grandi cicatrici su tutta la schiena e sul braccio. Phúc venne dimessa dall’ospedale 13 mesi dopo l’attacco e tornò nel suo piccolo villaggio, diventando una celebrità tra i suoi abitanti – che avevano saputo della pubblicazione della foto – ma rimanendo quasi del tutto sconosciuta per il resto del mondo, eccetto qualche visita dei giornalisti e dei fotografi che l’avevano aiutata. Alla fine di aprile del 1975 la guerra del Vietnam finì e con essa le visite, dato che tutto il Vietnam meridionale venne occupato dalle forze del nord comunista.
    Phúc iniziò a studiare medicina, con il progetto di diventare un medico, ma i leader del Vietnam del Nord scoprirono che la protagonista della foto nel frattempo diventata uno dei simboli della guerra era ancora nel paese: per diversi anni, costretta ad abbandonare la scuola, la ragazza fece da guida turistica e da simbolo vivente in tour guidati per i giornalisti stranieri, sotto lo stretto controllo dei responsabili della propaganda del regime nordvietnamita.
    Nel 1982, Phúc poté andare in Germania Ovest per essere curata, grazie all’interessamento di un giornalista straniero. Anche il primo ministro vietnamita Phạm Văn Đồng si interessò alla sua storia, conobbe personalmente la ragazza e permise che Phúc andasse a studiare a Cuba. Qui Phúc conobbe un giovane ragazzo vietnamita: si sposarono nel 1992. Dopo il viaggio di nozze a Mosca, decisero di abbandonare i paesi comunisti e scapparono in Canada, durante una sosta per il rifornimento del carburante dell’aereo che li riportava a Cuba.
    A metà degli anni Novanta i mezzi di comunicazione occidentali la riscoprirono e ricominciarono a occuparsi di lei. Kim Phúc ha acconsentito a parlare della sua storia, su cui è stato fatto un documentario ed è stato scritto un libro uscito nel 1999, tenendo diversi incontri e conferenze insieme a Nick Ut, con cui ha sempre cercato di restare in contatto dal 1972 e che la chiama affettuosamente “mia figlia” nonostante tra loro ci siano solo 12 anni di differenza. Oggi Kim Phúc vive nella città di Ajax, nei pressi di Toronto, con suo marito e i suoi due figli. È una cittadina canadese e ha fondato nel 1997 una fondazione che aiuta i bambini feriti in guerra.

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    Edited by gheagabry - 31/1/2014, 21:49
     
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    Nel deserto egiziano scoperto un aereo della RAF in ottime condizioni. Si era perso dopo essere stato danneggiato durante la battaglia di El Alamein 70 anni fa che decretò la sconfitta di italiani e tedeschi in Nordafrica durante la II Guerra Mondiale

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    Jakub Perka, BNPS

    È considerato "l'equivalente per l'aviazione della tomba di Tutankhamon per l'archeologia" l'aereo della Seconda Guerra Mondiale scoperto di recente in Egitto.
    L'aeroplano porta i segni dei 70 anni di permanenza nel deserto del Sahara, ma è in perfette condizioni come fosse stato catapultato dal passato con una macchina del tempo.
    "Non ho mai visto nulla del genere", dice Ian Thirsk, capo collezioni del museo della Royal Air Force (RAF) a Londra.
    Il Curtiss P-40 Kittyhawk è "l'esemplare di aereo della II Guerra Mondiale meglio conservato che io abbia visto da molti, molti anni"
    Si ritiene che alla guida del cacciabombardiere ci fosse il pilota Dennis Copping, ma non ci sono tracce del suo corpo nelle vicinanze del luogo dove è precipitato l'aereo.

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    L'elica del P-40 Kittyhawk ritrovato nella regione di Wadi al-Jadid, nell'Egitto meridionale, è stata deformata dall'impatto al suolo quando l'aereo è precipitato nel 1942.

    Le foto scattate da Jakub Perka, operaio di una compagnia petrolifera, dimostrano che il cacciabombardiere di costruzione americana è rimasto in larga parte intatto.

    Probabilmente il pilota si stava recando in una base della RAF nel deserto per riparare l'aereo danneggiato ma è precipitato perché ha finito il carburante, dopo aver perso l'orientamento, sostiene Thirsk.

