LA CALABRIA 2^Parte

CAPO COLONNA..CAPO VATICANO..TROPEA..LE TRADIZIONI CALABRESI..

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    BUONGIORNO ISOLA FELICE ... BUON RISVEGLIO A TUTTI


    “ ... Mercoledì ... ieri fiumi di parole ed immagini hanno dolcemente attraversato la nostra isola felice e, come un vento fresco e gioioso, hanno fatto librare in aria la mongolfiera dell’isola felice accompagnandola lungo i primi passi in terra calabrese ... lunghe e commoventi carezze ci hanno rallegrato con parole che mostravano l’amore incondizionato e profondo per questa terra ... la Calabria ... U dialettu crisci ... Certu u dialettu chi mò nui parràmu non esti u stessu di cent'anni fa; puru u dialettu infatti, si pensamu, subisci cangiamenti e novità. A lingua avanza comu nui avanzamu, cangia cu' tempu e cangia cu' l'età, ed i paroli nui i modificamu cu na moderna sensibilità. E chistu è naturali! E cui 'on capìsci in realtà non canusci u dialettu, pensa ca prima o poi ndavi u finìsci e non merita cchjù nudu rispettu. E inveci ancòra ogni dialettu crisci e diventa cchjù limpidu e cchjù nettu! ... Parole che rappresentano il legame forte della gente della Calabria alle proprie radici, alle origini ... lo stesso legame forte contenuto nelle carezze che ieri ci hanno regalato i nostri amici calabresi dell’isola felice ... a loro va il mio ringraziamento e la mia ammirazione ... per quell’amore forte e sincero, raccontato con emozione, orgoglio uniti a tanta delicatezza ... per questo oggi, resteremo nelle province ieri attraversate dal nostro viaggio, scopriremo altri luoghi fatati e racconteremo le tradizioni di quei luoghi ... Buon risveglio amici miei ... grazie amici calabresi, le vostre carezze ieri mi hanno colpito, emozionato e convinto a restare ancora un giorno in questi luoghi ...”

    (Claudio)



    CAPO COLONNA..CAPO VATICANO..TROPEA..LE ORIGINI LE TRADIZIONI CALABRESI..LA TERRA DEI NOSTRI AMICI E DI LUSSY



    “All'inizio del primo millennio, la necessità da parte dei Normanni di sostenere l'urto del potente esercito arabo favorì la nascita, nell'Italia meridionale, di un sistema politico economico di tipo feudale….sorgono microsistemi fortificati autonomi per ogni concessione feudale…Con la ripresa delle incursioni turche sia gli Aragonesi che i vicerè spagnoli ordinano la rifortificazione della costa... Le terre sono infestate da continue scorrerie turche…..Per far fronte in modo immediato ai temuti attacchi, in tutto il regno di Napoli durante il viceregno spagnolo viene ideato un sistema permanente di difesa costiera. Il piano generale prevede la costruzione di torri costiere che siano visibili tra loro, per poter segnalare con tempestività, in tutto il regno di Napoli, l'arrivo di navi nemiche…. Finito il pericolo delle invasioni arabe sorgono nelle campagne ville, casini di caccia, masserie e conventi: Villa Berlingieri, Albani, Sculco a Capo Colonna, Masseria Caracciolo a Scifo, Masseria Domine Maria, i centri di Capo Rizzuto e Le Castella, il Convento dell'Annunziata.Sono circa sessanta i paesi che interessano il tratto costiero della Riserva….Isola di Capo Rizzuto è un comune della provincia di Crotone…. il suo patrimonio di storia e natura e il suo celebre e omonimo promontorio che si protende nel blu dello jonio, tra spiagge, castelli e falesie rocciose spettacolari….Nonostante il suo nome, Capo Rizzuto non è un isola.... la confusione deriva da alcune antiche cronache del medioevo in cui comparve il nome isola che da allora accompagna la località….Isola o non Isola, Capo Rizzuto accompagna il suo destino turistico al meraviglioso mare e grazie alla presenza nelle vicinanze di siti storici importanti, Capo Colonna e Le Castella fra tutti...L'area marina di Capo Rizzuto è una delle aree protette più affascinanti di tutto il mediterraneo, la cui bellezza è immediata: l'occhio distingue dapprima i toni autentici e cangianti del cielo e del mare, quindi gli scogli, l'argilla, la sabbia da cui sembrano esalare i profumi di un tempo e i significati del passato. Il breve tratto di costa, splendido e fragile, offre innumerevoli percorsi sopra e sotto il mare..Sul lato orientale del capo si erge la Torre Vecchia, manufatto eretto per il monitoraggio delle coste dalle incursioni saracene….le spiagge si susseguono in direzione di Capo Colonna…le spiagge rosse, Le cannella, le acque limpide di Capo Cimiti e la spiaggia di Marinella con la vicina bella spiaggia color nocciola di Baia Torre Scifo.”



    “ La storia di Capo Colonna è legata alla storia di Crotone fin dalla sua fondazione avvenuta, ad opera degli Achei, attratti dal sito incantevole tra il 740 a.C e il 718 a.C…Sul promontorio Lacinio, luogo sacro, fu eretto il celeberrimo tempio di Hera Lacinia-dea greca protettrice delle donne, deipascoli e della fertilità databile intorno al VI secolo a.C….La notorietà e la ricchezza del santuario sono raccontate nelle antiche letterature che descrivono un rigoglioso bosco, un lussureggiante giardino nel quale pascolavano tranquilli i buoi sacri alla dea. Sono molte le tracce nel tempio di personaggi del mito e della storia: Annibale che prima di far ritorno in Africa per fronteggiare Scipione tentò invano di impossessarsi della colonna d’oro, ma fu dissuaso dalla dea Hera che, in sogno, lo minacciò di fargli perdere l’unico occhio rimastogli. Sul sacro promontorio approdò anche Ulisse, infatti, le attuali carte nautiche confrontate con le antiche, riportano nel mare crotonese l’isola di Ogigia abitata secondo quanto narra Omero nella sua famosa Odissea, da Calypso, la ninfa dal “Crin Ricciuto” da cui forse deriva “Capo Rizzuto”…. Oggi dei fasti del passato rimane, solitaria e maestosa, un’unica colonna dorica, che, dall’alto dei suoi 8.30 mt, sovrasta, indisturbata i paesaggi mozzafiato, dei quali è padrona indiscussa, allungando il suo sguardo sulle placide ed azzurre onde del mare.”


    “A strapiombo sul mare Tirreno, proprio di fronte alle Isole Eolie e lo Stromboli, si erge imponente il promontorio noto col nome di Capo Vaticano che, a partire dall’ Appennino Calabrese, si estende fino al mare separando il Golfo di Santa Eufemia da quello di Gioia Tauro… Vagabondo frammento di Europa nel centro del Mediterraneo, il promontorio di Capo Vaticano ha origini geologiche molto antiche. Le strapiombanti scogliere che si immergono nel mar Tirreno…le sue alte pareti sul mare creano una serie infinita di anfratti, spiaggette, scogliere di granito e calcare circondate da macchia mediterranea che diventano preziosa riserva di uccelli che scelgono questi luoghi per nidificare.Sulle alture che circondano il faro, a precipizio sul mare… un breve sentiero che,tra fichi d’india, permette di godere di panorami mozzafiato con una visuale che arriva fino alle isole Eolie…..Tutta la zona è un continuo fiorire di macchia mediterranea, e oltre che per la coltivazione della cipolla rossa di Tropea, l'area è privilegiata per la crescita di banani e di altre piante tropicali….. Le imponenti scogliere di granito e le variopinte pareti di arenaria sono lo scenario di fronte al quale si distendono le bianchissime spiagge …Il Belvedere del Faro è un punto di osservazione privilegiato da cui ammirare la scogliera granitica situata alle spalle della spiaggia di Grotticelle che ospita molte specie vegetali tipiche delle scogliere mediterranee…c’è un altro Belvedere da cui è possibile ammirare la splendida spiaggia “Praja i focu”, circondata da scogliere strapiombanti e bagnata da un mare che assume colori sempre diversi…. il finocchio di mare (Crithmum maritimum), Inula crithmoides, Daucus gingidium e Limonium calabrum…le eleganti ed aggraziate orchidee Serapias ….In primavera numerosi uccelli migratori scelgono il promontorio di Capo Vaticano, per sostare prima di proseguire il loro viaggio; scrutando il cielo in qualunque stagione si potranno anche scorgere agili coppie di gheppi che spesso nidificano negli anfratti sulle impervie scogliere “



    “Le origini di Tropea sono sconosciute. Si sviluppò con i normanni e ancor più con gli aragonesi. Attivissimo centro marinaro, tenne rapporti commerciali con tutti i paesi del Mediterraneo disponendo di una sua flotta…La città di Tropea sorge sopra uno sperone, detto "la rupe" di natura calcarea. Sede vescovile già nel VI secolo, la trinavata cattedrale normanna è una delle poche chiese di quel periodo esistenti in Calabria….il centro storico è ricco di opere marmoree: i sepolcri della famiglia Galluppi e dei Cazetta del 1530, le statue della Madonna del popolo e della Madonna della libertà del primo quarto del '600, e la Natività del messinese Pietro Barbalonga dell'anno 1600. L'icona della Madonna della Romania, protrettrice della città e della diocesi.. un Crocefisso nero, scultura lignea di probabile fattura quattrocentesca. …La chiesa dei francescani conventuali, nota col titolo di San Demetrio….. La comunicante cappella di Santa Margherita che avrebbe origini medioevali. La chiesa dell'Annunziata, appartenente al convento dei francescani osservanti, oltre al cinquecentesco gruppo marmoreo dell'Annunciazione …il soffitto ligneo dipinto dal napoletano Andrea Gigante…. La documentazione della dipendenza dal monastero benedettino di Montecassino, tuttora in vigore, risale all'anno 1066. La facciata è stata ricostruita in stile litotomico dopo il crollo provocato dal terremoto dell'8 settembre 1905. La chiesa è meta di pellegrinaggi in occasione delle solennità mariane del 15 agosto e dell'8 settembre. Sulle strette e tortuose strade del centro prospettano gli artistici portali dei palazzi nobiliari sei-settecenteschi, dietro i quali non di rado si intravedono caratteristici cortili.”



