SARDEGNA PARTE 3^

ORISTANO...ALGHERO..SASSARI..STINTINO E INFINE L’ASINARA..

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    BUONGIORNO ISOLA FELICE ... BUON RISVEGLIO A TUTTI


    “ ... Sabato ... la nostra mongolfiera vola lungo la costa ovest della Sardegna ... da Oristano fino a salire verso nord e raggiungere Sassari ... chilometri di spettacolo della natura con coste, spiagge e acque cristalline a far mostra della loro indescrivibile bellezza ... idiomi particolari ci accompagnano in questa tappa del viaggio ... la lingua sarda in questi luoghi sente forte l’influenza di quella catalana ... suoni e immagini fanno da colonna sonora alla nostra avventura di oggi ... mentre i nostri cuori battono forte dinanzi allo spettacolo che la natura mostra ai nostri commossi occhi ... Tu se' nata par incantu diliziosa elmosùra la meddu di Locusantu la più bedda di Gaddura. Se' bedda chi dugna cori s'innammurigghja di te pa l'occhj mei un fiori ed è la meddu chi c'è. E socu vecchju canutu e socu a tempu passendi parò sempri burrulendi comu m'eti cunnisciutu Cantu campu decu fà sempri onori a Locusantu ch'è la tarra di l'incantu di ca' veni a istragnà. La Patrona di Gaddura l'emu noi in Locusantu incurunata da lu cantu cussì bedda criatura ... suoni dalla Sardegna ... parole di una lingua complicata e bella ... Buon risveglio amici miei ...”

    (Claudio)



    ORISTANO...ALGHERO..SASSARI..STINTINO ED INFINE L’ASINARA..COLORI E AROMI INCONFONDIBILI DELLA SARDEGNA..



    “Laddove finisce Oristano scorre l’ultimo tratto del Tirso, il più grande fiume dei sardi…Benché il corso sia stato profondamente trasformato ed offeso..è ancora oggi in grado di offrirci suggestivi angoli..Dove le greggi s’insinuano nella golena… sono presenti anche gli Aironi guardabuoi….. la suggestiva penisola di Capo S. Marco con Tharros, la ricca laguna di Mistras, lo stagno di Cabras, le spiagge di quarzo di Is Aruttas, la riserva naturale, ultimo baluardo della macchia mediterranea, di Turri e Seu, ecc…. preziose comunità faunistiche: grandi stormi di Folaghe ed anatidi ..anatre rare ed altrove scomparse come Fistioni turchi, Canapiglie e Morette… Non mancano mai gli aironi. Secondo la stagione… l’Airone rosso.. il cenerino ma anche l’Airone bianco maggiore…le Garzette o le più riservate Nitticore o magari le Sgarze ciuffetto o anche i Tarabusini…. se preferite le pattuglie acrobatiche potrete osservare allora i rapaci, autentiche macchine da volo…. Poiane, Falchi di palude, Gheppi ed albanelle il dominatore del cielo: il Falco pellegrino…Lungo i sentieri interni è ancora semplice incontrare la Pernice sarda, magari con i pulcini al seguito, oppure imbattersi nelle strascicate delle tartarughe, qui ancora libere a casa loro…. gli stagni di Mari Pauli e di Pauli e’ Sali …a Mare Foghe….. una grande area paludosa, inaccessibile e misteriosa: una vera e propria area tabù…era il rifugio del mitico “boj foragnu” (letteralmente bue infernale) così come veniva interpretato il verso cupo e profondo del Tarabuso (in realtà un uccello della famiglia degli aironi purtroppo oggi scomparso)…. il termine “mare” nella parlata dell’oristanese indica le distese acquitrinose, derivando dallo spagnolo “marismas”… gli stagni dei Fenicotteri: il piccolo stagno di Sa Marigosa a Su Pallosu, lo stagno di Sa Salina Manna separato dal mare solo dal cordone dunale sul quale è stata costruita recentemente la strada costiera, gli stagni de Is Benas e di Pauli Murtas ma soprattutto Sale Porcus.”



    “Ales…..Ogniqualvolta viene nominato tale borgo,ubicato nella storica regione della Marmilla, è quasi automatico associarvi il nome di Antonio Gramsci. Il famoso politico, filosofo e giornalista italiano venne infatti alla luce, nel lontano 1891…. Uno dei luoghi maggiormente suggestivi dell’intero abitato è la piazza a lui intitolata. Al centro, proprio come un vero cuore pulsante, spicca un focolare quadrangolare, scavato nella roccia e composto da una base di ciottoli di basalto nero e rosso. La sagoma stilizzata di un ariete, forgiata in basalto di Mogoro, dona poi vita ad una fontana posta a lato del focolare. Sul versante contiguo è collocata in posizione verticale un’altra pietra triangolare, in calcare di Masullas, sul cui profilo campeggia la dicitura “zenith”. In un angolo della piazza compare un’antica mola da frantoio posta in loco a simboleggiare la tradizione agricola del borgo”



    “Quella di Arborea, a pochi chilometri da Oristano è una storia relativamente recente....la costruzione di Arborea si deve ad un processo di bonifica di aree paludose e malariche. I tratti di molti edifici, che furono il vanto del regime fascista, ricordano quelli dell’architettura del nord Italia, quasi “montani”. Così i tetti aguzzi per la neve, i balconi in legno e le fasce bicolore diventano pittoreschi e quasi bizzarri in questo angolo di pianura nota come Bonifica Sassu.... ciò che resta delle antiche aree umide di grande interesse naturalistico come gli Stagni di S’Ena Arrubia e di Corru S’Ittiri”



    “Oristano, capoluogo di provincia, fra il fiume Tirso e lo stagno di Santa Giusta… fondata nel 1070 col nome di Aristianis, è uno dei principali centri economici della Sardegna, fiorente per l’agricoltura, il commercio e le industrie. Già sede dell’antico Giudicato di Arborea - la cui reggente Eleonora fu celebre per le sue gesta e per aver promulgato la “Carta de Logu” - Oristano conserva la nobile impronta di città antica, come appare nei suoi monumenti, i numerosi edifici, nelle preziose opere d’arte….Si ritiene che la città si trovi sul luogo dell’antichissima Othoca…….Nella simpatica e vivace Piazza Roma, dove gli oristanesi amano ritrovarsi sorge la poderosa Torre di San Cristoforo, detta anche Porta Manna, è l’ultimo avanzo della cerchia di mura che cingeva la città, risalente al secolo XIII ed eretta dal giudice Mariano II…..in Piazza del Duomo, s’innalza, affiancato da un bel campanile, il Duomo della città, che risale al secolo XIII, ricostruito nel 1733 …nell’interno, oltre ad una statua lignea policroma dello scultore Nino Pisano…..il Palazzo del Seminario Tridentino Arborense, che custodisce una ricca biblioteca…la Chiesa di San Francesco, che conserva la scultura tragica con l’immagine del Redentore in croce, colto negli ultimi istanti dell’agonia.”



    “I cartaginesi arrivarono sull’altipiano di Campu e’ Corra verso la fine del VI secolo a. C. e vi fondarono il centro di Cornus e la zona fu abitata dai nuragici….È una zona ricca di storia e protagonista di una delle pagine più affascinanti della storia isolana: quella della rivolta sardo punica, poi soffocata, contro la colonizzazione romana…Plinio il Vecchio riporta che i combattenti, dopo la prima disfatta, si rifugiarono proprio nel territorio di Cornus…Questa area nel 215 a. C. fu infatti il teatro della ribellione dei sardi in favore dei cartaginesi contro il dominio romano…. Protagonisti delle battaglie tra Cornus e il Campidano, furono Ampsicora e suo figlio Josto i resti della roccaforte Cornus sono ancora visibili….In epoca medioevale Cornus era formata dall’acropoli cinta di mura e di torri ubicata sulla collina di Corchinas. A nord della città vi sono le tracce di un centro religioso importante per tutta l’isola: la sede episcopale di Senafer, della ecclesia Cornensis…Il toponimo Senafer ha diverse interpretazioni, tra le tante quella di “porto africano”, da collegare all’arrivo dei vescovi esiliati dall’Africa in Sardegna …questa zona è ricca di reperti archeologici, dai cartaginesi ai romani, fino a vescovi africani…. Cuglieri, il paese che ospita questi siti, si distende su un’altura, con alle spalle le montagne del Montiferru e si affaccia sul mare a poca distanza, tra spiagge sabbiose e scogliere a tratti selvagge.Tra le più belle, la spiaggia de S’archittu, in cui campeggia un arco di calcare bianco alto nove metri e, davanti alle acque poco profonde di un blu intenso, anche qualche piccolo isolotto.”



    “Oggi Cabras, è un grazioso centro di pescatori, adagiato sulle rive delle stagno omonimo. Un tempo, però, nell’attuale territorio di Cabras, sorgeva l’antica città di origini fenicie Tharros, uno dei siti archeologici più importanti di tutta l’isola…..Nel lungo periodo della dominazione cartaginese, tutta l’isola sarda progredì visibilmente: i campi vennero sfruttati intensivamente; le industrie artigianali prosperarono e il commercio divenne molto intenso; le antiche fattorie fenicie si trasformarono in importanti città.. Nel III secolo avanti Cristo passò sotto il dominio romano ed fu certamente il centro dal quale mosse la rivolta sardo-punica capeggiata da Amsicora contro i Romani. Abbandonata, dopo il periodo bizantino, a causa delle scorrerie saracene, rimase ricoperta di sabbia per quasi mille anni. Tra le rovine sono ben riconoscibili diversi luoghi di culto, tra cui il Tempio Punico e il Tempio Semitico….Poi c’è l’Acropoli, con resti di una torre forse di epoca bizantina, e il Battistero Paleocristiano, risalente al V secolo…. la Torre di San Giovanni, una delle 80 fatte erigere nel 1580 da Filippo II di Spagna, nei punti strategici della costa sarda a difesa delle incursioni dei pirati saraceni. Le rovine dell’antica città si prolungano anche nello specchio del mare antistante.”



    “Uri è un paese di salite e discese, posto su una collina …È un piccolo comune dell’entroterra della Sardegna, nella zona del Logudoro…Nel centro storico tra i vicoli e le case basse, con le facciate di pietra scolpita, si aprono scorci verso le alture vicine ricoperte dalla macchia mediterranea.….Ci sono una quarantina di nuraghe disseminati nel territorio comunale…. L’alto numero di tali insediamenti, che risalgono al 1500 a.C, è indice dell’importanza strategica di questa zona… Santa Cadrina, con attorno i resti di un villaggio di capanne circolari che si trova nel centro abitato….le domus de janas (Casa delle fate): sepolture preistoriche scavate nella roccia…Non lontano del paese c’è la stele funeraria sa pedra longa (che in sardo significa Pietra lunga) e l’interessante sito del circolo megalitico di Monte Dominigu.”



    “Bonorva …oltre a belle sedi nuragiche come il Nuraghe Tres Nuraghes e il Nuraghe su Monte, si trova il più grande complesso di grotte artificiali che gli antichissimi abitanti dell’isola hanno scavato per le sepolture dei loro familiari e per compiervi i riti della loro religione.Giunti alle falde del Monte Donna, uno spettacolo …la rupe di trachiti rosse che lascia scorgere agli occhi numerose caverne: sono le Grotte di Sant’Andria Priu, non sono naturali, ma scavate dall’uomo, sia per la regolarità delle loro bocche spalancate, sia per la grande maestosità del loro allineamento… In superficie un toro di pietra senza testa…ha zampe larghe ben piantate, il ventre incavato e agile, le spalle sollevate e guarda verso il giro del sole.I resti di questo animale richiamano alla mente tutta un’epoca leggendaria e mitica, entro cui si affondano le radici della tradizione e della religione delle popolazioni sarde legate certamente ad analoghe concezioni comuni al mondo egeo, a Creta soprattutto, a Micene, all’Anatolia.”



    “Alghero è una briosa e pittoresca cittadina costituita da una parte antica (la città venne fondata dai Doria intorno all’anno 1100) e da una nuova, separate dai vecchi resti di una cinta di bastioni e di torri…il suo nome deriva dalle alghe che abbondano sulle spiagge circostanti il porto….. è cinta in parte di antichi bastioni, con la massiccia Torre dello Sperone….in una vasta insenatura si apre il profondo golfo di Porto Conte limitato più a ovest dal montuoso promontorio di Capo Caccia… Porto Conte, con le sue acque di uno splendido turchino, con le sue incantevoli coste dalle baie tranquille o dalle imponenti rupi, si meritò il poetico nome di Golfo delle Ninfe….. Capo Caccia, strapiomba a picco sul mare con un impressionante salto di circa centosettanta metri. Qui si apre la favolosa Grotta di Nettuno: un magico itinerario che dal mare porta ad un grande lago interno… Dalle acque di questo lago, colossali colonne sorgono quasi a sostenere l’immensa volta, mentre tutt’attorno è una vera muraglia, alta da dodici a diciotto metri, di magnifiche stalattiti bianche.L’ultima parte del lago, per la sua affascinante bellezza, per i suoi colori e per la sua ricchezza è detta addirittura La Reggia. Qui, su una spiaggetta di candidissima sabbia, arriva la barca… la grotta non termina e continua a svilupparsi in altri cunicoli, in altre gallerie, altre sale, altri laghetti… sembra davvero non aver mai fine! Questa splendida cavità si può raggiungere anche da terra scendendo una lunga scala scavata sulla parete esterna del capo, sulla traccia dell’antica ed impervia Escala del Cabirol (Scala del Capriolo)…ricavata dallo strapiombante bastione roccioso di Capo Caccia ed è formata da più di settecento gradini.”