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    Gli strumenti della cabina di pilotaggio del cacciabombardiere della RAF sono rimasti in gran parte intatti.

    "L'aereo è pressoché completo", dice Thirsk, direttore del museo della RAF di Londra. "È come se fosse arrivato con una macchina del tempo". Thirsk spera che il Kittyhawk possa essere esposto nel suo museo: sono già stati avviati i contatti con il Ministero della Difesa britannico.


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    I buchi provocati da proiettili nella fusoliera potrebbero essere la causa della caduta dell'aereo 70 anni fa? Forse, ma sembrano essere stati realizzati più di recente e probabilmente sono stati causati da predoni del deserto o altri uomini armati. "È come se qualcuno si fosse esercitato a sparare", suppone Thirsk.


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    Anche se fossero stati pieni, i serbatoi dell'aereo (nella foto la targa del produttore sul serbatoio principale che indica la capacità di 52 galloni imperiali inglesi, circa 236 litri) non sarebbero stati sufficienti per salvare il pilota 24enne, che si stava allontanando nel 1942 dalla linea del fuoco per poter riparare l'aereo danneggiato.


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    Il motore V-12 dell'aereo sembra in ordine e pronto a funzionare nonostante sia stato esposto al caldo e alla sabbia del deserto per 70 anni.

    "L'aeroplano era attrezzato e protetto per combattere nel deserto", ricorda Thirsk.


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    Le munizioni - come i proiettili nella foto - e le mitragliatrici poste nell'ala sono state trovate intatte. Anzi sono probabilmente ancora funzionanti dopo 70 anni visto che i militari egiziani le hanno rimosse per motivi di sicurezza.

    All'epoca svolgevano una funzione fondamentale come supporto delle truppe britanniche di terra.


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    Dopo aver rimosso la radio (nella foto) e le batterie, sembra che il pilota sia rimasto accanto all'aereo, almeno in un primo momento. Ma così disperso nel deserto, non aveva possibilità di sopravvivenza.


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    L'azione della sabbia del deserto ha eliminato le decorazioni di cui questi aerei erano generalmente ricoperti durante la II Guerra Mondiale. In compenso il clima secco e arido del deserto ha consentito di conservare la struttura metallica dell'aereo.

    L'aereo scoperto in Egitto "è l'ultimo Kittyhawk sopravvissuto della RAF", dice Thirsk. "Per questo è una scoperta importante dal punto di vista storico".


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    Si ritiene che il pilota sia sopravvissuto all'impatto e che abbia poi usato il paracadute (nella foto) per proteggersi prima di tentare una disperata marcia nel deserto alla ricerca di aiuto.