    “Lungo la “costa degli dei” da Capo Vaticano, durante una gita in barca si possono ammirare le spiaggette e calette di Capo Vaticano, la spiaggia del Tono, la spiaggia di Torre Ruffa, la spiaggia di Riaci, la spiaggia di Formicoli, si arriva quindi alla spiaggia dell’ Isola di Tropea e bagno nella caratteristica “grotta dell’ Isola”…..”



    “A Santa Maria del Cedro...Una lunga tradizione si accompagna al frutto dal sapore dolce e acre allo stesso tempo….il cedro…. portato dagli ebrei sulle rive calabresi, viene ancora oggi utilizzato durante la festa del Sukkòth o Festa delle Capanne. Si narra che proprio Dio probabilmente indicò a Mosè il cedro come pianta sacra adatta per tale festività e per questo ogni anno i rabbini si recano a Santa Maria per raccogliere i semi del frutto da diffondere in altre località….Si presenta sugli alberi con una bella forma a cuore, di color verde, pur se con rughe, e permette al paese di produrre pregiate qualità di liquori, sorbetti, granite, panettoni, gelati e confetture…i dolcetti alla crema di cedro…i vini che accompagnano i pasti con un retrogusto dolciastro e i soffici cornetti caldi al cioccolato da assaporare rigorosamente di sera sotto il chiarore della luna.”



    “Castelsilano…. il rito delle focare…E’ un rito che coinvolge tutta la comunità e ha il suo momento centrale la notte del 24 dicembre: in questo giorno in ogni rione viene innalzato un grande falò con la legna raccolta dai ragazzi durante il periodo autunnale. Ha in sé una forte valenza simbolica, in quanto s’intende con il falò riscaldare il bambinello che nasce e nel contempo rinnovare la fede cristiana che da sempre permea la popolazione locale…La focara più importante è quella di piazza Giuseppe Rotondo (un benefattore che fece fortuna in Argentina), cuore della città su cui affaccia la Chiesa di Santa Maria Immacolata. Qui la gente, dopo la messa, si raduna davanti al fuoco per raccontarsi la vita.”


    “La tecnica si tramanda ancora oggi di madre in figlia, mentre un tempo le educande ne apprendevano pazientemente i segreti negli istituti religiosi…..L’arte dei merletti a Crotone esemplifica la ricerca appassionata dei valori del passato e il desiderio di farli rivivere nei tessuti e negli oggetti moderni. In Calabria il ricamo, i merletti e la tessitura hanno origini antichissime. I primi filati risalgono alle antiche civiltà greche che colonizzarono la costa ionica, trasformandola in un vero e proprio snodo commerciale marittimo. Ciò permise non solo di importare nuovi tessuti, ma anche di appropriarsi di nuove tecniche di filatura provenienti dalla Persia e dal vicino Oriente…Nel tempo abili mani di cortigiani e contadine tramandarono le conoscenze acquisite nella tessitura manuale e poi in quella col telaio.”



    “La storia di questo prodotto unico strettamente legato al territorio ha dato vita alla singolare esperienza imprenditoriale della famiglia Amarelli……Già nel 1500 si estraeva il succo di liquirizia ed a questa attività si dedicò la famiglia dei Baroni Amarelli. Nel 1731 venne fondato l’attuale “concio” Amarelli, alla cui attività fu dato particolare impulso nel 1800. Intorno al 1840 l’attività era in pieno sviluppo e nel 1907 la lavorazione si ammodernò con due caldaie a vapore per la preparazione della pasta di radice e l’estrazione del succo, mentre una pompa a motore da 200 atmosfere metteva in azione i torchi idraulici per la successiva compressione della pasta e la produzione di altro liquido….Da quest’attività imprenditoriale, nasce nel 2001 il Museo della liquirizia “Giorgio Amarelli”, con la volontà di far conoscere la storia di un prodotto unico del territorio calabrese."



    “Rocca di Neto…"A notti i Natali" (La notte di Natale)…La notte di Natale la gente "rocchitana" lasciava la tavola apparecchiata con tredici portate diverse e un bicchiere di vino. La credenza popolare era che in quella notte Santa Gesù si fermasse in ogni abitazione per assaggiare le buone pietanze preparate con cura e devozione. La mattina di Natale si riassaggiava il tutto, convinti, di aver ricevuto la benedizione…"U pani i casa" (Il pane fatto in casa)…I nonni avevano la sana e buona abitudine di preparare il pane in casa, ma più che un’abitudine era una tradizione ricca di significati, che simboleggiavano la ricchezza, la fertilità e la prosperità. Quando nelle famiglie rocchitane arrivava il giorno della "panificazione", si usava utilizzare la prima parte dell’impasto per creare delle forme particolari; una prima forma che si otteneva era quella in devozione di S. Lucia, una seconda forma simboleggiava "sette stati", volendo augurare ai figli un numero di ricchezze e di virtù pari a sette, un numero evidentemente considerato propizio e sicuramente di buon auspicio dalla saggezza popolare, infine si creava un terzo simbolo in devozione a Santa Loia, protettrice degli animali e dei loro padroni. Queste tre forme di pane, si conservavano e si davano "ppì cunzualu" (per consolazione) all’eremita del paese.”


    “Al confine fra la Sila e la catena costiera sorge la città di Cosenza, là dove il fiume Crati comincia a costituire un'importante via di comunicazione verso il mare; una terra che produce cereali, vino, olio, frutta (ricordiamo i famosi fichi che vengono seccati e infornati), ortaggi e legumi. Da questi prodotti deriva una cucina che si caratterizza per alcuni piatti di radicata tradizione e per la conservazione di alcuni alimenti sott'olio…L'olio infatti è prodotto in abbondanza in tutta questa zona e risale a ben sette secoli prima dell'era cristiana. L'origine controllata che si riferisce all'indicazione Brutium, è concessa all'olio d'oliva extravergine prodotto nell'agro di ben quarantanove comuni della provincia di Cosenza, riuniti in quattro grandi gruppi ognuno contraddistinto da una successiva obbligatoria menzione geografica: Fascia prepollinica, Valle Crati, Colline ioniche presilane e Sibaritide. Le differenze di colore, di sapore, di odore e di acidità sono tra i vari tipi minime ma non sfuggono agli esperti: il "Brutium Fascia prepollinica" ha, secondo il disciplinare relativo, colore verde con riflessi gialli, il "Brutium colline ioniche presilane" è invece giallo oro con riflessi verdi….La ricchezza d'olio e l'antica necessità di conservare i cibi per l'inverno, risalente ai tempi in cui le comunicazioni erano difficilissime, hanno determinato una tradizione di conserve. Infatti i calabresi hanno dimostrato di essere impareggiabili preparatori di melanzane sott'olio, di olive, di pomodori secchi; altrettanto hanno fatto con la «mustica» o caviale dei poveri, gli «avannotti di alici», pescati a milioni, distesi a essiccare su tavole di legno, coperti di peperoncino, poi chiusi in barattoli sott'olio. Sono un'autentica bomba di sapore ma anche soltanto la punta di un iceberg di delizie che è bello scoprire girando nelle campagne…Così è per le melanzane cucinate in forno con vari ingredienti, costituiscono un piatto completo.... Le melanzane in questa terra vengono anche festeggiate con una sagra che si svolge a metà Agosto sulle rive del fiume Coscile dove si tiene una gara fra famiglie per il primato delle migliori melanzane ripiene con mollica di pane, pomodoro, peperoncino, aglio, basilico e cotte in forno…Un'altra importante conservazione è quella dei pomodori secchi e sott'olio che, ridotti con il loro olio a salsa, diventano uno straordinario condimento per gli spaghetti che saranno spolverati abbondantemente di pecorino grattugiato…Caratteristico è il tonno bollito .. un'antica ricetta ..Altro piatto tipico sono le «braciolette di alici», i piatti di terra fra i quali ricordiamo la tipica «'nduja».. oltre ad arricchire antipasti sicuramente vivaci, è frequentemente usata come condimento per primi piatti e pietanze bisognose di rinforzo.... il consiglio di spalmarne adeguate quantità su una bruschetta ancora calda…A fine pasto sono famose le «crocette di fichi» imbottiti con mandorle e cotti in forno; i «cioffi», ugualmente imbottiti ma ricoperti da un cioccolato bianco o fondente; infine i «ficarielli» veri e propri, saporiti e profumatissimi, raccolti in apposite confezioni e ricoperti di sciroppo e di foglie aromatiche di mortella. Altre preparazioni vedono i fichi secchi composti a coroncina su rametti di mirto, oppure a treccia. I dolci sono spesso legati alle ricorrenze religiose. Famoso è il «cuzzuolu», un dolce pasquale di origine secolare: si tratta di pasta fatta con farina, uova, strutto e zucchero. Le forme (cuore, cavallo o bambola) variano secondo l'estro e le abitudini; l'uovo sodo con il guscio posto al centro è il simbolo della Resurrezione…Mandorle e miele sono alla base dei vari torroni e vari altri dolci che però sono diffusi un po' ovunque in tutto il Meridione, come i «mostaccioli», la «passulata» e i «turtidoli».”