    “Sassari è adagiata su un pianoro che degrada verso il vastissimo Golfo dell’Asinara…. Seguendo la spaziosa Via Roma, il Museo Giovanni Antonio Sanna ….la leggiadra Fonte Rosello, opera del Seicento, adorna di quattro statue rappresentanti le stagioni…. le vicine chiese della Santissima Trinità e dei Servi di Maria (o di San Antonio Abate)…Piazza Azuni dove si innalza il monumento a Domenico Alberto Azuni, famoso storico e giurista di Sassari, del secolo scorso… il Palazzo del Comune che ospita due pregevoli raccolte di pupazzi in costume e la Biblioteca Sarda…. il Duomo, dalla facciata barocca, tutta ricamata di fitti e minuti intagli. Questa chiesa era una volta l’umile Pieve di San Nicola, intorno alla quale andò formandosi la città….i Santa Maria di Bhetlem, del secolo XIII, dall’austera facciata romanica, nel cui chiostro si trova un’antica fonte del Trecento detta Brigliadore, nome che in lingua catalana significa “Fontana che canta”…”


    “Al nord della Sardegna, nel tratto di costa orientale che guarda verso la Corsica, su un piccolo promontorio roccioso c’è uno dei borghi più pittoreschi di tutta l’isola: Castelsardo…Questo antico paese ha conservato intatta la sua struttura: le fortificazione, il castello e il reticolo di vie. È uno dei più suggestivi borghi medioevali…Il centro storico del paese è costruito tutto sulla rocca a picco sul mare e circondato da mura possenti e da diciassette torri. Sulla sommità c’è il castello dei Doria che risale al 1102…Si deve proprio ai genovesi e in particolare alla famiglia dei Doria l’insediamento nell’area, che corrisponde alla vecchia Castel Genovese..”



    “Stintino è un piccolo e caratteristico borgo di pescatori…. incastonato come un prezioso gioiello nell’estrema punta nord occidentale della Sardegna, questo ultimo lembo di terra sarda proteso verso l’isola dell’Asinara si estende attorno ad una profonda rada, con il porto per i pescherecci, e uno stretto fiordo, chiamato “s’isthintinu”, cioè budello, dal quale ha preso il nome la penisola ….Quello di Stintino è un territorio fatto di contrasti: alla multiforme costa si contrappone l’aspro e assolato paesaggio dell’interno…. la spiaggia de La Pelosa, con la sua sabbia bianca finissima situata sempre al riparo dai venti… le sue acque, di un colore che sfuma dal turchese all’azzurro, sono sempre calme e limpide…di fronte… l’isola Piana, raggiungibile anche a nuoto…. l’isola piatta era un tempo di proprietà della famiglia Berlinguer ….di fronte all’isolotto della Pelosa si trova anche la piccola spiaggia de La Pelosetta…Sul litorale campeggia Torre de La Pelosa, la torre aragonese costruita nel 1578…vicino a Stintino si trova lo Stagno di Pilo, circondato da dune di sabbia….La Cala Coscia di Donna è una caletta formata da ghiaia grigia, pietre e ciottoli.. La spiaggia della Saline, un candido arenile dalle bianche dune sabbiose, situato vicino alla Tonnara delle Saline…La spiaggia prende il nome dal vicino stagno famoso per le rare specie di uccelli che ospita…..In prossimità del mare, sorgono le antiche tonnare”



    “L’Asinara…..secondo la leggenda Ercole, accettò dai sardi di divenire re della loro Terra, e di dare il suo nome a diverse località della Sardegna, fra queste c’è l’Asinara chiamata appunto Herculis Insula…. Enea chiamò l’Isola Aenaria trasformata in seguito in Linara …Nei primi tempi del periodo storico l’isola non fu abitata, ma sicuramente praticata dai greci che trasformarono ulteriormente il suo nome in Enacria, cioè “formata da un solo lato”, per indicare la forma lunga e assottigliata che la caratterizza…. I fenici sicuramente la visitarono, ma la trascurarono. I cartaginesi la sfruttarono per quello che poteva produrre…….Coloro che permanentemente abitarono l’isola furono i romani i quali vi coltivarono cereali e frutti e vi allevarono bestiame, tenendo stretti contatti con la vicina Turris Lybisonis….. diedero anche un nuovo nome all’Asinara: Sinuaria (per le sue insenature)… …Durante l’epoca romana alcuni episodi sono legati alla leggenda….il primo risale al 303 d.C. durante la persecuzione dei cristiani per opera dei romani. Si dice che San Proto venne, prima di essere decapitato, portato sull’Asinara e lasciato lì affinché morisse o divorato dalle belve o di fame. Egli si rifugiò nella “domus de Jana”nuragica e sopravvisse, fino a, quando non fu ricondotto a Turris Lybisonis e ucciso….Il secondo risale al 412 d.C. e riallaccia la storia dell’Asinara alla nascita della città di Sassari. Due navi gettarono l’ancora all’Asinara e ne sbarcarono 114 famiglie di profughi dalla Tartaria. Queste famiglie formarono dapprima la città di Sorso ed in seguito quella di Sassari…avvalorerebbe la tesi il ritrovamento e l’esplorazione di un relitto di nave oneraria d’epoca romana, il cui carico era costituito prevalentemente da anfore contenente pesce e salse di pesce, alla base dell’alimentazione del tempo. Il relitto è ora visibile a pochi metri di profondità, a poca distanza dal molo di Cala Reale….Agli inizi dell’VIII secolo, il re sardo Gialeto costituì la Sardegna in quattro giudicati, l’Asinara con l’isola Piana faceva parte del giudicato di Torri (Torres)…. L’anno 812 d.C. sconfitti una prima volta in battaglia dai fieri sardi, gli arabi si rifugiarono all’Asinara….. Nel 936 d.C vi fu una grande battaglia tra, genovesi e saraceni fu vinta dalla repubblica genovese…. Nel 1409 vi fu un altro scontro presso le coste dell’Asinara, avvenuto tra genovesi e aragonesi …I siciliani vinsero perché per la prima volta furono usate armi da fuoco nelle acque sarde (le nuove bombarde)… Kair-ad-Din, detto il Barbarossa…si narra che fece di un pastorello asinarese il suo figlio putativo e che in seguito, una volta diventato adulto, questi diventò il terzo re d’Algeri….Gli aragonesi fecero costruire all’ Asinara, per difendersi dagli attacchi saraceni, le torri di: il Castellaccio…e il Traboccato …Nel 1720, gli Asburgo, succeduti per breve tempo agli Aragonesi, cedettero la Sardegna ai Savoia in cambio della Sicilia e da allora il destino dei sardi rimase legato alla nuova dinastia….Con l’avvento dell’Unità d’Italia, iniziava una nuova vita per gli abitanti dell’isola……Con lo scoppio della prima guerra mondiale, il Governo decise di trasformare la maggior parte del territorio dell’Asinara in concentramento di prigionieri di guerra……Nel 1918 furono condotti all’Asinara i militari italiani condannati all’ergastolo per diserzione durante la ritirata da Caporetto…Erano presenti nell’isola oltre ai militari italiani anche prigionieri russi e turchi….nel 1919, l’Asinara cessò il suo compito di prigionia militare, e la Casa di lavoro poté rientrare in possesso di tutto il territorio ….Già nel 1967 la città di Porto Torres, sotto la cui giurisdizione territoriale ricade l’isola dell’Asinara, promosse un convegno sulla funzione dell’Isola nello sviluppo turistico della Sardegna….. I sogni dei turritani andarono immediatamente infranti nel 1971 con l’arrivo all’Asinara di 15 presunti mafiosi…Per ospitare i nuovi detenuti si resero naturalmente necessarie nuove misure di sicurezza…Oltre ai presunti mafiosi furono trasferiti all’Asinara,tutti quei detenuti considerati dallo Stato più politicizzati ed attivi, che fomentavano nelle carceri di tutta talia rivolte e scontri violenti….il carcere fu chiuso nel 1980 e nacque il Parco Nazionale dell’Asinara."








    Ales

    (in sardo Abas) è un comune di 1.571 abitanti della provincia di Oristano, nella regione storica della Marmilla. Ales è un comune della Sardegna centrale, situato ai piedi del monte Arci. Il paese ha sempre rivestito un ruolo determinante nell'economia della Marmilla. È una delle più piccole sedi vescovili d'Italia.



    Cabras

    (in sardo Crabas) è una cittadina di 9.004 abitanti della provincia di Oristano, nella regione del Campidano di Oristano sulla riva sinistra dello stagno omonimo.

    I primi insediamenti nell'attuale centro di Cabras risalgono al XI secolo, quando la città di Tharros si spopolò definitivamente a causa delle incursioni dei corsari nordafricani. I primi abitanti si stabilirono intorno al castello di cui oggi rimangono solo alcuni resti vicino alla chiesa parrocchiale. Durante il periodo giudicale guadagnò una discreta importanza poiché spesso la corte del Giudicato d'Arborea risiedeva nel castello. Dopo la caduta del giudicato, il paese passò sotto il dominio di numerosi feudatari anche se spesso gli abitanti cercarono di liberarsi dal vincolo feudale anche con rivolte. Nella prima metà del XIX secolo il paese fu incluso nella provincia di Oristano come capoluogo di mandamento, sino al 1859 quando passò alla provincia di Cagliari. Nel 1974 tornò infine a far parte della provincia di Oristano appena ricreata.

    Stagno di Cabras

    è per estensione e per rilevanza della biodiversità una delle più importanti aree umide della Sardegna. Situato nella parte settentrionale del golfo di Oristano, è alimentato dal fiumiciattolo Riu Sa Praia e comunica con attraverso canali naturali e artificiali con il mar di Sardegna. Assieme alle zone umide di Mistras, Pauli 'e Sali e con lo stagno di Sale Porcus forma un ecosistema palustre fra i più vasti d'Europa e protetto dalla Convenzione di Ramsar.



    L'ISOLA DELL'ASINARA



    L'isola del Diavolo, così chiamano l'Asinara, è stata sede di una Stazione Sanitaria di quarantena nell'800, un campo di prigionia nella prima guerra mondiale e uno dei principali supercarceri italiani durante il periodo del terrorismo e nella lotta contro la delinquenza organizzata, fino al 1997.





    E' questa sua specificità storica che la rende una delle zone più misteriose, più carica di mitologie, d'Italia, quasi un Alcatraz in salsa nostrana, coi suoi detenuti eccellenti (come Totò Riina fino al 1997, anno della chiusura del carcere), le sue blindature di Stato, l'isola penitenziaria per eccellenza.





    Eppure coi suoi 52 chilometri quadrati di estensione, è anche quasi totalmente priva di insediamenti, protetta da una legge dello Stato, una delle zone più incontaminate del nostro Paese, grazie anche al numero chiuso imposto a chi entrava fino a che era sede del carcere. Basterebbe questo per capirne la bellezza cruda, deserta, aspra, selvatica, misteriosa, la sua ricchezza faunistica e ambientale.





    Ma l'isola dell'Asinara - esposta a venti violenti che la rendono ancora più inospitale di quello che è - continua ad essere nell'immaginazione solo un carcere di massima sicurezza. Eppure.





    Eppure è un'area tra le più belle del nostro Paese, molto importante per la riproduzione della fauna selvatica: si calcola che nell'isola si riproducano circa 80 specie di vertebrati terrestri tra le quali molte rivestono straordinaria rilevanza scientifica per la loro rarità.





    E tra gli anfibi si segnalano il discoglosso sardo, il rospo smeraldino e la raganella. Tra i rettili sono segnalate 11 specie, tra cui la testuggine comune e la biscia viperina. Tra gli uccelli marini, spiccano per importanza il Gabbiano corso, il Marangone dal ciuffo, la Berta maggiore e minore, la Pernice sarda; l'isola è inoltre l'unica stazione sarda in cui è presente la Gazza.





    Tra i mammiferi si ricorda la lepre, la donnola, il muflone, il cinghiale (in numero straordinario), il cavallo ed il caratteristico asinello albino, il vero simbolo dell'isola.






    Anche la flora dell'Asinara è ricchissima, costituita da 678 specie, di cui 616 spontanee e 45 introdotte, una vastità straordinaria. In generale essa ha caratteristiche mediterranee rappresentate per oltre il 50% da terofite. Le specie endemiche sono 29 e rappresentano quindi circa il 5% della flora generale. Tra queste, alcune sono esclusive della Sardegna settentrionale come Centaurea horrida, Limonium acutifolium, Limonium laetum, ed altre della regione sardo-corsa come Astragalus terracianoi e Erodium corsicum.La vegetazione presenta i caratteri tipici della macchia mediterranea. Da 1995 è in atto un importante intervento di riforestazione da parte dell'Azienda Foreste Demaniali della Sardegna nell'area di Elgihe Mannu.





    Le strade percorribili non sono state dunque tracciate in maniera chiara e la possibilità di seguire un tracciato definito dipende dal desiderio e dalla disponibilità alla scoperta di ciascuno. Vi consigliamo perciò il percorso tradizionale, punto di partenza degli escursionisti dell'isola. Quali sono gli itinerari più belli in quella che Plinio il Vecchio già definiva Herculis insula, isola di Ercole?





    Il più noto è quello che conduce da Porto Vecchio dei Fornelli fino a Cala d'Oliva, percorrendo praticamente tutta l'isola. Dalla via principale si dipanano numerose strade e sentieri che costituiranno l'ossatura della rete viaria del Parco, ancora in progettazione. Molto bella da vedere è la zona occidentale rocciosa, attorno a punta La Cornette, e la costa orientale, con le sue calette sabbiose come Sant'Andrea, Cala Barche Napoletane, Cala dei Ponzesi, Cala Arena, circondate dalla fitta macchia mediterranea. Altre zone che meritano di essere visitate citiamo la Piana di Stretti, i boschi tra Casche Bianche ed Elighe Mannu, la piccola zona umida a Sant'Andrea e il laghetto di Pecorile, a ovest di Cala Oliva.





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    PORTO ALABE

    Porto Alabe al confine sud del paese ci sono 7 km di costa vergine che sta per diventare un parco naturale ed è il luogo scelto per il Campionato sardo di pesca subacquea. Da Porto Alabe si può andare a raggiungere Bosa attraverso una strada panoramica, con il mare da un lato e il famoso Malvasia Colli vigneto all'altro.

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    ASINARA Flora endemica





    Sulla costa occidentale dell'isola è possibile ammirare uno degli endemismi vegetali più importanti, ovvero la Centaurea horrida, cespuglio spinoso a forma di cuscino (spesso quasi emisferico), dal colore grigio verde chiaro e con i fiori bianchi appena toccati di viola.

