SARDEGNA PARTE 3^

ORISTANO...ALGHERO..SASSARI..STINTINO E INFINE L’ASINARA..

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  1. tomiva57
     
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    BOSA


    Bosa (IPA: ['bɔza], Bosa insardo o contratto 'Osa) è un comune italiano di 8.133 abitanti della provincia di Oristano, in Sardegna. Si trova nella subregione storica della Planargia. Fino al 2005 faceva parte della provincia di Nuoroma, in seguito all'applicazione della Legge Regionale 12 luglio 2001, n. 9 è passato alla provincia di Oristano.

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    Bosa si trova adagiata nella valle del fiume Temo. È l'unico centro della Sardegna edificato accanto all'estuario di un fiume, che è navigabile con imbarcazioni a basso pescaggio per circa 5-6 chilometri. Si è sviluppato in una frazione marina (Bosa Marina), frequentata stazione balneare, presso la quale si trova un porto che include quella che un tempo era l'isola Rossa, accanto alla foce del fiume, ora congiunta alla terraferma per mezzo di bastione carrabile. Il borgo antico è in parte arroccato sulle pendici del colle di Serravalle, in cima al quale si trova il castello medievale che fu dei Malaspina.
    Tra le numerose specie viventi presenti nel mare di Bosa ve ne sono alcune meritevoli di catalogazione tra le specie poco diffuse nel Mediterraneo.Corinactis virydis, di un bel colore lilla, colonizza la sommità della secca di Su Puntillone 13km a sud di Bosa Marina. È una specie endemica dell'oceano Atlantico, poco diffusa nel Mediterraneo.


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    Tramonto

    Storia


    Le origini del nome

    Un'epigrafe fenicia (oggi perduta), databile al IX secolo a.C., documenta per la prima volta l'esistenza di un etnico collettivo Bs'n, riferito alla popolazione di questo luogo. Il nome della città fu dunque fin dall'origine Bosa, un toponimo forse mediterraneo, d'incerta etimologia. L'etnico latinobosanus è attestato ancora in un'iscrizione della prima età imperiale, e il nome di Bosa compare in questa forma inTolomeo nell'Itinerario di Antonino, nella Cosmografiadell'Anonimo ravennate, e per tutto il Medioevo.


    Preistoria e periodo romano


    Narra una leggenda che Calmedia, moglie o figlia di Sardo, giunta nella vallata attraversata dal Temo, colpita dalla bellezza dei luoghi, abbia deciso di fermarsi e di fondare una città che da lei avrebbe preso nome. La città di Calmedia, nella località oggi detta Calameda, sarebbe stata nell'antichità un fiorente centro culturale e avrebbe per secoli convissuto con la vicina Bosa, con cui si sarebbe infine confusa.
    La zona fu abitata già in epoca preistorica e protostorica, come dimostrano le numerose Domus de janas (come quelle di Coroneddu, Ispilluncas, Monte Furru,Silattari, Tentizzos) ed i nuraghi (in località Monte Furru). Nulla di certo si conosce dello stanziamento fenicio-punico. I Fenici dovettero usare per l'approdo la foce del fiume Temo (allora all'altezza di Terrìdi), riparata dalle mareggiate dall'Isola Rossa, e dal maestrale dal colle di Sa Sea. Forse proprio lì, o secondo l'ipotesi maggiormente accettata nella vallata di Messerchimbe, più all'interno e sulla sponda sinistra del fiume, svilupparono un centro abitato. Qualche studioso (Antonietta Boninu, Marcello Madau), in base alla conformazione del luogo, sostiene che in età cartaginese il sito urbano fosse bensì all'altezza diMesserchimbe, ma sulla riva destra, mentre sull'altra sponda si sarebbero concentrate l'area sacra e la necropoli. In tal caso si potrebbe pensare a uno sdoppiamento e a una progressiva traslazione dell'abitato in età bizantina, con un nuovo agglomerato formatosi intorno alla cattedrale, sul sito della vecchia necropoli: nel caso di Bosa appunto a Messerchimbe, dove i dati archeologici testimoniano un centro altomedioevale, e dove sarebbe sorta in seguito la cattedrale di San Pietro. In età romana la città, che in un primo tempo pare aver mantenuto l'ordinamento punico, con la magistratura dei suffeti, divenne, forse dalla prima età imperiale, un municipio con un proprio ordine di decurioni. Attraversata dalla strada costiera occidentale, che superava il Temo a Pont'ezzu, Bosa era collegata direttamente a sud con Cornus (presso il comune di Cuglieri) ed a nord con Carbia (Nostra Signora di Calvia, località situata alla periferia sud diAlghero). Del porto di Terrìdi restano ancora tracce di bitte per l’attracco delle barche.


