SICILIA PARTE 4^

RAGUSA..MODICA..CALTANISETTA

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    BUONGIORNO ISOLA FELICE ... BUON RISVEGLIO A TUTTI


    “ ... Sabato ... il fine settimana inizia mentre voliamo verso ovest e risaliamo leggermente verso Nord all’interno della Sicilia.. dopo Siracusa la nostra mongolfiera fa rotta verso l’entroterra siciliano ... terre bagnate da un sole che illumina ma non brucia e regala colori d’orati alle cose che i suoi raggi toccano ... la Sicilia ci regala ad ogni passo ricordi dei popoli che la hanno prima conquistata, poi vissuta ed infine amata ... viaggiare all’interno di questi luoghi regala viaggi nel tempo senza fine ... mi piace il dialetto che risuona in questa terra ... è una nenia, un madrigale che accompagna i silenzi dando loro spessore, colore e musica.. Anche oggi, nel darvi il Buon risveglio, mi piace accompagnarlo con alcuni versi scritti con l’idioma del luogo..chiudo gli occhi e mi lascio cullare da questi suoni, che ogni attimo di più prendono la forma delle parole per diventare infine carezze...Vinticeddi amurusi carizzanu rappa 'i racina, fatica 'i viddanu sutta un suli liuni, 'nta stu paisi vasatu 'i ddu' mari. Un ciascu 'i vinu teni allegru un cuntu d'amuri luntanu 'nto cori 'j 'n omu. Riordi 'i jurnati ricchi a Pachinu, quannu 'u travagghiu cantava a ciumi 'i racina 'a gioia 'i picciotti ca nun parteru 'e negghi ddo' nord...

    (Claudio)



    LA TERRA IBLEA..ULISSE..RAGUSA..MODICA..CALTANISETTA..PER FINIRE A MUSSOMELI LA TERRA DI MANFREDI..



    “Il paesaggio Ibleo è pietra di dorato calcare, forte e tenero compatto e poroso, ora inciso profondamente nelle "cave" degli insediamenti rupestri, ora strappato con fatica alla terra ed utilizzato per "scrivere" lungo valli ed altipiani, con muri, bagli, cisterne, aie, case, ballatoi, chiese e palazzi, la vita e la storia…. la pietra grigioazzurra dei muri a secco ornati di fregi e blasoni delle ville signorili …La pietra e gli alberi, soprattutto i sempreverdi carrubi, gli argentei ulivi, le tenere viti ed i solitari palmizi ripetono, in vasti orizzonti, un gioco di forme.. Il protagonismo della campagna iblea è custodito dalle sue "pietre vissute", che narrano le tracce di possedimenti gattopardescamente frantumati o le dimore rurali di piccoli e medi proprietari … Anche la costa iblea, compresa tra il torrente Dirillo ed il canale del Pantano Longarini, riserva continua affinità di luce e di colore, di sangue e di pietra. Rugosi scogli, coperti di ciuffi di palme nane e di filari di agave, vegliano su vasti e fuggenti arenili, cospirando a tessere le maglie del mito e della storia….. Da porto Ulisse a Kamarina, da Pozzallo a Marina di Ragusa ed a Scoglitti si snoda il lungo percorso delle vicende marinare….non solo il mare e la campagna compongono le sorprendenti peculiarità paesistiche e culturali dell’area iblea. Anche i centri urbani, testimoni del leggendario prestigio dei Conti Modica, esibiscono le particolarità costruttive ed architettoniche di questa area, ridisegnata dopo il "terribile" evento sismico del 1693….. “



    “……Narra la leggenda che Ulisse sbarcò anche nella terra Iblea a Marina di Ispica, in quel luogo che oggi si chiama Porto di Ulisse. Il grande Ercole, invece, sfiorò con le sue mani liberatrici, la colonia greca più orgogliosa della Sicilia, la città di Kamarina che riporta la sua effigie nelle monete dell’epoca. Ma la storia della provincia di Ragusa affonda le sue radici nella notte dei tempi….con i primi insediamenti preistorici di 60 mila anni fa, testimoniati dai resti delle grotte di Fontana Nuova, questa isola dentro l’isola doveva avere le sembianze di una estesa foresta di lecci, querce e macchia mediterranea, ricca di animali anche molto grandi e magari, come sostiene il mito, abitata dai Feaci e Lotofagi…..Poi 3300 anni fa, i Siculi, il più antico popolo che diede il nome alla Sicilia, crearono le città fortificate di Motyche e Hybla Heraia, le attuali Modica e Ragusa, di Sicli e Geretanum, oggi Scicli e Giarratana. Ma la vera storia della Sicilia inizia con la colonizzazione Greca e la nascita di Kamarina diviene a pieno titolo la pietra miliare della storia arcaica iblea. La città Corinzia venne distrutta più volte, a causa della sua ribellione a Siracusa in nome della libertà alla quale sacrificò sangue e vite umane. Kamarina fu dedicata ad Athena Ergane, la protettrice del lavoro femminile, in onore della quale fu eretto il tempio….Quando la Sicilia divenne Provincia Romana, Ragusa e Modica furono classificate "decumane", obbligate cioè a pagare a Roma la decima parte dei raccolti….. Bizantini, Arabi, Normanni, Svevi e Angioini: furono i popoli che dopo i Romani lasciarono le loro tracce …..Dagli Arabi, gli Iblei ereditarono le nuove tecniche e le colture, con i Normanni consolidarono invece il Feudalesimo. Il popolo riuscì sempre a conservare, un dominio dopo l’altro, la sua integrità e l’armonia dei costumi sino a rinascere con un’unica coscienza civile, sotto la dinastia dei Chiaramonte . L’episodio decisivo che determinò questa unità fu il matrimonio del Conte di Ragusa, Manfredi Chiaramonte, con Isabella Mosca, sorella del Conte di Modica. Le nozze permisero l’unificazione delle due contee. “Grandi non furono, ma potenti, splendidi", scrisse di loro lo storico ibleo Raffaele Solarino. Pur nel loro essere avventurieri e talvolta spregiudicati, il popolo amò la stirpe dei Chiaramonte che si dice fossero discendenti dal grande imperatore di Francia, Carlo Magno…Nel 1392 ai Chiaramonte successero i Cabrera, fedeli servitori della casa reale di Sicilia eppur meno amati dal popolo. Ciò nonostante uno di loro, Bernardo Cabrera, ebbe la felice idea di spezzettare i grandi latifondi e di concedere ai contadini, in enfiteusi, i piccoli terreni. La leggenda dipinge Bernardo come un uomo ostinato, che non sopportò il rifiuto alla sua richiesta di nozze da Bianca di Navarra…Il tremendo terremoto del 1693, fu un destino intriso di morte per le gravissime perdite umane, ma per i posteri è stato anche simbolo fulgido di vita, grazie alla splendida rinascita che determinò nelle città di Ragusa, Modica, e in tutti gli altri centri minori. Quella tragedia, produsse accanto alle macerie .. lo slancio edilizio del barocco della Sicilia Orientale .. La ribellione della natura scosse ancora alle fondamenta la contea. Come nel passato divenne terra di conquista e luogo di passaggio da una casa regnante ad un’altra. Dagli spagnoli finì nelle mani dei Savoia che riuscirono a tenerla a bada solo per pochi anni sino al subentrare del regime borbonico….Proclamato il regno delle due Sicilie, con la caduta di Napoleone., Ferdinando di Borbone, nel 1816, divise la Sicilia in sette province e la contea venne così inglobata in quella di Siracusa.”



    “Furono i massari a trovare nel lavoro della terra e nella loro operosità, la forza per superare la crisi post borbonica... Anche nella seconda guerra mondiale i frutti della terra, le arance e le carrubbe, salvarono dalla fame la popolazione rurale. Via via che si accentuò il risveglio delle masse, andò acuendosi lo scontro di classe….La storia degli anni ’50 viene attraversata da un movimento rinnovatore e dalla esigenza di attuare la riforma agraria, per la rimodulazione dell’assetto proprietario….La masseria è la tipica fattoria ragusana, a conduzione familiare, di cui il territorio ragusano è ricco; è il luogo in cui le tradizioni locali si tramandano di generazione in generazione ed è da sempre stata luogo di produzione ma soprattutto il focolare domestico. La famiglia seduta intorno ad un braciere, la caratteristica conca , si riuniva e i nonni raccontavano le favole, "i cunta" , ai nipotini. Nelle tavole erano presenti cibi poveri ma genuini "I causunieddi, i "manichi ri fauci" e i"u' maccu" una zuppa di fave tipicamente ragusana”



    “Ragusa è il capoluogo di provincia più a sud d'Italia, e fa parte dei pochi capoluoghi ad oltre 500 metri di altezza. Ha un comune vastissimo che parte dal mare e arriva ad altezze collinari elevate…. Il territorio ibleo è prevalentemente collinare, formato da grandi altipiani e vallate. Su uno di questi altipiani, il “Patro”, sorge la città. Il territorio è prevalentemente calcareo…dalla pietra calcarea che abbonda nell’intero territorio, nascono i muri a secco, che delimitano le chiuse e che creano un grande effetto paesaggistico. In passato l’intero territorio di Ragusa era ricoperto di vegetazione mediterranea… Il fiume più importante di Ragusa è l’Irminio, un tempo navigabile, come si evince da antichi documenti arabi…sbarrato da una diga…. ha dato luogo a un lago artificiale di S.Rosalia che si trova a metà tra il territorio di Ragusa e quello di Giarratana…. Il quartiere più antico, Ibla, sorge in basso, sulle rovine della mitica Hybla Heraìa, fondata dai siculi migliaia di anni prima di Cristo, e conserva una struttura urbanistica tipicamente medievale e barocca. Ragusa Superiore è invece settecentesca. I due nuclei della città sono messi in collegamento attraverso i quattro ponti della Valle dei Ponti, un burrone profondo attraversato appunto da essi…… Il Palazzo Bertini di Ragusa fu edificato alla fine del settecento, a seguito dell'abbassamento della sede stradale subì delle sostanziali modifiche. I balconi dell'attuale piano ammezzato erano infatti a livello della strada e costituivano gli ingressi dei locali….questi originari ingressi sono oggi la caratteristica principale del palazzo, grazie a tre "mascheroni" raffiguranti un mendicante, un nobile e un uomo dell'oriente….il Duomo di S. Giorgio, in Piazza Duomo, nella parte antica della città , ed è una delle più belle chiese barocche della Sicilia…. notevole la cupola in stile neoclassico, alta 43 m…..Il Museo Archeologico è situato invece a Ragusa superiore..la Cattedrale S. Giovanni Battista con un ‘ampia facciata in stile barocco, con tre portali, di cui quello centrale ornato da tre statue rappresentanti l’Immacolata, il Battista e San Giovanni Evangelista, e da un orologio solare….il Giardino Ibleo….si trova nella parte bassa di Ibla,…al suo interno .. la chiesa di S. Domenico e la Chiesa di S. Giacomo, del XIV sec., che presenta un campanile con le sculture di S. Giovanni Evangelista e di S. Giacomo raffigurato mentre combatte contro i musulmani….Il castello di Donnafugata…a pochi chilometri da Ragusa…. una grande villa, che occupa con el sue 122 stanze ..la facciata principale e’ ornata da una bellissima loggia in stile gotico-veneziano.”