    “La cucina tipica del territorio è povera, ma di sapore robusto, facendo uso di prodotti della terra, come cereali, agrumi, olive, ortaggi e frutta. I piatti tipici sono spesso insaporiti da peperoncino piccante, cipolline selvatiche e finocchio aromatico…Tipica di Crotone è l’arte delle creme, salse e patè che ha la sua origine nella cucina dei contadini e pescatori calabresi che desideravano insaporire i semplici piatti da loro cucinati…. Ancora viva è l’usanza delle massaie di preparare in casa particolari conserve da usare poi sia come antipasti o per arricchire le pietanze tradizionali: rinomate le conserve di pummadori sicchi, di pipi salati, di funci all’ogghio, di alivi scacciati, di sasizze….Tra gli antipasti, sono da gustare i salumi e i latticini: la provola, la ricotta fresca e salata, il butirro, piccolo caciocavallo che racchiude un cuore di burro, e il rinomato pecorino crotonese, a pasta dura, prodotto esclusivamente con latte di pecora di razza Gentile…Tra i primi, molto gustosi i cavateddri o i maccarruni, specialità di pasta fatta in casa, da condire con ragù di maiale, e la zuppa di pesce…I secondi piatti offerti dalla tradizione sono soprattutto quelli a base di maiale…Tra i dolci tipici ci sono invece la Pitta da Madonna e il sanguinazzu… i vini doc del territorio crotonese, come il Melissa, l’Ippolito, il Val di Neto e il Sant’Anna, spicca il Cirò, il più celebre, Rosso, Bianco e Rosato.”



    “Il morzello, u' morzeddhu in dialetto catanzarese, è un piatto povero della cucina calabrese, ed in particolare di Catanzaro, che viene preparato usando trippa e frattaglie bovine, concentrato di pomodoro, peperoncino piccante, sale, alloro e origano…Un tempo veniva preparato in tarda mattinata nelle botteghe all'interno dei numerosi vicoli della città di Catanzaro, poiché veniva considerato lo spuntino mattutino di studenti, impiegati e operai…. Ogni anno ad agosto nella provincia di Catanzaro si tiene la caratteristica Sagra del Morzello dove è possibile degustare il vero e inimitabile morzeddhu alla catanzarisi.”


    “Pitagora…Il più grande riconoscimento che la storia conferisce a Crotone, è la prolifica scuola pitagorica che il grande maestro greco fondò in una data stimata fra il 500 a.C. e il 600 a.C. Il filosofo e matematico scelse questa meta per il suo ateneo si pensa per volere divino. Proveniva da Delphi laddove la leggenda racconta che avesse interppellato l'oracolo. Fu il Dio Apollo a predestinarlo a Crotone per trasmettere il suo sapere….”







    tramonto

    Buon giorno a tutti x inziare un posto da favola in Calabria: Capo vaticano

    100.Costantino-800

    L'Aspromonte un posto bellissimo

    reggio-aspromonte

    non potevano mancare: I Bronzi Di Riace

    cascate_marmarico

    Cascate nelle Serre

    Paola

    Paola è posta su un terrazzamento alle pendici della Catena Costiera. Città natale di San Francesco di Paola (1416) che qui costruì una cappella dedicata a S. Francesco d’Assisi nel luogo dove oggi sorge il santuario a lui dedicato. L'antico abitato si sviluppò tra il XV e il XVi secolo all'interno delle mura cittadine, solo nel 1875 si cominciò la costruzione di un nucleo più moderno sul mare. Cominciamo la nostra passeggiata a Paola da Porta San Francesco dalla quale si entra in piazza del Popolo, con una fontana del ‘600, la Torre dell’Orologio e la chiesa della Madonna di Montevergine del ‘400. Percorrendo la stradina a destra della chiesa si arriva alla casa natale di San Francesco oggi trasformata in oratorio. Da visitare, nel centro storico, inoltre, sono la chiesa del Santissimo Rosario, la fontana dei sette canali e la chiesa della Santissima Annunziata del XIII secolo. Poco lontano dall'abitato si trova il Santuario di San Francesco che conserva al suo interno le reliquie del Santo, nella cappella (della fine del ‘500) che si trova in fondo alla navata destra, una tavola con San Francesco d’Assisi con a fianco San Francesco di Paola, di fattura molto recente, e un affresco del ‘400 raffigurante la “Madonna degli Angeli”.
    Paola_Santuario



    coast-paola

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    IN QUESTO SANTUARIO CI SONO STATA UN SACCO DI VOLTE.E ...MI E' RIMASTA IMPRESSA LA GRANDE...FEDE SPIRITUALE CHE...SI RESPIRA.........MI RICORDO CHE......QUANDO VISITAVO..LE STANZE DEDICATE AL SANTO..O..LA STANZA...PIENA DI..MIRACOLI RICEVUTI DALLA GENTE.........BEH...........MI EMOZIONAVO TANTISSIMO......E' BELLO SAPERE CHE..C'E QUALCUNO CHE CI PROTEGGE.QUAL'CUNO CHE..PENSA SEMPRE A NOI TI FA..SENTIRE...PROTETTA..E..SPECIALE...........



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    DI PAOLA..RICORDO ANCHE......LA SUA FOLTA VEGETAZIONE CHE...LA RICOPRIVA..COME...A..SOSTENERLA...IL SUO MARE LIMPIDISSIMO.E...I BELLISSIMI PIC-NIC..CHE AD UNA CERTA ORA..FACEVAMO..NELL PARCO DELLA SILA............

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    AHAHA.MI E' VENUTO IN MENTE UN EPISODIO CURIOSO...UN ANNO...NEL CORSO DELLA NOSTRA GITA A PAOLA...BEH...IL BIMBO DI UN NOSTRO AMICO..CHIUSE..LA MACCHINA DEL SUO PAPA'..CON LE CHIAVI DENTRO.....AHAHA...NN VI DICO IL PANICO...IL NOSTRO AMICO..PER NN ROMPERE IL FINESTRINO...BEH.....CERCO'..DI FORZARE..LA MACCHINA....MA.... :woot: :woot:..........AHHHHHHH..INIZIO' A SUONARE..L'ALLARME....AHAHAH..CHE FIGURA...TUTTI..CHE..CI GUARDAVANO..SEMBRAVAMO DEI..LADRI...E..LUI..TUTTO ROSSO IN VOLTO..CONTINUAVA..A DIRE AI PASSANTI.."EM..LA MACCHINA E' MIA...SOLO CHE..NN HO LE CHIAVI" :lol: :lol: :lol:..AHAHAH..SCUSATE...MA..ERA..TROPPO DIVERTENTE....AHAHAH



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    DA PAOLA...QUANDO IL CIELO E' LIMPIDO..SI..PUO' AMMIRARE..LO STROMBOLI....



    Oggi nel rispetto degli amici calabresi posterò sopratutto immagini ... i commenti o i racconti li lascio volentieri a loro ...


    Capo Colonna


    Santuario Maria SS. Di Capo Colonna







    Madonna di Capo Colonna

    La leggenda vorrebbe che tale dipinto mariano sia opera dell’evangelista San Luca e che sia stato portato a Crotone dal suo primo vescovo e protettore: quel san Dionigi l’Aeropagita che, secondo gli “Atti degli Apostoli” fu convertito ad Atene dalla predicazione di San Paolo. Secondo un’altra tradizione, invece, fu proprio Luca, vescovo di Isola fra il 1093 ed il 1015 a donare alla città di Crotone questo dipinto proveniente o direttamente dall’Oriente o da qualche monastero basiliano della zona come, per esempio, quello della Silica. A rendere complessa la storia di tale dono, divenuto nei secoli il simbolo stesso della fede di Crotone, il fatto che il dipinto mariano appare per la prima volta nei testi storici nel 1519 in un manoscritto del canonico Bassolino. Era il 1 giugno quando, come narra Antonella Cosentino ne “La Città della Madonna” (supplemento a “Il Crotonese” del 17 maggio 1991) “due galee di Turchi arrivano a Capo Colonna. Dopo aver messo in fuga la gente ed essersi appropriati della icona, tentano di bruciarla nei pressi delle navi. Ma la tela resta intatta. Decidono a questo punto di salpare portandola con sé. Ma la galea col quadro rimane immobile sia al vento che ai remi”.