    Medioevo

    In età bizantina, come si è detto, l'abitato era posto con sicurezza sulla riva sinistra del Temo, presso il luogo della chiesa di San Pietro extra muros. La città subì per tutto il medioevo le scorrerie degli Arabi. Tuttavia non perse la sua importanza: fu capoluogo della Curatoria di Planargia, nel Giudicato di Logudoro e sede vescovile. In un periodo compreso tra il sesto e il settimo decennio del Mille ed il 1073 si provvide alla costruzione della chiesa cattedrale dedicata a San Pietro. Le date vengono fornite da due documenti epigrafici presenti nella chiesa: il primo è rappresentato da un'iscrizione incisa sul concio di una lesena absidale che, secondo una recente rilettura operata dallo studioso Giuseppe Piras, attesta l'atto di consacrazione e posa della prima pietra dell'edificio romanico celebrato dal vescovo Costantino de Castra (in passato il titulus veniva erroneamente riferito all'attività di un presunto architetto di nome Sisinius Etra); il secondo è costituito da un'epigrafe, collocata nella navata centrale, che ricorda l'anno di ultimazione dei lavori promossi dal vescovo, il 1073 appunto. La decisione di Costantino de Castra (primo vescovo di Bosa di cui si abbia notizia) di intitolare a San Pietro la cattedrale bosana può essere forse intesa come segno di schieramento dalla parte del pontefice romano dopo lo scisma ortodosso del 1054: infatti Costantino de Castra, come sappiamo da una lettera del 1073 del Papa Gregorio VII, fu impegnato personalmente nella propaganda cattolica presso i Giudici della Sardegna e nello stesso anno ricevette da Gregorio VII la nomina ad arcivescovo di Torres. Con l'edificazione[8] del castello dei Malaspina sul colle di Serravalle, due chilometri più a valle e sulla riva destra del fiume, si pensa che la popolazione abbia cominciato gradualmente a trasferirsi sulle pendici dell'altura, che garantiva una maggior protezione contro le incursioni arabe, finché nella zona di Calamedanon restò solo la cattedrale di San Pietro.



    Periodo aragonese e spagnolo



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    Il Castello Malaspina sovrasta il Colle di Serravalle e il rione di "Sa Costa", la città vecchia di Bosa. In basso a destra il rione "Santa Cadrina".


    Nel1297 ilPapa Bonifacio VIII istituì il Regno di Sardegna e Corsica, che concesse al re Giacomo II di Aragona. I Malaspina, temendo l'invasione aragonese, potenziarono il castello con una torre maestra che ricorda quelle cagliaritane dell'Elefante e di San Pancrazio (1305 e 1307), costruite da Giovanni Capula, il quale aveva forse edificato anche quella bosana (1300). Tuttavia il 2 novembre 1308 Moruello, Corrado e Franceschino Malaspina cedettero il castello di Bosa a Giacomo II. Negli anni successivi la famiglia lunense dovette nondimeno mantenere i propri diritti sul castello, se una cronaca sarda del Quattrocento sostiene che nel 1317essa lo cedette al Giudicato d'Arborea. Ad ogni modo, a seguito dell'alleanza tra l'Arborea e l'Aragona, Pietro Ortis prese possesso del castello di Bosa per conto dell'infante Alfonso d'Aragona, col consenso degli Arborensi. I Malaspina uscirono però definitivamente dalla storia bosana solo quando l'11 giugno 1326 Azzo e Giovanni delegarono il fratello Federico nelle trattative col re d'Aragona per la cessione di Bosa e della Curatoria di Planargia. Passarono solo due anni, e il 1 maggio 1328 Alfonso il Benigno, re d'Aragona, concesse in feudo il castello al giudice arborense Ugone II de Bas-Serra: la città e il suo territorio entrarono allora a far parte delle terre extra iudicatum dell'Arborea. Il figlio di Ugone, Mariano IV, ruppe però l'alleanza con gli Aragonesi, e nel suo tentativo di unificare la Sardegna sotto di sé fece imprigionare, nel dicembre del 1349, il fratello Giovanni, Signore di Bosa dal 1335, e fedele alla vecchia alleanza. Il castello di Bosa era una roccaforte di grande importanza strategica per il controllo della Sardegna, e tanto Mariano quanto Pietro IV il Cerimonioso, desiderosi di impossessarsene, cercarono di farselo cedere dalla moglie di Giovanni, la catalana Sibilla di Moncada; ma ella tirò per le lunghe le trattative, finché il 20 giugno 1352 Mariano lo prese con la forza. Bosa fu quindi sotto il controllo dei giudici d'Arborea Ugone III (1376-'83), edEleonora (1383-1404), che ne fecero la loro roccaforte nella guerra contro gli Aragonesi; alle trattative di pace tra Eleonora e Giovanni I di Aragona, il 24 gennaio1388, la città inviò il proprio podestà con centouno rappresentanti che firmarono gli atti, separatamente dal castellano e dai funzionari e rappresentanti feudali. L'esistenza a quel tempo di un'organizzazione comunale, oltre che da questo fatto, è dimostrata dai quattro capitoli degli statuti di Bosa citati in un atto notarile seicentesco. La città era dunque divisa tra la parte di pertinenza del castello, e quindi soggetta al feudatario (che si suole oggi identificare, pur senza vere prove, col quartiere di Sa Costa, privo di chiese perché avrebbe fatto capo a quella del castello), e il libero comune (identificato oggi col quartiere di Sa Piatta), retto dagli statuti. La guerra però riprese, e quando gli Aragonesi il 30 giugno 1409sconfissero il nuovo Giudice Guglielmo III di Narbona-Bas a Sanluri, il Giudicato d'Arborea, ultimo dei regni sardi indipendenti, cessò di esistere, e l'anno successivo Bosa passò definitivamente sotto il controllo della Corona d'Aragona. Poco dopo la conquista aragonese, il 15 giugno 1413, Bosa e la Planargia furono unite al patrimonio regio, e la città, riconosciuti privilegi e consuetudini, fu organizzata come un comune catalano. L'organo cittadino era il consiglio generale, col potere di deliberare, dal quale erano scelti i cinque consiglieri, uno per ogni classe di censo, che formavano l'organo esecutivo; il primo consigliere rivestiva la funzione di sindaco, e rappresentava la città. D'altra parte il castello era tenuto da un capitano o castellano, di nomina regia, che curava la difesa; il re nominava anche il doganiere o maggiore del porto, il mostazzaffo (ufficiale incaricato di sorvegliare il commercio), e il podestà, che amministrava la giustizia e controllava per conto della corona l'operato dei consiglieri. Alle dipendenze del consiglio era poi l'ufficiale che governava la Planargia. In teoria tutte le cariche dovevano essere ricoperte da Sardi nativi o residenti a Bosa o nella Planargia; ma sebbene questo diritto fosse stato ribadito più volte, di fatto venne spesso calpestato. Tra la città e il castello la convivenza non fu pacifica, e al parlamento sardo del 1421 i sindaci Nicolò de Balbo e Giacomo de Milia ottennero dal re la destituzione del castellano Pietro di San Giovanni.