    "Modica. Città nobile, opulenta e popolosa, capo dell'antica ed amplissima Contea". La descrizione ottocentesca, appartiene allo storico ed ecclesiasta Vito Amico, ed elegantemente racchiude l'importanza economica, politica e culturale di una città, le cui radici sembrano affondare in tempi e circostanze remote e non sempre chiare… "Motyca" abitata dai Siculi attorno all'ottavo secolo a.C., all'epoca delle colonie greche in Sicilia; lo storico Carrafa (XVIII sec.) narrò di monete trovate nel territorio medicano, su cui era leggibile in lettere greche la parola "Motayon"….le denominazioni della città nel corso dei secoli, "Motica, Motuca, Mohac, ecc". ..Tracce più chiare si hanno di una dominazione di Roma e di una dominazione araba, che nell'845 conquistò il castello di "Mudiqah"..i Normanni nell'XI sec "cacciarono" i mussulmani..introducendo il culto di San Giorgio, cui Ruggero di Hautetville, capo dei Normanni, fu fedelmente devoto….. Il titolo di Contea risale, seppur per un breve periodo, proprio al dominio Normanno, quando Gualtieri, prode capitano di Ruggero, fu designato Conte di Modica…Ma è soprattutto durante il dominio degli Aragona di Spagna (XIII - XVII sec.), successivo a quello degli Angioini di Francia, che Modica, come Contea, conobbe i suoi fasti maggiori, rappresentando, con i Conti Mosca e soprattutto Chiaramonte e Cabrera, quel ruolo di importantissimo potere locale, tipico del feudalesimo, che, per autorità, ricchezza e magnificenza, nulla aveva da invidiare a quello dello stesso Re, il quale solo indirettamente controllava il territorio…un "Regno nel Regno”



    “Modica è situata nell'area meridionale dei Monti Iblei ed è divisa in due originali aree: Modica Alta, le cui costruzioni quasi scalano le rocce della montagna, e Modica Bassa, giù nella valle, dove un tempo scorrevano i due fiumi Ianni Mauro e Pozzo dei Pruni, poi ricoperti a causa delle numerosi alluvioni, e dove è ora situato il Corso Umberto, principali strada e sito storico della città…L'aspetto è prevalentemente tardo barocco, quasi interamente risalente al dopo-terremoto ...Modica si è poi estesa su altre aree: Modica Sorda, Monserrato, Idria, ecc…Ciò che rende la città così unica e affascinante è, prima di tutto, l'aspetto barocco e la presenza di pittoreschi vialetti e stradine, ricche di vecchie botteghe, casupole o ricchi palazzi…La chiesa di San Giorgio….la sua struttura, stando a quanto asserito dallo storico Carrafa, risalirebbe all'Alto Medioevo, e sarebbe poi stata distrutta dagli Arabi…Ruggero il "Normanno" ne ordinò la ricostruzione nel primo dodicesimo secolo…. La "meridiana pavimentale" e il "tesoro" della chiesa… la "Santa Arca", un'opera d'arte rivestita in argento, che contiene le reliquie del Santo…. una scalinata di 250 scalini, realizzata nel 1818 per volontà del Gesuita Francesco di Mauro…..La chiesa del Carmine.. convento di Carmelitani. …splendido il suo portale e il sontuoso "Rosone" aperto….La chiesa di Santa Maria di Betlemme, a Modica Bassa, ospita le tombe della nobile famiglia dei conti Cabrera ….la navata sinistra accoglie un bellissimo presepe in terracotta, realizzato da Padre Benedetto Papale, nel 1882…..Una strada ricca di tornanti conduce alla cattedrale di San Giovanni, che si innalza alla sommità di una lunga ed elegante scalinata. …Palazzo De Leva..Palazzo Polara, situato a fianco della cattedrale di San Giorgio….. Modica città di Salvatore Quasimodo, scrittore e premio Nobel per la letteratura nel 1959, e di Tommaso Campailla, scienziato e filosofo del '700.”



    “Una specie di montagna del Purgatorio, coi gironi uno sull’altro, forati dai buchi delle porte delle caverne saracene”: così Pier Paolo Pasolini descriveva Scicli, incantevole gioiellino barocco incastonato fra le colline e il mar Mediterraneo, a pochi chilometri da Ragusa e Modica. La descrizione che ne fornisce il celebre scrittore fa riferimento alla città vecchia, che sorse per l’appunto all’incirca tremila anni fa su una montagna, monte San Matteo, dove ancora oggi è possibile scorgere dei sepolcreti scavati nella roccia……Scicli … deriva secondo alcuni da Sikla, che in greco indica il secchio che raccoglie il latte appena munto, o secondo altri da Siclis, appellativo con cui anticamente erano conosciuti i Siculi… è risorta dalla ceneri in cui fu ridotta dal terribile terremoto del 1663….. è il trionfo del barocco… il Palazzo Beneventano che il critico Anthony Blunt definì “il più bello della Sicilia”, barocchi sono gli splendidi palazzi che circondano piazza Italia, Palazzo Spadaro e Palazzo Fava, nel cuore della cittadina; barocca è la Chiesa Madre della Madonna delle Milizie, ricca di preziosi stucchi dorati e antichi affreschi…. ci troviamo di fronte a una storia millenaria e una tradizione antichissima ma, a consacrarla a livello nazionale sono state le avventure televisive del Commissario più famoso d’Italia: vale a dire Salvo Montalbano….non tutti sanno che proprio a Scicli, sono state girate le scene nelle quali ha trovato ambientazione il genio letterario di Andrea Camilleri.”


    “Ispica…. domina il mare da una piccola altura ed è una località adiacente alla famosa cava dov'era ubicata l'antica città (Spaccaforno) poi distrutta dal terremoto del 1693…Il fascino di questa località, ricca di grotte, necropoli e chiese, ha catturato nei secoli artisti e scrittori…. Alla fine del XIII secolo la terra di Spaccaforno venne aggregata alla contea di Modica….La storia di Ispica vide succedersi al potere diverse famiglie nobiliari siciliane: i Lanza, i Chiaramonte, i Cabrerà, i Caruso ed, infine, gli Statella …i più importanti monumenti….la Chiesa Madre, la chiesa dell'Annunziata, il Palazzo Alfieri, il Palazzo Bruno di Belmonte (uno dei migliori monumenti liberty presenti in Sicilia), la chiesa di S. Maria Maggiore …l'area archeologica di Cava d'Ispica con il Parco archeologico della Forza con la famosa la galleria inclinata scavata nella roccia detta Centoscale che, con i suoi 280 scalini, arriva a 50 metri sotto il livello del fiume.”



    “Caltanisetta…reperti archeologici delle vicine località, come quella di Sabucina, testimoniano l'origine sicana della città….Nella zona della Montagna felice (Gebel Habib) è stata rinvenuta un'epigrafe pregreca che accenna all'antica Nissa, villaggio dal cui nome derivò quello di Caltanissetta: dall'arabo Qalat-an-Nisa, cioè "Il castello delle donne” Dopo gli arabi, i normanni, che occuparono Nissa nel 1087, vi consacrarono la bella chiesa romanica di Santo Spirito… Quando, tre secoli dopo, Guglielmo Peralta diviene signore di Caltanisetta, inizia in Sicilia il cosiddetto "Governo dei quattro Vicari"….l dominio dei Peralta è testimoniato dalle rovine del castello di Pietrarossa, dove si riunirono, nel 1358, i quattro più potenti signori della Sicilia (Alagona, Ventimiglia, Peralta, Chiaramente), per decidere le sorti dell'Isola sotto il nuovo governo. …Per favorire l'esportazione dello zolfo, i Moncada (1553) fecero costruire, sul fiume Salso, il ponte di Capodarso, la cui possente arcata è oggi ancora visibile insieme al grandioso ma incompiuto palazzo Moncada… Durante il dominio borbonico (1735-1860), Caltanissetta divenne capoluogo di provincia; questo fatto allontanò i nisseni dalle mire separatistiche di Palermo, le cui bande armate, indotte dal principe San Cataldo ed avide di sangue e di bottino, diedero alle fiamme il quartiere della Grazia……Nel 1849 una delegazione di palermitani offrì, proprio a Caltanissetta, la capitolazione della Sicilia ai borboni al termine della rivoluzione federale guidata da Ruggero Settimo.”


    “Lei è come una donna brutta, ma dalle segrete virtù, da imparare a volerle bene solo scoprendola”. Così scriveva su Caltanissetta Luigi Santagati, architetto e appassionato studioso di storia siciliana nel 1989. A distanza di vent’anni, tale definizione sembra calzarle ancora perfettamente….. a differenza di altre, Caltanissetta è riconducibile a una perla, la cui bellezza è sapientemente celata da una conchiglia….. Nel cuore della città, proprio dove le due arterie principali che l’attraversano - Corso Umberto I e Corso Vittorio Emanuele - s’incrociano in piazza Garibaldi, sorge il Duomo di Santa Maria La Nova, costruito tra la fine del 1500 e gli inizi del 1600…con la maestosa cupola e i due campanili ..basta varcarne la soglia per restare letteralmente rapiti dalle numerose arcate dipinte (che sostengono le tre navate … dinanzi al duomo e al centro della piazza si trova il monumento simbolo della città,… la fontana del tritone, scolpita da Michele Tripisciano alla fine del 1800….Il Castello che le sorge accanto, ridotto ormai a un rudere e la cui origine è dubbia, conobbe di certo il suo splendore sotto il regno aragonese, divenendo - proprio in quel periodo - sede dei tre parlamenti siciliani…Un sito archeologico ai piedi della montagna di Sabucina.. Lo sfruttamento delle miniere nel nisseno fu talmente preponderante dall’Ottocento fino agli anni cinquanta del secolo scorso, da farle guadagnare l’appellativo di “capitale mondiale dello zolfo”! .. la miniera di Gessolungo e quella di Trabonella, una delle più importanti della Sicilia, per grandezza e innovazione tecnica.”



    “Mussomeli, nota come la terra di Manfredi, sorge su un altipiano ad oltre 750 metri sul livello del mare nel cuore della Sicilia e fa da spartiacque fra la provincia di Caltanissetta, e quella di Agrigento…Fu fondata nel XIV secolo da quel Manfredi Chiaramonte che le diede il nome - Manfreda - e che fece erigere un castello soprelevato di maestosa bellezza ….è stato il set di uno sceneggiato Rai di grande successo: “La Baronessa di Carini” ….Il castello domina il territorio di Mussomeli da una rocca calcarea a 80 metri d’altezza e la leggenda vuole che Manfredi ne avesse decretato la costruzione proprio in quel punto perchè era rimasto letteralmente folgorato dalla bellezza mozzafiato del paesaggio sottostante. Trattandosi di un cavaliere e di un grande stratega politico, è più facile supporre che di quella posizione arroccata avesse intuito gli indubbi vantaggi difensivi che ne sarebbero derivati…Dalla sommità rocciosa il paese appare un dedalo di viuzze strette e lastricate, circondate da massicce mura perimetrali .. inerpicarsi lentamente per quella rupe isolata, a respirare a pieni polmoni l’aria della montagna, farsi accarezzare dal vento tiepido, sentire il profumo dei vitigni e delle ginestre…sembra di sentire echeggiare storie di principi e di dame, di intrighi e tradimenti …Le storie più suggestive sono indubbiamente quelle legate al maniero…a raccontarle è la cammara di li tri donni, cioè la “stanza delle tre donne” in cui il principe Federico in partenza per la guerra fece murare le sue tre sorelle per garantirne la sicurezza ….a Chiaramontano si aggira un fantasma maledetto…si tratta dello spirito di don Guiscardo de la Portes separato a forza dalla sua amata Esmeralda, che pronunciando una bestemmia in punto di morte venne condannato alla dannazione eterna. Il custode del castello asserisce di essere stato depositario delle confidenze del fantasma, ma a quanto si racconta in giro non pare essere stato l’unico a godere di tale privilegio…Altrettanto numerose sono le vicende che sopravvivono nelle strade del centro storico medievale, uno dei più antichi dell’Isola. Sopravvivono nei palazzi nobiliari: quello del Barone Mistretta in piazza Umberto I, quello dei principi di Trabia che per più di trecento anni dal 1600 ospitò i signori del Paese; la Torre dell’Orologio annessa a palazzo Moncada, fatta costruire da Cesare Lanza, padre della sfortunata baronessa di Carini che morì per sua stessa mano; Palazzo Langela e palazzo Minneci …..la Chiesa di Santa Margherita, risalente al ‘300, la monumentale Chiesa Madre dedicata a San Ludovico, la Chiesa di San Domenico, la più importante della città, che accoglie al suo interno la Madonna dei miracoli, patrona dei devotissimi Mussomelesi …”







    RAGUSA

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    MARINA DI SIRACUSA

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    Piazza Armerina in provincia di Enna

    Villa Romana del Casale




    La villa romana del Casale è una villa tardo-romana i cui resti sono situati nei pressi di Piazza Armerina (EN), in Sicilia. Dal 1997 fa parte dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.