    Le origini di Paola
    custodiscono testimonianze di epoca romana, periodo in cui era, probabilmente,un oiccolo centro agricolo, simile a tanti alti che a quel tempo erano sparsi un pò ovunque in Calabria. Alcuni ritrovamenti, avvenuti in tempi più o meno recenti, ne proverebbero l'esistenza.La prima volta nel 1925, durante un saggio di scavo condotto dalla Soprintendenza, in cui furono rinvenuti tegole e cocci sparsi di età romana del periodo tardoimperiale, ed una seconda volta nel 1982, per cause fortuite, dovute ad uno sbancamento del terreno, in ina localitàdetta "cutura", nel significato di fondo rustico rurale, dove furono trovati cocci e vasi di argilla, la base di un frantoio, la macina in granito e anelli di ferro di un pilastro, attualmente custoditi nel museo di Sibari. Successivamente ai romani, la dominazione bizantina ha lasciato segni del suo passaggio, ancora oggi riscontrabili nel nome delle tante contrade, tra cui S.Caterina Vergine e Martire, S.Elia, S.Micel e in alcuni edifici della religiosità, qualìè l'icona della chiesa di Montevergina, la chiesa di S. Michele Arcangelo e la chiesa ipogea di Sottoterra, con le sue pitture di epoca bizantina. Ma la ricchezza della città fu accresciuta soprattutto dalla presenza del santo eremita e taumaturgo Francesco Alessio, nato a Paola nel 1416 e morto a Tours in Francia nel 1507.Nell'identità storica e culturale della citta di Paola e mabnifesta la sua rilevanza nel contesto delle grandi città simbolo della cristianità mondiale, nella quale si riconosce il sentimento austero e speciale dei luoghi che sono propri della religiosità popolare. Al tempo di San francesco, Paola attraversò un periodo di particolare fermento spirituale che si manifestò con il sorgere di molti ordini religiosi, primi fra tutti o Minimi che andarano a completare la già la folta schiera di altri numerosi ordini religiosi, fra i quali i Gesuiti, i Domenicani, Gli Agostiniani e di Cappuccini. La dimostrazione di quanto questa presenza abbia influito all'accrescimento urbano, voluto anche dalla famiglia Spinelli, è rappresentato dalla edificazione di chiese e conventi, che con la loro architettura impreziosiscono il già ricco patrimonio artstico della città, presente in prevalenza nel centro storico, tra gli assi viari principali di via Valitutti e Corso garibaldi, un autentico concentrato di monumenti, onore e vanto del patrimonio artistico e culturale di Paola.



    PRIMA..DI PROSEGUIRE NELLA DESCRIZIONE DEI POSTI INCANTATI CALABRI...MI VOGLIO SOFFERMARE..SULLA FRUTTA..CHE..E' TIPICA DELLA CALABRIA...E..CHE IO EM..ADORO....I FICHI....

    l-albero-di-fichi

    ..QUI HANNO UN SAPORE...DOLCISSIMO..SARA'..PER IL CLIMA CALDO...SARA'..PER L'ARIA DI MARE.MA VI ASSICURO..CHE IN NESSUN ALTRO POSTO..HO RITROVATO QUESTO SAPORE...............POI...
    I FICHI D'INDIA....AHAHAH..QUESTI..SONO..EM UN PO'..PERICOLOSI...IO ..QUANDO LI SBUCCIO..HO SEMPRE..LE MANI PIENE DI PICCOLE..SPINE....MA...VI ASSICURO..CHE..SONO..UNA VERA DELIZIA...BASTA..NN ESAGERARE NEL MANGIARNE TROPPI...AHAHA(a buon intenditor..pocheparole...)

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    Aurora Capocolonna





    Tramonto a Capo Colonna





    Capo Vaticano





    marano_Marchesato-Stemma

    MARANO MARCHESATO

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    QUESTO PAESINO...E' A DUE PASSI DA COSENZA..CI VADO SPESSO PERCHE'..CI ABITA MIA COGNATA......E' IMMERSA NEL VERDE..E CI SONO UN SACCO DI ALBERI DI CASTAGNO.......



    472panorama007


    COSENZA...

    Provincia_di_Cosenza-Stemma


    Cosenza





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    PENTEDATTILO UN POSTO BELLISSIMO AI PIEDI DELL'ASPROMONTE VICINO BOVA MARINA(RC)



    400px-Reggio_calabria_veduta_del_lungomare_dall%27alto

    LUNGOMARE REGGIO CALABRIA

    QUESTO E' IL LAGO CECITA..AMICI..SAPETE..SONO STATA TANTISSIME VOLTE IN SILA.DA PICCOLA..MIO..PADRE MI PORTAVA CON LUI...A...PIANA DI CARUSO....A RACCOGLIERE I FUNGHI...IO..MI DIVERTIVO TANTISSIMO..ANCHE SE...BEH.FACEVO FATICA A DISTINGUERE..QUELLI BUONI..DAI VELENOSI.MA..AVEVO UN BRAVISSIMO MAESTRO CHE....MI INSEGNAVA..SEMPRE CON MOLTA PAZIENZA A DISTINGUERLI.................POI..ARRIVAVAMO FINO AL LAGO..E..LI'..FACEVAMO SEMPRE UNO SPUNTINO..........

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    Il Vino Cirò



    I primi coloni greci sbarcati sulle coste calabresi rimasero talmente impressionati dalla fertilità di questa terra ricca di vigneti che la chiamarono "Enotria" e cioè "terra dove si coltiva la vite alta da terra". Lo stesso antico nome della Calabria venne poi esteso a tutta l'Italia. Grande era anche il valore che gli antichi greci attribuivano ai vigneti calabresi: risulta infatti dalle tavole di Eraclea che un appezzamento di terra coltivata a vite valeva circa sei volte un campo coltivato a cereali. I contadini ellenici portarono con loro tecniche nuove di vinificazione e nuovi vigneti da impiantare: sono infatti di probabile origine greca alcuni tipi di vite ancora presenti sia sul suolo calabrese che anche in altre parti d'Italia e cioè il gaglioppo, il greco bianco e il mantonico, tanto per citarne solo alcuni. Alcune città assunsero un ruolo di primo piano nello sviluppo della coltivazione della vite: Sibari e Crotone si distinsero in maniera particolare dando origine alla produzione del "Krimisa" antenato dell'attuale Cirò. Fra l'altro Cremissa era anche il nome della colonia greca, sede di un imponente tempio dedicato a Bacco, situata più o meno dove oggi c'è Cirò Marina. La produzione di vino aveva assunto una tale importanza nella zona che sembra addirittura che, per facilitare il carico delle navi che attendevano nel porto, fossera stati costruiti con tubi di terracotta dei veri e propri "enodotti" che partendo dalle colline circostanti la zona di Sibari arrivavano direttamente ai punti di imbarco facilitando in questo modo tutte le operazioni di trasporto. Inoltre il Cremissa era il "vino ufficiale delle Olimpiade" e probabilmente è stato il primo esempio di sponsor secondo l'attuale definizione. Lo stesso Milone di Crotone, vincitore di ben sei olimpiadi, pare fosse un grande estimatore di questo vino che per tradizione veniva offerto agli atleti che tornavano vincitori dalle gare olimpiche. La tradizione è stata riportata in auge, anche e sopratutto per rilanciare l'immagine del Cirò che si era andata un pò affuscando negli ultimi tempi, alle Olimpiade di Città del Messico nel 1968 dove tutti gli atleti partecipanti hanno avuto la possibilità di gustare il Cirò come vino ufficiale. Spesso la decadenza di un popolo porta con sè la conseguente decadenza degli usi e costumi del popolo stesso. A questa ferrea regola non si è sottratto il vino calabrese; infatti con la decadenza della Magna Grecia la coltivazione della vite subì un notevole tracollo e perse tutta l'importanza che aveva raggiunto. Probabilmente, però, la fase di maggiore crisi, che allo stato attuale potremmo definire brillantemente superata, la viticoltura calabrese la subì nell'Ottocento quando l'arrivo della fillossera causò la decimazione dei vigneti e la quasi scomparsa delle coltivazioni. In questi ultimi anni il Cirò, sopratutto nella tipologia Rosso, sta riacquistando la sua antica grandezza anche per merito di numerose aziende che hanno saputo rinnovarsi, pur non rinnegando la tradizione, sia per quanto riguarda i vitigni veri e propri che per le tecniche di vinificazione.