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    Torre costiera di Bosa Marina




    Sotto il regno di Giovanni II d'Aragona a Bosa funzionò anche una zecca, che emetteva monete di mistura del valore di un minuto, destinate a una circolazione locale. Qualcuna di esse si conseva tuttora. Il 23 settembre 1468 il castellano di Bosa, Giovanni di Villamarina, capitano generale della flotta reale, ottenne infeudo perpetuo (secundum morem Italie) la città, il castello e la Planargia di Bosa (con le ville di Suni, Sagama, Tresnuraghes, Sindia, Magomadas, Tinnura eModolo), di cui divenne barone. Il Villamarina tuttavia prestò omaggio alla città e ne mantenne sostanzialmente le istituzioni. In questi tempi Bosa si trovò ad avere il singolare privilegio di partecipare a tutti i tre stamenti del parlamento sardo, attraverso il feudatario (braccio militare), il vescovo (braccio ecclesiastico) e i delegati dei cittadini (braccio reale). Nel 1478 il castello di Serravalle vide la fine delle ultime speranze di indipendenza dei Sardi, quando il marchese di Oristano, Leonardo Alagòn, vinto a Macomer, trovò in città l'ultimo rifugio, prima di essere catturato da una nave spagnola, mentre fuggiva per mare verso Genova. Ereditata da Bernardo di Villamarina il 24 dicembre 1479 alla morte del padre, Bosa ottenne sempre maggiori privilegii commerciali, spesso ai danni della vicina e rivaleAlghero, che ne fecero una città prospera. Il 30 settembre 1499 una prammatica diFerdinando il Cattolico la inserì tra le città reali, concedendole i privilegii connessi a tale titolo; essa restò tuttavia infeudata ai Villamarina, di cui anzi il 18 luglio 1502divenne possedimento allodiale. La fioritura continuò anche sotto la figlia di Bernardo, Isabella, che la resse tra il 1515/18 e il 1559, facendole guadagnare terreno nei mercati dell'isola anche su Oristano. Ma proprio allora l'economia bosana doveva subire un duro colpo. Nel 1527, durante la guerra tra la Francia diFrancesco I e l'Impero di Carlo V, mentre i lanzichenecchi saccheggiavano Roma, i Francesi contesero alla corona di Spagna il possesso della Sardegna. Entrati aSassari alla fine di dicembre, la saccheggiarono, incutendo terrore nelle altre città sarde. I Bosani, per impedire un assalto della flotta francese comandata da Andrea Doria, reagirono l'anno successivo ostruendo con dei massi la foce del Temo, forse a S'Istagnone, determinando però in questo modo il rapido decadimento del porto, e l'inizio di un lungo periodo di straripamenti del Temo che resero l'ambiente malsano. Da allora le imbarcazioni presero ad attraccare all'Isola Rossa. Morta senza eredi Isabella di Villamarina, il re Filippo II di Spagna sequestrò il territorio riunendolo al patrimonio regio. Da allora Bosa divenne a tutti gli effetti una città regia, cessando di essere sotto un'autorità feudale. Nel 1565, per ordine del re, e su richiesta dello stamento militare, vennero tradotti in lingua catalana gli Statuti di Bosa, originariamente in lingua sarda e, in altre versioni, in italiano.
    Probabilmente intorno al 1580, nell'ambito del progetto di fortificazione delle coste sarde, fu costruita la torre dell'Isola Rossa, già citata dal Fara nella sua Corografia della Sardegna. Dal 1583 l'amministrazione di essa fu demandata ad un alcalde, che vi risiedeva insieme alla sua guarnigione composta da un artigliere e quattro soldati. Il 1591 fu per la cultura bosana un anno straordinario. In quell'anno infatti fu consacrato vescovo Giovanni Francesco Fara, il padre della storiografia sarda. Egli diresse la chiesa bosana soltanto per sei mesi, durante i quali visitò tutte le parrocchie; ma subito convocò il sinodo diocesano (10-12 giugno 1591), e con le sue costituzioni riorganizzò la diocesi secondo i canoni tridentini. Con tutta probabilità si deve a lui la costituzione dell'archivio diocesano e l'avvio della redazione dei cinque libri, il cui documento più antico conservato oggi è del 1594. All'interessamento del Fara dovette probabilmente la libertà e la possibilità di uscire di prigione il poeta bosano Pietro Delitala, uno tra i primi autori sardi ad usare nella sua opera la lingua italiana. Dal carcere indirizzò alcuni sonetti di supplica al vescovo, e da altre liriche si evince che nel 1590 era tornato in libertà. Trascorse i suoi ultimi anni a Bosa, dove prese moglie ed ebbe cinque figli, fu podestà della città e Cavaliere nello Stamento Militare del Parlamento del Regno di Sardegna. A Bosa operava già dal 1569 come canonico della cattedrale ancheGerolamo Araolla, il maggiore poeta in lingua sarda dell'età spagnola, che vi compose le sue opere (Sa vida, su martiriu et morte dessos gloriosos martires Gavinu, Brothu et Gianuariu, e Rimas diversas spirituales), e fu forse anche alcaide del castello di Serravalle nella prima decade del Seicento. Il periodo postridentino vide anche l'arrivo a Bosa dei Cappuccini, che vi edificarono il loro convento (1609); e la fondazione delle confraternite della S. Croce e del Rosario, e dei gremii dei sarti e calzolai e dei fabbri. Il nuovo secolo fu però un periodo di grande decadenza, come per tutti i dominii spagnoli, anche per Bosa. Apertosi con la grave inondazione del 1606, funestato dalla peste (1652-'56), da un violento incendio (1663), dalla grande carestia del 1680, dalle continue incursioni ottomanee dalla forte recessione economica, vide precipitare la popolazione dai circa 9000 abitanti del 1609 ai 4372 del 1627, ridotti ancora a 2023 nel 1688. Non dovette giovare molto la concessione dello statuto di porto franco da parte del re Filippo IV, nel 1626. Poco dopo, nel 1629, con la concessione della Planargia in feudo a don Antonio Brondo, Bosa perdeva anche i contributi in grano dell'entroterra. Tuttavia verso la fine del secolo, in seguito a vari passaggi di mano del feudo che, poverissimo e spopolato, era caduto nel disinteresse dei suoi signori, la città ne riprese di fatto il controllo.