    La Villa fu costruita tra la fine del sec. III e l'inizio del sec. IV d.C., nell'ambito di un sistema di latifondi appartenenti a potenti famiglie romane, che vi si recavano a caccia o in vacanza. Alcuni studiosi suppongono che la villa fosse appartenuta ad una personalità altolocata della gerarchia dell'Impero Romano (un Console), mentre altri sostengono che la villa sia appartenuta all'Imperatore M. Valerio Massimiano, detto Herculeos Victor.



    Le prime campagne di scavo a livello scientifico dentro la villa romana del casale, promosse dal Comune di Piazza Armerina, furono eseguite nell'anno 1881.
    Gli scavi furono ripresi nel 1935 fino al 1939, ed infine, con l'intervento della Regione Siciliana negli anni 50, fu portato completamente alla luce l'intero complesso, grazie all'opera dell'archeologo Vinicio Gentili che ne intraprese l´ esplorazione in seguito alle segnalazioni degli abitanti del posto.





    Basandosi principalmente sullo stile dei mosaici, il Gentili datò in un primo momento l´impianto della sontuosa abitazione sorta su una più antica fattoria non prima della metà del IV secolo. Successivamente lo stesso studioso assegnò la villa all'età tetrarchica (285-305 d.c.).





    Abitata anche in eta' araba, la villa fu parzialmente distrutta dai normanni, in seguito, una valanga di fango, provenienti dal monte Mangone, che la sovrasta, la coprì quasi totalmente.
    I mosaici, di una ricchezza e di una varietà unica al mondo, ne fanno una gemma inestimabile nella storia dell´arte.





    Chi ha detto che il "bikini" è nato in epoca moderna....!!!!!!



    un simpatico burlone ne ha tratto questo video




    Molte delle sale della residenza presentano il pavimento con mosaici figurati in tessere colorate. Le differenze stilistiche fra i mosaici dei diversi nuclei sono molto evidenti. Questo, tuttavia, non indica necessariamente un'esecuzione in tempi diversi, ma probabilmente maestranze differenti, che mediavano eredità alessandrine e tendenze siriache utilizzando vari "album di modelli".


    questo è un breve virtual tour....QUI


    ecco un altro virtual tour....QUI

    conclusione personale: è da visitare, parole o descrizioni, racconti o foto non rendono a pieno il patrimonio che abbiamo.........



    Ragusa “iusu” e “supra”





    Ragusa si snoda tra aspri speroni rocciosi affacciati su dirupi torrentizi, su cui si è andata disegnando una tipologia urbana a nastro, interrotta da dislivelli e rapidi declivi.
    Una terra d’elezione per gli architetti del settecento che valorizzarono le irregolarità naturali, creano arditi raccordi e monumentali effetti scenici che danno al barocco Ibleo una peculiarità tale da renderlo un barocco “altro”.



    Litinerario ha inizio dalla Ragusa Nuova, nata dopo il sisma del 1693.
    In Piazza S. Giovanni sorgono il collegio di Maria Addolorata (1801) e la Chiesa di San Giovanni, edificata a partire dal 1694, quando si decise di demolire ciò che restava dell’antico impianto che sorgeva a Ragusa Ibla.



    La chiesa, posta su un’ampia terrazza delimitata da balaustre e sorretta da arcate, presenta un prospetto che è risultato di differenti fasi progettuali.
    Il primo ordine è suddiviso i cinque campate scandite da colonne libere d’ordine corinzio e da lesene in parte lisce e in parte diamantate.
    Il portale centrale è sovrastato da una nicchia contenente la statua della Vergine affiancata su plinti dalle statue dei santi Giovanni Evangelista e Battista.



    Il secondo ordine porta incisa la data del 1751 in corrispondenza della meridiana solare. La torre campanaria cuspidata si erge lateralmente ed è delimitata da balaustre.
    L’interno presenta una pianta a croce latina a tre navate. Caratteristica fondamentale della chiesa è il ricorso alla pietra pece -usata in corrispondenza delle colonne, della zoccolatura, dei capitelli, e della pavimentazione- che mirava a creare un’effetto scenografico in contrasto con il biancore degli stucchi e delle dorature.
    Tuttavia nel secolo scorso gli interventi di scialbatura con intonaco bianco e avorio hanno cancellato questo gioco di colori.
    Nel transetto, notevoli gli stucchi (1775-1776) dei palermitani Gioacchino e Giovanni Gianforma. La chiesa conserva, tra le opere di notevole pregio, il San Filippo Neri di Sebastiano Conca, una Madonna di Dario Guerci (XIX sec.) e il San Gregorio di Paolo Vetri.
    L’organo (XIX sec.) è della ditta Serassi di Bergamo.
    L’urna reliquiaria costituisce uno dei maggiori tesori dell’arte orafa siciliana.



    Scendendo per Corso Italia verso Ibla si può ammirare a sinistra Palazzo Bertini, costruito dalla famiglia Floridia verso la fine del 1700, poi acquistato dalla famiglia Bertini, da cui prese il nome.
    Il prospetto è reso suggestivo dai tre mascheroni, collocati nella chiave di volta delle finestre, che rappresentano i Tre Potenti: si ritiene che siano allegorie delle tre classi sociali.



    Alla fine del Corso Italia, che segna il confine tra Ragusa Nuova e Ibla, inizia la via Mazzini, ove, ad angolo, si staglia la chiesa di Santa Maria delle Scale, abbarbicata su un “mammellone” da cui sovrasta la cava Gonfalone e domina il colle di Ibla.



    Fu eretta tra il 1120-1160 per volontà del normanno Silvestro conte di Marsico e di Ragusa che la affidò all’ordine dei cistercensi, la cui presenza è suffragata da un’affresco murale dedicato a San Cono (il cui culto è assolutamente estraneo a questa zona).
    La chiesa non fu distrutta per intero dal terremoto del 1693.
    Lo testimoniano i resti del pulpito e del portale presenti nella facciata esterna e la navata di destra dello spazio interno, costituita da quattro arcate gotico-catalane e da una rinascimentale.



    Il terzo arco fonde insieme elementi decorativi arabi e gotici, inseriti in un’architettura romanica; i ricami lapidei di quercia e fiori, le figure umane zoomorfe e mostri creano un clima mistico unico nel suo genere.



    All’interno si conserva una splendida terracotta policroma l’Assunzione di Maria (1538) attribuita ad Antonino Gagini.
    Proseguendo verso la città bassa si giunge alla cosiddetta salita del Commendatore dove si susseguono: Palazzo della Cancelleria (Nicastro), la chiesa della Madonna dell’Itria e Palazzo Cosentini. Palazzo Nicastro (1760) ospitò la Cancelleria comunale di Ragusa sino al 1865. L’edificio si erge in un angusto angolo barocco che riempie per intero col suo magnifico portale a tutto sesto.
    Il balcone, lievemente panciuto, è decorato con fioroni ed ornato con archi spezzati, festoni, conchiglie e teste di putti.



    La chiesa della Madonna dell’Itria sorta nel 1626 sui ruderi di una chiesa bizantina, divenne chiesa Commentale per il Sovrano Ordine dei Cavalieri di Malta. Originariamente intitolata a San Giuliano, fu ricostruita nella prima metà del settecento grazie ai contributi economici di famiglie nobili ragusane come la famiglia Cosentini.
    Nel 1746, la chiesa risultava già ricostruita con l’attuale impianto a tre navate, ma intitolata alla Madonna dell’Itria -dal greco “odigitria”, prtoterrice del cammino.



    La parte più incantevole della facciata, tozza e accademica, è rappresentata dalla torre campanaria a costoloni, che riproduce nelle maioliche che la rivestono la pianta dell’iris in vari colori.
    Da notare all’interno la tela seicentesca di San Giuliano e San Giovanni attribuita a Mattia Preti e collocata nell’omonimo altare.
    Palazzo Cosentini (1762-1767) rappresenta una delle maggiori espressioni dell’architettura tardo-barocca siciliana.



    L’edificio, collocato ad angolo tra Corso Mazzini e la salita del Commendatore, è caratterizzato da due prospetti raccordati da una cantonata in corrispondenza della quale è collocata la statua di San Francesco di Paola. Il balcone più bello è quello che si affaccia sulla salita del Commendatore i cui mensoloni, da attribuire al grande capomastro-scultore Pietro Cultraro, possono essere suddivisi in due sezioni; la fascia alta comprende sculture di fanciulle seminude con cornucopie




    Il personaggio centrale sembra essere una madre scolpita nell’atto di sorreggere la propria creatura.
    Nella fascia in basso ricorrono esseri antropomorfi che stringono tra i denti animali viscidi.
    Il loro intento pare essere quello di condannare coloro che sputano sentenze e dicono maldicenze.



    Giunti a Piazza della Repubblica, conosciuta come Piazza degli Archi, si scorge la Chiesa delle Anime Purganti (1658).
    Il tempio presenta un’impaginazione seicentesca, soprattutto nel primo ordine del prospetto, caratterizzato da tre portali d’ingresso separati da colonne scanalate a fusto libero di ordine corinzio e poste su alti piedistalli.



    Quello centrale è affiancato da colonnine corinzie sormontate da dadi diamantati, su cui, a tutto tondo, sono raffigurate le Anime Purganti. Lateralmente sono disposte due nicchie con conchiglietta nel catino, nelle quali si trovano le statuette di San Pietro e San Paolo.
    Il secondo ordine appare di fase progettuale successiva.
    Lo spazio interno conserva degli elementi seicenteschi nell’impaginazione a lesene scanalate con capitelli compositi e negli stucchi posti sopra le lesene, proponenti il motivo iconografico dei teschi con cappelli curiali e regali.



    Tra le tele della chiesa occorre menzionare quella delle Anime Purganti (XVIII sec.) di Francesco Manno, posta sull’altare centrale, la Madonna e Santi Domenicani dei fratelli Manno e la Sacra Famiglia di Tommaso Pollace.



    Proseguendo per via Capitano Bocchieri, proprio dietro il Duomo si erge Palazzo La Rocca, edificio settecentesco che ospita attualmente la sede dell’Azienda Provinciale per il Turismo di Ragusa.
    Il palazzo si distingue per la sua vigorosa forza plastica, ma soprattutto per l’espressionismo delle sue sculture che richiamano alla mente i personaggi di scene desunte da quinte teatrali.
    Da notare il balcone finale, che ritrarrebbe nei suoi mensoloni un membro della famiglia La Rocca (il personaggio “piumato”) nonché un curioso vampiro occhialuto che secondo molti era un esponente di spicco dell’epoca.