    Tipologia
    Il Gaglioppo, detto anche "Magliocco" o "Mantonico nero", è il vitigno che la fa da padrone nella produzione del Cirò rosso, anche se raramente vengono utilizzate le uve trebbiano toscano e greco che in vigna non devono superare il 5% del totale, e questa composizione molto simile a quella utilizzata per il Cremissa autorizza a pensare che realmente il Cirò è il discendente in linea retta del Cremissa, così amato dai popoli della Magna Grecia. Mantenendo le stesse percentuali di uve diverse, anche se probabilmente sarebbe più giusto considerare il Cirò un monovitigno piuttosto che un uvaggio viste le bassissime percentuali di uve diverse dal galioppo, lo stesso può assumere la tipologia "Rosato" quando viene vinificato con una tecnica definita "parzialmente in bianco", mentre assume la tipologia "Rosso" quando viene vinificato "in rosso". Per quanto riguarda la tipologia "Bianco", questa viene ottenuta da uve Greco bianco con eventuali aggiunte di Trebbiano toscano fino ad un massimo del 10%. Il Cirò si può definire "Classico" solo quando le uve provengono dalle vigne situate nei comuni di Cirò e Cirò Marina, mentre la produzione del vino a Doc comprende anche i territori dei comuni di Melissa e Crucoli. Con un periodo di invecchiamento di 3 anni ed una gradazione minima del 13,5%, il rosso può portare la qualifica di "Riserva".

    I vitigni
    I vitigni che concorrono in misura diversa per la produzione del Cirò nelle sue diverse tipologie, sono il gaglioppo, il greco bianco e trebbiano toscano. Vediamo in dettaglio le caratteristiche di ognuno di questi vitigni.

    Gaglioppo
    Conosciuto anche come magliocco o mantonico nero, se ne nota la presenza anche in altre regioni italiane quali l'Abruzzo, la Campania, l'Umbria e le Marche. In Calabria è pesantemente utilizzato anche per la produzione di vini diversi dal Cirò e sparsi in tutta la regione. La particolarità del terreno calabrese, siccitoso e aspro, fornisce il microclima che più è idoneo per questo vitigno, fra l'altro molto resistente e caratterizzato da una maturazione abbastanza precoce. E' un vitigno a bacca rossa e il vino che se ne ricava presenta una forte gradazione alcolica (supera spesso i 14 gradi) con un notevole corpo. Il colore del vino ottenuto è rosso rubino intenso con profumi vinosi, quando il vino è giovane, che col tempo si evolvono in un ricco bouquet. Con queste caratteristiche possiamo dire che il vino ottenuto da uve gaglioppo si presta bene all'invecchiamento anche di sei-otto anni.

    Greco bianco
    Furono probabilmente i Pelagi ad importare questo vitigno dalla Tessaglia, in Grecia, e lo diffusero nelle zone del sud d'Italia di loro influenza. Sono numerosi i vini che sono generati da questo vitigno e sono tutti vini che hanno una notevole storia alle spalle. Fra tutti ricordiamo il Greco di Tufo, nell'avellinese, l'Erbaluce, prodotto in provincia di Novara e il Lacryma Christi prodotto alle pendici del Vesuvio. Leggenda vuole che il "Greco di Bianco" noto anche come "Greco di Gerace", il più prestigioso e famoso vino attualmente ricavato da uve greco, abbia fornito il vigore necessario ai soldati locresi per sconfiggere l'esercito di Crotone, 10 volte superiore, nella battaglia sul fiume Sagra combattuta nel 560 a.C. Sicuramente questo è il vino di cui si ha più antica testimonianza. Il vino ottenuto da uve greco ha colore giallo paglierino più o meno intenso con tendenza al dorato e riflessi ambrati, di profumo caratteristico di frutta secca, sapore morbido e armonico, da bere giovane e comunque possibilmente entro i due anni.

    Trebbiano toscano
    Il trebbiano toscano partecipa in misura molto ridotta alla produzione di Cirò. E' un vitigno, comunque, fra i più diffusi in Italia, presente nella composizione di moltissimo vini doc, sia bianchi che rossi. La sua adattabilità alle diverse tipologie di terreno e condizioni climatiche; la sua notevole produttività e le caratteristiche del vino che se ne deriva, cioè sufficientemente neutro da poter essere utilizzato in unione con altri vini di più forte personalità, sono i fattori pricipali che determinano la sua vasta diffusione.


    Disciplinare
    parametri che il disciplinare di produzione impone affinché il vino possa fregiarsi della dicitura DOC sono i seguenti:

    Cirò Rosso o Rosato:
    vitigni: gaglioppo con eventuali aggiunte di trebbiano toscano e/o greco bianco nella misura massima del 5%;
    colore: da rosso a rubino rosato;
    odore: gradevole, delicato anche se intensamente vinoso;
    sapore: di corpo, caldo, armonico, vellutato con l'invecchiamente;
    gradazione alcoolica minima complessiva: gradi 13,5;
    acidità totale: da 4,5 a 8 per mille;
    estratto secco netto: da 20 a 33 per mille;
    ceneri: da 2,5 a 3,5 per mille;
    resa massima per ha: 115 qli; resa massima di uva in vino: 70%;
    invecchiamento obbligatorio: 9 mesi (solo per il rosso);

    Cirò Bianco:
    vitigni: greco bianco con una tolleranza massima del 10% di trebbiano toscano;
    colore: giallo paglierino più o meno intenso;
    odore: aroma caratteristico;
    sapore: delicato, armonico, caratteristico;
    gradazione alcoolica minima complessiva: gradi 12;
    acidità totale: dal 5,5 all'8,5 per mille;
    estratto secco netto: dal 16 al 24 per mille;
    ceneri: dall'1,5 al 2,5 per mille;
    resa massima per ha: 135 qli;
    resa massima di uva in vino: 72%;





    Diamante e la Riviera dei Cedri










    Il giallo dei cedri e il rosso del peperoncino accompagnano l'itinerario costiero lungo l'alto Tirreno calabrese. Comunemente indicato come Riviera dei Cedri per la crescita rigogliosa del più pregiato fra gli agrumi (una gradita presenza nei dolci tipici della zona), questo tratto di costa calabrese attrae per l'azzurro intenso del mare e per il continuo alternarsi di spiagge bianchissime e ripide scogliere che appaiono come le estreme propaggini dei massicci montuosi che si stagliano nell'entroterra: il Pollino con il suo enorme polmone verde e, in parte, la Sila. C'è davvero l'imbarazzo della scelta fra le suggestioni di un Tirreno limpido e cristallino, caratterizzato da fondali ricchissimi e da un susseguirsi di grotte sommerse da esplorare, e il richiamo della montagna a due passi dal mare: una vasta gamma di sentieri permette infatti di passare in breve tempo dal litorale al regno del pino loricato e del lupo appenninico. Il percorso lungo la costa è segnato, per gli automobilisti, dalla Statale 18. Un buon punto di partenza è costituito da Cirella: è nota la frequentazione dei suoi lidi già da parte dei Greci e dei Romani. Le rovine del borgo medievale, distrutto da Napolenone nel 1806, si stagliano sulla sommità di un promontorio che domina il mare e il vicino isolotto al centro del quale resiste una torre di avvistamento posta a guardia delle incursioni saracene. La scogliera che circonda l'isola è un punto di riferimento eccellente per le immersioni e per lo snorkeling. Cirella Vecchia, abbandonata a se stessa, ha il fascino dei borghi abbandonati, con i ruderi del castello, della chiesa che conserva tracce di affreschi del Quattrocento, e di un convento. Facendo rotta verso sud si incontra subito Diamante. Non è chiaro se il nome del paese derivi dalle acque trasparenti del torrente Corvino, che qui incontra il Tirreno, o dalla bellezza dei suoi panorami. Circa trent'anni fa, artisti provenienti da ogni parte hanno fatto di Diamante la capitale dei murales: 150 opere adornano le pareti delle casupole del centro storico, fra vicoli e stradine scalinate. Ma Diamante è anche la sede dell’Accademia Nazionale del Peperoncino. L'aroma e l'energia del simbolo gastronomico calabrese si ritrovano nella cucina locale, straordinariamente ricca, in abbinamenti insospettabili con il cioccolato e con la grappa. Per stemperare gli ardori, l'ideale è immergersi nel mare che bagna la caratteristica spiaggia a forma di mezzaluna. Dodici chilometri più a sud si trova Belvedere Marittimo. In effetti, dall'alto del castello fatto costruire da Ruggero il Normanno, la vista sul mare è splendida. Lo sviluppo turistico, evidente nell'espansione della marina, sta in parte rimpiazzando le tradizionali attività di lavorazione dei cedri. Si prosegue assecondando i capricci della costa rocciosa, sempre più alta e frastagliata, fino a un altro maniero di antiche origini. Il profilo del “Castello del Principe” di Sangineto, con le sue massicce torri cilindriche che in parte conservano la merlatura, si apprezza bene dal Lido delle Crete. Si prosegue sulla strada che ora lambisce la Scogliera dei Rizzi, uno dei tratti costieri più incantevoli della regione. Un faraglione calcareo, staccatosi dalla costa in epoca remota, si lascia cullare dalle onde a due passi dalla battigia. La sosta è d'obbligo a Cetraro, il “paese dei cedri”. Una passeggiata nel centro storico svela piccole gemme come la chiesa barocca di San Benedetto o quella gotica del Ritiro, mentre dalla marina partono gite in barca alle grotte delle Colonne e dei Rizzi. Poco più a sud si incontra Guardia Piemontese, il cui nucleo antico è altrettanto interessante ma ha una storia tragica da raccontare: in paese si insediò infatti una comunità valdese che, nel 1561, fu oggetto di una drastica repressione da parte dell'Inquisizione. Secondo la tradizione, il sangue delle vittime si riversò dal castello fino alla porta del paese, da allora nota come “porta del sangue”. Ben più rassicurante è l'azzurro del mare: qui è consigliabile un'immersione nei paraggi dello Scoglio della Regina.