    ASINARA FAUNA





    A Tumbarino è ubicato il Centro Faunistico e Ornitologico, dove da 5 anni grazie al progetto "Piccole Isole", il personale specializzato studia le migrazioni dei passeracei dal Nord Europa al Sud Africa. L'attività del progetto si svolge dalla seconda metà di aprile sino alla prima metà del mese di maggio; in questo periodo è possibile osservare l'attività di inanellamento e registrazione dei dati degli uccelli (classificazione della specie, misurazione visiva della quantità di grasso, peso e dimensioni) svolta dal personale del centro. Ringraziamo tutto il personale per la cortesia dimostrata e la dovizia di particolari forniti, permettendoci di acquisire alcune informazioni riguardo alla fauna ornitologica come la Cannaiola, l'Averla grande, l'Averla Capirossa e il Luì piccolo.



    CUGLIERI

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    Cuglieri è situato su un colle nel versante occidentale del montiferru e sorge sul sito dell'antica città Romana Gurulis Nova
    E' un paese di 3700 abitanti situato nella Sardegna occidentale a 479 mt sul livello del mare.
    Le sue cordinate geografiche sono:40° 11' di lat. Nord e 8° 34' di long. Est.
    Confina a nord con Sennariolo e Scano Montiferro


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    STINTINO




    ll piccolo borgo marinaro di Stintino, ha visto la sua nascita nel 1885, quando gli abitanti dell'Asinara furono espropriati per la costruzione di un lazzaretto e di una colonia penale.

    Le 45 famiglie che fondarono Stintino erano in prevalenza di origine ligure e per la precisione di Camogli, qualche famiglia di origine ponzese e alcune sarde.



    Per la nascita del paese fu fondamentale la vicinanza alla Tonnara Saline e determinante per lo sviluppo socio economico del paese.
    Stintino è diventato comune autonomo il 10 Agosto 1988 e conserva tuttora le caratteristiche di borgo di pescatori, anche se l'attività della pesca si è notevolmente ridotta e il paese è diventato un rinomato centro turistico.




    Posto nell'estrema punta nord occidentale della Sardegna, Stintino si sviluppa intorno ad una profonda rada, con il porto per i pescherecci, e uno stretto fiordo, in sassarese isthintinu, che ha dato il nome all'abitato e che oggi ospita un porto turistico per le numerose imbarcazioni da diporto che vi giungono durante la lunga stagione turistica.




    L'ambiente circostante, caratterizzato da aree palustri e ampi tratti di macchia mediterranea, conserva meravigliosi panorami. A circa 15 km da Stintino si trova lo Stagno di Pilo, meravigliosa area protetta, circondata da dune di sabbia che ospitano giunchi e tamerici sorvolati da un gran numero di uccelli (tra i quali spiccano per bellezza i fenicotteri rosa) e da fauna selvatica.



    Le splendide spiagge di La Pelosa e delle Saline hanno fatto di Stintino una delle mete favorite dal turismo.
    Poco prima di arrivare a Stintino si incontra lo Stagno di Casaraccio e il complesso ottocentesco della Tonnara, ora trasformata in villaggio turistico.
    Sul lato orientale del promontorio, il mare turchese della Pelosa e, di fronte l'isolotto con l'omonima torre di origine aragonese, detta della finanza, edificata nel 1578 a difesa del litorale.




    Poco oltre si vede l'Isola Piana, usata in passato per il pascolo del bestiame che vi veniva portato con una caratteristica transumanza fatta con le barche da pesca. Sull'isola svetta con i suoi 18 metri di altezza la torre dell'Isola Piana edificata nel XVI secolo e restaurata nel 1931.
    Il litorale ovest aperto sul Mare di Sardegna vede delle splendide scogliere e diverse calette rocciose tra cui Coscia di Donna, Cala del Vapore.



    Da visitare a Stintino il Museo della Tonnara dove viene riproposta la storia della Tonnara Saline con numerosi filmati e foto, particolare la struttura del Museo che ricostruisce il labirinto della rete della tonnara.
    Numerose sono le manifestazioni religiose tra cui ricordiamo a Maggio la festa di Sant'Isidoro in Ercoli, dove esiste una piccola chiesetta di campagna.



    L'8 Settembre a Stintino si festeggia la Madonna della Difesa, patrona del Paese, e viene svolta una suggestiva processione a mare dove il simulacro della Vergine viene portato sulle barche dei pescatori dalla confraternita a Lei intitolata, così da ricordare ogni anno la traversata fatta nel 1885 con la Vergine dall'Asinara a Stintino.



    Lo stesso giorno viene svolto un Palio remiero che ricorda le gare che i vecchi tonnarotti facevano con le barche a remi per arrivare alla Tonnara, da qualche anno non vengono più utilizzate le vecchie barchette in legno dei pescatori, ma barche in vetroresina della categoria Gozzi Nazionali a Sedile Fisso, Stintino vanta l'unica Società di canottaggio a sedile fisso della Sardegna, la Società Canottieri Stintino regolarmente iscritta alla Federazione Nazionale.
    Verso la metà di Settembre si festeggia in località Pozzo S.Nicola, il patrono San Nicola, con eventi religiosi ma anche folkloristici e la tradizionale Sagra della pecora.



    La penisola di Stintino si protende nel mare dell'Isola dell'Asinara, da cui è separata da un braccio di mare poco profondo. Oltre all'Asinara, troviamo un'altra isola di dimensioni rilevanti (tra cui la già citata Isola Piana) e vari altri isolotti di poche decine di metri quadrati, ma interessanti dal punto di vista naturalistico; le coste sono sabbiose sul lato est e rocciose sul lato ovest con un'altezza variabile dai 10 ai 150 m.



    Il clima piuttosto arido ed i venti costanti non consentono un adeguato sviluppo forestale nel promontorio. La vegetazione presenta, dunque, tutte le specie tipiche della macchia bassa mediterranea, mentre è scarsa la presenza di Lecci, Olivastri e Ginepri che presentano tutti la tipica postura "distesa" delle piante sottoposte a venti forti per tutto l'anno. Nondimeno, il territorio rivela la presenza di numerose rarità floreali (Centaurea horrida, Erodium corsicum, Nananthea perpusilla). La parte più a sud è coltivata intensamente a grano: sin dai tempi dei romani la Nurra era conosciuta come uno dei migliori "granai dell'impero".



    Il resto della penisola è riservata a pascolo per ovini e bovini; nei tempi più antichi era quartiere di svernamento delle greggi che venivano a passare i mesi freddi dai monti del nuorese, e venivano effettuate delle vere e proprie "transumanze".






    stintino deve la sua notorietà soprattutto alle bianchissime spiagge di sabbia finissima che si affacciano su un mare che è davvero difficile da descrivere per gamma di colori e limpidezza delle acque. La stupenda spiaggia della Pelosa, in particolare, è una delle mete estive maggiormente visitate dai turisti. La posizione al riparo dai venti, fa sì che l'acqua sia sempre calma e limpida in qualsiasi periodo dell'anno. Quel che invece caratterizza il cosiddetto "mare di fuori", sul lato occidentale della costa, sono le rocce a strapiombo e le splendide calette con l'acqua color smeraldo.



    Il territorio di Stintino sorprende per i forti contrasti. Alla multiforme e stupenda costa, si contrappone l'aspro e assolato paesaggio dell'interno dove la tipica vegetazione mediterranea è un invito irresistibile per rilassanti passeggiate. Altri elementi di attrazione sono i nuraghi edificati nell'interno del promontorio e gli stagni salmastri, che ospitano una fauna unica per genere.




    * La Torre e la spiaggia della Pelosa
    Di fronte alla strepitosa spiaggia della Pelosa, dalla sabbia finissima e bianchissima e dalle acque smeraldine e trasparenti, sull'isola omonima sorge la Torre della Pelosa. Costruita sul finire del Cinquecento in pietre di scisto, la torre appare robusta nella sua forma troncoconica con un diametro di base di 16 m per un'altezza di 10 m. L'ingresso a 6 m di altezza immette alla camera interna coperta da una volta a fungo con un pilastro centrale.
    Di fronte all'isola Piana e dell'Asinara, nei pressi di Stintino, il paradiso della spiaggia della Pelosa domina il paesaggio con il candore del suo arenile e la trasparenza delle sue acque [continua...]
    *
    La Spiaggia de "La Pelosetta"
    La spiaggia de La Pelosetta è delimitata a nord da Capo Falcone. Presenta in larga misura scogli ed uno scarso arenile. La sua bellezza deriva dalla sua scenografica ubicazione di fronte all'isolotto della Pelosa [continua...]
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    La Spiaggia de "Il Gabbiano"
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    La Spiaggia de "L'Approdo"
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    La Spiaggia de "L'Ancora"
    * La Spiaggia de "La Torre"
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    La Valle della "Luna" (Biggiumarinu)
    * Cala Lupo
    Cala Lupo si trova nel comune di Stintino. E' raggiungibile con la strada provinciale 34 in direzione Stintino. Si seguono le indicazioni per la base nautica di Cala Lupo [continua...]
    * Punta Negra
    Punta Negra si trova a Stintino. È raggiungibile percorrendo la SP 34; prima di entrare nel centro del paese bisogna seguire le indicazioni per Cala Lupo ed arrivare alla baia che si trova vicino al Circolo della Vela [continua...]
    * Spiaggetta di "Azzena"
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    Valle dell'Asino
    * Tamerici
    Tamerici si trova a Stintino. E' raggiungibile, dopo aver percorrendo la strada provinciale 34 in direzione Stintino [continua...]
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    Punta d'Agliastroni
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    Le Tonnare
    * La Spiaggia de "Le Saline"
    La spiaggia de Le Saline è un'ampia cala che si affaccia vicino alle strutture delle saline sfruttate fin dal XIII secolo dai monaci di Santa Maria di Tergu [continua...]
    * Pazzona
    La spiaggia di Pazzona è ricoperta da frammenti di quarzo e ghiaia sottile chiara, incorniciata da dune di sabbia conquistate da una bassa vegetazione, e lambita da un mare dalle belle tonalità d'azzurro

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    Punta d'Elice
    * Ezzi Mannu
    Ezzi Mannu si trova nella località omonima, nel comune di Stintino. E' raggiungibile percorrendo la SP 34 in direzione Stintino [continua...]
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    Marina di Unia
    * Cala di Coscia di Donna
    La Cala Coscia di Donna si trova nella località omonima, nel comune di Stintino. È raggiungibile percorrendo la SP 34 in direzione Stintino [continua...]
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    Cala Porto Pruna
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    Cala del Francese
    * L'isola Piana
    Di fronte alla Pelosa, la principali spiaggia di Stintino, si ammira l'isola Piana, raggiungibile anche a nuoto. L'isola assolutamente piatta e sovrastata dalla torre spagnola detta torre della Finanza che si trova dalla parte dello stretto di Fornelli e guarda verso l'Asinara, era un tempo di proprietà della famiglia Berlinguer ed è stata donata allo Stato italiano a condizione che venga conservata allo stato naturale.





    SASSARI

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    Sassari (SS) | Veduta quartiere vecchio

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    COSTA SMERALDA

    Costa Smeralda è una zona costiera 55 km a lungo nel nord della Sardegna . E 'circondata da alcune belle spiagge diffondendo una vasta area. Le spiagge in questa regione sono molto affascinanti e circondato da villaggi che sono costruiti secondo il piano urbano organizzato.

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    Costa-Smeralda

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    CAPO CACCIA

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    Grotta di Nettuno Capo Caccia, Sardegna

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    Le Grotte di Nettuno sono delle formazioni carsiche situate a circa 24 km da Alghero, proprio sotto il promontorio di Capo Caccia, nella Sardegna nord-occidentale. La grotta fu scoperta da un pescatore locale nel XVIII secolo e prende il suo nome dalla divinità romana del mare, Nettuno. L'entrata alla grotta è situata all'incirca a un metro dal livello del mare, ai piedi del massiccio calcareo di Capo Caccia, alto 110 metri. Data la particolare collocazione dell'apertura per accedervi, l'ingresso alle grotte è possibile solo se le condizioni meteo-marine lo permettono. Per accedervi vi sono due possibilità: mediante una scalinata di 654 gradini che si snoda lungo la parete del massiccio di Capo Caccia, La scala del Capriolo, proprio per la particolare conformazione che si inerpica sul promontorio. L'altra possibilità è via mare, con partenza dal porto di Alghero, giornalmente in autunno e primavera e con frequenze minori in autunno e inverno. La lunghezza totale della grotta è stimata approssimativamente intorno ai 4 km, ma solo alcune centinaia di metri sono visitabili dal pubblico.All'interno si trovano conformazioni calcareee come stalattiti e stalagmiti, e un lago salato di circa 120 metri di lunghezza, il cui livello è lo stesso di quello del mare. La grotta fu un tempo abitata dalla Foca monaca, ma al giorno d'oggi non vi è più traccia

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    La valle dei menhir



    La maggiore concentrazione di menhir in agro di Laconi è quella individuata in località Perda Iddocca, una valle situata ad ovest del moderno abitato, tra i colli di Conca Zerfalíus e di Nicola Cannas. In quest’area, per molti anni adibita a coltivazioni, furono rinvenuti durante i lavori di aratura 8 monoliti, 5 dei quali si trovano ancora oggi sul terreno; questi menhir, tutti realizzati con un unico blocco di trachite locale, hanno un’altezza media di 180 cm e presentano una faccia piana e l’altra convessa.



    Nel gruppo di Perda Iddocca sono compresi il tipo più antico, definito “protoantropomorfo” perché privo di dettagli anatomici; quello “antropomorfo”, caratterizzato dalla rappresentazione in bassorilievo di naso e sopracciglia; infine il tipo più recente, quello delle statue-menhir maschili o femminili: le prime caratterizzate dalla rappresentazione di una figura umana capovolta e di un doppio pugnale; le seconde contraddistinte dalla presenza dei seni.



    Poche centinaia di metri ad ovest di Perda Iddocca, rovesciate a fior di suolo, furono rinvenute 6 statue-menhir, quelle di Pranu Maore; più ad Est, in località Corte Noa, un gruppo di altri 7 menhir in allineamento.


    La datazione che si propone per questi monoliti va dal Neolitico recente (IV mill. a.C.) per i tipi più semplici fino all’Età del Rame (III mill. a.C.) per le statue-menhir.