    Scendendo lungo la via si apre alla vista Piazza Duomo, dominata dalla Chiesa di San Giorgio (XVIII sec.) la cui facciata ha un asse prospettico divergente rispetto allo spazio antistante.
    Sorta sui ruderi di un’antica chiesa dedicata a San Nicola, fu progettata dal maggiore architetto del Val di Noto, il siracusano Rosario Gagliardi a cui si può riferire con certezza il primo ordine della facciata, mentre gli altri due ordini sono da attribuire al nipote Vincenzo Sinatra. Il prospetto è a tre ordini, convesso al centro e concavo ai lati e movimentato da colonne libere di ordine corinzio.
    Da notare la cancellata in ferro battuto del 1890 di Angelo Paradiso di Acireale.



    L’impianto è a tre navate che si arrestano al transetto ove si innalza la cupola neoclassica (1820), alta 43 metri, dell’ingegnere Stefano Ittar, costruita dal capomastro locale Carmelo Cultraro.
    Lo spazio interno colpisce per le decorazioni tutte in pietra calcarea. Occorre menzionare l’organo della ditta Serassi di Bergamo del 1881 e le vetrate di Elena Panigatti del 1926.




    Di grande interesse le tele di Dario Guerci San Giorgio e Il Riposo in Egitto (1864-1866), di Vito D’Anna, il Trionfo di San Nicola, l’Immacolata (1767), l’Angelo Custode (1763). Nella sagrestia è conservata un’icona del Gagini che riproduce i Santi Giorgio, Ippolito e Mercurio (1573-76) e che apparteneva all’originaria chiesa di San Giorgio. La statua lignea di san Giorgio (1877) è dell’artista palermitano Bagnasco.
    Essa è portata in processione in occasione della festa del Santo (ultima domenica di maggio) assieme all’urna reliquiaria in argento di Salvatore La Villa. (XIX sec.).
    Attraversata Piazza Duomo, chiusa da edifici tardo barocchi e neoclassici -fra cui spiccano il Circolo di Conversazione e Palazzo Donnafugata- si giunge a Piazza Pola ove sorge la chiesa di S. Giuseppe, ricostruita sui ruderi di ciò che restava della chiesa di San Tommaso.



    L’attuale prospetto sembra essere la riduzione minimalistica del Duomo di San Giorgio nella convessità del partito centrale. Nel rimo ordine, scandito da colonne a tutto tondo di ordine corinzio, si apre un bel portale d’ingresso affiancato dalle statue dei santi Agostino e Gregorio, e nei comparti estremi delle statue delle sante Scolastica e Gertrude.



    Il secondo ordine, raccordato al primo da ampie volute affiancate su alti plinti dalle statue dei santi Benedetto e Mauro, presenta un finestrone centrale con grata a gelosia.
    L’interno è a pianta ovale ed è caratterizzato da una pavimentazione in basole in pietra pece, calcarea e maioliche colorate gialle, verdi, blu.
    L’arredo interno comprende la tela della Sacra famiglia (1779), posta sull’altare centrale, di Matteo Battaglia, e quelle di Santa Gertrude (1802) di Tommaso Pollace e la Trinità e Angeli (1801) di Giuseppe Crestadoro.
    Sulla volta Sebastiano Lo Monaco affrescò La Gloria dei Santi Giuseppe e Benedetto.
    Lasciando per un attimo Corso 25 aprile , proseguendo sulla sinistra verso via Chiaramonte si può visitare la Chiesa di San Francesco all’Immacolata, edificata nel luogo ove un tempo sorgeva uno dei palazzi dei Conti Chiaramonte.
    Il tempio fu gravemente danneggiato dal terremoto ma sopravvisse il portale gotico della facciata occidentale.
    L’interno ha tre navate ed è caratterizzato dal largo impiego della pietra pece in corrispondenza degli apparati decorativi. Interessante è all’interno la tela di Antonio Manoli che ritare San Lorenzo e il martirio ai ferri (1724).

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    Ritornando lungo il corso si scende verso la Chiesa di San Tommaso e il Giardino Ibleo.
    La chiesa, dedicata alla Madonna del Carmine sino al 1896, un tempo era annessa al monastero di Santa Maria di Valverde.
    Il prospetto della seconda metà del ’700 presenta pochi elementi architettonici. Pregevole è il fonte battesimale in pietra asfaltica di Vincenzo de Blundo del 1545.
    Il Giardino Ibleo sorse per volontà dei nobili Ragusani (Arezzo, Maggiore, La Rocca) e ospita all’interno ben tre chiese: San Vincenzo Ferreri, dalla cella campanaria arricchita con ciottoli policromi; San Giacomo e la Chiesa dei Cappuccini, dove si conserva il trittico di Pietro Novelli il Monrealese (1639).
    A pochi metri dal Giardino Ibleo si può ammirare il Portale di San Giorgio, portale laterale dell’originaria chiesa del Santo.
    Il tempio fu costruito in epoca normanna per volontà del conte Ruggero d’Altavilla e nel 1217 fu annesso al monastero di Mileto in Calabria.
    La chiesa presentava in origine tre navate, una cuspide conica e una torre campanaria alta e slanciata del 1550 di Antonio Di Marco.
    Con il terremoto sopravvisse il portale della fine del ’400 in stile tardo-gotico.
    Esso è costituito da un fascio di colonnine lavorate e istoriate con motivi fogliacei, da una strombatura ove è inciso il bassorilievo del santo e una bella croce ricamata in corrispondenza dell’ogiva, affiancata nelle losanghe dallo stemma degli aragonesi, ovvero l’aquila reale.

    Una data storica ha determinato l’assetto urbanistico di Ragusa: il 1693. Quell’anno la città andò completamente distrutta, come quasi tutta la Sicilia sud-occidentale, in un catastrofico terremoto.



    Fu la ricostruzione a determinare la “spaccatura” tra il vecchio abitato di Ibla, Ragusa “iusu” (di sotto) e Ragusa “supra”, la parte moderna. Divisi, riuniti, nuovamente divisi fino alla definitiva accorpazione dell’inizio del secolo scorso, contestuale all’elevazione al rango di capoluogo di provincia, i due centri continuano a evidenziare caratteristiche urbanistiche opposte: Ragusa Ibla è rimasta borgo medievale, di stradine contorte e tracciate a caso; Ragusa supra, con le sue vie diritte e gli incroci ad angolo retto è una città moderna.
    I circa 70.000 abitanti godono del benessere che deriva dall’industria petrolifera e da quella della produzione di asfalto, ma sentono tutti, gli iblei come i ragusani supra, la mancanza del mare, tanto che hanno chiamato Marina di Ragusa una località che, in realtà, dista 24 chilometri dal capoluogo.


    Da vedere, a Ragusa iusu, la monumentale basilica di San Giorgio, in piazza del Duomo, costruita tra la metà e la fine del XVIII secolo da Rosario Gagliardi e la chiesa di San Giuseppe, a porta Pola, molto simile alla basilica.



    Raffinato esempio di atre gotica è invece il portale della chiesa di Sant’Antronio, in via Orfanotrofio, di antica origine medievale.
    E’ ancora gotico, del tardo stile “fiorito”, il portale di San Giorgio Vecchio, nei pressi del giardino Ibleo. All’interno del giardino altre due chiese notevoli: San Domenico e la chiesa dei Cappuccini Vecchi.
    Spostiamoci ora “supra” per ammirare Santa Maria delle Scale, in via XXIV Maggio, antologia di stili sull’originaria struttura quattrocentesca, e poco lontano, la chiesa settecentesca di Santa Maria dell’Idria. Nei pressi di piazza della Repubblica, i palazzi Cosentini e Bertini, costruiti nel settecento. La meta più interessante di Ragusa supra resta comunque, in via Natalelli, il Museo Archeologico Ibleo, ricca e ben ordinata raccolta di testimonianze delle civiltà che si sono susseguite nel territorio, dai Siculi ai greci ai romani


    L’escursione classica è verso il sud, verso il mare di Marina di Ragusa (a 24 chilometri). Da lì, risalendo la costa a ovest, potrete visitare i resti di Camarina, antico insediamento paleolitico. Sulla via del ritorno, un’altra piccola deviazione vi porterà ai ruderi del castello di Donnafugata dove Giuseppe Tomasi di Lampedusa ambientò “Il Gattopardo”.





    Il Castello di Donnafugata
    A pochi Km da Ragusa è possibile visitare il Castello di Donnafugata, location degli episodi del "Commissario Montalbano" e de "Il capo dei capi" e di numerosi film tra cui ricordiamo "I vicerè" ed "Il Gattopardo" di Luchino Visconti.




    Le sue origini documentate risalgono al 1648 con un atto di vendita con cui la famiglia Cabrera vendeva il feudo comprensivo di una tenuta di caccia con antica torre di avvistamento Arabo- Normanna del XII secolo alla famiglia Arezzo che ne terrà la proprietà per tre secoli fino al 1982 quando verrà acquistato dal Comune di Ragusa.
    La famiglia Arezzo avviò una lunga opera di trasformazione del nucleo originario che culminò alla fine del 1800, quando il Barone Corrado Arezzo de Spucches (1824-1895) diede alla struttura l'immagine di Castello, con la sua varietà di stili dal gotico-veneziano al tardo-rinascimentale.
    Occupa una superficie di 2500 mq circondato da otto ettari di parco.
    Conta in tutto 122 stanze anche se quelle visitabili sono quelle del piano nobile (circa 28). L'eclettismo degli stili che caratterizza la facciata del Castello si riflette anche negli ambienti interni e nei mobili che per la maggior parte datano metà '800 e '900.
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    CALTANISETTA

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    caltanissetta



    L'origine di Caltanissetta è antica, ma imprecisata. Come tutto il territorio di quest'area siciliana subì l'influsso di Gela e di Agrigento, di recente infatti vi sono stati rinvenuti resti di capanne preistoriche, nonché tratti di mura greche e tracce di fondazioni di un preesistente abitato.
    Interessanti reperti archeologici delle vicine località, come quella di Sabucina, testimoniano l'origine sicana della città.


    Nella zona della Montagna felice Gebel Habib è stata rinvenuta un'epigrafe pregreca che accenna all'antica Nissa, villaggio dal cui nome derivò quello di Caltanissetta: dall'arabo Qalat-an-Nisa, cioè "Il castello delle donne".Secondo quanto testimoniato dal geografo arabo Idrisi, sul Monte Gibil Gabel,( 615 metri), è stato localizzato un vasto agglomerato urbano originato da Nissa, antico villaggio sicano; riferendosi alle donne di Nissa, da qui il temine "Qalat-an-Nisa", cioè "Il castello delle donne" della quale è derivata l'odierna denominazione di Caltanissetta.


    Dopo gli arabi, i normanni, che occuparono Nissa nel 1087, vi consacrarono la bella chiesa romanica di Santo Spirito. Nel 1087 divenne possedimento di Ruggero I di Sicilia normanno, che la trasformò in feudo per vari membri della sua famiglia. Condivise le sorti della Sicilia e particolarmente nel periodo spagnolo durante il quale soffrì spesso la carestia. Nel 1407 passò ai Moncada di Paternò e ad essi rimase fino alla soppressione della feudalità in Sicilia, nel 1812


    Quando, tre secoli dopo, Guglielmo Peralta diviene signore di Caltanixetta, inizia in Sicilia il cosiddetto "Governo dei quattro Vicari".
    Il dominio dei Peralta è testimoniato dalle rovine del castello di Pietrarossa, (ancora visibili nei pressi della città anche dopo il terremoto del 1567) dove si riunirono, nel 1358, i quattro più potenti signori della Sicilia (Alagona, Ventimiglia, Peralta, Chiaramente), per decidere le sorti dell'Isola sotto il nuovo governo.