    Passando per il piccolo borgo peschereccio di Marina di Fuscaldo si raggiunge Paola, il centro più importante della riviera. La costa diventa sabbiosa e uniforme, ed è meta privilegiata dei vacanzieri in cerca di comodità. Paola dista un paio di chilometri dalla sua marina, ma vale la pena di effettuare questa breve deviazione. Gli amanti dell'arte possono puntare sulle chiese del pittoresco centro storico, sui ruderi del castello aragonese, sulla chiesa di Sotterra in contrada Gaudimare (impreziosita da pitture bizantine) e, naturalmente, sul santuario di San Francesco che accoglie le reliquie del santo di Paola....Nell'ultim [scogliera dei rizzi] o tratto costiero si incontra lo spettacolare belvedere di Fiumefreddo Bruzio: dall'alto della Torretta, a 220 metri sul mare, lo sguardo abbraccia il Tirreno da Capo Vaticano a Capo Palinuro. Spiagge incantevoli e faraglioni circondati da acque cristalline sono il fiore all'occhiello di Amantea, altra importante località turistica del cosentino. Nel punto di arrivo di questo itinerario, l'attenzione è attratta dal paradiso sottomarino dell'Oasi Blu Isca, una piccola area protetta raccolta attorno a due scogli affioranti: basta una maschera per ammirare il variopinto microcosmo di organismi vegetali e animali. La città vecchia sorge invece su una collina, sormontata dall'immancabile torre di avvistamento.






    Il Moscato di Saracena



    Il Moscato di Saracena è un raffinato e delizioso vino passito da meditazione che, prodotto solo in questo paese con un procedimento antichissimo, prevede la vinificazione separata dell'uva moscato, ottenuta dal vitigno autoctono e da altre uve. Il mosto ottenuto vinificando le uve malvasia e guarnaccia viene concentrato per aumentare il tenore zuccherino, mentre l'aroma ed il gusto particolari provengono dall'uva moscatello, raccolta e appassita alcune settimane prima della vendemmia. Gli acini del moscatello disidratati vengono selezionati, schiacciati manualmente e quindi aggiunti al mosto ( prima spremitura) concentrato. Dopo una lunga e lenta fermentazione si ha un passito color giallo ambra con riflessi aurei, dall'aroma intenso e dal sapore di miele, fichi secchi, frutta esotica.
    È un vino da meditazione che si abbina ai desserts ed è ottimo con i formaggi erborinati.




    Cenni storici
    Il prodotto per la sua bontà, veniva citato da Norman Douglas, che, nel 1915, nel suo libro “OldCalabria” scriveva: “…sorge il prosperoso paese di Saracena, famoso fin dai secoli passati per il suo moscato. Lo si ottiene dall’uva portata dai saraceni da Maskat”. E qualche anno prima, nel 1901, George Gissing in “By the Jonian sea” scrive:”Ricordo solo come cosa in pieno degna dell’antica Sibari un vino bianco, gradevole al palato, chiamato moscato di Saracena”. Sulla tavola dei Pontefici romani, nel secolo XVI, troviamo il “Moscato di Saracena”, molto richiesto e gradito, che il Cardinal Sirleto faceva spedire per nave da Scalea e che a pieno titolo entrò a far parte dell’enoteca pontificia.



    Abbinamento
    Il Moscato di Saracena si accompagna, naturalmente, in maniera ottimale alla pasticceria secca, come la pasta di mandorla, i tipici bocconotti di pastafrolla con marmellata d’ arancia, ecc..., alle macedonie di frutta, eccezionali le fragole lasciate macerare con moscato, limone e zucchero.

    I bocconotti





    Nelle degustazioni si può accostare, con successo, ai fichi secchi nelle sue molteplici varianti (antica è la ricetta che vede questi frutti imbottiti con mandorle, noci e bucce di limone e infornati), ed ai Panicelli di uva passa (fagottini di uva zibibbo aromatizzata con bucce di cedro, avvolta in foglie dello stesso agrume e disidratata in forno). Particolare ed estremamente gustoso è l’abbinamento con i formaggi, fra cui i pecorini non eccessivamente stagionati (ne consigliamo l’assaggio con l’aggiunta di miele o marmellata) ed i formaggi erborinati.





    ILCEDRO







    E’ ancora vivo oggi, soprattutto nella memoria olfattiva, il ricordo dei vari odori che scandiscono il ciclo di coltivazione: “l’odore particolare, dolce e agro allo stesso tempo, emanato dalla pianta…; l’odore dell’erba che deve essere puntualmente estirpata in ginocchio; l’odore dei crucchi, i rametti uncinati di ulivo, salice o elce, adoperati per raccogliere, sempre in ginocchio, il frutto; l’odore delle frasche e delle canne… oggi sostituite dai teli sintetici (che) proteggevano d’inverno le cedriere; sistemate metodicamente in autunno sui filari, in modo da coprirli interamente, unite con rametti di salice, venivano poi tolte in primavera, quando i fiori bianchi iniziavano a inebriare con il loro profumo l’aria circostante e venivano poi pazientemente riposte come a formare un tetto, sotto il quale ci si poteva riparare, nelle pause del lavoro, dal cocente sole estivo” (F. Lorenzi).




    E se una traccia odorosa segna il percorso dal fiore al frutto, anche la raccolta si segnala per un profumo antico ed inconfondibile “l’odore dei sacchi di iuta, adoperati per raccogliervi i frutti di un anno di duro lavoro; l’odore della iuta, mescolato a quello dei cedri, dà luogo ad un intenso odore, difficile da cancellare dalla mente di chi, anno dopo anno, vive quei momenti di gioia per la raccolta. Un tempo, e per alcuni ancora oggi, (essa) era momento di conti sul bilancio familiare: non era un caso se molti matrimoni venivano celebrati in autunno, poiché proprio con il ricavato di tale raccolta venivano sostenute le spese dei matrimoni






    Tropea



    La liquirizia...Amarelli




    La storia della trasformazione della radice di liquirizia è molto antica. La famiglia dei Baroni Amarelli si dedica all'estrazione del succo di liquirizia già dal 1500, alternando alla cura del proprio patrimonio agricolo anche un forte impegno militare e culturale.


    Nel 1731 viene fondato l'attuale "concio" Amarelli, alla cui attività fu dato particolare impulso nel 1800 con il miglioramento dei trasporti marittimi e con i privilegi e le agevolazioni fiscali concesse dai Borbone a queste industrie tipiche.

    Dal 1840 in poi abbiamo testimonianza dell'attività di Domenico Amarelli e dei suoi discendenti, fino a giungere a Nicola, che nel 1907 ammodernò la lavorazione con due caldaie a vapore. Da allora la Amarelli ha incrementato sempre più la sua attività, rimanendo erede pressoché unica di una tradizione tipica della Regione Calabria.



    Con la sua produzione la Amarelli è presente in tutti i mercati nazionali, in Europa, nell'America del Nord ed in quella meridionale ed in Australia, con particolare attenzione, ovunque, sia al settore dolciario che ai circuiti farmaceutico ed erboristico.
    Il 21 luglio 2001 si è inaugurato il Museo della liquirizia "Giorgio Amarelli". La famiglia ne ha voluto fortemente la realizzazione nel desiderio di presentare al pubblico una singolare esperienza imprenditoriale, nonché la storia di un prodotto unico del territorio calabrese: in mostra preziosi cimeli di famiglia, utensili agricoli, una collezione di abiti antichi e, infine, macchine per la lavorazione della liquirizia, documenti d'archivio, libri e grafica d'epoca.





    Nelle corti britanniche del Medioevo, era in auge un romantico ritornello che i cavalieri dedicavano alle dame amate:”L’amore è sogno, dolce come latte e liquirizia“.

    E lo stesso nome scientifico della pianta leguminosa da cui si estrae la liquirizia ne conferma la dolcezza: glycyrrhiza, dal greco glucos, dolce e riza, radice.