    national geographic
     
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    LA STORIA DEL FUOCO



    Il fuoco riveste nella storia dell'uomo un ruolo che ha segnato la nostra evoluzione in misura almeno pari alla postura eretta conquistata dai nostri antenati. La possibilità di controllarlo prima e di riprodurlo poi ha infatti reso possibili alcuni cambiamenti fondamentali nell'uomo e nel suo rapportarsi con i propri simili e con l'ambiente che lo circonda. La capacità di cuocere il cibo consentì ai nostri antenati di poter conservare più a lungo ciò che cacciavano e allo stesso tempo di avere a disposizione alimenti più sani e decisamente più morbidi. Quest'ultimo fattore, a prima vista meno importante, assume al contrario un peso notevole se si considera che l'effettiva inutilità di una dentatura robusta e un'ossatura mandibolare e mascellare adatta a sostenerla, ha consentito uno sviluppo differente dell'apparato scheletrico del cranio, con eventuali ricadute sullo sviluppo cerebrale. Con il controllo del fuoco, l'uomo non è più totalmente alla mercé degli elementi naturali. Può affrontare la notte con maggiore sicurezza, avendo a disposizione una fonte di luce trasportabile e costante. Può combattere gli animali feroci, generalmente intimoriti dal fuoco e da chi lo controlla. Egli diventa un modificatore della natura e non più soltanto un suo fruitore se non addirittura succube in balia dei suoi capricci. Da animale tra altri animali, l'uomo col fuoco assurge a una condizione di privilegio. La necessità, soprattutto nei primi tempi, di mantenere sempre accesso un focolare per l'incapacità di riprodurre il fuoco, introdusse nella struttura sociale preistorica umana, una nuova casta tra quelle già esistenti dei raccoglitori e cacciatori. Gli individui destinati a occuparsi del fuoco, vista la sua importanza, assunsero ben presto una posizione di preminenza all'interno dei singoli gruppi. Tale preminenza poteva essere sia politica sia religiosa. Politica perché i controllori del fuoco avevano potere diretto sui loro simili non adibiti a quel lavoro, ne potevano controllare la sopravvivenza garantendo accesso al focolare o la morte tramite ostracismo o esilio da esso. Religiosa perché il fuoco, fin dal principio espressione di uno tra i più potenti spiriti della Natura, garantiva a coloro che ne custodivano i segreti un rapporto preferenziale con detto spirito e, in un secondo momento, col mondo soprannaturale e divino.
    L'ambivalenza del fuoco, positiva e negativa, nelle sue forme meno complesse è evidente. Non si è lontani dal vero nell'affermare che l'utilizzo del fuoco come arma è antico almeno quanto la sua scoperta. Se poteva essere utilizzato contro gli animali esso dovette sicuramente essere impiegato con successo anche negli scontri tra uomini. Di particolare efficacia contro le costruzioni lignee che sono state alla base dell'architettura cittadina popolare fino all'avvento della pietra e del cemento come materiali da costruzione a buon mercato, il fuoco ha sempre avuto meno importanza nei combattimenti in campo aperto, anche se per l'intero Medio Evo i Bizantini ne hanno fatto un cardine delle loro battaglie navali e nelle controffensive durante gli assedi arabo-turchi di Costantinopoli. (Gianluca Turconi,letturefantastiche)

    ....il fuoco greco....


    Il «fuoco greco» da un codice bizantino dell'VIII secolo conservato presso la Biblioteca Nazionale di Madrid. Forse è la più antica raffigurazione della micidiale arma, che assicurò per lungo tempo ai Bizantini un'indiscussa superiorità militare per terra e per mare e che permise loro persino di frenare e respingere la travolgente avanzata degli Arabi. Invenzione tra le più rivoluzionarie in campo bellico di tutto il Medioevo, era costituito da un miscuglio di prodotti infiammabili, quali resina e nafta, cui venivano aggiunte secondo una formula tenuta a lungo segreta altre sostanze come lo zolfo e il salnitro, che dovevano in seguito entrare a far parte della polvere da sparo. Entrato nell'uso sin dal VII secolo, il «fuoco greco» suscitò un'immensa impressione in quanto non si spegneva a contatto con l'acqua e passava con estrema rapidità da un luogo all'altro dopo essere stato scagliato per mezzo di botticelle infilate su una lancia o di cavalli spinti contro lo schieramento avversario oppure addirittura con dei «sifoni» o grossi tubi - veri e propri antenati dei nostri lanciafiamme - fissati sulla prua delle navi, dai quali l'impasto incendiario veniva schizzato lontano mediante un forte getto d'acqua.

    ...miti e leggende ...


    La conquista del fuoco è un tema che ha dato origine a miti e leggende in molti paesi.
    Nella Grecia antica circolava ovunque la storia secondo la quale il grande dio del cielo, Zeus, nascose il fuoco agli uomini, ma che l’ingegnoso eroe Prometeo, figlio del Titano Giapeto, rubò il fuoco alla divinità del cielo e lo recò a terra agli uomini nascosto in un gambo di finocchio. Per questo furto Zeus punì Prometeo inchiodandolo o incatenandolo ad una rupe del Caucaso, e inviando un avvoltoio a divorare ogni giorno e per l’eternità il fegato o il cuore dell’eroe; di notte, infatti, l’organo riacquistava tutto ciò che aveva perso durante il giorno. Prometeo sopportò questa tortura per trenta o tremila anni, finché non venne liberato da Ercole.