    Per favorire l'esportazione dello zolfo, i Moncada (1553) fecero costruire, sul fiume Salso, il ponte di Capodarso, la cui possente arcata è oggi ancora visibile insieme al grandioso ma incompiuto palazzo Moncada. Tra il 1500 e il 1700 molti comuni nisseni si trasformarono, da borghi rurali quali erano, in vere e proprie città a testimonianza della crescente feudalità. All'indomani del feudalesimo (1818 circa) iniziò a prendere forma l'entità territoriale della provincia di Caltanissetta che oggi conosciamo..


    Durante il dominio borbonico (1735-1860), Caltanissetta divenne capoluogo di provincia; questo fatto allontanò i nisseni dalle mire separatistiche di Palermo, le cui bande armate, indotte dal principe San Cataldo ed avide di sangue e di bottino, diedero alle fiamme il quartiere della Grazia.
    Nel 1849 una delegazione di palermitani offrì, proprio a Caltanissetta, la capitolazione della Sicilia ai borboni al termine della rivoluzione federale guidata da Ruggero Settimo.
    Fanno parte della storia più recente di questa città, le sciagure minerarie che hanno provocato la morte di centinaia di uomini: sono tristemente ricordate le miniere di Trabonella, Gessolungo e Deliella.


    E' situata a 568 metri sul livello del mare su un'altura che culmina a Nord nel monte S. Giuliano e che domina da destra la valle del fiume Salso.




    Caltanissetta lega il suo passato all'attività delle solfatare. Quest'ultima ha reso la città il fulcro minerario in Sicilia sino ai primi decenni del secolo scorso, quando i minatori, scrive Vuillier, "maledicevano la vita e invidiavano i maiali che a fine anno erano certi di morire"&ed ecco ricordare la denuncia spietata di Zola che dà, a chi legge Germinale, "un brivido di terrore". Caltanissetta .è la seconda città per numero di abitanti, dopo Gela, dell'omonima provincia, di cui ne detiene il titolo di capoluogo. (Comune di 415,94 km2 con 61.319 abitanti, detti nisseni)



    Caltanissetta è un grande Centro commerciale e minerario. Il commercio si basa essenzialmente sui prodotti agricoli (cereali, frutta, olio, agrumi, vino), che incentivano industrie alimentari di trasformazione. Non mancano industrie meccaniche. Il commercio interessa anche l'estrazione mineraria dello zolfo, tuttavia per il declino dell'industria estrattiva, sta attraversando una fase di stasi economica. In sviluppo invece è il villeggiatura, per la bella posizione collinare del Centro.


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    Particolare delle rovine dell'antico Castello di Pietrarossa - Caltanissetta



    La casa rurale negli Iblei





    Tra il finire del secolo XVIII e l’inizio del XIX, il paesaggio rurale ibleo subisce una lenta ma costante trasformazione che lo porta ad assumere l’aspetto che abbiamo conosciuto durante la prima metà del secolo XX. Questo grandioso riassetto fondiario nasce dal diffondersi dei contratti di enfiteusi, strumenti che permettono ad alcuni benestanti di appropriarsi, dapprima temporaneamente, ma alla fine per sempre, delle terre del Conte, e dalla particolare natura orografica e idrografica dell’altipiano ibleo. Ai nostri giorni stiamo assistendo alla rapida scomparsa di questo paesaggio soppiantato da altri modelli di sviluppo e di assetto territoriale.



    Per ricordarlo a quanti, come noi, hanno vissuto in prima persona questi modi abitativi o a quanti, di nuova generazione, se li sono trovati davanti senza averne sperimentati gli aspetti vitali e funzionali, Abbiamo fissato nelle immagini alcuni aspetti che ci sono sembrati interessanti e rappresentativi.
    L’elemento che ha connotato la trasformazione fondiaria settecentesca e ottocentesca delle campagne iblee è certamente la masseria. Un insieme di laboratori, abitazioni, stalle e magazzini formanti nuclei più o meno estesi, distribuiti capillarmente nelle campagne, al servizio di appezzamenti di terre non molto estesi, collegati da brevi trazzere carrabili che partendo dall’ingresso principale della masseria li collegavano a una delle strade principali che percorrevano a raggiera tutto il territorio.



    Attorno a ciascun complesso si diramava la rete di muretti a secco che in minima parte segnava confini stabili tra una proprietà e l’altra e in massima parte ripartiva le terre in campi chiusi dalla toponomastica funzionale o fantasiosa, u cincu tummina, u vignali a guerra, u pustiriu, a ciusa i l’aria, a sterna a timpa, per le necessità delle rotazioni agrarie e del pascolo di bovini ed equini.
    L’elemento caratterizzante di questi agglomerati abitativi era la corte, u bagghiu, antistante alle case di abitazione dei proprietari e dei fittavoli e alle stalle, delimitato da alte mura o da costruzioni, un vero e proprio fortino con un solo ingresso, spesso monumentale, sbarrato da un solido portone o da un pesante cancello di ferro. Ci si poteva serrare all’interno e impedire l’ingresso a estranei o animali nocivi. Per chi non si poteva permettere tale tipologia piuttosto dispendiosa, si ricorreva alla corte aperta delimitata da muri a secco e da un varco munito di chiusura. La necessità di rinchiudersi oltre che da motivi di sicurezza era dettata dal bisogno di tenere fermi i branchi di animali in attesa del ricovero nella stalla o della mungitura.
    All’interno della corte era possibile tenere e allevare animali di piccola taglia al riparo di predatori e di ladruncoli, entrambi molto diffusi nelle campagne del periodo preindustriale. In un lato di questo spazio polifunzionale si disponeva una grossa lastra di pietra sopraelevata per consumare all’aperto i pasti mattutini e serali durante le belle stagioni, dalla tarda primavera al primo autunno.
    Oltre all’abitazione del massaro vi erano locali attrezzati per la lavorazione del latte, u fruttu ra mannira, altri per la cernita dei raccolti, l’immagazzinamento dei foraggi e l’alloggio notturno o temporaneo degli animali, bovini ed equini.
    All’esterno e un poco distante, ma alcune volte attaccato alle case, veniva realizzato un ovile, mannira, per la mungitura di pecore e capre che richiedeva l’ammasso e un apposito varco per farle sfilare a una a una. Lo stesso serviva per il ricovero del gregge durante la notte o in caso di tempo inclemente. Le mura di tale recinto erano alte per impedirne la scalata ai predatori: lupi fin quasi alla fine dell’ottocento, cani, donnole martore e volpi fino ai nostri giorni. Per aumentarne la sicurezza, prima della pietra traversa di coronamento, erano posti sporgenti orizzontali (i cosiddetti paralupi o paracani) che fermavano la scalata anche dei predatori più agili e intraprendenti.
    L’interno delle case di abitazione dei fittavoli, a casa a'bbitari, oltre ai letti, a volte semplici giacigli, e al tavolo e qualche sedia per consumare i pasti, non prevedevano altro mobilio, spesso anche le sedie erano rare e si ricorreva all’uso di trespoli e semplici ceppi di legno alti quanto bastavano per sedervi sopra, i ccippa. Ai primi del ‘900 cominciarono ad apparire canterani, amouar, colonnette e cassepanche. Prima, per appendere e riporre stoviglie, abiti e suppellettili, si realizzavano armadi a muro, izzane, sporgenti di pietra, stacci, di legno, cavigghiuna o mensole su sporgenti di pietra, tuccene.



    L’illuminazione era affidata al sole e per poche ore di sera o di mattino presto si usavano lucerne o lumi a petrolio. Poco diffuse le candele che erano considerate prerogative delle case dei ricchi, delle chiese o degli apparati funebri. Gli infissi, generalmente privi di vetri, erano muniti di uno o due sportellini che consentivano di arieggiare anche con la porta chiusa e permettevano di dare un’occhiata all’esterno a mo’ di spioncino.
    I laboratori per la lavorazione del latte prevedevano un ampio focolare privo di cappa e di canna fumaria, una serie di attrezzature specializzate per la formazione e la lavorazione della cagliata e le pentole, caurari, per riscaldare l’acqua e preparare la ricotta. Diversi attrezzi per mescolare, mescere, attingere, filtrare, battere, tagliare erano realizzati in rame o spesso con legno e canna. In appositi locali ben isolati e distanziati era sistemata la vasca della salamoia e la rastrelliera per una prima stagionatura dei formaggi.



    Il forno per la cottura del pane a volte faceva un tutt’uno con la cucina a legna, altre volte era posto lontano, in un apposito locale, per impedire che le fiamme e il calore potessero, se mal controllati, incendiare le case.
    In queste abitazioni funzionali e specializzate molti della mia generazione sono nati e cresciuti, tra odori forti e versi di animali, richiami e grida di persone e un continuo affaccendarsi, dalle prime luci dell’alba fino al tramonto del sole. Il freddo in inverno era pungente e spesso a noi bambini si congelavano le dita delle mani e dei piedi, i bordi dei padiglioni auricolari e la punta del naso. Il malanno era curato con il siero caldo della ricotta o con pezze scaldate sui bracieri, ma erano solo palliativi e per la guarigione bisognava aspettare la primavera. Alla fine di Marzo i rigonfiamenti dolorosi del congelamento, i ruosuli, cominciavano a fare solo prurito e poi con grande sollievo, nel giro di due settimane scomparivano per ritornare, dopo otto mesi, con i primi freddi di Novembre e Dicembre.
    Testo di Giovanni Bellina



    Ragusa (Raùsa in siciliano) è una città italiana di 73.212 abitanti, capoluogo dell'omonima provincia in Sicilia. È il settimo comune dell'isola per numero di abitanti ed è situato sui monti iblei.
    La città è la più agiata del mezzogiorno d'Italia, è chiamata la "Città dei ponti" per la presenza di tre strutture molto pittoresche, ma è stata definita anche da letterati, artisti ed economisti come "l'isola nell'isola" o "l'altra Sicilia", grazie alla storia e ad un contesto socio-economico molto diverso dal resto dell'isola; nel 1693 un devastante terremoto causò la distruzione quasi totale dell'intera città, mietendo più di cinquemila vittime. La ricostruzione, avvenuta nel XVIII secolo la divise in due grandi quartieri; da una parte Ragusa superiore, situata sull'altopiano e dall'altra Ragusa Ibla; sorta dalle rovine dell'antica città e ricostruita secondo l'antico impianto medioevale.
    I capolavori architettonici costruiti dopo il terremoto, insieme a tutti quelli presenti nel Val di Noto, sono stati dichiarati patrimonio dell'umanità dall'UNESCO, Ragusa è uno luoghi più importanti in assoluto per la presenza di preziose testimonianze di arte barocca.
    La città si estende sulla parte meridionale dei monti Iblei, è il capoluogo di provincia più a sud d'Italia ed il più alto dopo Enna, Potenza, Campobasso, L'Aquila, e, in Sicilia, dopo Enna e Caltanissetta. Dista mediamente dal mare 20 km ed è la città italiana più popolata fra quelle poste (altitudine della casa comunale) ad un'altitudine superiore ai 500 metri sul livello del mare. L'estensione del territorio comunale è degna di nota ponendosi tra le più grandi per km², inoltre è la città italiana più popolata al di sotto dei 37° di latitudine e la terza d'Europa dopo Candia e Ceuta.
    La cima più elevata è rappresentata dal monte Arcibessi (906 metri s.l.m.), per questo è fra i comuni lambiti dal mare che presentano il più elevato dislivello. Il quartiere più antico della città, cioè Ragusa Ibla, sorge su una collina. Ad est la città è circondata dal colle San Cono, in mezzo vi scorre il fiume Irminio, il più importante della Sicilia sud-orientale. A nord la città è circondata dal monte Patro, nella valle in mezzo vi scorre il fiume San Leonardo. A sud si trova il monte Bollarito che è diviso da Ragusa tramite il torrente Fiumicello. Infine a ovest sorge Ragusa superiore sui colli Patro e Cucinello, la parte più recente della città invece sui colli Corrado, Pendente e Selvaggio, i primi due staccati dalle colline circostanti da due profonde gole, le tipiche "cave" del tavolato ibleo, la cava San Leonardo e la Cava Santa Domenica.