    Chiesa parrocchiale e chiese campestri



    Il principale edificio di culto del comune di Laconi è la chiesa parrocchiale intitolata ai santi Ambrogio e Ignazio che sorge nel quartire più antico del paese; questa fu edificata nel XV secolo e da allora è stata più volte modificata, in particolare nel corso dell’Ottocento. La volta e la cupola che la coprono attualmente furono realizzate nel 1823 dal rettore Francesco Cabras, come testimonia un'epigrafe murata nell’edificio; dell’impianto originario si conserva oggi anche il campanile a canna quadrata.
    La chiesa dei Santi Ambrogio e Ignazio nel 1957 fu affidata in perpetuum ai frati cappuccini.




    Oltre a questa si contavano nel territorio comunale altre sei chiese filiali, quella di Sant’Antonio abate, di San Martino, di San Giovanni Battista, di Santa Maria, di San Sebastiano e di San Nicola. Mentre della maggior parte di questi edifici non restano oggi che notizie frammentarie, le chiese di Sant’Antonio abate e di San Giovanni Battista sono invece ancora aperte al culto. La prima di queste, completamente ricostruita nel corso del XVIII secolo, era l’antica chiesa parrocchiale; l’edificio si erge nella parte alta della via omonima e comprende nelle immediate adiacenze un piccolo cimitero ormai abbandonato.
    La chiesa di San Giovanni Battista sorge alla periferia del paese, poco distante dal nuovo cimitero; ristrutturata di recente questa conserva alcuni tratti spiccatamente medievali come il campanile a vela a due luci e, all’interno, nove sculture lignee vagamente zoomorfe a sostenere le travi del tetto.



    A qualche chilometro dal centro abitato si trova la chiesa campestre dedicata a San Daniele; l’edificio originario fu chiuso al culto nel 1831 e solo recentemente è stato ripristinato.



    Presso la borgata di Santa Sofia i ruderi di un antico edificio religioso, verosimilmente di età bizantina, testimoniano il culto della santa che ha dato il nome a quest’area; accanto a questo sorge la moderna chiesa, punto di riferimento per le famiglie che abitano nella zona.

    Oristano













    I Parchi di Oristano



















    BOSA




    CABRAS



    CAPO NIEDDU




    CUGLIERI



    FORDONGIANUS



    SINIS



    Buonaserata a tutti ma proprio a tutti.
    La Sardegna è talmente bella che postare delle foto o parlare di un argomento sembra far torto ad altre località, comunque provo con

    CASTELSARDO






    Castelsardo. panorama


    Castello della Fava



    Centro Storico


    Vicolo


    Porticciolo


    Rocca dell'elefante



    Edited by tomiva57 - 13/9/2014, 15:26
     
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    Asinara – Cala D’Oliva



    Cala D’Oliva, è un bellissimo borgo che si trova nell’isola dell’Asinara. L’Asinara è la seconda isola più grande in ampiezza di tutte quelle che costeggiano la Sardegna. L’isola più grande è quella di Sant’Antioco, situata nell’area nord occidentale.

    Durante l’800 l’isola di Asinara era usata come colonia penale infatti, durante la prima guerra mondiale furono costruiti campi di concretamento che naturalmente hanno smesso di funzionare, ma tralasciando tutto ciò, la natura fortunatamente è ancora intatta e incontaminata.

    Naturalmente, vi consigliamo di visitare la bellissima spiaggia di Cala D’Oliva composta da sabbia fine, morbida e bianca che contrasta con le tonalità di colore azzurro-cristallo del mare, poco profondo, pulito e con la scogliera di granito che la circonda. E’ il luogo ideale per passare delle giornate rilassanti con la propria famiglia, amici e parenti.

    Se state pensando seriamente di passare una bella e rilassante vacanza estiva a Cala D’Oliva, vogliamo dirvi subito che per raggiungerla dovrete necessariamente prendere un traghetto o dal Porto Torres o dal porto di Stintino. Naturalmente il biglietto potrete acquistarlo li



    .



    da:sardegnaspiagge. com

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    La spiaggia di Cala d'Arena è forse la più bella di tutta l'isola; durante l'inverno è divisa in due da un piccolo ruscello; alle sue spalle, si erge una torre costiera risalente al Sedicesimo secolo.






    Fino a qualche decennio fa vi deponevano le uova le tartarughe Caretta caretta, e si poteva trovare anche qualche esemplare di foca monaca.
    La spiaggia ha una sabbia bianchissima, è circondata dalla macchia mediterranea; incredibili le trasparenze dell'acqua.
    L'isola dell'Asinara è una frastagliata formazione granitica e scistosa che si estende per 52 kmq dallo stretto di Fornelli, di fronte alla spiaggia della Pelosa, alla punta dello Scorno, a settentrione. Con l'isola Piana, da cui è divisa dalla rada dei Fornelli, e gli isolotti Rospo e Bocca, rappresenta l'estrema propaggine della penisola di Stintino, una sua continuazione al di là del mare.
    L'isola, interdetta alla libera circolazione tra il 1885 e gli anni 90 del XX secolo, ha potuto preservare l'integrità del proprio ecosistema e oggi è Parco Nazionale: le sue spiagge di mare limpido, le sue "popolazioni" di mufloni e asinelli bianchi, le sue rare specie vegetali si possono apprezzare nelle visite regolamentate dall'Ente Parco.
    Cala d'Arena è sottoposta al regime di tutela integrale. I motivi di questa protezione risiedono nella sua straordinaria bellezza naturalistica, espressa nei colori azzurrati del mare e negli aspri e suggestivi tratti rocciosi che si alternano alla sabbia bianca. Poco più a nord della Cala si trova il faro di Punta Scorno, che segna l'estremità settentrionale dell'isola dell'Asinara.



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    Isola dell’Asinara


    L’isola dell’Asinara è la seconda per ampiezza tra le isole che costeggiano la Sardegna dopo Sant’Antioco, e si trova nell’area nord occidentale, davanti all’omonimo grande golfo.

    Nel corso dell’800 l’isola è diventata una colonia penale, ed è solo ultimamente che ha smesso quella funzione, per cui le spiagge e l’isola stessa sono assolutamente ancora intatte ed incontaminate.

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    Solo un piccolo borgo, Cala d’Oliva è abitato, per il resto invece l’isola è completamente deserta. Da pochi anni diventata parte di una riserva naturalistica, il Parco Nazionale dell’Asinara, che ne protegge il raro e preziosissimo patrimonio di flora e fauna, sua sulla terraferma che negli splendidi fondali.

    La bellezza del luogo è sottolineata dalle tante spiagge presenti sull’isola, meta di coloro che vogliono provare forti emozioni di fronte ad un tale paesaggio che sembra essere rimasto tale e quale dal giorno della creazione.

    Tra queste Cala d’Arena è la più bella, circondata da una florida vegetazione costituita dalla macchia mediterranea e discretamente sorvegliata da un’antica torre di guardia. Un’altra bella spiaggia è Cala San’Andrea, incastonata tra alte scogliere di granito. Cala d’Oliva è invece la località dove approdano le imbarcazioni e dove il mare ha una particolare e suggestiva colorazione di un intenso turchese.

    Un altro punto di approdo lo si trova più a sud, a Cala Reale, dove sono presenti piccole insenature ed i fondali offrono lo splendido spettacolo di una nave romana affondata, e poco distante, Punta Trabuccato.

    Da ricordare le bellissime insenature intorno a Cala Sabina, dove si può trovare pace e tranquillità.



    Pubblicato in Sardegna, Spiagge Sardegna





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    Parco Nazionale Asinara

    Isola dell Asinara
    Sede per anni di un istituto carcerario di massima sicurezza ora soppresso, l’isola dell’Asinara, è posta ad ovest dell’omonimo golfo, ed è stata promossa da area protetta a parco nazionale il 28 Novembre l997
    Possiede coste rocciose, frastagliate e molto ripide con scarse insenature sul versante occidentale, mentre su quello orientale degradano invece in spiagge sabbiose.
    Gli ecosistemi terrestri e marini dell’isola sono rimasti in sostanza inalterati e l’Asinara è contraddistinta dalla tipica vegetazione delle aree mediterranee e abitata da circa 300 mufloni.
    L’Asinara ospita in stagione anche diverse specie di uccelli, fra cui l’uccello delle tempeste, la rondine di mare e il falco pellegrino.



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    BOSA


    Bosa (IPA: ['bɔza], Bosa insardo o contratto 'Osa) è un comune italiano di 8.133 abitanti della provincia di Oristano, in Sardegna. Si trova nella subregione storica della Planargia. Fino al 2005 faceva parte della provincia di Nuoroma, in seguito all'applicazione della Legge Regionale 12 luglio 2001, n. 9 è passato alla provincia di Oristano.

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    Bosa si trova adagiata nella valle del fiume Temo. È l'unico centro della Sardegna edificato accanto all'estuario di un fiume, che è navigabile con imbarcazioni a basso pescaggio per circa 5-6 chilometri. Si è sviluppato in una frazione marina (Bosa Marina), frequentata stazione balneare, presso la quale si trova un porto che include quella che un tempo era l'isola Rossa, accanto alla foce del fiume, ora congiunta alla terraferma per mezzo di bastione carrabile. Il borgo antico è in parte arroccato sulle pendici del colle di Serravalle, in cima al quale si trova il castello medievale che fu dei Malaspina.
    Tra le numerose specie viventi presenti nel mare di Bosa ve ne sono alcune meritevoli di catalogazione tra le specie poco diffuse nel Mediterraneo.Corinactis virydis, di un bel colore lilla, colonizza la sommità della secca di Su Puntillone 13km a sud di Bosa Marina. È una specie endemica dell'oceano Atlantico, poco diffusa nel Mediterraneo.


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    Tramonto

    Storia


    Le origini del nome

    Un'epigrafe fenicia (oggi perduta), databile al IX secolo a.C., documenta per la prima volta l'esistenza di un etnico collettivo Bs'n, riferito alla popolazione di questo luogo. Il nome della città fu dunque fin dall'origine Bosa, un toponimo forse mediterraneo, d'incerta etimologia. L'etnico latinobosanus è attestato ancora in un'iscrizione della prima età imperiale, e il nome di Bosa compare in questa forma inTolomeo nell'Itinerario di Antonino, nella Cosmografiadell'Anonimo ravennate, e per tutto il Medioevo.


    Preistoria e periodo romano


    Narra una leggenda che Calmedia, moglie o figlia di Sardo, giunta nella vallata attraversata dal Temo, colpita dalla bellezza dei luoghi, abbia deciso di fermarsi e di fondare una città che da lei avrebbe preso nome. La città di Calmedia, nella località oggi detta Calameda, sarebbe stata nell'antichità un fiorente centro culturale e avrebbe per secoli convissuto con la vicina Bosa, con cui si sarebbe infine confusa.
    La zona fu abitata già in epoca preistorica e protostorica, come dimostrano le numerose Domus de janas (come quelle di Coroneddu, Ispilluncas, Monte Furru,Silattari, Tentizzos) ed i nuraghi (in località Monte Furru). Nulla di certo si conosce dello stanziamento fenicio-punico. I Fenici dovettero usare per l'approdo la foce del fiume Temo (allora all'altezza di Terrìdi), riparata dalle mareggiate dall'Isola Rossa, e dal maestrale dal colle di Sa Sea. Forse proprio lì, o secondo l'ipotesi maggiormente accettata nella vallata di Messerchimbe, più all'interno e sulla sponda sinistra del fiume, svilupparono un centro abitato. Qualche studioso (Antonietta Boninu, Marcello Madau), in base alla conformazione del luogo, sostiene che in età cartaginese il sito urbano fosse bensì all'altezza diMesserchimbe, ma sulla riva destra, mentre sull'altra sponda si sarebbero concentrate l'area sacra e la necropoli. In tal caso si potrebbe pensare a uno sdoppiamento e a una progressiva traslazione dell'abitato in età bizantina, con un nuovo agglomerato formatosi intorno alla cattedrale, sul sito della vecchia necropoli: nel caso di Bosa appunto a Messerchimbe, dove i dati archeologici testimoniano un centro altomedioevale, e dove sarebbe sorta in seguito la cattedrale di San Pietro. In età romana la città, che in un primo tempo pare aver mantenuto l'ordinamento punico, con la magistratura dei suffeti, divenne, forse dalla prima età imperiale, un municipio con un proprio ordine di decurioni. Attraversata dalla strada costiera occidentale, che superava il Temo a Pont'ezzu, Bosa era collegata direttamente a sud con Cornus (presso il comune di Cuglieri) ed a nord con Carbia (Nostra Signora di Calvia, località situata alla periferia sud diAlghero). Del porto di Terrìdi restano ancora tracce di bitte per l’attracco delle barche.


    Medioevo

    In età bizantina, come si è detto, l'abitato era posto con sicurezza sulla riva sinistra del Temo, presso il luogo della chiesa di San Pietro extra muros. La città subì per tutto il medioevo le scorrerie degli Arabi. Tuttavia non perse la sua importanza: fu capoluogo della Curatoria di Planargia, nel Giudicato di Logudoro e sede vescovile. In un periodo compreso tra il sesto e il settimo decennio del Mille ed il 1073 si provvide alla costruzione della chiesa cattedrale dedicata a San Pietro. Le date vengono fornite da due documenti epigrafici presenti nella chiesa: il primo è rappresentato da un'iscrizione incisa sul concio di una lesena absidale che, secondo una recente rilettura operata dallo studioso Giuseppe Piras, attesta l'atto di consacrazione e posa della prima pietra dell'edificio romanico celebrato dal vescovo Costantino de Castra (in passato il titulus veniva erroneamente riferito all'attività di un presunto architetto di nome Sisinius Etra); il secondo è costituito da un'epigrafe, collocata nella navata centrale, che ricorda l'anno di ultimazione dei lavori promossi dal vescovo, il 1073 appunto. La decisione di Costantino de Castra (primo vescovo di Bosa di cui si abbia notizia) di intitolare a San Pietro la cattedrale bosana può essere forse intesa come segno di schieramento dalla parte del pontefice romano dopo lo scisma ortodosso del 1054: infatti Costantino de Castra, come sappiamo da una lettera del 1073 del Papa Gregorio VII, fu impegnato personalmente nella propaganda cattolica presso i Giudici della Sardegna e nello stesso anno ricevette da Gregorio VII la nomina ad arcivescovo di Torres. Con l'edificazione[8] del castello dei Malaspina sul colle di Serravalle, due chilometri più a valle e sulla riva destra del fiume, si pensa che la popolazione abbia cominciato gradualmente a trasferirsi sulle pendici dell'altura, che garantiva una maggior protezione contro le incursioni arabe, finché nella zona di Calamedanon restò solo la cattedrale di San Pietro.