    Nella mitologia vedica (India) si dice che il fuoco sia stato portato sulla terra dal cielo per opera di Matarisvan, personaggio che corrisponde in qualche modo al greco Prometeo. Egli era il messaggero di Vivasant, il primo uomo che offrì un sacrificio, e portò il fuoco perché venisse usato durante i sacrifici, perché, secondo l’opinione degli autori dei Veda, la funzione principale del fuoco non è quella di scaldare l’uomo e di cuocerne il cibo, ma di consumare i sacrifici offerti agli dei.
    C’è una storia cinese secondo la quale “un grande saggio andò a passeggiare al di là del confine del sole e della luna; vide un albero, e su quest’albero c’era un uccello che a colpi di becco faceva scaturire il fuoco. Il saggio fu colpito dal fuoco, prese un ramo dell’albero e produsse il fuoco con esso; da allora questo grande personaggio fu chiamato Suy-jin”. Ora, sappiamo che in cinese il termine suy indica uno strumento per ottenere il fuoco, e che muhsay indica un utensile per accedere il fuoco con il legno mediante la frizione rotatoria; Suy-jin-she è invece il nome della prima persona che produsse il fuoco a vantaggio degli uomini. Da questo quadro appare chiaro che la scoperta del metodo per accendere il fuoco mediante la frizione del legno è attribuita dalla cultura popolare cinese ad un saggio che vide un uccello produrre il fuoco colpendo un albero con il suo becco.

    .... i vigili del fuoco ....



    La storia dei Vigili del Fuoco è una storia antica perché antico è l'uomo, antico è il fuoco, antiche sono le calamità naturali; ed è evidente che il bisogno di difesa contro la minaccia degli elementi avversi è nato con l'uomo ed è stata questa difesa una delle prime manifestazioni della società umana sin dalle origini della sua primordiale organizzazione.
    Fu Augusto con due riforme, una del 26 e l'altra del 6 avanti Cristo che diede a Roma una vera e propria difesa contro il fuoco, con criteri organizzativi e funzionali di notevole interesse tecnico. Con queste due riforme Roma ebbe, infatti, un Corpo speciale di guardie notturne sotto il comando di un 'Prefectus Vigilum'. Tale Corpo, denominato Militia Vigilum Regime, era organizzato in sette Coorti di 'Vigiles' e 49 Centurie (sette per ogni coorte) per un totale di circa 7.000 uomini; ogni coorte assicurava il servizio nel territorio di due regioni (Augusto aveva diviso Roma in 14 regioni) collocando una caserma (statio) in una di esse, ed un distaccamento (excubitorium) nell'altra. In Trastevere, nei pressi del ponte Garibaldi, esiste ancora oggi un'antichissima costruzione della fine del II secolo d.C., distinta da un'iscrizione corrosa dai secoli. L'iscrizione indica che quell'edificio, nell'epoca romana dell'Impero, era adibito ad excubitorium della VII coorte dei 'Vigiles', preposta al controllo della XIV regione Transtiberim.
    Nel corso di quella revisione storica che in varie epoche è stata rivolta alla riabilitazione di Nerone, si è andata affermando la tesi, secondo la quale l'Imperatore incendiario avrebbe provocato il grande rogo per ragioni di bonifica, che potrebbe chiamarsi urbanistica. A favore di Nerone stanno comunque le disposizioni da lui stesso emanate dopo il famoso incendio del 64: divieto di costruire case più alte di 17 metri con pareti comuni; efficienza delle bocche d'acqua; costruzione di pubblici depositi di mezzi di estinzione. Ci troviamo così di fronte ad una vera e propria regolamentazione di prevenzione antincendio, antica di duemila anni ma tuttavia ancora attuale nella sua sostanziale efficacia. (vigilidelfuocoitalia.com)