    Monti Iblei, Cava Volpe
    La città si sviluppa verso ovest fino a raggiungere l'altopiano (680 s.l.m.). In passato l'intero territorio di Ragusa era ricoperto da una fitta vegetazione mediterranea composta principalmente da querce e allori. I disboscamenti perpetrati nei secoli, a partire da quelli massicci effettuati dai romani, al fine di destinare la terra alla coltura dei cereali e alla pastorizia, hanno contribuito in larga parte alla diminuzione delle risorse idriche, che comunque nell'intera provincia sono superiori rispetto a quelle di altre province siciliane. Il fiume Irminio, un tempo navigabile, come si evince da antichi documenti arabi, è sbarrato da una diga, ciò ha dato luogo a un lago artificiale: il lago Santa Rosalia, che si trova a metà tra il territorio di Ragusa e quello di Giarratana. Nel territorio ibleo la flora annovera oltre 1500 taxa, per la maggior parte appartenenti all'elemento circum-mediterraneo.
    Il territorio extracomunale, nella quasi totalità, insiste sugli ultimi lembi dei Monti Iblei che dolcemente, scivolano verso il mare, un altopiano caratterizzato da enormi distese coltivate, di un interrotto reticolo di muri a secco punteggiato da carrubi e olivi. I rilievi una volta degradati fino al livello del mare, lasciano il posto alla costa per lo più costituita da enormi distese di sabbia.

    Paesaggio ibleo e il lago S. Rosalia
    Negli ultimi due milioni di anni, terminata la regressione marina che nel miocene aveva lasciato emergere gli Iblei e tutto il fondale che va fino alle isole dell'arcipelago maltese, il movimento contrario, nel pliocene immerse le terre più basse e le vicende orogenetiche provocate dall'attività vulcanica sottomarina composero il tavolato ragusano. Il territorio è prevalentemente collinare, formato da grandi altipiani e vallate e lo scorrere dei fiumi ha eroso l'altopiano formando numerosi canyon profondi. Il plateau ibleo costituisce uno dei promontori della placca africana ed è costituito da una crosta di tipo continentale in massima parte da sedimenti carbonatici e carbonatico-marnosi di età cretaceo-quaternario in cui si intercalano vulcaniti basiche, inoltre è diffuso il carsismo. Nelle zone costiere, nei pressi del mare, si trova la pietra arenaria. Alcune aree dei Monti Iblei presentano anche rocce di origine vulcanica come nei pressi del Monte Lauro, facente parte di un complesso vulcanico sottomarino. Dalla pietra calcarea che abbonda nell'intero territorio, nascono i muri a secco, che delimitano le chiuse e che caratterizzano il paesaggio.

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    Duomo di San Giorgio



    L'ALTOPIANO IBLEO





    L'Altopiano Ibleo è caratterizzato dalla presenza di profonde gole naturali, incise nel corso dei millenni dall'azione corrosiva degli agenti atmosferici e fluviali. Queste gole, chiamate 'cave', non sono altro che stretti valloni rocciosi simili a dei 'canyons' ormai poco frequentati dall'uomo e invasi da una vegetazione spontanea lussureggiante. Oltre ad essere luoghi di spettacolare bellezza, rivestono grande importanza dal punto di vista naturalistico in quanto la presenza più o meno costante d'acqua, le alte pareti a strapiombo, le erosioni carsiche (come nelle grotte dei Giganti e dei Rovi), ne hanno fatto vere e proprie nicchie ecologiche. Questi profondi valloni inoltre, sono caratterizzati dalle numerose testimonianze che l'operosità dell'uomo vi ha impresso per secoli, come ad esempio i mulini e le antiche masserie che in tempi passati erano fonte di sostentamento per molte famiglie che abitavano e lavoravano queste zone.



    A pochi chilometri da Ragusa, la Cava della Misericordia è una delle tante che incidono profondamente il tavolato calcareo ibleo ed è percorsa dal torrente Ciaramite, che taglia il tavolato da ovest ad est, affluendo nel fiume Irminio.



    La prima cosa che tutti notano entrando nella cava è il silenzio che avvolge il visitatore, rotto soltanto dal rumore delle acque del fiume che scorre indisturbato tra la vegetazione. Anche qui sono presenti testimonianze di archeologia industriale come vecchi mulini o masserie antiche abbandonate dall'uomo, le cui strutture versano in uno stato di profondo degrado.



    Tuttavia sono ancora riconoscibili alcuni tratti di canalizzazioni, che prelevavano l'acqua dal fiume per convogliarla verso le macine dei mulini o negli orti. All'interno della cava si ritrovano i tipici muretti a secco, caratteristici del ragusano. Una volta raggiunta la parte alta della cava si può ammirare la chiesetta di Sant'Elia (Santu Liu), che custodisce un antico altare in pietra, una piccola acquasantiera, una nicchia centrale dove probabilmente era sistemata la statua del Santo e tracce d’affreschi. 'Santu Liu' era considerato un tempo il Santo della pioggia e veniva invocato e portato in processione nei periodi di siccità. Nella parte centrale della cava invece, tra la fitta vegetazione, si distingue ancora l'antico romitorio di Santa Maria della Misericordia, mentre nella parte bassa la cava Celone ospita uno dei più grandi cimiteri ipogeici della provincia, risalente al periodo bizantino, con ben tremila tombe in parte terragne ed in parte scavate nella roccia. Nella cava scorre poca acqua perché le acque delle sorgenti sono state dirottate e convogliate nell'acquedotto di Ragusa Ibla.



    Flora e Fauna - La flora è rappresentata da salici, pioppi, carrubbi, mentre, negli ultimi anni, l'Azienda Forestale ha realizzato un esteso rimboschimento che sta rubando sempre più spazio alla fitta vegetazione spontanea rappresentata da bagolari, salici, platani, pioppi, querce ormai sopraffatti quasi ovunque dall'invadente pineta. Melograni, fichi, noci, carrubi, mandorli, loti e agrumi ormai inselvatichiti rappresentano la residua testimonianza della presenza dell'uomo. Nelle pareti e sui pendii crescono le tipiche piante aromatiche come la nepetella, il cappero, la menta d’acqua, l'origano e altre piante arbustive della macchia mediterranea come la palma nana, l'alaterno e il terebinto. Riguardo alla fauna, sono presenti conigli selvatici, volpi, numerose specie di uccelli come taccole, falchi pellegrini, poiane, gheppi, e numerosi rettili quale il bellissimo e raro colubro leopardino.



    Ispica

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    Ispica (Spaccafurnu in lingua siciliana) è un comune siciliano della provincia di Ragusa, situato sulla costa sud-orientale dell'isola e confinante a nord-ovest con il territorio del comune di Modica, a ovest con Pozzallo, a sud-est con il territorio di Pachino e ad est con il territorio di Rosolini e Noto (questi ultimi tre in provincia di Siracusa).
    Con i suoi 15.189[1] abitanti è il settimo comune più popoloso della provincia.
    Situata su una collina ("colle Calandra") ad un'altitudine di 170 m s.l.m. e a 7 km dalla costa, dista 31 km a sud-est del capoluogo provinciale. Il territorio ha un'altitudine che va dai 0 m s.l.m. ai 309 m s.l.m.[2] ed è il sesto della provincia per superficie (113,5 km²). Include il Parco archeologico della Forza, con scavi e reperti fin il 1692, e Cava Ispica, riserva naturale prossima a far parte del Parco nazionale degli iblei. Inoltre fanno parte le riserve naturali dei Pantani, del Maccone Bianco e dell'isola dei porri, uno scoglio meta di escursioni subacquee, situato a 2 km dalla costa. Ad est, lungo la Cava Ispica, è attraversato dal fiume Busaitone, spesso in secca, le quali acque alimentavano, con il nome di Rio della Favara, i Pantani. La sua costa si estende fra il comune di Pozzallo e quello di Pachino in provincia di Siracusa per 13 km di lunghezza, prima con tratti bassi e sabbiosi e poi alti e rocciosi. "Punta Ciriga", che si trova nel territorio comunale, segna il punto più meridionale della provincia di Ragusa.
    Nel territorio si succedettero le dominazioni sicula, greca, romana e bizantina. Lo storico palermitano Antonio Mongitore, nel suo Della Sicilia Ricercata, riferisce che l'apostolo Paolo avendo soggiornato a Spaccaforno, non lontano dal castello, fece scaturire una fonte, al contatto della cui acqua i serpenti intorpidivano e morivano. La località di Porto Ulisse sulla costa fu usata come porto naturale fino a quest'epoca, come conferma il ritrovamento nel tratto di mare antistante di un relitto datato al VI secolo[11]. La dominazione saracena proseguì fino al 1090, quando tutta la Sicilia sud-orientale fu liberata da Normanni guidati da Ruggero il Normanno Il primo documento che menziona l'abitato con il nome di Isbacha è del 1093, in una bolla che papa Urbano II emanò subito dopo la fine dell'occupazione araba della regione. Un'altra bolla del 1169 di papa Alessandro III assegnò al vescovo di Siracusa anche le "ecclesias quae sunt in tenimento Spaccafurni cum pertinentiis suis".
    Dopo essere passata nella dominazione sveva e angioina, all'inizio del XIV secolo fu in possesso del viceconte Berengario di Monterosso, tesoriere del regno, che ne fece dono alla regina Eleonora d'Angiò, moglie del re Federico II.



    Parco Forza: Resti del Castello - Fortilitium
    Pietro II la concesse in feudo al fratello Guglielmo duca di Atene, dal quale passò in eredità al suo maggiordomo Manfredi Lancia. Fu confiscata quindi agli eredi di questi, che si erano ribellati al re Federico III. Occupata da Francesco Perfoglio nel 1367 gli fu concessa in feudo nel 1375. Il territorio seguì quindi le vicende della contea di Modica e fu in possesso di Andrea Chiaramonte e dopo la sua ribellione fu assegnata dal re Martino I a Bernardo Cabrera. Nel 1453 passò a Antonio Caruso di Noto, "maestro razionale" del regno e nel 1493 fu portata in dote dalla figlia di questi, Isabella Caruso, al marito Francesco II Statella e gli eredi ne rimasero in possesso fino all'abolizione della feudalità nel XIX secolo.

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    Ispica
    Il nome di Ispica deriva dalla fenicia Ispa, nella valle sottostante. Nel Medioevo il nome del borgo chiamato Ispicae Fundus si corruppe in Spaccaforno, documentato dal XII secolo. Riprese l'antico nome nel 1935.
    La città riveste un particolare interesse archeologico per la vicina area che per circa 13 km si snoda fino a Modica: una sorta di canyon di aspra bellezza, detto "Cava" per la particolare morfologia del tavolato calcareo degli Iblei, spaccato dai fiumi in gole profonde spesso impervie.