    Periodo aragonese e spagnolo



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    Il Castello Malaspina sovrasta il Colle di Serravalle e il rione di "Sa Costa", la città vecchia di Bosa. In basso a destra il rione "Santa Cadrina".


    Nel1297 ilPapa Bonifacio VIII istituì il Regno di Sardegna e Corsica, che concesse al re Giacomo II di Aragona. I Malaspina, temendo l'invasione aragonese, potenziarono il castello con una torre maestra che ricorda quelle cagliaritane dell'Elefante e di San Pancrazio (1305 e 1307), costruite da Giovanni Capula, il quale aveva forse edificato anche quella bosana (1300). Tuttavia il 2 novembre 1308 Moruello, Corrado e Franceschino Malaspina cedettero il castello di Bosa a Giacomo II. Negli anni successivi la famiglia lunense dovette nondimeno mantenere i propri diritti sul castello, se una cronaca sarda del Quattrocento sostiene che nel 1317essa lo cedette al Giudicato d'Arborea. Ad ogni modo, a seguito dell'alleanza tra l'Arborea e l'Aragona, Pietro Ortis prese possesso del castello di Bosa per conto dell'infante Alfonso d'Aragona, col consenso degli Arborensi. I Malaspina uscirono però definitivamente dalla storia bosana solo quando l'11 giugno 1326 Azzo e Giovanni delegarono il fratello Federico nelle trattative col re d'Aragona per la cessione di Bosa e della Curatoria di Planargia. Passarono solo due anni, e il 1 maggio 1328 Alfonso il Benigno, re d'Aragona, concesse in feudo il castello al giudice arborense Ugone II de Bas-Serra: la città e il suo territorio entrarono allora a far parte delle terre extra iudicatum dell'Arborea. Il figlio di Ugone, Mariano IV, ruppe però l'alleanza con gli Aragonesi, e nel suo tentativo di unificare la Sardegna sotto di sé fece imprigionare, nel dicembre del 1349, il fratello Giovanni, Signore di Bosa dal 1335, e fedele alla vecchia alleanza. Il castello di Bosa era una roccaforte di grande importanza strategica per il controllo della Sardegna, e tanto Mariano quanto Pietro IV il Cerimonioso, desiderosi di impossessarsene, cercarono di farselo cedere dalla moglie di Giovanni, la catalana Sibilla di Moncada; ma ella tirò per le lunghe le trattative, finché il 20 giugno 1352 Mariano lo prese con la forza. Bosa fu quindi sotto il controllo dei giudici d'Arborea Ugone III (1376-'83), edEleonora (1383-1404), che ne fecero la loro roccaforte nella guerra contro gli Aragonesi; alle trattative di pace tra Eleonora e Giovanni I di Aragona, il 24 gennaio1388, la città inviò il proprio podestà con centouno rappresentanti che firmarono gli atti, separatamente dal castellano e dai funzionari e rappresentanti feudali. L'esistenza a quel tempo di un'organizzazione comunale, oltre che da questo fatto, è dimostrata dai quattro capitoli degli statuti di Bosa citati in un atto notarile seicentesco. La città era dunque divisa tra la parte di pertinenza del castello, e quindi soggetta al feudatario (che si suole oggi identificare, pur senza vere prove, col quartiere di Sa Costa, privo di chiese perché avrebbe fatto capo a quella del castello), e il libero comune (identificato oggi col quartiere di Sa Piatta), retto dagli statuti. La guerra però riprese, e quando gli Aragonesi il 30 giugno 1409sconfissero il nuovo Giudice Guglielmo III di Narbona-Bas a Sanluri, il Giudicato d'Arborea, ultimo dei regni sardi indipendenti, cessò di esistere, e l'anno successivo Bosa passò definitivamente sotto il controllo della Corona d'Aragona. Poco dopo la conquista aragonese, il 15 giugno 1413, Bosa e la Planargia furono unite al patrimonio regio, e la città, riconosciuti privilegi e consuetudini, fu organizzata come un comune catalano. L'organo cittadino era il consiglio generale, col potere di deliberare, dal quale erano scelti i cinque consiglieri, uno per ogni classe di censo, che formavano l'organo esecutivo; il primo consigliere rivestiva la funzione di sindaco, e rappresentava la città. D'altra parte il castello era tenuto da un capitano o castellano, di nomina regia, che curava la difesa; il re nominava anche il doganiere o maggiore del porto, il mostazzaffo (ufficiale incaricato di sorvegliare il commercio), e il podestà, che amministrava la giustizia e controllava per conto della corona l'operato dei consiglieri. Alle dipendenze del consiglio era poi l'ufficiale che governava la Planargia. In teoria tutte le cariche dovevano essere ricoperte da Sardi nativi o residenti a Bosa o nella Planargia; ma sebbene questo diritto fosse stato ribadito più volte, di fatto venne spesso calpestato. Tra la città e il castello la convivenza non fu pacifica, e al parlamento sardo del 1421 i sindaci Nicolò de Balbo e Giacomo de Milia ottennero dal re la destituzione del castellano Pietro di San Giovanni.

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    Torre costiera di Bosa Marina




    Sotto il regno di Giovanni II d'Aragona a Bosa funzionò anche una zecca, che emetteva monete di mistura del valore di un minuto, destinate a una circolazione locale. Qualcuna di esse si conseva tuttora. Il 23 settembre 1468 il castellano di Bosa, Giovanni di Villamarina, capitano generale della flotta reale, ottenne infeudo perpetuo (secundum morem Italie) la città, il castello e la Planargia di Bosa (con le ville di Suni, Sagama, Tresnuraghes, Sindia, Magomadas, Tinnura eModolo), di cui divenne barone. Il Villamarina tuttavia prestò omaggio alla città e ne mantenne sostanzialmente le istituzioni. In questi tempi Bosa si trovò ad avere il singolare privilegio di partecipare a tutti i tre stamenti del parlamento sardo, attraverso il feudatario (braccio militare), il vescovo (braccio ecclesiastico) e i delegati dei cittadini (braccio reale). Nel 1478 il castello di Serravalle vide la fine delle ultime speranze di indipendenza dei Sardi, quando il marchese di Oristano, Leonardo Alagòn, vinto a Macomer, trovò in città l'ultimo rifugio, prima di essere catturato da una nave spagnola, mentre fuggiva per mare verso Genova. Ereditata da Bernardo di Villamarina il 24 dicembre 1479 alla morte del padre, Bosa ottenne sempre maggiori privilegii commerciali, spesso ai danni della vicina e rivaleAlghero, che ne fecero una città prospera. Il 30 settembre 1499 una prammatica diFerdinando il Cattolico la inserì tra le città reali, concedendole i privilegii connessi a tale titolo; essa restò tuttavia infeudata ai Villamarina, di cui anzi il 18 luglio 1502divenne possedimento allodiale. La fioritura continuò anche sotto la figlia di Bernardo, Isabella, che la resse tra il 1515/18 e il 1559, facendole guadagnare terreno nei mercati dell'isola anche su Oristano. Ma proprio allora l'economia bosana doveva subire un duro colpo. Nel 1527, durante la guerra tra la Francia diFrancesco I e l'Impero di Carlo V, mentre i lanzichenecchi saccheggiavano Roma, i Francesi contesero alla corona di Spagna il possesso della Sardegna. Entrati aSassari alla fine di dicembre, la saccheggiarono, incutendo terrore nelle altre città sarde. I Bosani, per impedire un assalto della flotta francese comandata da Andrea Doria, reagirono l'anno successivo ostruendo con dei massi la foce del Temo, forse a S'Istagnone, determinando però in questo modo il rapido decadimento del porto, e l'inizio di un lungo periodo di straripamenti del Temo che resero l'ambiente malsano. Da allora le imbarcazioni presero ad attraccare all'Isola Rossa. Morta senza eredi Isabella di Villamarina, il re Filippo II di Spagna sequestrò il territorio riunendolo al patrimonio regio. Da allora Bosa divenne a tutti gli effetti una città regia, cessando di essere sotto un'autorità feudale. Nel 1565, per ordine del re, e su richiesta dello stamento militare, vennero tradotti in lingua catalana gli Statuti di Bosa, originariamente in lingua sarda e, in altre versioni, in italiano.
    Probabilmente intorno al 1580, nell'ambito del progetto di fortificazione delle coste sarde, fu costruita la torre dell'Isola Rossa, già citata dal Fara nella sua Corografia della Sardegna. Dal 1583 l'amministrazione di essa fu demandata ad un alcalde, che vi risiedeva insieme alla sua guarnigione composta da un artigliere e quattro soldati. Il 1591 fu per la cultura bosana un anno straordinario. In quell'anno infatti fu consacrato vescovo Giovanni Francesco Fara, il padre della storiografia sarda. Egli diresse la chiesa bosana soltanto per sei mesi, durante i quali visitò tutte le parrocchie; ma subito convocò il sinodo diocesano (10-12 giugno 1591), e con le sue costituzioni riorganizzò la diocesi secondo i canoni tridentini. Con tutta probabilità si deve a lui la costituzione dell'archivio diocesano e l'avvio della redazione dei cinque libri, il cui documento più antico conservato oggi è del 1594. All'interessamento del Fara dovette probabilmente la libertà e la possibilità di uscire di prigione il poeta bosano Pietro Delitala, uno tra i primi autori sardi ad usare nella sua opera la lingua italiana. Dal carcere indirizzò alcuni sonetti di supplica al vescovo, e da altre liriche si evince che nel 1590 era tornato in libertà. Trascorse i suoi ultimi anni a Bosa, dove prese moglie ed ebbe cinque figli, fu podestà della città e Cavaliere nello Stamento Militare del Parlamento del Regno di Sardegna. A Bosa operava già dal 1569 come canonico della cattedrale ancheGerolamo Araolla, il maggiore poeta in lingua sarda dell'età spagnola, che vi compose le sue opere (Sa vida, su martiriu et morte dessos gloriosos martires Gavinu, Brothu et Gianuariu, e Rimas diversas spirituales), e fu forse anche alcaide del castello di Serravalle nella prima decade del Seicento. Il periodo postridentino vide anche l'arrivo a Bosa dei Cappuccini, che vi edificarono il loro convento (1609); e la fondazione delle confraternite della S. Croce e del Rosario, e dei gremii dei sarti e calzolai e dei fabbri. Il nuovo secolo fu però un periodo di grande decadenza, come per tutti i dominii spagnoli, anche per Bosa. Apertosi con la grave inondazione del 1606, funestato dalla peste (1652-'56), da un violento incendio (1663), dalla grande carestia del 1680, dalle continue incursioni ottomanee dalla forte recessione economica, vide precipitare la popolazione dai circa 9000 abitanti del 1609 ai 4372 del 1627, ridotti ancora a 2023 nel 1688. Non dovette giovare molto la concessione dello statuto di porto franco da parte del re Filippo IV, nel 1626. Poco dopo, nel 1629, con la concessione della Planargia in feudo a don Antonio Brondo, Bosa perdeva anche i contributi in grano dell'entroterra. Tuttavia verso la fine del secolo, in seguito a vari passaggi di mano del feudo che, poverissimo e spopolato, era caduto nel disinteresse dei suoi signori, la città ne riprese di fatto il controllo.

    Periodo sabaudo

    Passata con l'intera Sardegna agli Asburgo nel 1714, quindi ai Savoia nel 1718-'20, la città riacquistò via via una certa importanza: già nel 1721 le barche coralline napoletane furono autorizzate a far quarantena anche nel porto di Bosa, e di conseguenza fu inaugurato un lazzaretto a S. Giusta. La popolazione era andata in quegli anni progressivamente aumentando, tanto che dai 3335 abitanti del 1698, si era giunti nel 1728 a 3885, e nel 1751 a 4609. Nel 1750 Carlo Emanuele IIIautorizzò un gruppo di coloni provenienti dalla Morea a insediarsi su una parte del territorio di Bosa: fu così fondato il paese di S. Cristoforo, in seguito chiamatoMontresta. Gli immigrati, però, furono insediati in territori fino ad allora usati dai pastori bosani: non ebbero perciò vita facile, e furono oggetto dell'aperta ostilità della città, spesso sfociata in fatti di sangue, cosicché un secolo dopo, secondo l'Angius, delle famiglie greche restavano due soli membri. Interessante per questo periodo è la relazione nel 1770 della visita che il Viceré Vittorio Ludovico Des Hayes compì anche a Bosa: venne segnalato lo stato d'abbandono degli uffici ed in particolare degli archivi. Il 4 maggio 1807 Bosa divenne capoluogo di provincia per un decreto del re Vittorio Emanuele I e nel 1848, in seguito all'abolizione delle province, fu incluso nella divisione amministrativa di Nuoro. Nel 1859 le province furono ripristinate e Bosa entrò a far parte della Provincia di Sassari fino a quando nel 1927, istituita la Provincia di Nuoro, venne accorpata a questa.