    In antico non c´era sulla terra il fuoco. Allora un uomo salì al cielo per cercarlo. Giunto al primo cielo s´imbattè in una quantità di esseri che avevano solo una metà della persona umana. Si mise a ridere, e quando gli chiesero perché ridesse, rispose che al suo paese non esistevano esseri con una forma così strana. Salì ancora e nel secondo cielo trovò gente che camminava con la testa. Anche qui rise a crepapelle. Continuò la salita ed arrivò al terzo cielo. Qui trovò gente che camminava con le ginocchia e non potè trattenere un´altra risata. Domandò informazioni sul fuoco e gli risposero di andare a chiederlo a Mulungu che abitava ancora più in alto. Finalmente nel quarto cielo si trovò davanti alla casa di Mulungu. Una magnifica vista s´apriva davanti agli sguardi del nostro viaggiatore. Riposatosi un poco, si presentò a Mulungu e gli espose il motivo del suo viaggio; desiderava in terra il fuoco perché nel suo villaggio tutti avevano freddo e non sapevano come riscaldarsi. Mulungu gli indicò una stanza dove passare la notte; l´indomani avrebbe avuto il fuoco. La mattina seguente Mulungu lo chiamò e gli fece vedere alcuni splendidi vasi chiusi con un bellissimo coperchio; in disparte, in un angolo della stanza, ve n´erano altri ma di qualità molto scadente. Mulungu invitò l´uomo a scegliere il vaso che gli piacesse di più: se dentro avesse trovato il fuoco, questo sarebbe stato il suo. Detto questo se ne andò. L´uomo riflettè a lungo, incerto sulla scelta da fare. Finalmente scelse il vaso che gli parve più bello di tutti e con quello si presentò a Mulungu. Invitato ad aprirlo, vi trovò un po´ di cenere e alcuni carboni spenti. -E il fuoco dov´è? – Chiese – deluso.
    -Non lo hai meritato! – Replicò Mulungu -. Perché lungo il viaggio hai deriso i miei figli? Nel tuo paese sono tutti perfetti senza ombra di difetto? Allora torna a casa tua.
    In seguito un altro uomo tentò l´impresa, e poi un terzo, ma tornarono a mani vuote.
    Allora una donna decise di tentare l´impresa e partì. Sul primo cielo i mezzi uomini vennero a salutarla e lei cantò per loro che, contenti, danzarono per un pezzo. Quando furono stanchi le indicarono la strada per continuare il viaggio. Arrivò al secondo e al terzo cielo e cantò ogni volta per gli abitanti del luogo. Quando le chiesero se al suo paese vi fossero persone con forma strana come la loro, rispose che ve n´erano e che alcuni camminavano con le mani ed altri erano ciechi.
    Finalmente arrivò alla casa di Mulungu. Anche a lei indicò una stanza per riposare e il giorno seguente le mostrò i vasi già mostrati agli uomini giunti prima di lei, e la invitò a sceglierne uno...
    ella si schermì avendo scrupolo di toccare oggetti così belli e preziosi. Alla fine osservò i vasi più brutti e scelse uno di quelli. Quando lo aprì, il fuoco tanto desiderato brillò davanti ai suoi occhi.
    Mulungu la complimentò per il suo comportamento lungo il viaggio e le regalò un bue. La donna si trattenne nella casa di Mulungu un paio di giorni banchettando con la carne del bue. Poi fu congedata e tornò sulla terra col fuoco prezioso. Fu accolta con gran festa. Venne gente da tutte le parti a prendere un po´ del fuoco caldo e luminoso. Gli uomini furono d´accordo nel lodarla perché era riuscita nell´impresa che gli uomini avevano tentato invano di compiere. Alla fine dichiararono che le donne hanno più giudizio degli uomini!
    (Tratto da: "Favole dall´Africa di Lino Ballarin"
    R.Petazzoni, Miti e leggende, I Torino 1948)


    Ciò che colpisce in questo racconto dei Gogo è che sia una donna a conquistare il prezioso elemento. I Gogo sono una popolazione bantu della zona occidentale del Kenya nell´Africa orientale. Credono nell´essere supremo che chiamano Mulungu; però nelle necessità della vita invocano gli spiriti degli antenati come mediatori presso di lui. Sanno tuttavia che ogni bene, e anche il fuoco, è un suo dono.
     
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    12.12.12




    Il 12 dicembre 1912, il New York Times dedicò un breve articolo alla data particolare del giorno (12/12/12). Il trafiletto si intitola appunto 12-12-12, con il sottotitolo “È oggi e ci vorrà parecchio prima di un’altra data strana”.