    Pare incredibile, ma la sua dolcezza supera per ben cinquanta volte quella dello zucchero, ed è talmente potente che una piccola parte di liquirizia lasciata macerare in 20.000 litri d’acqua riesce sempre a far percepire il suo caratteristico sapore.

    Crescendo spontaneamente in tutta la zona mediterranea (ma anche in Germania, Inghilterra, Russia, Asia e Australia) già nell’antichità era tenuta in somma considerazione dai medici: Ippocrate, Galeno, Dioscoride, Teofrasto e Plinio la giudicavano insostituibile per combattere il mal di fegato, le gastriti, le coliche renali, le tossi convulse e, lavorata in pomata, ottimo cicatrizzante per le ferite.
    Ma la virtù che più la faceva amare era quella dissetante; pensate che gli Sciti, mangiando esclusivamente formaggi di capra e liquirizia, riuscivano a camminare per più di dieci ore nel deserto, sotto il sole cocente e l’arsura, senza patire affatto la sete.

    Questo suo effetto balsamico era il più apprezzato: in un trattato del Trecento dedicato all’Agricoltura, l’autore Palestro de’ Crescenzi affermava che “la regolitia masticata e tenuta sotto la lingua mitiga la sete e l’asprezza de la lingua e de la gola“, e nei testi medici settecenteschi, agli inappetenti e ai crapuloni, veniva raccomandato di bere prima e dopo i pasti un bicchierino di vino in cui fosse stata posta a macerare una radice di liquirizia.

    Per questo la liquirizia fu, per secoli, di quasi esclusiva competenza della farmacopea: si comprava solo in farmacia, tagliata a pezzetti legnosi, ed era carissima.

    Anche agli inizi del Novecento, soltanto in farmacia era possibile acquistare le scatolette tonde di metallo bianco e nero, contenenti le celeberrime Pasticche del Re Sole, ma fu solo nel primo trentennio che entrò ufficialmente a far parte dell’industria, grazie a una ditta dolciaria milanese che, nel 1932, lanciò sul mercato una pastiglia di liquirizia pesante esattamente un grammo, e fasciata in carta paraffinata bianca e verde: la mitica Golia, acquistabile solo in pasticceria.

    Negli anni ‘50, gli americani scoprirono (sempre un po’ più tardi di noi…) le proprietà calmanti e anti infiammatorie del prodotto, e decisero di pubblicizzarlo come “antidoto antifumo“, ossia capace di mitigare i danni di sigari e sigarette; da allora, in tutto il mondo, la liquirizia fu venduta anche in tabaccheria.

    Dal Sessanta in poi, della dolcissima radice vennero dimenticate le virtù terapeutiche, ed esaltate soltanto quelle “golose“, esposte sui banchi dei negozi alimentari, racchiuse in grandi vasi di vetro e vendute in cartoccini: pesciolini, siringhe, anicini (minuscoli rombi), senateur (profumati alla violetta), bacchette, tronchetti rifascianti pasta di zucchero colorato e le classiche radici, messe in bocca e succhiate per estrarne il succo, sino a ridurle in una lunga barba legnosa.



    La produzione della liquirizia ä affascinante, perché antichissima e profondamente legata alle tradizioni del nostro Sud. Le “vere” fabbriche artigianali oggi sono pochissime, concentrate soprattutto in Calabria, e si chiamano conci.

    La coltivazione della radice, sino a pochi anni fa, avveniva ogni quattro anni: nel terreno si coltivava un anno grano, poi maggese, poi pascolo e infine, quando la terra aveva raggiunto il giusto grado di azoto, liquirizia.
    Veniva poi raccolta in fascine simili a rametti di legno; le radici venivano fatte bollire in speciali fornaci chiamate bassine, sino a quando si otteneva una pasta.
    Questa veniva pressata, ribollita e infine lavorata a mano, ancora bollente, dalle donne, che l’impastavano proprio come si fa col pane.
    Infine, veniva tagliata nelle forme scelte, e lucidata a vapore.

    Oggi questo lungo lavoro viene quasi sempre svolto da macchine computerizzate.
    Ma gli esperti “liquiriziomani” giurano che il sapore di una liquirizia lavorata a mano è del tutto diverso di quello di una lavorata a macchina: un po’ come mangiare tagliatelle fatte in casa o quelle acquistate in pastificio.




    LA SOPPRESSATA DI CALABRIA

    La Soppressata di Calabria (o sopressata) è un insaccato che può fregiarsi del riconoscimento di presidio a Denominazione di Origine Protetta. Si ottiene con carne bianca di maiale tagliata a pezzettoni a cui si unisce pepe nero (a grani) e sale e un tocco di peperoncino.




    Preparazione
    Si prepara prendendo le parti migliori della coscia del maiale, tritate e prive di nervi e insaccandole in budello naturale, in particolare bisogna usare il budello proveniente dall'intestino crasso, ben lavato con acqua e limone e messo a mollo. Una volta riempito il budello, viene forato con uno spillo e legato a mano. Il tutto viene poi lasciato asciugare all'aria. Dopo circa due settimane si sistema sul pavimento un lenzuolo di lino e vi si adagiano le soppressate, le une vicine alle altre, con l'accortezza di lasciare tra esse uno spazio di circa un centimetro. Le soppressate vengono quindi coperte con un altro lenzuolo di lino, al disopra del quale viene poggiato un tavoliere (o un tavolo rigirato). Sul tavoliere vanno posti dei pesi in modo da ottenere quella pressatura che conferisce il nome al salume. Dopo circa una settimana viene interrotta la pressatura e gli insaccati vengono messi ad asciugare. Nella fase di asciugatura, della durata di circa due settimane, si usa spesso l'accorgimento di accendere un braciere nelle vicinanze che conferisca al prodotto una leggera affumicatura, nel braciere vengono aggiunte scorze di arance per garantire un'affumicatura aromatica. Quindi si ripete l'operazione della pressatura (la "soppressa"). Nella fase conclusiva le soppressate vengono lasciate a stagionare per un periodo di cinque-sei mesi.



    Amaro Silano
    Liquore alle erbe aromatiche della Sila

    Area storica di produzione e consumo: si produce in Sila a Camigliatello Silano.

    Legame con il territorio: la Sila nei suoi boschi e nelle sue radure è ricca di essenze aromatiche dal profumo inebriante e dalle molteplici proprietà curative.
    L'usanza di raccogliere le erbe per ottenere liquori digestivi nasce nei monasteri e nelle abbazie ad opera dei frati erboristi che delle piante avevano una conoscenza profonda e ne avevano scoperto ogni virtù.
    L'Amaro, che si ottiene per macerazione in acqua distillata e alcool purissimo, è composto da una miscellanea di erbe amare ed aromatiche, tenute rigorosamente segrete.

    Descrizione del prodotto: colore scuro, aroma penetrante, gusto dolce mandorlato ricco di retrogusti

    Tecniche di produzione: le erbe aromatiche e le spezie, vengono messe a macerare in un recipiente di vetro con alcool a 95° per circa una ventina di giorni. Si prepara lo sciroppo zuccherino con acqua distillata bollente e zucchero. Quando lo sciroppo si è raffreddato si aggiunge alle erbe in macerazione.
    Si mescola bene e si lascia riposare per altro tempo.
    Si filtra il tutto con una garza chiudendo il contenitore ermeticamente. Dopo alcuni mesi si filtra ancora per eliminare la posa e si imbottiglia definitivamente. Il prodotto va lasciato maturare per almeno sei mesi.
    Durante questo tempo l'alcool si miscela con gli aromi delle erbe dando vita a gusti e odori ben amalgamati tra loro.





    Corigliano Calabro

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    Corigliano calabro - Torre

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    Edificato da Roberto il Guiscardo intorno al 1073 come postazione militare alla metà XIV secolo fu trasformato come residenza nobiliare dal conte di Corigliano Roberto Sanseverino.
    Fu in possesso alla fine del XV secolo per un breve periodo di Ferdinando I d'Aragona e vi vennero eseguite nuove opere di fortificazione.
    Ammodernamenti alla residenza furono ancora eseguiti dai Sanseverino e soprattutto dai Saluzzo, a partire dalla prima metà del XVII secolo, con la costruzione di una torretta ottagonale sopra il mastio del castello, della cappella di Sant'Agostino e delle rampe di accesso dal cortile interno, e con la nuova decorazione degli ambienti interni.
    Dopo la vendita a Giuseppe Compagna nel 1828 il figlio Luigi fece costruire una quarta ala inglobando la cappella di Sant'Agostino e un secondo piano di ambienti. Il fossato sul lato nord venne ceduto al Comune che vi costruì sopra la via Tricarico e furono demolite anche le scuderie. Anche gli altri lati del fossato vennero colmati per allestirvi un giardino.
    Il castello fu venduto nel 1971 all'arcivescovato di Rossano e da questo al Comune di Corigliano nel 1979.