    Dall'unità d'Italia ad oggi

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    La popolazione passò via via dai 5.600 abitanti del1821 ai 6.260 del 1844, ai 6.403 del 1861, ai 6.696 del 1881, ai 6.846 del1901. Si sviluppò tuttavia l'attività della concia delle pelli (sulla sinistra delTemo, negli edifici noti come sas Conzas), mentre le vecchie mura vennero abbattute e già alla metà del XIX secolo la città si ampliò verso il mare, secondo le indicazioni del piano d'ornato di Pietro Cadolini (1867). Il rinnovamento delle vecchie infrastrutture, come il ponte sul Temo (1871), e le nuove costruzioni, quali l'acquedotto (1877) e la rete fognaria, che posero rimedio all'ambiente insalubre della città, o la strada ferrata a scartamento ridotto per Macomer, segnarono un risveglio che soltanto dopo la grande guerra conobbe un sensibile rallentamento. Nel 1869, dopo decenni di richieste, si cercò di ridar vita anche al porto, ormai scomparso da più di trecento anni, congiungendo l'Isola Rossa alla terraferma, senza però che si ottenessero risultati apprezzabili. Le opere pubbliche di questi anni diedero al centro un aspetto dignitoso ancora oggi pienamente fruibile; tuttavia per il comune di allora, accanto al miglioramento delle condizioni di vita, significarono anche un forte indebitamento, che con gli anni, sommandosi alla pressione fiscale voluta dal ministero, diede origine a una rivolta popolare (14 aprile1889). La popolazione conobbe un'evoluzione relativamente modesta anche nel corso del Novecento (8.632 abitanti nel 1971, ma 7.935 nel 2001) ed è proprio grazie a questa sua scarsa vitalità che Bosa ha potuto mantenere una fisionomia storica sconosciuta in molti altri centri della Sardegna. Negli ultimi decenni l'espansione urbana ha portato al congiungimento del centro alla marina, con interventi edilizi come due nuovi ponti, il primo all'altezza di Terrìdi (anni ottanta) e il secondo (esclusivamente pedonale) presso il centro storico (anno 2000), che hanno almeno in parte alterato il sapore tradizionale del suo ambiente. Oggi per di più, anche in seguito all'apertura della litoranea per Alghero, la città è avviata verso un rilancio turistico, che se rappresenta un'opportunità economica per gli abitanti, rischia di compromettere definitivamente il suo carattere. Nel maggio 2005, in attuazione della Legge Regionale di riforma delle circoscrizioni provinciali della Sardegna, il comune di Bosa è passato dalla Provincia di Nuoro alla Provincia di Oristano.


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    La via principale

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    Monumenti

    Architetture religiose



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    La Concattedrale dell'Immacolata Concezione, sorta su una preesistente costruzione risalente al XII secolo, più volte rimaneggiata in epoca successiva, è intitolata alla Madonna Immacolata. Venne realizzata a partire dal 1803, quando il Capitolo vescovile ne affidava il rifacimento al capomastro locale Salvatore Are al quale, in un secondo tempo si affiancherà il sassarese Ramelli. Il nuovo edificio venne solennemente consacrato –a cantiere ancora aperto– dal vescovo monsignor Murro nel luglio 1809, mentre per il completamento dei lavori si dovette attendere l’anno successivo. L’edificio è costituito da un’ampia navata voltata a botte in cui si aprono quattro cappelle sul lato sinistro e tre sul destro. L’ampio presbiterio rialzato è coperto da unacupola impostata su tamburo ottagonale. All’ingresso, a destra, si apre il cosiddetto Cappellone, che si presenta come un edificio autonomo dotato di altari e di un presbiterio rialzato coperto da una cupola. Sotto l’egida delvescovo Eugenio Cano, negli anni settanta dell’Ottocento, la cattedrale fu oggetto di interventi di abbellimento, che vanno dalle decorazioni pittoriche, realizzate dal parmense Emilio Scherer, al rifacimento dell’organo –originariamente costruito dal lucchese Giuseppe Crudeli nel 1810 e del quale si conserva la cassa neoclassica– operato nel 1875 dai fabbricanti modenesi Tommaso Piacentini e Antonio Battani di Frassinoro (Modena).

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    La Chiesa di Nostra Signora de Sos Regnos Altos, antica cappella palatina del castello di Bosa, presenta al suo interno un ciclo di affreschi del XIV secolo.

    Più che sotto il profilo architettonico, la chiesa di Nostra Signora de sos Regnos Altos suscita interesse per lo straordinario ciclo di affreschi trecenteschi, emerso al suo interno.
    La cronologia della cappella è incerta: non si è ancora riusciti a stabilire se questa sia stata costruita prima del castello e poi restaurata o se fosse successiva alla struttura fortificata.
    Nei registri catastali la prima intitolazione della chiesa era a Sant'Andrea apostolo e solo intorno alla fine del XIX secolo ha assunto il nome odierno.
    Non si hanno menzioni della struttura originaria dell'edificio, che nei secoli ha subito interventi pesanti; oggi si presenta come una chiesa ad aula unica, dove la zona presbiteriale è stata interamente rifatta. Gli studi più recenti hanno comunque proposto una datazione dell'edificio al XII secolo e una serie di interventi successivi nel corso del XIV.
    Fra questi interventi vi è anche la realizzazione del ciclo di affreschi che si può ammirare in tre delle quattro pareti della chiesa. Questi si collocano in controfacciata e nei due lati lunghi e sono stati pesantemente mutilati dalla ricostruzione dell'abside, in periodo non documentato. Anche la datazione degli affreschi, come della chiesa, ha creato non pochi problemi agli studiosi, che sono arrivati a collocarli addirittura nel XV secolo; oggi si ritiene che questi siano stati realizzati nel XIV secolo, presumibilmente da un pittore di origine toscana.

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    La Chiesa di San Pietro Extra Muros, antica chiesa romanica lungo le sponde del fiume Temo, a breve distanza dal centro abitato.
    Ex cattedrale di Bosa, la chiesa di S. Pietro è uno dei più antichi monumenti romanici esistenti in Sardegna. La sua vicenda costruttiva si svolge in almeno tre fasi, tra la metà dell'XI sec. Al periodo 1062-1073 risale il corpo principale di gusto romanico- lombardo, attribuito al costruttore Sisinnio e al vescovo Costantino De Castra, come risulta dalla lapide esistente nelle chiesa. Questa parte comprende i pilastri centrali,parte del lato nord-orientale in calcare con le piccole volte a crociera delle navatelle. Ai primi del XII sec. vennero edificati l'abside, il tozzo campanile a canna quadrata che probabilmente in origine non svolgeva neppure la funzione di torre campanaria. La terza fase costruttiva, risalente all'ultimo decennio del secolo successivo, comprende invece il prospetto e una parte del lato nord- occidentale. Attualmente la chiesa si presenta a tre navate divise da pilastri rettangolari con tetto centrale a capriate, volte a crociera delle piccole navate, l' abside che comprende l'intero presbiterio che ha forma semicircolare. Lo stile è quello gotico Francese riportato dai Cistercensi che possedevano nella zona numerose basiliche.

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    La chiesa di S.Antonio si trova all’ingresso di Bosa, in prossimità del Ponte Vecchio. Quando venne edificata, nel XVI secolo, si trovava al di fuori delle mura cittadine, vicino alla porta del ponte e per questo motivo veniva denominata S. Anton de Pont.

    La chiesa è composta da una sola navata voltata a crociera come il presbiterio ed è divisa in quattro campate da robusti pilastri. Bellissimi sono i capitelli dell’arco trionfale che separa il presbiterio dalla navata. Questi sono caratterizzati da decorazioni vegetali e presentano sul lato destro lo stemma degli Aragona e sul lato sinistro l’impresa del popolo di Sardegna con il Moro bendato. Vicino all’altare sono di grande pregio un’ancona lignea, intagliata e dorata e la statua del Santo, entrambe risalenti al XVII secolo. Alla parete è appeso un Cristo gotico.
    La facciata, in trachite rossa, è in stile gotico - catalano e risale al XVI secolo: il prospetto, cuspidato e concluso da archetti pensili a tutto sesto, è aperto in un rosoncino modanato ed in un portale ad arco inflesso gigliato. A destra sorge un modesto campanile di epoca più recente.
    Attualmente la chiesa viene aperta al culto solo dall’inizio della tredicina fino al 17 Gennaio in occasione della festa di S. Antonio abate. Nei due giorni del festeggiamento si allestiscono le bancarelle per la vendita di prodotti tipici e viene acceso un suggestivo falò sulla sponda sinistra del Temo. In questa occasione si possono vedere alcune persone, ancora legate alle tradizioni, compiere, secondo l’usanza, tre giri a destra e tre a sinistra, attorno al fuoco per scongiurare il mal di pancia. Il giorno seguente vengono consegnate “sas palzidas de drigu”, il pane di grano benedetto durante la messa.


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    La Chiesa di Santa Maria del Mare


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    La Chiesa di Santa Croce


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    Il Convento dei Cappuccini


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    L'Oratorio del Rosario

    La chiesa, ubicata nel Corso V. Emanuele, la principale strada del centro storico, è edificata, per quanto riguarda il prospetto, secondo lo stile barocco della facciata del Carmine di cui riprende il fastigio semplificandolo e modificandolo nella sommità con una slanciata struttura campanaria sotto la quale è ospitato, dal 1875, l'orologio pubblico con mensola in aggetto. A forme del tardo Rinascimento rimanda il portale d'ingresso, fiancheggiato da colonne a sezione quadrata e sormontato da un timpano curvilineo spezzato; semplice l'interno ad un'unica navata con quattro nicchie in semplice stucco, sicuramente successive alla costruzione originaria dell'Oratorio.


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    La Chiesa ed il Convento del Carmine

    I carmelitani, che da secoli occupavano il monastero di S. Antonio extra muros oggi distrutto, ottennero nel 1606 l'autorizzazione a trasferirsi nella vecchia chiesa di Nostra Signora del Soccorso, presso la porta di S. Giovanni; solo dopo un secolo e mezzo iniziarono però i lavori della nuova chiesa del Carmine, che furono conclusi nel 1779 e la cui consacrazione avvenne nel 1810 per opera del vescovo Gavino Murro. L'edificio è ad unica navata divisa in quattro campate da lievi sottarchi che scaricano su pilastrate, tra le quali si aprono le quattro cappelle per lato, anch'esse, come la navata, voltate a botte. Conclude l'area un alto presbiterio a pianta quadrangolare coperto da una cupola emisferica e con al centro l'altare maggiore datato al 1791. La struttura interna risente dell'influsso della chiesa del Gesù del Vignola a Roma. Il prospetto, intonacato e con membrature in trachite rossa a vista, è diviso in due ordini conclusi da un mosso frontone; il motivo del portale, sorretto da un cappello barocco misurato e armonico, entro cui è collocata l'insegna del Carmelo, si ripete ampliato nel frontespizio tutto giocato su linee concave e convesse. Degni di nota all'interno la bellissima bussola lignea e gli altari in chiaro stile barocchetto piemontese.


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    La chiesa (campestre) di Santa Giusta

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    Il fiume Temo

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    Architetture civili


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    Le vecchie concerie di Bosa, lungo la sponda Sud del fiume Temo.

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    Sa funtana manna


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    Le vecchie concerie



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    Il rione medioevale di Sa Costa


    Qui le colorate e umili case sorgono lungo vicoli che si ergono lungo le curve del colle, collegati da scalinate in trachite. Le abitazioni si presentano composte di solito da una sola stanza per piano e vani sotto roccia; due gli ingressi, uno sulla strada a valle, l’altro su quella a monte.


    Architetture militari


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    Castello di Serravalle,

    L'attuale cittadina di Bosa, con i palazzi e le chiese del centro storico, il castello e l'ex cattedrale romanica di San Pietro extra muros, le antiche concerie lungo il Temo, è uno dei luoghi fluviali di maggiore attrazione turistica in Sardegna, ricco di emergenze storico-artistiche.


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    Il suo centro storico corrisponde a Bosa "nova", rifondata sulle rive del fiume Temo in prossimità del porto fluviale. Proprio a partire dal fiume il borgo si espande fino a giungere alle pendici della collina, dove si colloca il rione sa Costa, alla cui sommità fu costruito il castello di Serravalle. Nei pressi della cattedrale di San Pietro, sulla riva opposta del Temo, si trova il nucleo di Bosa "vetus", centro originario dell'abitato di Bosa.
    A 81 metri s.l.m. si erge il castello di Serravalle. Comunemente denominato castello dei Malaspina, deve questo appellativo alla tradizione secondo cui sarebbe stato costruito nel 1112 dall'omonima famiglia di nobili toscani trapiantati nell'isola alla metà dell'XI secolo.
    L'intero complesso del castello di Serravalle occupa un ettaro, all'interno del quale si colloca il castello vero e proprio, dell'ampiezza di 2000 mq.
    La fortificazione è ancora oggetto di studi e scavi archeologici per ridefinirne chiaramente la cronologia e gli interventi. Si è soliti individuare tre fasi cronologiche distinte a partire dal primo impianto, forse nel XII secolo, a cui apparterrebbero parti del muro a nord comprendente una torre. Degli inizi del XIV secolo sarebbe la ricostruzione della torre N/E, tipologicamente assimilabile alle torri dell'Elefante e di San Pancrazio, a Cagliari, erette tra il 1305 ed il 1307. La torre è realizzata in vulcanite chiara, priva di merli, ma terminante in una serie di mensole sporgenti. Era divisa in tre piani. Successivamente sarebbe stata costruita la grande cinta di mura che include sette torri di diversa forma, cinta che oltre a difendere il castello vero e proprio racchiude anche la chiesa di Nostra Signora de Sos Regnos Altos.
    Recenti scavi rivoluzionerebbero la cronologia del sito, ascrivendo a epoca successiva alla conquista arborense la realizzazione delle strutture oggi visibili. Tuttavia è necessario attendere il completamento di questi studi per rivedere la storia del castello di Bosa, monumento complesso non solo per le stratificazioni al suo interno, ma anche per le vicende storiche che lo caratterizzarono.


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    Storia degli studi

    Gli studi sul castello di Bosa e il suo abitato sono numerosissimi, data l'importanza del sito nella storia dell'arte isolana. Si vedano il testo di Mario Pintor dal titolo "Bosa e il suo castello" (1963), la monografia a cura di Salvatorangelo Spanu dal titolo "Il castello di Bosa" (1981), così come la parte relativa a questa fortificazione inserita nel volume di Foiso Fois "Castelli della Sardegna medioevale" (1992); del 1993 è la scheda sintetica nel volume di Roberto Coroneo "Architettura romanica dalla metà del Mille al primo '300"..


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    Torre di Bosa, edificata sull'Isola Rossa al fine di contrastare e scoraggiare le incursioni dei Saraceni.

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    Torre Argentina,
    lungo la costa in direzione di Alghero. faceva parte della rete di controllo e sorveglianza contro le incursioni saracene ed è collegata visivamente con tutte le altre orri simili (ad esempio quella dell' Isola Rossa e quella di Foghe/columbargia solo per citarne alcune.