    Periodo sabaudo

    Passata con l'intera Sardegna agli Asburgo nel 1714, quindi ai Savoia nel 1718-'20, la città riacquistò via via una certa importanza: già nel 1721 le barche coralline napoletane furono autorizzate a far quarantena anche nel porto di Bosa, e di conseguenza fu inaugurato un lazzaretto a S. Giusta. La popolazione era andata in quegli anni progressivamente aumentando, tanto che dai 3335 abitanti del 1698, si era giunti nel 1728 a 3885, e nel 1751 a 4609. Nel 1750 Carlo Emanuele IIIautorizzò un gruppo di coloni provenienti dalla Morea a insediarsi su una parte del territorio di Bosa: fu così fondato il paese di S. Cristoforo, in seguito chiamatoMontresta. Gli immigrati, però, furono insediati in territori fino ad allora usati dai pastori bosani: non ebbero perciò vita facile, e furono oggetto dell'aperta ostilità della città, spesso sfociata in fatti di sangue, cosicché un secolo dopo, secondo l'Angius, delle famiglie greche restavano due soli membri. Interessante per questo periodo è la relazione nel 1770 della visita che il Viceré Vittorio Ludovico Des Hayes compì anche a Bosa: venne segnalato lo stato d'abbandono degli uffici ed in particolare degli archivi. Il 4 maggio 1807 Bosa divenne capoluogo di provincia per un decreto del re Vittorio Emanuele I e nel 1848, in seguito all'abolizione delle province, fu incluso nella divisione amministrativa di Nuoro. Nel 1859 le province furono ripristinate e Bosa entrò a far parte della Provincia di Sassari fino a quando nel 1927, istituita la Provincia di Nuoro, venne accorpata a questa.