    "Per coloro che si dilettano in questo genere di svaghi, oggi è un giorno da celebrare scrivendo un bel po’ di lettere e datandole, tutte e ciascuna, 12-12-12. La sequenza dei dodici è veramente un’offerta che vale un giorno solo e non ritorna. Quelli che oggi rimandano il momento di scrivere, non ne avranno mai più l’occasione finché vivono! La prossima volta che una persona prenderà in mano la penna per mettere le cifre 12-12-12 al posto della data, sarà passato un intero secolo, e la Terra sarà popolata da una generazione quasi interamente nuova. Lo scorso anno ci fu l’11-11-11, ma purtroppo non ci sarà mai un 13-13-13, a meno che non cambi parecchio il calendario."




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  12. gheagabry
     
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    I “disegni” che cambiarono il mondo


    Stele di Rosetta (196 a.C.)

    Da quando è stato in grado di usare strumenti, l’uomo si è sempre aiutato con rappresentazioni grafiche per spiegare le cose che lo circondavano. Abbiamo usato segni e disegni per mappare la Terra, per cercare di dare un ordine all’idea di quel che c’è nell’aldilà, per organizzare concettualmente il mondo naturale, per rendere leggibile la musica, per ricostruire come è fatto il corpo umano e anche per rendere più concretamente comprensibili concetti astratti come la coscienza.


    Sistema tolemaico (Claudio Tolomeo, 140 circa)
    Il sistema tolemaico geocentrico in un’illustrazione del 1568 del cartografo portoghese Bartolomeu Velbo


    È questo il tema di 100 Diagrams That Changed the World, del giornalista Scott Christianson. Il libro racconta l’evoluzione degli schemi e dei disegni come strumento per la comprensione del mondo, dalla stele di Rosetta (la lastra di pietra con inscrizioni in geroglifico, demotico e greco) all’uomo vitruviano di Leonardo, passando per il primo microprocessore interamente contenuto in un solo circuito integrato messo in commercio e per il primo abbozzo che spiegava ciò che sarebbe stata Internet.
    Il sito Brainpicking ha messo insieme una selezione delle immagini di cui si parla nel libro.


    Planisfero tolemaico

    Un esempio di planisfero tolemaico in un’illustrazione del quindicesimo secolo


    Eclissi lunare (Abu Rayhan al-Biruni, 1019)

    Un’illustrazione che mostra le diverse fasi lunari tratta dalla copia manoscritta del Kitab al Tafhim (Libro delle istruzioni e dei principi dell’arte dell’astrologia) di Abu Rayhan al-Biruni



    L’aldilà secondo Dante (Dante Alighieri, 1308-21)
    Sandro_Botticelli - Inferno


    Uomo vitruviano (Leonardo da Vinci, circa 1487)

    La testa, dalla fronte al mento, misura esattamente un decimo dell’altezza totale, e la larghezza delle braccia tese verso l’esterno è uguale all’altezza della persona.



    Corpo umano (Andrea Vesalio, 1543)

    Il rivoluzionario trattato anatomico di Vesalio, De Humani Corporis Fabrica, mostra un corpo dissezionato in inusuali pose animate. Le illustrazioni del libro sono tra le più famose illustrazioni della storia della medicina



    Universo eliocentrico (Niccolò Copernico, 1543)

    L’idea dell’universo di Copernico posizione il sole e non più la Terra al centro dell’universo, contraddicendo le convizioni del quattordicesimo secolo




    Vaso sanitario a scarico (John Harington, 1596)

    Il testo che accompagna il disegno identifica la lettera A come “cisterna”, la D come il “bordo di seduta”, la H come “sgabello” e la L come “paratoia”.




    La luna (Galileo Galilei, 1610)

    Con l’aiuto del telescopio Galileo fu in grado di produrre disegni della luna rivoluzionari. Fino alla pubblicazione del suo lavoro si credeva che la luna fosse tonda e perfettamente liscia.




    Cerchio cromatico (Moses Harris, 1766)

    Quello di Moses Harris è stato il primo cerchio cromatico.




    A New Chart of History (Joseph Priestley, 1769)

    Nella mappa storica di Priestley la composizione orizzontale enfatizza lo scorrere del tempo, e la linea temporale molto colorata aiuta a imparare i fatti di 78 regni, sintetizzandoli in una sola carta




    Emoticon (Puck Magazine, 1881)

    Le emoticon esistono dal 1881, quando furono pubblicate (con spiegazione) sul numero del 30 marzo di Puck Magazine come esempi di arte tipografica




    Cubismo e Arte Astratta (Alfred Barr, 1936)

    Il diagramma di Barr mostra il ruolo che il cubismo ebbe nello sviluppo del modernismo.