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    Musei



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    La Collezione Permanente "Pinacoteca Antonio Atza" conserva le opere pittoriche di Antonio Atza, oltre ad alcune opere di artisti con i quali lo stesso Atza ebbe rapporti di amicizia (Stanis Dessy, Giovanni Thermes e Giovanni Pisano)
    Il museo
    La Pinacoteca Atza è situata nel corso Vittorio Emanuele, di fronte alla Casa Deriu, e occupa i locali della ex Biblioteca comunale.
    Al suo interno si trova una ricca esposizione permanente che permette di conoscere le tele del pittore Antonio Atza, bosano d'adozione, e scoprire le varie fasi del suo percorso artistico.
    L'esposizione, suddivisa in varie sale, è composta da opere donate dallo stesso autore al Comune di Bosa e comprende sia alcune delle primissime esecuzioni realistiche, sia alcuni di quei dipinti "surrealisti", che lo inseriscono fra i protagonisti dell'arte sarda del dopoguerra.
    Pezzi importanti del suo percorso pittorico sono le famose "Sabbie", dipinte alla fine degli anni cinquanta, i "Blues" dei primi anni sessanta e le opere di chiara ispirazione futurista, come l'"Autoritratto" e i "Venditori di brocche".
    Uno spazio è dedicato alle opere dei vari artisti con i quali Antonio Atza aveva stretto rapporti di amicizia: Stanis Dessy, Giovanni Thermes e Giovanni Pisano.
    Perché visitarlo
    Il museo permette la conoscenza di un artista annoverato tra i maestri dell'arte sarda del secondo Novecento. I suoi quadri sono, a tutt'oggi, ricercati e ambiti dai collezionisti e dipinti di Antonio Atza sono presenti nei principali musei dell'isola.

    La Collezione etnografica Stara è una raccolta di strumenti agricoli e marinari risalenti alla fine dell'Ottocento, inizi del Novecento. È suddivisa in ventisei sezioni che trattano, ognuna, un mestiere differente

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    Il Museo Casa Deriu, ospitato in un palazzo signorile ottocentesco, conserva l'arredo originale dell'epoca ed ospita la raccolta artistica del pittore Melkiorre Melis oltre ad un allestimento per mostre temporanee.

    Il Museo è situato nel corso Vittorio Emanuele, nella zona detta "Sa Piatta", in un palazzo ottocentesco. L'edificio, su tre piani, è il risultato dell'accorpamento di più abitazioni e costituisce, con le sue volte affrescate e i suoi arredi, una bella testimonianza di abitazione borghese del centro storico bosano.
    L'esposizione è strutturata in tre ambienti tematici: una parte ospita l'allestimento di mostre temporanee sugli usi, costumi e tradizioni bosane. Un'altra parte comprende il cosiddetto piano nobile, un autentico appartamento signorile rimasto esattamente com'era nell'Ottocento.
    Il fulcro del percorso museale è la mostra permanente della produzione artistica di Melkiorre Melis. Attraverso questa collezione si ha una conoscenza della produzione del più importante ed eclettico pittore bosano, che comprende, oltre ai quadri, anche manufatti di varia ispirazione.
    Sono numerose le opere esposte, in quanto l'artista si è dedicato alla creazione di mobili, oggetti e ceramiche, e comprendono anche il periodo africano. La sua esperienza libica come direttore della Scuola di Arte e Mestieri Indigeni a Tripoli gli aveva permesso infatti di rinnovare la sua produzione sulla base di suggestioni primitiviste e delle affinità fra queste e la produzione artistica della Sardegna

    Perché è importante visitarlo

    La visita guidata permette di approfondire la conoscenza delle risorse storiche e artistiche presenti nel territorio bosano ma, soprattutto, permette di conoscere l'enorme produzione melisiana che, abbracciando le molteplici espressioni dell'arte, distinguerà il Melis dagli altri artisti sardi suoi contemporanei.


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    La spiaggia

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    Artigianato e gastronomia

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    Il filet è un merletto di grande pregio, la cui lavorazione è di antica usanza bosana. La rete venne inventata dapprima per i pescatori; le donne poi sfruttarono lo stesso punto per ricavarne un pizzo ricamando la rete al telaio.
    Il filet di Bosa, con la delicatezza dei suoi disegni più raffinati, richiama origini legate ai ginecei dei primi monasteri, alle stanze femminili del castello, agli harem delle corti saracene. Pavonesse e colombi, tralci di vite e grappoli d'uva provengono dalla simbologia religiosa dei monaci bizantini.
    Gli orafi di Bosa "sos mastros de oro", sono conosciuti anche col titolo di "ragni della filigrana, per quel loro trattare i fili d'oro e d'argento con la maestria dell'insetto acrobata".
    La lavorazione del Corallo è praticata a Bosa dal 1200, anno in cui i marsigliesi ottennero dal Vicario del re Enzo, un "privilegio" che concedeva loro libertà di pesca e franchigia in perpetuo.


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    Con l'avvento della moderna attività subacquea, i sommozzatori, veri temerari, si spingono a profondità elevate, oltre i 100 metri, per raccogliere interi cespugli di corallo.
    La lavorazione del corallo, oltre a costituire vere sculture vendute singolarmente, si integra con quella orafa, sviluppandosi in creazioni il più delle volte uniche, così come unici sono i pezzi lavorati.

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    Bosa: non solo bella da visitare per la storia e la cultura, ma anche da gustare. Profumi, colori e sapori che nascono dal connubio tra mare e terra. Famose le aragoste, uniche in tutto il bacino del Mediterraneo per la particolare pastura lungo le coste. Inoltre il suo ricco menù gastronomico di mare presenta piatti tipici come "S'Azada" piatto realizzato con "S'Iscritta" (Razza) e Gattuccio (Baldolos). Da non scordare, le salse con cui si condiscono degli abbondanti primi piatti. Le salse regina sono senza dubbio quella all'aragosta e quella ai ricci di mare. Rinomatissima La zuppa d'Astice, piatto unico che ha ricevuto grossi riconoscimenti a livello nazionale.


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    Malvasia di Bosa DOC


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    La produzione è molto limitata ma sicuramente è tra i vini più pregiati d'Italia. Per la sua particolarità può essere consumato sia giovane che invecchiato. Dal colore paglierino con riflessi verdognoli; profumo intenso e persistente di frutta matura che ricorda l'albicocca e la pesca; al gusto è amabile o dolce, morbido e suadente che lo rendono fine ed elegante. Se invecchiato ha colore giallo oro tendente all'ambrato, profumo etereo e ammandorlato; al gusto è secco, morbido e pieno con lunga persistenza gusto-olfattiva. Ottimo con i dolci oppure a fine pasto. Eccellente vino "da conversazione" e da "meditazione".

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    Spiaggia di Scivu


    Scivu

    È uno dei litorali più belli della costa, poco conosciuto e difficile da raggiungere, affascinante e suggestivo per via della natura praticamente intatta nella quale è immerso e della mancanza di qualsiasi tipo di insediamento nelle sue vicinanze.
    Una vera perla del Mediterraneo dove è ancora possibile 'udire' un assordante silenzio interrotto solo dal cupo sciabordio del mare, dai suoni dei gabbiani e dal battito del nostro cuore.

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    Il mare

    La spiaggia di Scivu, è una lunga lingua di sabbia finissima e dorata, abbracciata da alte e scure pareti di arenaria sopra le quali si insedia una fittissima macchia mediterranea il cui profumo arriva sino al mare; mare di un'impressionante trasparenza, fonde il verde smeraldo e l'azzurro più intenso.
    La spiaggia è lunga circa 3 chilometri, tagliata in due da un piccolo tratto di scogliera paradiso dei pescatori, è costituita da sabbia finissima definita 'parlante', per via del sordo rumore che si può udire camminandoci.
    L'atmosfera è splendida in qualsiasi momento della giornata, e in qualsiasi periodo, in estate come in inverno; il momento più seducente è al tramonto quando, sotto l'effetto del sole calante, la sabbia e le pareti di arenaria circostanti si tingono di rosso.

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    Servizi


    I servizi ricreativi sono limitati alla balneazione, in prossimità della spiaggia è presente un chiosco, è anche possibile affittare ombrelloni e sdraio, è presente inoltre il servizio di noleggio canoe, pattini e gommoni; da non dimenticare la costante e vigile presenza di un efficiente servizio di salvataggio.


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    Consigli

    Il mare della Costa Verde è quello tipico della parte Ovest della Sardegna, spettacolare e selvaggio, raramente molto calmo, quindi temibile e a volte ostile. Risulta evidente che nelle giornate in cui il mare è più agitato è necessaria molta attenzione e prudenza.
    Rifornimento carburante
    Nella località di Scivu non sono presenti stazioni per il rifornimento di carburante, le località più vicine con stazioni di servizio si trovano ad Arbus, Guspini e Fluminimaggiore.
    Sosta camper
    Non sono presenti aree di sosta attrezzate, ma è possibile fermarsi nell'area sterrata adibita a parcheggio della spiaggia, fronte mare, È possibile effettuare solo lo scarico acque nere, è anche possibile effettuare il carico di acqua.
    È presente un piccolo bar dove è possibile ordinare la cena; sono presenti docce a pagamento, tuttavia queste ultime notizie sono da verificare.

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    Pesca

    Per gli amanti della pesca è uno degli hot spot più rinomati in particolare per gli appassionati del surf-casting. Sono presenti quasi tutte le specie, dalla mormora all'orata, dalla spigola all'ombrina, dai pesci serra alla ricciola.
    Il fondale si presenta vario infatti sono presenti buche, canaloni, banchi di sabbia e rocce sparse; per avere dei buoni risultati è importante, quindi, individuare i canaloni e le buche.
    Le esche particolarmente utilizzate sono i bivalvi, alcuni cefalopodi, gli anellidi, i crostacei ed i granchi, per la cattura dei gronghi risulta efficace la sardina mentre il piccolo muggine vivo attira le spigole, i pesci serra e le ricciole.
    Il momento migliore per pescare è appena cessa il vento di Maestrale, sia perchè durante la sua persistenza è quasi impossibile stare sulla spiaggia, sia perchè le acque si popolano di pesci in caccia.

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    Come arrivare

    La località di Scivu è raggiungibile dalla SS 131, sia provenendo da Nord che da Sud, ed è anche raggiungibile trovandosi in Costa Verde stessa.
    Provenendo da Nord lungo la SS 131, uscendo dalla statale a Marrubiu.
    Provenendo da Sud lungo la SS 131 uscendo dalla statale a Sanluri, oppure provenendo sempre da Sud, ad esempio da Fluminimaggiore lungo la SS 126.
    Provenendo dalla Costa Verde, ad esempio dalla località di Portu Maga, percorrendo la costa verso Piscinas, attraversando la valle delle vecchie Miniere fino ad Ingurtosu, per raggiungere la SS 126.


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    fonte: lacostaverde.it
    foto web
     
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    LACONI





    Il Parco Aymerich

    Laconi è il paradiso dei botanici e riserva infinite sorprese a chi ne esplora con attenzione il territorio.
    E' una terra che annovera il più alto numero di specie di orchidea sarda: alcune di esse ne portano chiaramente il nome (ophris laconensis, orchis sarcidani).Una terra che nasconde, negli angoli meno conosciuti, rarità come la pyracanta coccinea (unico ritrovamento in Sardegna). Nel territorio sono presenti il leccio, l'olivastro, la roverella,la quercia da sughero, il bagolaro, il carrubo e le più svariate essenze mediterranee.




    All'interno del Giardino Aymerich possiamo ammirare il gigantesco cedro dell'Himalaya, il faggio Pendulo, la collectia cruciata (una pianta rara con le foglie che richiamano nella forma tanti piccoli aerei da caccia).



    Si può ammirare la magnolia grandiflora, la thuia orientalis e il taxus baccata, conosciuto come l'"Albero della Morte". Ma è all’interno del Parco che possiamo osservare le innumerevoli specie botaniche tra cui non può passare inosservato il maestoso cedro del Libano e il pino di Corsica.




    Il Parco si estende su una superficie di quasi 22 ettari e può essere suddiviso in due parti. La prima storica, nella quale insistono le architetture del castello e dove è possibile osservare le tracce di un impianto boschivo già notevole in passato (come pare suggerire un esemplare di Cedro del Libano di eccezionali dimensioni).



    La seconda corrispondeva all'area ricreativa, le cui peculiarità sono di natura ambientale: una ricca rete di sentieri attraversa il bosco di lecci, incontra spesso sorgenti e laghetti, e consente di ammirare angoli alquanto suggestivi che nel tempo hanno reso famosa quest'oasi verde. Proprio l'acqua è tra le maggiori attrazioni del Parco: abbondante in tutte le stagioni, crea atmosfere di incredibile fascino e spettacoli insoliti per una regione come la Sardegna, endemicamente arida.



    Molto bella la cascata maggiore.Di estremo interesse è inoltre la collezione di piante esotiche e di pregio che si estende su un'area cospicua del parco, opera del marchese Don Ignazio Aymerich che curò l'impianto durante la prima metà dell'800. Dal luglio del 1990 il Parco di Laconi è di proprietà della Regione Autonoma della Sardegna che l'ha acquistato dalla famiglia Aymerich. Successivamente le competenze della gestione sono state trasferite prima all'Azienda Foreste Demaniali e poi all'Ente Foreste della Sardegna.



    Il Castello medioevale



    La tradizione storica e popolare individua nell'insieme dei corpi murari ancora oggi evidenti all'interno del Parco Aymerich, i resti del castello medioevale di Laconi. Lo studio delle stratigrafie murarie ha consentito di rilevare l'opera di maestranze che hanno operato in questo sito in tempi e modi differenti.



    L'analisi denota certamente la presenza di un corpo più antico rispetto agli altri, un edificio a pianta rettangolare, forse una torre, attraversato da un passaggio monumentale con volta a botte e preceduto da un ingresso ad arco a tutto sesto che in origine immetteva in un' ampia corte.



    Sul lato destro del passaggio è murata un' epigrafe parziale su più conci, che cita la presenza di una porta e una data: 1053. L'iscrizione, pur essendo chiara nel testo, presenta notevoli problemi interpretativi sia epigrafici che archeologici e non è escluso che in origine fosse in un'altra sede, qui posta in opera quale materiale da costruzione.



    I caratteri salienti di questa architettura l'avvicinano ad altre simili restituiteci dalla prolifica arte fortificatoria romanica che in Sardegna ha trovato condizioni ideali per esprimere esempi eccezionali. Il contesto cronologico di riferimento è prossimo, viste le vicende storiche in cui si inserisce, agli inizi del XIII secolo.