    Dall'unità d'Italia ad oggi

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    La popolazione passò via via dai 5.600 abitanti del1821 ai 6.260 del 1844, ai 6.403 del 1861, ai 6.696 del 1881, ai 6.846 del1901. Si sviluppò tuttavia l'attività della concia delle pelli (sulla sinistra delTemo, negli edifici noti come sas Conzas), mentre le vecchie mura vennero abbattute e già alla metà del XIX secolo la città si ampliò verso il mare, secondo le indicazioni del piano d'ornato di Pietro Cadolini (1867). Il rinnovamento delle vecchie infrastrutture, come il ponte sul Temo (1871), e le nuove costruzioni, quali l'acquedotto (1877) e la rete fognaria, che posero rimedio all'ambiente insalubre della città, o la strada ferrata a scartamento ridotto per Macomer, segnarono un risveglio che soltanto dopo la grande guerra conobbe un sensibile rallentamento. Nel 1869, dopo decenni di richieste, si cercò di ridar vita anche al porto, ormai scomparso da più di trecento anni, congiungendo l'Isola Rossa alla terraferma, senza però che si ottenessero risultati apprezzabili. Le opere pubbliche di questi anni diedero al centro un aspetto dignitoso ancora oggi pienamente fruibile; tuttavia per il comune di allora, accanto al miglioramento delle condizioni di vita, significarono anche un forte indebitamento, che con gli anni, sommandosi alla pressione fiscale voluta dal ministero, diede origine a una rivolta popolare (14 aprile1889). La popolazione conobbe un'evoluzione relativamente modesta anche nel corso del Novecento (8.632 abitanti nel 1971, ma 7.935 nel 2001) ed è proprio grazie a questa sua scarsa vitalità che Bosa ha potuto mantenere una fisionomia storica sconosciuta in molti altri centri della Sardegna. Negli ultimi decenni l'espansione urbana ha portato al congiungimento del centro alla marina, con interventi edilizi come due nuovi ponti, il primo all'altezza di Terrìdi (anni ottanta) e il secondo (esclusivamente pedonale) presso il centro storico (anno 2000), che hanno almeno in parte alterato il sapore tradizionale del suo ambiente. Oggi per di più, anche in seguito all'apertura della litoranea per Alghero, la città è avviata verso un rilancio turistico, che se rappresenta un'opportunità economica per gli abitanti, rischia di compromettere definitivamente il suo carattere. Nel maggio 2005, in attuazione della Legge Regionale di riforma delle circoscrizioni provinciali della Sardegna, il comune di Bosa è passato dalla Provincia di Nuoro alla Provincia di Oristano.


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    La via principale

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    Monumenti

    Architetture religiose



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    La Concattedrale dell'Immacolata Concezione, sorta su una preesistente costruzione risalente al XII secolo, più volte rimaneggiata in epoca successiva, è intitolata alla Madonna Immacolata. Venne realizzata a partire dal 1803, quando il Capitolo vescovile ne affidava il rifacimento al capomastro locale Salvatore Are al quale, in un secondo tempo si affiancherà il sassarese Ramelli. Il nuovo edificio venne solennemente consacrato –a cantiere ancora aperto– dal vescovo monsignor Murro nel luglio 1809, mentre per il completamento dei lavori si dovette attendere l’anno successivo. L’edificio è costituito da un’ampia navata voltata a botte in cui si aprono quattro cappelle sul lato sinistro e tre sul destro. L’ampio presbiterio rialzato è coperto da unacupola impostata su tamburo ottagonale. All’ingresso, a destra, si apre il cosiddetto Cappellone, che si presenta come un edificio autonomo dotato di altari e di un presbiterio rialzato coperto da una cupola. Sotto l’egida delvescovo Eugenio Cano, negli anni settanta dell’Ottocento, la cattedrale fu oggetto di interventi di abbellimento, che vanno dalle decorazioni pittoriche, realizzate dal parmense Emilio Scherer, al rifacimento dell’organo –originariamente costruito dal lucchese Giuseppe Crudeli nel 1810 e del quale si conserva la cassa neoclassica– operato nel 1875 dai fabbricanti modenesi Tommaso Piacentini e Antonio Battani di Frassinoro (Modena).

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    La Chiesa di Nostra Signora de Sos Regnos Altos, antica cappella palatina del castello di Bosa, presenta al suo interno un ciclo di affreschi del XIV secolo.

    Più che sotto il profilo architettonico, la chiesa di Nostra Signora de sos Regnos Altos suscita interesse per lo straordinario ciclo di affreschi trecenteschi, emerso al suo interno.
    La cronologia della cappella è incerta: non si è ancora riusciti a stabilire se questa sia stata costruita prima del castello e poi restaurata o se fosse successiva alla struttura fortificata.
    Nei registri catastali la prima intitolazione della chiesa era a Sant'Andrea apostolo e solo intorno alla fine del XIX secolo ha assunto il nome odierno.
    Non si hanno menzioni della struttura originaria dell'edificio, che nei secoli ha subito interventi pesanti; oggi si presenta come una chiesa ad aula unica, dove la zona presbiteriale è stata interamente rifatta. Gli studi più recenti hanno comunque proposto una datazione dell'edificio al XII secolo e una serie di interventi successivi nel corso del XIV.
    Fra questi interventi vi è anche la realizzazione del ciclo di affreschi che si può ammirare in tre delle quattro pareti della chiesa. Questi si collocano in controfacciata e nei due lati lunghi e sono stati pesantemente mutilati dalla ricostruzione dell'abside, in periodo non documentato. Anche la datazione degli affreschi, come della chiesa, ha creato non pochi problemi agli studiosi, che sono arrivati a collocarli addirittura nel XV secolo; oggi si ritiene che questi siano stati realizzati nel XIV secolo, presumibilmente da un pittore di origine toscana.