    Intel 4004 CPU (Ted Hoff, Stanley Mazor, Masatoshi Shima, Federico Faggin, Philip Tai, e Wayne Pickette, 1971)

    L’Intel 4004 è il primo microprocessore monolitico (cioè interamente contenuto in un solo circuito integrato) della storia ad essere commercializzato.


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    Edited by gheagabry - 31/1/2014, 22:26
     
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    scatto di Bruno De Faveri
    23 Agosto 2011 ore 20:32, JUZAPHOTO


    “Bello era il mondo a considerarlo così: senza indagine, così semplicemente, in una disposizione di spirito infantile. Belli la luna e gli astri, belli il ruscello e le sue sponde, il bosco e la roccia, la capra e il magiolino, fiori e farfalle. Bello e piacevole andar così per il mondo e sentirsi così bambino, così risvegliato, così aperto all’immediatezza delle cose, così fiducioso.
    Diverso era ora l’ardore del sole sulla pelle, diversamente fredda l’acqua dei ruscelli e dei pozzi, altro le zucche e le banane. Brevi erano i giorni, brevi le notti, ogni ora volava via rapida come vela sul mare, e sotto la vela una barca carica di tesori, piena di gioia.”

    (Hermann Hesse, Siddharta)

     
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    “WARKA WATER, l’albero della vita”



    In Etiopia, donne e bambini devono percorrere quotidianamente molti chilometri per raccogliere un po’ d’acqua, molte delle volte nemmeno pulita o potabile. È un architetto italiano, Arturo Vittori, l’alchimista del nuovo millennio: ha progettato il Warka Water, una struttura in grado di produrre fino a 90 litri d’acqua al giorno.La struttura è alta circa dieci metri, pesa appena 60 chili ed è in grado di raccogliere la rugiada che si forma di notte, producendo fino a 90 litri di acqua al giorno.



    Il progetto presenta numerosi aspetti positivi: si basa su un semplice principio naturale (la condensazione dell’aria che produce acqua, possibile sfruttando l’escursione termica giorno/notte, in Africa molto accentuata); costa poco assemblarlo (circa 500 dollari); è facile da assemblare (quattro uomini lo montano in circa 10 giorni); è costruito con materiali ecologici e facilmente reperibili (giunchi e nylon). Allo stesso tempo, però, questa alta accessibilità costituisce un ostacolo, dal momento che non sembrano esserci possibilità di lucro: questo scoraggia possibili investitori (servono circa 150.000 dollari per trasformare il progetto da prototipo a progetto vero). La soluzione è stata affidarsi alla rete, tramite il crowdfunding.



    Se il progetto andasse in porto, sarebbe una vera rivoluzione, che potrebbe davvero rendere migliore la vita delle popolazioni locali: permetterebbe alle donne di dedicarsi ad altre attività (mentre attualmente passano circa sei ore al giorno lontane da casa per procurarsi acqua) e garantirebbe una migliore salute ai bambini, riducendo quindi il tasso di abbandono della scuola. Soprattutto, a differenza di molti altri aventi lo stesso scopo, questo progetto è apprezzabile per la facilità di costruzione e funzionamento, che permetterebbe una gestione diretta da parte delle comunità locali, che non dipenderebbero quindi da continui finanziamenti e aiuti esterni: si garantirebbe quindi l’autosufficienza, un valore importante per i paesi in via di sviluppo.








    www.comitatoscientifico-expo2015.org/
     
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  15. gheagabry
     
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    In Bolivia, nel deserto di sale di Uyuni, nel sud del paese. Alla fine dell'Ottocento la cittadina serviva da punto di snodo per i treni di fabbricazione inglese diretti ai grandi porti del Pacifico. Ma la linea ferroviaria, soggetta a continui sabotaggi, venne ben presto abbandonata e i treni utilizzati per i trasporti minerari. Intorno al 1940 l'estrazione mineraria nella zona si esaurì e i convogli caddero in disuso.




    focus.it
     
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