    Adiacente alla porta fortificata esposta a sud-ovest, sorge il palazzo vero e proprio, un corpo murario nobile, impreziosito da porte e finestre delle quali si conservano eleganti cornici gotico-catalane, residenza dei Signori del feudo di Laconi fino alla prima metà dell'800.
    Di notevole interesse è anche il porticato che precede un vano rettangolare lungo circa 35 m, diviso in diversi ambienti e aperto sull'ampia corte.



    Diversa e più recente è la storia del Parco almeno nella configurazione attuale; tuttavia si può affermare che questa pregevole pertinenza del castello sia stata un autorevole testimone della storia moderna di Laconi.

    La casa natale di San'Ignazio da Laconi



    La prima tappa per conoscere Laconi non può che partire dalla visita alla casa natale di Sant'Ignazio da Laconi, ubicata nel centro storico. Sant’Ignazio è il Santo sardo più venerato dell’Isola e i festeggiamenti in suo onore si tengono nel mese di agosto richiamando a Laconi migliaia di visitatori.



    Per circa una settimana giungono a Laconi pellegrini da ogni parte della Sardegna e anche dall’estero per pregare nella casa natale del Santo, chiedere o ringraziare per la Sua intercessione, e per recarsi nella chiesa parrocchiale dedicata a sant'Ambrogio e (dal 1951) a sant'Ignazio . Il 31 agosto, si tiene la processione a cui partecipano migliaia di fedeli, preceduti da cavalieri in costume e da numerosi gruppi folcloristici e confraternite di varie località dell'Isola.



    Oltre ai riti religiosi che si susseguono senza soluzione di continuità per circa una settimana, l’amministrazione comunale organizza varie manifestazioni civili di intrattenimento e cultura.

    Il centro storico



    Il tessuto urbano di Laconi manifesta in modo inequivocabile la storia di questo paese.



    Il primo nucleo, arroccato ai piedi del castello, risale al medioevo: lungo le vie tortuose del centro storico si affacciano le case dal basso profilo con i muri di pietre e fango oppure, meno frequentemente, intonacate con un impasto di calce e sabbia silicea del luogo, come nei rioni di Corongiu, Romaòre, Pitziédda. Moderna invece, è la parte del borgo sorta intorno alle architetture neoclassiche del Palazzo Aymerich e della Casa Municipale, la cui facciata fu rifatta dall'Arch. Cima sul progetto originario dell'Ing. Balestri. Nel suo sviluppo urbanistico vi sono i segni di un mutamento e di una crescita del luogo; mutamento determinato anche da una più equa distribuzione delle risorse, risultato dell'affrancamento dal potere feudale di numerose famiglie di allevatori e pastori. Fino alla prima metà dell'800 Laconi aveva nel Castello e nel Parco circostante l'epicentro della vita politica, feudale ed economica.



    Soltanto la chiesa parrocchiale, intitolata ai santi Ambrogio e Ignazio, che nel prospetto frontale manifesta rifacimenti che nel tempo hanno deturpato lo spartito tardo-gotico originario, pare respirare in assoluta libertà lo spazio che di fronte ad essa si apre a occidente. E' quasi una contrapposizione, fisica e ideale, alla residenza dei feudatari, rigida e austera, topograficamente relegata ai limiti orientali del nuovo assetto urbano post-medioevale.



    Questo impianto urbanistico, così anomalo se lo si inquadra già; nel tardo medioevo, verrà superato soltanto nell'800, con la costruzione, progettata dal Cima, della nuova dimora dei Marchesi di Laconi, elegantemente prostrata alla Parrocchiale, ormai epicentrica rispetto al paese che cresceva.

     
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    Siligo


    Sìligo è un comune di 943 abitanti dell'antica regione del Meilogu in provincia di Sassari.

    La parola siligo-ginis in latino significa buone messi, da cui il nome siligo che in campo commerciale indica un tipo di "frumento di prima qualità" e il "fior di farina". Questa etimologia è stata in genere (forse erroneamente) utilizzata per risalire al nome del comune. In realtà come documentato nei condaghes e nei vari documenti fino all'epoca moderna, il nome che indica il comune è stato registrato, oltre che con il nome attuale, in diverse forme: "Siloque, Siloce, Silogi, Siloke, Silogue, Sologe, Silogne, Sologe, Diloche, Siloghe, Syloge, Siliche, Siloche, Siliguis, Siliguo, Siligue, Sjloghe, ecc."



    Storia

    Sulla cima del monte Sant'Antonio si trova un importante insediamento nuragico nonché i resti di un castello medioevale (identificato con diversi nomi fra i quali Cepola, Capula, Crastula). Il suo nome è documentato nei condaghi (dall'XI al XIII secolo) di san Nicola di Trullas e di san Michele di Salvenero, e nei vari documenti il nome è registrato in diverse forme come "Siloque, Siloghe, Syloge". In epoca moderna rimase la denominazione attuale e cioè Siligo.

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    Panorama di Siligo dai resti de su Runaghe

    A seguito dell'atto di donazione (1063) del judike di Torres Barisone I arrivarono in questo territorio un gruppo di monaci dell'abbazia di Montecassino che presero possesso della chiesetta, ubicata sul tavolato sommitale di monte Santu, intitolata ai santi Elia ed Enoch, unitamente alla basilica di Santa Maria in Bubalis, che alcuni studiosi ottocenteschi hanno creduto di poter identificare con la chiesetta di Nostra Signora de Mesumundu, quest'ultima collocata all'interno di un'area archeologica di notevole valenza.


    Monumenti e aree di interesse



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    Santuario nuragico di monte Sant'Antonio: si trova sul tavolato del monte S. Antonio;

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    Parco archeologico di Mesumundu
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    Chiesa di Nostra Signora di Mesumundu (nota anche con il nome Santa Maria di Bubalis, benché non esista nessuna fonte documentaria che possa convalidare simile identificazione), costruita in epoca bizantina (fine del VI secolo) sui resti di un edificio termale romano del II secolo d.C. e modificata dopo il 1065, secondo alcuni storici, dai monaci Benedettini di Montecassino;


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    Santi Elia ed Enoch: costruita sulla sommità del Monte Santu (Monte Santo) e modificata dopo il 1065 dai monaci Benedettini;


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    Chiesa di Santa Vittoria: è la chiesa parrocchiale fondata nell'ultimo decennio del XV secolo;

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    Oratorio di Santa Croce: l'oratorio costruito nel XVII secolo;


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    Chiesa di San Vicenzo Ferrer: la chiesa, costruita nel XVII secolo, era nelle vicinanze dell'ormai scomparso villaggio di Villanova Montesanto (Biddanoa) e ormai una chiesa campestre dove ogni anno si celebra la festa del paese.

    Architetture religiose

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    Chiesa di Sant'Antonio: sulla sommità dell'omonimo monte, attualmente ridotta in stato di rudere. È ubicata presso i resti del castello di Capula;

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    Chiesa di Santu Ortolu (San Bartolomeo): ridotta in stato di rudere si trova a pochi metri dall'omonimo nuraghe, nella regione Truviu sulla piana di Campu Lazzari;

    San Filippo (nelle campagne di Santu Filighe);

    San Pietro nella zona denominata Baccatina;
    San Leonardo (accanto ai ruderi del nuraghe de Sa Punta ‘e Mulinu);
    La chiesa di Santa Maria de Banzos (nei pressi dell'omonimo rio e vicino all'attuale cimitero), citata negli atti del processo a Julia Carta.

    Nuraghi

    Nuraghe Sambisue: località Campu Lazzari;
    Nuraghe Nuraghette: località Campu Lazzari. Un corpo circolare con affiancate due torri nuragiche;
    Nuraghe Traversa: località Sa Marghinedda. Protonuraghe. Tipo allungato costituito da un unico corridoio che attraversa la massa muraria in senso longitudinale;
    Nuraghe Crastula: località Scala Ploaghese. Monotorre;
    Nuraghe S'Iscala Chessa: località Sa Marghine. Di forma ellittica;
    Nuraghe Morette: località Morette. Costituito da scala, nicchia d'andito e camera a tholos;
    Nuraghe Truviu: località Truviu;
    Nuraghi Sa Marghine: località Sa Marghine. Si tratta di un complesso nuragico costituito da due torri distinte molto simili tra loro;
    Nuraghe Puttu Ruju: località Mesu ‘e Cantaros. Il monumento si trova nei pressi del Rio Mesu ‘e Cantaros;
    Nuraghe Tranesu: località Runaghe Tranesu. Monotorre;
    Nuraghe Santu Ortolu: località Truvìu. Nuraghe complesso con torre centrale con bastione che doveva includere almeno altre due torri. Presenza di scala elicoidale e andito; Coordinate:40°35′54″N 8°41′44″E
    Nuraghe S'Ortolu: località Badde Ortolu. Nuraghe semplice, con scala, nicchia d’andito e camera con nicchie;
    Nuraghe Santu Filighe: località Santu Filighe. Probabilmente monotorre;
    Nuraghe S'Iscala Ruja: località Piano di S'Aspru. Edificio di tipo complesso, non indagato;
    Nuraghe Caspiana: località Caspiana. Tipo complesso, con torre centrale e bastione che ingloba almeno altre due torri;

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    Nuraghe Conzattu: località S'Aspru. Nuraghe complesso, con torre centrale e bastione che sembra inglobare una seconda torre;
    Nuraghe Ponte Molinu (o Sa Rena): località Piano di S'Aspru. Nuraghe complesso. Torre centrale e camera a tholos;
    Nuraghe Arzu: località Monte Jana. L'edificio risulta per gran parte crollato e interrato;
    Nuraghe Curzu (o Sa Rocca): località Mesumundu. Bilobato;
    Nuraghe Baccattina: località Baccattina;
    Nuraghe Su Runaghe: località Su Runaghe. Attualmente dell'antico edificio resta solo la base;
    Nuraghe Littu: località Littu. Forma ellittica. Si tratta di un edificio di grandi dimensioni di cui restano solo grossi massi;
    Nuraghe Cherchizza: località sa Cherchizza. Il monumento fa parte del complesso nuragico di Monte Sant'Antonio e si trova all'estremità occidentale del vasto santuario, lungo i margini dell'altopiano;
    Nuraghe Sa Scala de La Perdischeddula: località sa Cherchizza. Monotorre a pianta circolare.


    Altri luoghi d'interesse


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    Monte Santo


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    Nel territorio comunale in località "Coas" è localizzato un Osservatorio Astronomico e dentro il paese in Piazza Maria Carta un Planetario gestito dalla Società Astronomica Turritana di Sassari.


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    Fondazione e Museo Maria Carta

    Monsignor Pietro Pintus, subito dopo la scomparsa di Maria Carta, il 24 settembre 1994 invitò i sardi che erano presenti quel giorno nella chiesa di San Carlo a Roma, a dedicarle un monumento per aver saputo testimoniare, un po’ dappertutto nel mondo, un’immagine positiva e fiera della Sardegna. Ci fu un momento di commozione anche a Siligo in quei giorni e molte persone vollero testimoniare la stima e l’affetto per Maria con la loro presenza e con messaggi di grande partecipazione.
    Maria Carta, nel corso della sua carriera di artista, ha innovato e rafforzato, nel solco della tradizione, i canti e le musiche popolari della Sardegna, favorendo la divulgazione più ampia ed il rifiorire dell’interesse verso tutte quelle espressioni della tradizione culturale sarda, i canti, le musiche, i balli, i costumi, che hanno ripreso vigore ed alimentato un confronto fra le diverse realtà regionali e fra queste e le musiche e i canti popolari delle regioni del Mediterraneo e dell’Europa.
    Maria Carta in quegli anni ha cantato e interpretato un patrimonio culturale radicato e diffuso da sempre nei paesi e fra i contadini e i pastori della Sardegna; il suo merito è stato quello di sottolinearne la ricchezza e, in momenti di forte emigrazione dalla Sardegna, di cantare con caparbietà e coraggio, con la sua voce bellissima, quel mondo di valori, il suo mondo isolano, in cui credeva. Oggi grazie anche al messaggio di Maria Carta ed all’opera di diversi grandi interpreti della tradizione musicale e canora della Sardegna, alle istituzioni, agli enti preposti alla promozione ed agli operatori del settore, grazie ad una rinnovata consapevolezza di una ricchezza di un patrimonio originale e proprio, le musiche, i canti, i balli, i costumi sono parte viva e dinamica e non secondaria della tradizione culturale della Sardegna.
    La Fondazione Maria Carta ha l’obiettivo di promuovere e valorizzare, anche al di fuori dell’isola, la musica il canto e le tradizioni popolari della Sardegna.
    Essa vuole favorire ogni iniziativa e attività che sia connessa con la tradizione popolare, studiare le trasformazioni artistiche e socioculturali, promuovere e supportare la qualità delle iniziative, essere da stimolo e punto di riferimento per tutti i soggetti protagonisti delle più genuine espressioni della tradizione sarda. A questo fine la Fondazione si avvale di un Centro Studi, di un Museo dedicato all’attività dell’artista ed opera anche attraverso un Comitato Scientifico, per consolidare e rafforzare l’ente come luogo di confronto e strumento di supporto e promozione del ricco patrimonio delle tradizioni culturali e popolari della Sardegna.


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    Si sviluppa su due livelli ed è suddiviso in cinque diverse zone tematiche, ciascuna delle quali raccoglie, grazie anche al contributo di filmati audio-video, le testimonianze della molteplice attività di Maria Carta.
    Si passa dalla zona relativa alle vicende biografiche a quella della musica, dove sono esposti anche abiti di scena indossati durante importanti concerti all’estero; la parte della poesia raccoglie, tra l’altro, manoscritti inediti, mentre in quella relativa al teatro, cinema e televisione è possibile vedere foto e filmati tratti dai suoi principali lavori.
    E’ stata anche prevista una specifica sezione relativa all’attività amministrativa svolta da Maria Carta presso il Comune di Roma in qualità di consigliere tra la fine degli anni settanta e i primi anni ottanta.


    fonte: wikipedia.org - fondazionemariacarta.it/
    foto: wikipedia.org
    - lamiasardegna.it
    - neroargento.com
    - wikimapia.org
    - leviedellasardegna.eu

     
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6 replies since 27/8/2011, 10:13   6485 views
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