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    La Chiesa di San Pietro Extra Muros, antica chiesa romanica lungo le sponde del fiume Temo, a breve distanza dal centro abitato.
    Ex cattedrale di Bosa, la chiesa di S. Pietro è uno dei più antichi monumenti romanici esistenti in Sardegna. La sua vicenda costruttiva si svolge in almeno tre fasi, tra la metà dell'XI sec. Al periodo 1062-1073 risale il corpo principale di gusto romanico- lombardo, attribuito al costruttore Sisinnio e al vescovo Costantino De Castra, come risulta dalla lapide esistente nelle chiesa. Questa parte comprende i pilastri centrali,parte del lato nord-orientale in calcare con le piccole volte a crociera delle navatelle. Ai primi del XII sec. vennero edificati l'abside, il tozzo campanile a canna quadrata che probabilmente in origine non svolgeva neppure la funzione di torre campanaria. La terza fase costruttiva, risalente all'ultimo decennio del secolo successivo, comprende invece il prospetto e una parte del lato nord- occidentale. Attualmente la chiesa si presenta a tre navate divise da pilastri rettangolari con tetto centrale a capriate, volte a crociera delle piccole navate, l' abside che comprende l'intero presbiterio che ha forma semicircolare. Lo stile è quello gotico Francese riportato dai Cistercensi che possedevano nella zona numerose basiliche.

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    La chiesa di S.Antonio si trova all’ingresso di Bosa, in prossimità del Ponte Vecchio. Quando venne edificata, nel XVI secolo, si trovava al di fuori delle mura cittadine, vicino alla porta del ponte e per questo motivo veniva denominata S. Anton de Pont.

    La chiesa è composta da una sola navata voltata a crociera come il presbiterio ed è divisa in quattro campate da robusti pilastri. Bellissimi sono i capitelli dell’arco trionfale che separa il presbiterio dalla navata. Questi sono caratterizzati da decorazioni vegetali e presentano sul lato destro lo stemma degli Aragona e sul lato sinistro l’impresa del popolo di Sardegna con il Moro bendato. Vicino all’altare sono di grande pregio un’ancona lignea, intagliata e dorata e la statua del Santo, entrambe risalenti al XVII secolo. Alla parete è appeso un Cristo gotico.
    La facciata, in trachite rossa, è in stile gotico - catalano e risale al XVI secolo: il prospetto, cuspidato e concluso da archetti pensili a tutto sesto, è aperto in un rosoncino modanato ed in un portale ad arco inflesso gigliato. A destra sorge un modesto campanile di epoca più recente.
    Attualmente la chiesa viene aperta al culto solo dall’inizio della tredicina fino al 17 Gennaio in occasione della festa di S. Antonio abate. Nei due giorni del festeggiamento si allestiscono le bancarelle per la vendita di prodotti tipici e viene acceso un suggestivo falò sulla sponda sinistra del Temo. In questa occasione si possono vedere alcune persone, ancora legate alle tradizioni, compiere, secondo l’usanza, tre giri a destra e tre a sinistra, attorno al fuoco per scongiurare il mal di pancia. Il giorno seguente vengono consegnate “sas palzidas de drigu”, il pane di grano benedetto durante la messa.


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    La Chiesa di Santa Maria del Mare


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    La Chiesa di Santa Croce


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    Il Convento dei Cappuccini


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    L'Oratorio del Rosario

    La chiesa, ubicata nel Corso V. Emanuele, la principale strada del centro storico, è edificata, per quanto riguarda il prospetto, secondo lo stile barocco della facciata del Carmine di cui riprende il fastigio semplificandolo e modificandolo nella sommità con una slanciata struttura campanaria sotto la quale è ospitato, dal 1875, l'orologio pubblico con mensola in aggetto. A forme del tardo Rinascimento rimanda il portale d'ingresso, fiancheggiato da colonne a sezione quadrata e sormontato da un timpano curvilineo spezzato; semplice l'interno ad un'unica navata con quattro nicchie in semplice stucco, sicuramente successive alla costruzione originaria dell'Oratorio.


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    La Chiesa ed il Convento del Carmine

    I carmelitani, che da secoli occupavano il monastero di S. Antonio extra muros oggi distrutto, ottennero nel 1606 l'autorizzazione a trasferirsi nella vecchia chiesa di Nostra Signora del Soccorso, presso la porta di S. Giovanni; solo dopo un secolo e mezzo iniziarono però i lavori della nuova chiesa del Carmine, che furono conclusi nel 1779 e la cui consacrazione avvenne nel 1810 per opera del vescovo Gavino Murro. L'edificio è ad unica navata divisa in quattro campate da lievi sottarchi che scaricano su pilastrate, tra le quali si aprono le quattro cappelle per lato, anch'esse, come la navata, voltate a botte. Conclude l'area un alto presbiterio a pianta quadrangolare coperto da una cupola emisferica e con al centro l'altare maggiore datato al 1791. La struttura interna risente dell'influsso della chiesa del Gesù del Vignola a Roma. Il prospetto, intonacato e con membrature in trachite rossa a vista, è diviso in due ordini conclusi da un mosso frontone; il motivo del portale, sorretto da un cappello barocco misurato e armonico, entro cui è collocata l'insegna del Carmelo, si ripete ampliato nel frontespizio tutto giocato su linee concave e convesse. Degni di nota all'interno la bellissima bussola lignea e gli altari in chiaro stile barocchetto piemontese.


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    La chiesa (campestre) di Santa Giusta

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    Il fiume Temo

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    Architetture civili


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    Le vecchie concerie di Bosa, lungo la sponda Sud del fiume Temo.

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    Sa funtana manna


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    Le vecchie concerie



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    Il rione medioevale di Sa Costa


    Qui le colorate e umili case sorgono lungo vicoli che si ergono lungo le curve del colle, collegati da scalinate in trachite. Le abitazioni si presentano composte di solito da una sola stanza per piano e vani sotto roccia; due gli ingressi, uno sulla strada a valle, l’altro su quella a monte.