    Corigliano by night

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    Festa degli antichi mestieri a Corigliano Calabro






    Corigliano e la pianura di Sibari

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    Schiavonea - agosto 2009

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    la banda di Corigliano

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    Gattuso – spot a Corigliano

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    Il mare cristallino Ionio, sulla spiaggia di Corigliano Calabro

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    COSTUMI CALABRESI........









    Parlare della Calabria e della sua cultura gastronomica, ci porta con il pensiero direttamente al peperoncino. Nella cucina calabrese è raro trovare un piatto, fresco o conservato, in cui non appaia, il peperoncino fresco o essiccato e poi macinato, in dosi modiche o esagerate è sempre presente.

    La Calabria e infatti la regione che in Italia consuma più peperoncino ed e anche la regione dove la fantasia dei produttori si è sbizzarrita nella creazione di prodotti che si intrecciano e si sovrappongono con quelli della tradizione. Il peperoncino piccante, Capsicum frutescens, e un arbusto che cresce molto facilmente nelle regioni tropicali. Produce frutti di forma allungata o arrotondata che diventano rossi maturando, ma non si addolciscono mai, al contrario dei frutti del Capsicum annum, ossia il peperone.

    Il primo a parlarne fu Cristoforo Colombo nel suo diario descrivendo 1’isola di Hispanola nel 1493; e molto probabilmente le isole caraibiche furono la zona originaria di tutte le varietà di peperoncino diversificate dopo la colonizzazione delle Americhe. Il chili messicano veniva già coltivato prima dai Toltechi e poi dagli Aztechi, e successivamente spagnoli e portoghesi fecero conoscere molto rapidamente il peperoncino nel Vecchio Mondo. Ma mentre gli europei, dal palato sensibile, si mostrarono piuttosto diffidenti nei confronti di una spezie che incendiava la bocca , gli africani, gli arabi e gli asiatici la accolsero come una vera e propria rivelazione.

    Già sul finire del XVII secolo numerosi viaggiatori stranieri che visitarono la Calabria scrissero dell’uso tipico del peperoncino nell’alimentazione ed alcuni ipotizzarono allora che il piccolo frutto piccante fosse stato importato in questa regione dai Saraceni. In ogni caso le popolazioni calabresi fin dal principio ne apprezzarono le qualità disinfettanti, il presunto potere afrodisiaco e di longevità, ma prevalente è usato nella conservazione degli alimenti, soprattutto della carne, come dimostra chiaramente la ”Statistica Murattiana”, la prima indagine seria e metodica fatta sul Mezzogiorno.

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    I calabresi sono maestri nella produzione di salumi: salsicce, soppressate, capicolli, che vengono lavorati in tutta la regione, ma la regina incontrastata del piccante è la "nduja" originaria di Spilinga, in provincia di Vibo Valentia. Il suo nome è etimologicamente legato al salame di trippa francese (andouille), ma fu introdotta dagli Spagnoli all’inizio del ’600. L’impasto di ogni chilo di carne di maiale esige almeno 200 grammi di peperoncino e lo si consuma spalmato sul pane tostato, sulla tipica "pitta", sugli spaghetti, sulla pizza, addirittura c’e chi la mette sulle uova al tegamino. Catanzaro è la patria di un’altra specialità infuocata, il "morsello", così di tipico, che nelle città limitrofe diventa difficile trovarlo. Viene preparato con tutte le interiora di vitello escluso il fegato, cotto per due ore; la preparazione avveniva all’alba perché era tradizione consumare il morsello nelle "putiche" già dalle 8 di mattino assieme a un bicchiere di rosso perché, come dice la tradizione, "cu mangia i bon’ura, cu nu pugnu scascia nu muru" ovvero "chi mangia di buon ora, con un pugno sbriciola un muro". Dalla carne passiamo al pesce dove il prodotto più tipico è la mustica sulla costa ionica; e fuori dalla Calabria "caviale del Sud", in realtà è la sardella neonata, salata cruda con molto peperoncino. Mario Soldati l'ha descritta: "La sardella si presenta come una pasta omogenea che si mangia sul pane o meglio usando una sfoglia di cipolla dopo l’altra come un grosso cucchiaio".



    Accanto ai prodotti tradizionali, oggi si fabbricano numerosi alimenti a base di peperoncino, come le paste, la grappa, addirittura le confetture ed il gelato, quasi a voler significare che questo piccolo, ma potente frutto, costituisce parte integrante della identità della Calabria. Fa parte del nostro gruppo aziendale il sito peperoncino calabrese .net ... il portale "mercato della badia" offre una serie di prodotti di tradizione calabrese, fare una visita può essere salutare!
     
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  2. tomiva57
     
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    Mileto

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    Mileto è una cittadina che si trova poco distante da Tropea, a 22 km. Si presenta distesa su un colle "piatto" e gradevole e vista dall'alto dalla strada che discende dal piano di Jonadi, là dove la Strada Statale 18 si snoda in tre tornanti consecutivi.


    I suoi abitanti sono circa 7200 ed e misura 364 m dal livello del mare. Ci si arriva da Tropea percorrendo la strada provinciale 17 in direzione Vibo Valentia, e superato Mesiano, subito dopo località Aereoporto di Jonadi, al semaforo si svolta a destra. 3 km e siamo a Mileto.


    L'attuale cittadina, dopo i sismi distruttivi subiti nei secoli, ofre poco o nulla che possa ricordare la sua gloriosa storia.

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    Sul lato Est del centro abitato, a circa 2 km in campagna, scendendo verso l'imbocco autostradale, è ancora possibile notare i resti della cattedrale normanna, dell'Abbazia benedettina della Trinità e di altre costruzioni antiche.

    cattedrale_mileto



    Mileto, di remotissima fondazione per la posizione dominante e perché poggia sulla principale arteria di comunicazione terrestre fra Nord e Sud, divenne importante grazie a Ruggero il Normanno che la fece capitale della Calabria, e vi ottenne la sede episcopale. La cattedrale, fondata nel 1081, venne completamente distrutta, insieme con tutta la città, dal terremoto del 1783.

    capo-vaticano


    Ricostruita successivamente in altra zona e restaurata più volte, oggi si trova incorporata nel complesso edilizio del Vescovado, nella parte Sud della città. Pur non presentando particolari pregi architettonici, è imponente e suggestiva. A tre navate longitudinali molto ampie, è dedicata a San Nicola di Bari. Nel Museo Statale Vescovile presso la curia, si trovano numerosi frammenti e sculture provenienti dalla vecchia cattedrale e dall'abbazia benedettina: tra questi, il sarcofago di Eremburga, moglie di Ruggero I, acuni capitelli del I e II secolo, molti arredi sacri, opere dello pseudo Maestro di Mileto del XIV secolo. All'interno si puo' visionare un bellissimo bassorilievo del secolo XIV raffigurante la Madonna col bambino e un incensire d'argento di epoca medievale, proveniente dal tesoro dell'antica cattedrale.

    A 1 Km a Sud di Mileto è la frazione di Paravati, 2000 abitanti, segnalata perché vi abita la mistica Natuzza Evolo, donna dalle eccezionali virtù e dalle doti soprannaturali divine uniche in questa terra, quali le stimmate, il dono dell'ubiquità, e la trasudazione di sangue durante il periodo di Pasqua e nella settimana Santa.

    Manifestazioni e sagre

    Sagra della Carne


    Si svolge il 24 agosto in concomitanza con la festa di S. Fortunato Martire ed è organizzata da un gruppo di persone che ruotano intorno all'Associazione Maranathà ( centro di recupero e prima accoglienza per tossicodipendenti ). Il menù è costituito da un vassoio contenente carne preparata secondo le varie e migliori tradizioni miletesi.

    Sagra della Trippa

    Si svolge 9 settembre ed è organizzata da un gruppo di amici della " Confraternita di S. Michele Arcangelo ". Lungo le strade che costeggiano la Chiesa di S. Michele vengono sistemati tavoli e sedie per una capacità di circa mille posti a sedere. Il menù tipico è costituito da: trippa, frisella, pane, peperonata, frutta e vino, ecc.


    palazzo%20san%20giuseppe
    Il Cantiere Musicale Internazionale ha la sua sede nella città di Mileto, all’interno di Palazzo San Giuseppe del sec. XIX, proprietà della curia vescovile



    CHIESE E MUSEI



    mileto

    Cattedrale dedicata a San Nicola, ricostruita nel 1930 in stile romanico lombardo, presenta all’interno una statua
    marmorea del Santo (1594), un Crocifisso settecentesco in avorio, un altorilievo marmoreo trecentesco, “Madonna
    col Bambino”. Museo, raccolta che comprende tra l’altro, il sarcofago di Eremburga (1089), frammenti delle
    vetrate dell’ex abbazia benedettina della SS. Trinità, alcuni argenti del XV sec., magnifico Crocifisso di Alessandro
    Algardi ed infine alcuni capitelli ed opere sacre medioevali


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    locomotiva_mileto
    Un'antica locomotiva

    mileto_municipio
    municipio





    da: tropeaperamore.myblog.it
    foto web
     
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1 replies since 7/7/2011, 14:45   4776 views
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