    Nelle pareti sono scavate in numero stupefacente tombe ipogee preistoriche, catacombe cristiane del IV secolo e grotte artificiali per uso abitativo, risalenti all'alto Medioevo: quella miriade di aperture dà alle pareti rocciose l'aspetto di rozze facciate di case costellate di finestrelle. In fondo alla valle si trova la chiesa rupestre di Santa Maria della Cava, di origine paleocristiana, che custodisce preziosi affreschi bizantini.


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    La città, ricostruita dopo il terremoto del 1693, è armoniosa e linda, con bei palazzetti e belle chiese.
    Colpisce la Basilica di S. Maria Maggiore, racchiusa entro una bella cancellata in ferro battuto, iniziata dopo il terremoto del 1693 per accogliere la statua del Cristo alla Colonna.
    Fu completata nel 1725 su progetto del siracusano Rosario Gagliardi, artefice di varie chiese di Noto e della imponente chiesa di San Giorgio a Ragusa Ibla.

    Solo due anni dopo, un secondo terremoto fece crollare gran parte della Basilica, che fu ricostruita nell'arco del trentennio successivo, mentre nel 1749 Vincenzo Sinagra, originario di Noto, realizzò lo scenografico loggiato, ispirandosi al colonnato di San Pietro. Ha forma semiellittica, con tre logge centrali e altre dieci per parte, che all'inizio del secolo scorso furono adibite a botteghe. Recentemente se ne è disposto il restauro.


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    La Basilica della SS. Annunziata: prima del terremoto del 1693 la Chiesa sorgeva entro le mura del fortilizio dei marchesi Statella (oggi Parco Forza). Gli scavi effettuati nel 1972 nell'estremità orientale del pianoro ne hanno portato alla luce le fondamenta.
    L'analisi delle strutture è difficile per il sovrapporsi dei diversi strati, ampliamenti e ricostruzioni: sembra doversi escludere l'ipotesi di un pre-esistente tempio greco dedicato ad Apollo Libistino, sia per la mancanza di resti, sia perché pare accertato che il luogo - in età araba o normanna - fosse adibito alla raccolta delle acque, come indicherebbe la grande cisterna con le quattro canalette di scolo intagliate nella roccia.
    Il primo impianto risale ai tempi dei Caruso - seconda metà del 1400 - e si limitava a una cappella gentilizia, comunicante con la residenza patrizia. Sotto gli Statella - dalla metà del 1500 - la costruzione fu ampliata e prese il nome di Chiesa dell'Annunziata. La completa descrizione della Chiesa alla pagina www.ispicaweb.it/index.php?option=com_content&task=view&id=72&Itemid=34, da cui abbiamo tratto queste notizie.
    Foto Paola Presciuttini, 3 giugno 2006


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    MODICA





    Città di origine sicula (Motyka), con tracce anche della presenza sicana, nonché di un influsso fenicio. Durante il periodo greco la città si mantenne in qualche modo indipendente e neutrale alle frequenti contese di quel periodo entrando solo nel VI secolo a.C. a far parte della alleanza anti-siracusana.



    Fu durante la dominazione romana, dapprima civitas decumana e poi civitas stipendiaria. Di essa riferisce Cicerone nelle Verrine che contava più di 100 aratores prima del malgoverno di Verre. Successivamente la città venne conquistata dagli arabi e di essa ci da una descrizione lo storico Al Idris indicando come sorga tra le gole dei torrenti Pozzo dei Pruni e Ianni Mauru che poi confluiscono formando il torrente Modica e come vi si goda “abbondanza di comodi e di produzioni del suolo”.



    Durante la dominazione araba la città era ricca di torri fortificate che la circondavano come una sorta di cintura.
    Liberata dai normanni assunse notevole importanza politica sotto Ruggero II allorquando divenne contea con alla guida dapprima i Chiaramonte, in seguito i Cabrera ed infine gli Henriquez, durante tale periodo, che arriva sino al XIV secolo godette anche di relativa libertà, data la debolezza della corona nel territorio.



    Durante tale periodo la città visse il suo massimo splendore, con la continua costruzione di edifici, sacri e laici, che ne garantivano l’ammodernamento, con lo sviluppo dei rapporti commerciali e grazie alla buona posizione geografica che le consentiva di essere ben collegata ai principali centri della Sicilia, sufficientemente vicina al mare, ma non al punto di essere indifesa ai frequenti attacchi dei pirati saraceni.



    La città è oggi una delle perle del barocco ibleo essendo stata completamente ricostruita dopo il terremoto del 1693, anche se ancora permangono resti del periodo precedente come la chiesetta di S. Maria di Betlem risalente al ‘400.



    Degna di particolare nota è la chiesa di San Giorgio, uno dei simboli della città, ricostruita come la vediamo oggi dopo il terremoto, dall'architetto siracusano Rosario Gagliardi, già autore dell'omonima chiesa iblea.



    Modica vanta grandi tradizioni alimentari e dolciarie (da segnalare il cioccolato, lavorato ancora con il metodo azteco).
    Negli ultimi anni nell'area più meridionale della città (Modica Sorda) si è andato sviluppando uno dei più fiorenti poli commerciali della Sicilia sud-orientale.




    Cioccolato di Modica





    La città di Modica nel ragusano, è nota per produrre fin dal 1700 una particolare qualità di cioccolato.

    La peculiarità di questo cioccolato sta nell`essere prodotto secondo una ricetta risalente addirittura alla popolazione azteca.

    Ricetta questa introdotta dagli spagnoli durante la loro dominazione in Sicilia. Tipica è anche la forma della barretta, leggermente svasata e con due scanalature che al dividono in tre parti.

    Questa forma della tavoletta non è mai cambiata da centinaia di anni, si utilizzano sempre i tradizionali stampi. Il cioccolato di Modica viene prodotto con un procedimento semplice e naturale, la pasta di cacao viene lavorata assieme allo zucchero semolato e agli aromi naturali, sono banditi i processi di raffinazione e concaggio. Il cioccolato ha quindi un aspetto “rusticoâ€i granellini di zucchero sono visibili e danno una croccantezza particolare.

    I gusti del cioccolato di Modica sono particolari, cannella e vaniglia sono quelli più diffusi e da un po` viene prodotto anche quello al peperoncino come da tradizione azteca. E` comunque uso dei maestri cioccolatieri di Modica di realizzare tavolette dai gusti più originali e personali.

    Dal 2003 è stato istituito un corsorzio di tutela per questa particolare delizia gastronomica, scopo del consorzio è quello di garantire la qualità del prodotto, il rispetto della tradizione e il conseguimento della Indicazione Geografica Protetta IGP.

    Una chicca che stuzzica il palato è il liquore al cioccolato realizzato ovviamente con il cioccolato di Modica, da provare sia al naturale che aromatizzato. Tra i vari dolci che si possono fare col cioccolato è impossibile non citare la Torta Sacher.





    Cioccolato di Modica






    "...Altro richiamo, per restare alla gola, è quello del cioccolato di Modica e quello di Alicante (e non so se di altri paesi spagnoli): un cioccolato fondente di due tipi – alla vaniglia, alla cannella – da mangiare in tocchi o da sciogliere in tazza: di inarrivabile sapore, sicchè a chi lo gusta sembra di essere arrivato all'archetipo, all'assoluto, e che il cioccolato altrove prodotto – sia pure il più celebrato – ne sia l'adulterazione, la corruzione..."
    (Leonardo Sciascia e Giuseppe Leone, La contea di Modica, 1983)



    Il cioccolato di Modica, lavorato come facevano gli Atzechi al tempo dei conquistadores spagnoli, tecnicamente può essere definito cioccolato "a freddo" ed è granuloso e friabile. Furono proprio gli spagnoli a portare a Modica il "xocoàtl", un prodotto che gli abitanti del Messico ricavavano dai semi di cacao triturati su una pietra chiamata "metate", in modo da far sprigionare il burro di cacao e ottenere una pasta granulosa. I modicani appresero questa lavorazione dagli spagnoli, senza passare alla fase industriale.

    Nella lavorazione a freddo, il cacao non passa attraverso la fase del concaggio: la massa di cacao viene lavorata a 40° con aggiunta di zucchero semolato; non riuscendo a sciogliersi, nè ad amalgamarsi, lo zucchero, dà al cioccolato modicano il caratteristico aspetto "ruvido" dalla consistenza granulosa. La tavoletta di cioccolato modicano ha un colore marrone non uniforme, l'aroma è quello del cacao tostato, con note leggermente astringenti. Viene tradizionalmente aromatizzato con cannella o vaniglia, ma si può trovare facilmente cioccolato al peperoncino, alla carruba, al caffè, agli agrumi. Il cioccolato di Modica si può mangiare così com'è o sciolto in acqua come bevanda.


    La barretta di cioccolato modicano, non si può improvvisare. Forme moderne, aerodinamiche, artistiche, non sono ammesse. Dagli stampi metallici esce ancora, da centinaia di anni, sempre la stessa, squisita barretta di Cioccolato Modicano.

    Da sempre a Modica si produce cioccolato aromatizzato con CANNELLA, VANIGLIA e da alcuni anni vi è stata la riscoperta dell'aromatizzazione arcaica al PEPERONCINO.

    Quasi tutti i laboratori artigianali che producono il pregiato Cioccolato Modicano, propongono ormai altre varianti di gusto da affiancare alla produzione dei gusti tradizionali: CAFFÈ, ARANCIA, LIMONE, AGRUMI MISTI, ANICE, CARRUBA, e NATURALE le essenze più utilizzate.

    Alcuni Produttori propongono i gusti MENTA, con aggiunta di GRANELLA DI MANDORLE o aromatizzato al PEPE BIANCO, al PISTACCHIO, allo ZENZERO, alla MANNA...

    Le misure standard della barretta di Cioccolato Modicano:
    Lunghezza 13 cm, Larghezza 4,5 cm e Altezza 1,2 cm.
    Peso 100 grammi all'origine, avvolta in carta oleata.



    la Mpanatigghia





    Intorno a questo dolce caratteristico, introdotto anch'esso, come la cioccolata, dagli Spagnoli durante il loro dominio, sbocciarono alcuni felici aneddoti. Secondo una di queste curiosità, la "mpanatigghia" nacque per mano delle suore di un monastero, le quali, impietosite per le fatiche dei padri predicatori che giravano fra i vari conventi in periodo quaresimale, nascosero la carne tritata tra il pesto di mandorle e il dolce di cioccolato, il cui consumo era consentito, anche in periodo di digiuno, perchè ritenuto alimento di magro. Secondo altri, invece, la preparazione di questo dolce era legata, più semplicemente, all'utilizzo dell'avanzo di carne di selvaggina nei periodi di sovrabbondante caccia. Il grande Leonardo Sciascia nel suo "La Contea di Modica" la ricorda così:



    "bisogna però particolarmente ricordare quei dolci fatti di pasta sottilissima e fragile a contenere un sapiente impasto di carne e cioccolato principalmente."



    Ingredienti Pasta: farina, strutto, zucchero, uova, aromi naturali, mandorle, carne di manzo, albume, cacao in pasta.



    CASTELLO DI MUSSOMELI





    Una gigantesca rupe calcarea, alta circa 80 metri e completamente isolata dai rilievi circostanti costituisce il possente basamento naturale del castello di Mussomeli, una tranquilla e solare cittadina in provincia di Caltanissetta, fondata nella seconda metà del XIV secolo da Manfredi III di Chiaramonte.