    Architetture militari


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    Castello di Serravalle,

    L'attuale cittadina di Bosa, con i palazzi e le chiese del centro storico, il castello e l'ex cattedrale romanica di San Pietro extra muros, le antiche concerie lungo il Temo, è uno dei luoghi fluviali di maggiore attrazione turistica in Sardegna, ricco di emergenze storico-artistiche.


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    Il suo centro storico corrisponde a Bosa "nova", rifondata sulle rive del fiume Temo in prossimità del porto fluviale. Proprio a partire dal fiume il borgo si espande fino a giungere alle pendici della collina, dove si colloca il rione sa Costa, alla cui sommità fu costruito il castello di Serravalle. Nei pressi della cattedrale di San Pietro, sulla riva opposta del Temo, si trova il nucleo di Bosa "vetus", centro originario dell'abitato di Bosa.
    A 81 metri s.l.m. si erge il castello di Serravalle. Comunemente denominato castello dei Malaspina, deve questo appellativo alla tradizione secondo cui sarebbe stato costruito nel 1112 dall'omonima famiglia di nobili toscani trapiantati nell'isola alla metà dell'XI secolo.
    L'intero complesso del castello di Serravalle occupa un ettaro, all'interno del quale si colloca il castello vero e proprio, dell'ampiezza di 2000 mq.
    La fortificazione è ancora oggetto di studi e scavi archeologici per ridefinirne chiaramente la cronologia e gli interventi. Si è soliti individuare tre fasi cronologiche distinte a partire dal primo impianto, forse nel XII secolo, a cui apparterrebbero parti del muro a nord comprendente una torre. Degli inizi del XIV secolo sarebbe la ricostruzione della torre N/E, tipologicamente assimilabile alle torri dell'Elefante e di San Pancrazio, a Cagliari, erette tra il 1305 ed il 1307. La torre è realizzata in vulcanite chiara, priva di merli, ma terminante in una serie di mensole sporgenti. Era divisa in tre piani. Successivamente sarebbe stata costruita la grande cinta di mura che include sette torri di diversa forma, cinta che oltre a difendere il castello vero e proprio racchiude anche la chiesa di Nostra Signora de Sos Regnos Altos.
    Recenti scavi rivoluzionerebbero la cronologia del sito, ascrivendo a epoca successiva alla conquista arborense la realizzazione delle strutture oggi visibili. Tuttavia è necessario attendere il completamento di questi studi per rivedere la storia del castello di Bosa, monumento complesso non solo per le stratificazioni al suo interno, ma anche per le vicende storiche che lo caratterizzarono.


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    Storia degli studi

    Gli studi sul castello di Bosa e il suo abitato sono numerosissimi, data l'importanza del sito nella storia dell'arte isolana. Si vedano il testo di Mario Pintor dal titolo "Bosa e il suo castello" (1963), la monografia a cura di Salvatorangelo Spanu dal titolo "Il castello di Bosa" (1981), così come la parte relativa a questa fortificazione inserita nel volume di Foiso Fois "Castelli della Sardegna medioevale" (1992); del 1993 è la scheda sintetica nel volume di Roberto Coroneo "Architettura romanica dalla metà del Mille al primo '300"..


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    Torre di Bosa, edificata sull'Isola Rossa al fine di contrastare e scoraggiare le incursioni dei Saraceni.

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    Torre Argentina,
    lungo la costa in direzione di Alghero. faceva parte della rete di controllo e sorveglianza contro le incursioni saracene ed è collegata visivamente con tutte le altre orri simili (ad esempio quella dell' Isola Rossa e quella di Foghe/columbargia solo per citarne alcune.


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    Musei



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    La Collezione Permanente "Pinacoteca Antonio Atza" conserva le opere pittoriche di Antonio Atza, oltre ad alcune opere di artisti con i quali lo stesso Atza ebbe rapporti di amicizia (Stanis Dessy, Giovanni Thermes e Giovanni Pisano)
    Il museo
    La Pinacoteca Atza è situata nel corso Vittorio Emanuele, di fronte alla Casa Deriu, e occupa i locali della ex Biblioteca comunale.
    Al suo interno si trova una ricca esposizione permanente che permette di conoscere le tele del pittore Antonio Atza, bosano d'adozione, e scoprire le varie fasi del suo percorso artistico.
    L'esposizione, suddivisa in varie sale, è composta da opere donate dallo stesso autore al Comune di Bosa e comprende sia alcune delle primissime esecuzioni realistiche, sia alcuni di quei dipinti "surrealisti", che lo inseriscono fra i protagonisti dell'arte sarda del dopoguerra.
    Pezzi importanti del suo percorso pittorico sono le famose "Sabbie", dipinte alla fine degli anni cinquanta, i "Blues" dei primi anni sessanta e le opere di chiara ispirazione futurista, come l'"Autoritratto" e i "Venditori di brocche".
    Uno spazio è dedicato alle opere dei vari artisti con i quali Antonio Atza aveva stretto rapporti di amicizia: Stanis Dessy, Giovanni Thermes e Giovanni Pisano.
    Perché visitarlo
    Il museo permette la conoscenza di un artista annoverato tra i maestri dell'arte sarda del secondo Novecento. I suoi quadri sono, a tutt'oggi, ricercati e ambiti dai collezionisti e dipinti di Antonio Atza sono presenti nei principali musei dell'isola.