    Oggi il castello di Mussomeli è di proprietà pubblica, dopo essere stato dei Chiaramonte, del demanio, e quindi assegnato a Raimondo Moncada. In seguito fù dei conti di Prades e da questi venduto a Giovanni Castellar. Ritornato di nuovo al demanio fu riacquistato dal Parapertusa quindi ceduto a Pietro Campo e nel 1549 acquistato da Cesare Lanza, signore di Trabia con il quale Mussomeli viene elevata al ruolo di contea.



    Il Maniero si erge in modo insolito a circa due chilometri dall'abitato, e sembra rappresentare un vero e proprio " nido d'aquila fuso nella rupe", secondo la perfetta descrizione fatta dal Solinas, presidio militare autonomo, piuttosto che a difesa dell'abitato sorto quasi contemporaneamente al castello.



    Ancora oggi occupa una posizione strategica dalla quale domina il territorio circostante e malgrado sorga sui resti di una fortezza araba, la sua architettura è nuovissima anche per il periodo storico nel quale è stato edificato.



    Le opere murarie ricalcano lo stile militare dell'epoca ma introducono una originalissima fusione della struttura con la roccia.
    La facciata esterna del Castello, ricca di decorazioni, presenta un portale e delle finestre di puro stile gotico con archi e merli, che svettano verso il cielo.



    All'interno delle sue mura ospita una Cappella caratterizzata da un elegante portale in pietra, ogivale, analogo a quello che immette nella "Sala dei Baroni".
    Le stanze interne sono arricchite da colonne e fregi vari con affreschi dai vivaci colori, che raffigurano soggetti sacri o scene cavalleresche.
    Particolare interesse rivestono la "Sala dei Baroni", con portali dal pregevole stile chiaramontano e la "Camara di li tri Donni".
    Castello di Mussomeli.



    Queste stanze sono particolarmente interessanti dal punto di vista esoterico poiché la leggenda vuole che qui nel corso dei secoli siano accaduti dei fatti alquanto misteriosi. Molti visitatori affermano di aver percepito strani rumori, fruscio di vesti di seta, clangore di armi e strani sospiri da far pensare di essere attorniati da strane presenze.


    I sotterranei, dove si narra siano stati custoditi meravigliosi tesori, sono anche loro al centro di avvenimenti paranormali di grande entità.
    Il Castello di Mussomeli è stato da sempre un punto di riferimento per tutti coloro che si sono interessati ai fenomeni dell'occulto, essendo stato, infatti, al centro di numerosi avvenimenti tragici, basti pensare alla strana vicenda accaduta nella Stanza di li tri donni, dove sembra che tre donne, vittime di un conflitto di gelosia, vennero murate vive proprio nelle pareti della stanza in questione, o la tragica vicenda che ha avuto come protagonista Laura Lanza, Baronessa di Carini, figlia di Cesare Lanza.



    Questi, Cesare Lanza, nel 1500, era l'unico proprietario del Maniero e lo abitava con la propria famiglia, la storia dice che Cesare Lanza, venuto a conoscenza che la propria figlia Laura, coniugata con il Barone Carini, aveva mantenuto dei rapporti extraconiugali con un giovane cavaliere, per difendere l'onore del Casato, si recò presso il Castello di Carini, dove dimorava Laura e cogliendola sul fatto, decise di assassinare la propria figlia, strangolandola.



    Avvenuto l'infame delitto, Cesare Lanza, divorato dai rimorsi, decise di rifugiarsi nel Castello di Mussomeli per espiare.
    Triste destino quello che fu riservato a Donna Laura di Carini!, andata sposa a soli 14 anni, per volere del padre, al Barone Carini che, tutto preso dagli affari legati alla sua proprietà, si disinteressò bene presto della giovane moglie, lasciandola spesso sola e triste nell'antico maniero che la ospitava.



    Laura aveva un amico d'infanzia, Ludovico Vernagallo, con il quale soleva passare molto del suo tempo e ben presto molti cominciarono a pensare che ne fosse divenuta l'amante... da qui il tragico epilogo della sua vita.
    Ancora oggi, sembra, che lo Spirito di questa infelice donna vaghi per il Castello di Musomelli alla ricerca del padre che l'avrebbe uccisa ingiustamente.



    Alcuni testimoni affermano che la sua materializzazione è quasi perfetta, tanto che potrebbe esere confusa per una donna realmente vivente.
    Laura indosserebbe degli abiti del 500, un'ampia gonna di seta, un corpetto sul quale avvolge uno scialle finemente lavorato.
    Molti studiosi si sono interessati all'argomento ed hanno riportato alla luce dei documenti dell'epoca dai quali risulta che il Vicerè di Sicilia informa la Corte di Spagna che il Conte Cesare Lanza ha ucciso la figlia Laura e Ludovico Varnagallo.
    Tale documento, redatto il 4 dicembre 1563, è conservato nell'Archivio della Chiesa Madre di Carini.



    Non esiste, tuttavia, nessuna prova che tra Laura Lanza e Ludovico Varnagallo ci fosse un sentimento diverso da quello dell'amicizia.
    Esiste anche un Memoriale presentato, a sua discolpa, da Cesare Lanza al Re di Spagna che così recita:
    Sacra Catholica Real Maestà,
    Don Cesare Lanza, conte di Mussomeli, fa intendere a Vostra Maestà come essendo andato al Castello di Carini a videre labaronessa di Carini, sua figlia, come era suo costume, trovò il barone di Carini, suo genero, molto alterato perché avia trovato il mismo istante nella sua camera Ludovico Vernagallo suo innamorato con detta baronessa, onde detto esponente mosso da juxsto sdegno in compagnia di detto barone andorno e trovorno detti baronessa et suo amante nella ditta camera serrati insieme et cussì subito in quello stanti furono ambodoi ammazzati.



    Don Cesare Lanza conte di Mussomeli
    Il conte non pagò mai per l'orrendo delitto mentre il Barone di Carini, il 4 maggio del 1565, convola a nuove nozze con Ninfa Ruiz.
    Nessuno ancora oggi riesce a spiegare il motivo di tanta crudeltà verso una donna che, anche gli storici dell'epoca, hanno sempre definito " di fascino e di grandi virtù"!



    Ludovico Vernagallo, inoltre, era da sempre amico di Laura e considerato anche dal conte Lanza come uno della famiglia!
    Visitando il Castello di Mussomeli non si può evitare di pensare alla Baronessa di Carini ed alla sua tragica ed eterna ricerca per conoscere, finalmente, dal proprio genitore il motivo di tanta crudeltà!




    CALTANISSETTA, CASTELLO DI PIETRAROSSA



    Castello di PietrarossaVenne costruito su una rocca a picco su un burrone che dominava la vallata fino al fiume Salso.
    Nel 1086 Ruggero conquista Caltanissetta, roccaforte musulmana quod in nostra lingua resolvitur castra foeminarum.
    Da Idrisi nel 1150 ca. Qal'at an-Nisa è ricordata come "rocca di bella costruzione".
    Nel 1282 il castello sarà saccheggiato durante la guerra del Vespro e nello stesso anno Pietro d'Aragona nomina Bernardo de Sarrià castellano di Caltanissetta dopo la rimozione di Ruggiero Barresi.
    Durante il periodo aragonese il castello raggiunse il massimo del suo prestigio, essendo stato scelto come sede di tre Parlamenti generali siciliani: nel 1295, quando vi si volse il convegno dei baroni di Sicilia; nel 1361, quando Federico III vi si rifugiò per sfuggire alla morsa dei baroni siciliani; nel 1378, quando, alla morte di Federico III, vi si riunirono i quattro Vicari per spartirsi il governo dell’Isola.



    Nel 1407 il castello venne concesso in feudo da re Martino a Matteo II Moncada e ai suoi eredi, nelle mani dei quali rimase fino alla soppressione del Feudalesimo.
    Nella notte del 27 Febbraio 1567, forse per una scossa di terremoto, il castello crollò. Rimasero in piedi solo un muro diroccato, una torre di guardia in pietra viva, terrapieni, bastioni ed un ponte di comunicazione.
    Da un elenco di spese effettuate per conto del principe Moncada del 1591 si evince che parte del castello viene conservata con lavori di manutenzione e che contemporaneamente però inizia l'utilizzo della rocca come cava di pietra da costruzione.



    Nel corso del XVII secolo continuerà la demolizione del castello, parzialmente crollato. La pietra verrà utilizzata per le principali costruzioni dell'epoca e nel 1827 il decurionato di Caltanissetta delibera che per la costruzione della via del Monastero di Santa Croce la pietra dovrà "sbarbicarsi e tagliarsi dalla parte meridionale del castello di Pietrarossa".



    Il castello, ubicato al margine orientale del centro storico di Caltanissetta, si erge su una serra calcarea e sfruttando la morfologia del terreno si affaccia sulla valle del fiume Salso. Situato all'estremità inferiore del quartiere Angeli, primo nucleo dell'attuale abitato urbano di Caltanissetta, era accessibile, attraverso un ripido percorso, esclusivamente dal fronte rivolto verso la città. La sua posizione geografica consentiva il controllo di un'importante via di comunicazione intema, qual era il fiume Salso, ed il collegamento visivo con il castello di Pietraperzia.
    Adibito esclusivamente a funzioni militari, inadeguato come residenza nobiliare, decadde rapidamente con l'avvento dei Moncada, responsabili del successivo abbandono.
    Il castello deve il suo nome al tipo di pietra usata per la costruzione, parte della quale è ancora visibile, riutilizzata, nella muratura dell'attiguo convento dei padri Riformati.



    Nel linguaggio popolare è denominato murra di l'Anciuli, con un chiaro riferimento alla limitrofa chiesa di Santa Maria degli Angeli ed al materiale usato poiché il termine murra, nel dialetto siciliano, individua sabbia o pietra rossa.
    Planimetricamente articolato su vari livelli, risultava costituito da tré torri collegate da cortine murarie, delle quali oggi risultano visibili resti di quella alta circa 25 metri, e della torre di vedetta nord.
    La grande torre centrale è costruita su una roccia bipartita da una profonda fenditura che la attraversa longitudinalmente.
    Nel lato sud, a cavallo della fenditura, sono visibili una feritoia in pietra da taglio ed inferiormente un'apertura con arco a sesto acuto privo del concio di chiave, presumibilmente preceduta da una scala d'accesso esterna oggi non più esistente.
    Il fianco sud-ovest è rinforzato da un cantonale in pietra da taglio, probabilmente eseguito nel XVI secolo dopo un parziale crollo della parte superiore della torre; tale tesi è supportata dall'esistenza nel cantonale di conci tagliati a sguincio, facenti parte in origine di una finestra ubicata in sommità, lato ovest, della quale restano solo il davanzale ed uno stipite.
    In cima alla torre è posizionata una cisterna per liquidi rivestita con intonaco che ingloba frammenti ceramici di invetriate piombifere verdi a decorazione solcata e invetriate a decorazione dipinta, databili tra la fine del XII secolo ed i primi del XIII.



    Ai piedi della torre, nell'area dello sperone, lo scavo delle murature parzialmente interrate ha portato alla luce un ambiente la cui esatta consistenza non è individuabile a causa del crollo della parete ovest, dovuto all'utilizzo della rocca come cava da costruzione.
    Lo scavo in tale area ha consentito il rinvenimento di ceramica da fuoco che testimonia una fase abitativa del XIII secolo.
    Alla fine del percorso d'accesso al castello, resti di murature addossate alla roccia fanno pensare all'originaria presenza di ambienti di servizio coperti con strutture lignee; poco distante è sita una profonda ed ampia cisterna intonacata, interamente interrata.
    Ciò che resta dell’antico castello è ora proprietà comunale, insieme alla Chiesa di S. Maria degli Angeli, costruita nel XIII secolo, seconda parrocchia della città dopo Santo Spirito.

     
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