    La Collezione etnografica Stara è una raccolta di strumenti agricoli e marinari risalenti alla fine dell'Ottocento, inizi del Novecento. È suddivisa in ventisei sezioni che trattano, ognuna, un mestiere differente

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    Il Museo Casa Deriu, ospitato in un palazzo signorile ottocentesco, conserva l'arredo originale dell'epoca ed ospita la raccolta artistica del pittore Melkiorre Melis oltre ad un allestimento per mostre temporanee.

    Il Museo è situato nel corso Vittorio Emanuele, nella zona detta "Sa Piatta", in un palazzo ottocentesco. L'edificio, su tre piani, è il risultato dell'accorpamento di più abitazioni e costituisce, con le sue volte affrescate e i suoi arredi, una bella testimonianza di abitazione borghese del centro storico bosano.
    L'esposizione è strutturata in tre ambienti tematici: una parte ospita l'allestimento di mostre temporanee sugli usi, costumi e tradizioni bosane. Un'altra parte comprende il cosiddetto piano nobile, un autentico appartamento signorile rimasto esattamente com'era nell'Ottocento.
    Il fulcro del percorso museale è la mostra permanente della produzione artistica di Melkiorre Melis. Attraverso questa collezione si ha una conoscenza della produzione del più importante ed eclettico pittore bosano, che comprende, oltre ai quadri, anche manufatti di varia ispirazione.
    Sono numerose le opere esposte, in quanto l'artista si è dedicato alla creazione di mobili, oggetti e ceramiche, e comprendono anche il periodo africano. La sua esperienza libica come direttore della Scuola di Arte e Mestieri Indigeni a Tripoli gli aveva permesso infatti di rinnovare la sua produzione sulla base di suggestioni primitiviste e delle affinità fra queste e la produzione artistica della Sardegna

    Perché è importante visitarlo

    La visita guidata permette di approfondire la conoscenza delle risorse storiche e artistiche presenti nel territorio bosano ma, soprattutto, permette di conoscere l'enorme produzione melisiana che, abbracciando le molteplici espressioni dell'arte, distinguerà il Melis dagli altri artisti sardi suoi contemporanei.


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    La spiaggia

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    Artigianato e gastronomia

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    Il filet è un merletto di grande pregio, la cui lavorazione è di antica usanza bosana. La rete venne inventata dapprima per i pescatori; le donne poi sfruttarono lo stesso punto per ricavarne un pizzo ricamando la rete al telaio.
    Il filet di Bosa, con la delicatezza dei suoi disegni più raffinati, richiama origini legate ai ginecei dei primi monasteri, alle stanze femminili del castello, agli harem delle corti saracene. Pavonesse e colombi, tralci di vite e grappoli d'uva provengono dalla simbologia religiosa dei monaci bizantini.
    Gli orafi di Bosa "sos mastros de oro", sono conosciuti anche col titolo di "ragni della filigrana, per quel loro trattare i fili d'oro e d'argento con la maestria dell'insetto acrobata".
    La lavorazione del Corallo è praticata a Bosa dal 1200, anno in cui i marsigliesi ottennero dal Vicario del re Enzo, un "privilegio" che concedeva loro libertà di pesca e franchigia in perpetuo.


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    Con l'avvento della moderna attività subacquea, i sommozzatori, veri temerari, si spingono a profondità elevate, oltre i 100 metri, per raccogliere interi cespugli di corallo.
    La lavorazione del corallo, oltre a costituire vere sculture vendute singolarmente, si integra con quella orafa, sviluppandosi in creazioni il più delle volte uniche, così come unici sono i pezzi lavorati.

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    Bosa: non solo bella da visitare per la storia e la cultura, ma anche da gustare. Profumi, colori e sapori che nascono dal connubio tra mare e terra. Famose le aragoste, uniche in tutto il bacino del Mediterraneo per la particolare pastura lungo le coste. Inoltre il suo ricco menù gastronomico di mare presenta piatti tipici come "S'Azada" piatto realizzato con "S'Iscritta" (Razza) e Gattuccio (Baldolos). Da non scordare, le salse con cui si condiscono degli abbondanti primi piatti. Le salse regina sono senza dubbio quella all'aragosta e quella ai ricci di mare. Rinomatissima La zuppa d'Astice, piatto unico che ha ricevuto grossi riconoscimenti a livello nazionale.


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    Malvasia di Bosa DOC


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    La produzione è molto limitata ma sicuramente è tra i vini più pregiati d'Italia. Per la sua particolarità può essere consumato sia giovane che invecchiato. Dal colore paglierino con riflessi verdognoli; profumo intenso e persistente di frutta matura che ricorda l'albicocca e la pesca; al gusto è amabile o dolce, morbido e suadente che lo rendono fine ed elegante. Se invecchiato ha colore giallo oro tendente all'ambrato, profumo etereo e ammandorlato; al gusto è secco, morbido e pieno con lunga persistenza gusto-olfattiva. Ottimo con i dolci oppure a fine pasto. Eccellente vino "da conversazione" e da "meditazione".

    malvasia

    piaceri248


     
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6 replies since 27/8/2011, 10:13   6486 views
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