IL MOLISE 1^ Parte

LA TERRA DEI SANNITI..UN NUOVO VIAGGIO..UN’ALTRA AVVENTURA..UN’ALTRA PERLA DELL’ITALIA..IL MOLISE

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    BUONGIORNO ISOLA FELICE ... BUON RISVEGLIO A TUTTI

    “ ... Martedì ... lasciamo la Via Appia antica e dismesse le vesti da antichi romani, risaliamo sulla nostra bella mongolfiera e ci dirigiamo verso sud est ... attraversiamo in senso longitudinale l’Italia e, lasciato alle nostre spalle il Lazio ci dirigiamo verso un’altra perla della nostra amata Italia ... il Molise ... tra il Lazio, la Campania, l’Abruzzo e la Puglia è incastonata questa perla di bellezza ... terra dei Sanniti piccola nel territorio ma grande nel cuore ... gente generosa e proveniente da diversi ceppi costituiscono un mosaico di variegati colori e tradizioni ... noi, felici sulla nostra mongolfiera osserviamo i paesaggi che ci si presentano sotto di noi ... di lontano un anziano signore col dito rivolto verso di noi grida : “Chi va pu' monne tutte vede, e chi sta n'a casa nenn'u crede (Chi va in giro per il mondo tutto vede, e chi sta a casa non lo crede) .. sorridiamo e intanto ci prepariamo ad affrontare una nuova tappa di questo splendido viaggio ... Buon risveglio amici miei ...”

    (Claudio)



    LA TERRA DEI SANNITI..UN NUOVO VIAGGIO..UN’ALTRA AVVENTURA..UN’ALTRA PERLA DELL’ITALIA..IL MOLISE



    “Dopo aver percorso una strada lunga, dritta e grigia per diversi chilometri, si ha come l’impressione di trovarci nell’attimo del cambio scena di un film: la monotonia lascia il passo all’imprevedibile sfilata di colori e profumi di una strada poco asfaltata, costeggiata da colline morbide, piccole vallate alberate che in autunno si macchiano di sfumature calde, e qualche casetta sparsa qua e là…. Campobasso, cittadina signorile..da piazza Vittorio Emanuele e dal corso principale si dirama tutta la parte moderna della città, più giovane ed elegante, di origine ottocentesca, che si estende in pianura ai piedi del centro più antico, di origine medioevale, che invece si sviluppa più in collina…. nasce come antico borgo fortificato.. vicoletti stretti e scalinate lunghe e tortuose che corrono lungo tutto il borgo, dominato dal massiccio Castello Monforte. A questa parte della città il castello attribuisce un’atmosfera dal sapore medioevale…… vi si accede attraverso un tipico portale che attraversa le imponenti mura di cinta, dove c’è lo stemma dei Monforte, caratterizzato da una croce e quattro rose…. la Chiesa di San Giorgio del XII secolo, la chiesa più antica della città… scrutando tra le abitazioni più antiche si notano alcuni elementi allegorici sui portali, realizzati con la pietra locale; sono ancora ben conservati le numerose decorazioni e gli stemmi di famiglie nobili…Come sostiene A. Mancini - intellettuale del capoluogo durante gli anni del fascismo e del dopoguerra - la stessa origine del nome è riconducibile alla posizione particolare della cittadina di Campobasso, trovandosi in una zona più bassa rispetto alla montagna alle sue spalle e alle colline frontali… la nuova Campobasso è una “città giardino… pittoresche fontanelle, sequoie, cedri del Libano e i abeti rossi.”



    “Il nome della città di Pietracupa richiama un luogo buio, un paesino di montagna chiuso in una stretta vallata. In realtà, questo borgo è esattamente l’opposto: poche case, per la maggior parte bianche o chiare, arroccate ai piedi di un piccolo monte, sovrastato da una roccia….Solo 300 anime e un folletto - che la leggenda vuole servisse a intimorire i ragazzini e a farli rientrare a casa prima che facesse buio - restano ora a dare vita a questo suggestivo e particolare agglomerato di case, intervallate da strette viuzze, scalinate che si inerpicano tra una stradina e l’altra e una chiesa che, dall’alto, controlla il paese e la sua vita…Risalente al 1600, sembra uscire direttamente dalla roccia che si intravede alle spalle della sua facciata. E da dietro la roccia, il campanile. Il tutto sembra un unico complesso, una chiesa dall’architettura atipica, strappata alla montagna o che questa sta cercando di ingurgitare e nascondere…..Qui tutto si muove ed esiste da e per lei: la roccia, la montagna, la Morgia, Pietracupa….Ecco l’origine del nome di questo particolare posto: “cupa” non indica infatti una zona buia, ma deriva dal latino “botte”, luogo concavo, vuoto, come una grotta. .. la Morgia: una montagna fatta di grotte e anfratti che da sempre vede e vive gli eventi di questa località. Un tempo questi antri erano utilizzati dalla popolazione locale per sfuggire agli assalti dei bulgari e dei saraceni. Poi furono sede del locale tribunale dell’Inquisizione, ancora nascondiglio per i briganti a fine Settecento e poi, probabilmente, riparo per i partigiani…Oggi in una delle sale più grandi, scavate dal tempo e dall’uomo, c’è la Cripta Rupestre: un suggestivo luogo di preghiera che, con le sue mura nude, di pietra, proteggono dal mondo esterno e conservano l’atmosfera antica, tipica delle prime comunità religiose che qui si riunivano. Le panche sono disposte in modo circolare e l’altare tondo è stato ricavato da una vecchia macina da mulino.”



    “Poche casette graziose arroccate su uno sperone di roccia calcarea, un piccolo borgo quasi nascosto in mezzo ad una vegetazione incolta e rigogliosa: questa è l’immagine in lontananza che viaggiatori riescono a scorgere di Sesto Campano…Un fazzoletto di 40 Km dove la storia antica della Campania si fonde con quella più recente del Molise in una sorta di terra di mezzo: Sesto probabilmente in relazione a Sesto Auliano, che durante il periodo Augusteo fu prefetto della vicina città di Venafro, o forse perchè il nucleo più antico sorgeva proprio al miglio centesimo sesto da Roma; Campano invece perché originariamente Sesto era il capoluogo di una delle trentaquattro Contee in cui fu diviso il ducato di Benevento…..Una storia che tuttavia ha lasciato poche tracce e che lega questa terra al popolo dei Longobardi…quel che rimane di una antica cinta muraria circonda tutto il nucleo originario del paese insieme ai ruderi delle torri e del vecchio castello, che un tempo difendevano l’originario nucleo medievale….dalla cinta muraria si apre una piccola porta che affaccia sulla valle: uno scorcio luminosissimo, di una bellezza mozzafiato sulle colline disposte tutte intorno… un’antica via d’accesso alla città, attraverso un sentiero stretto e ripido chiamato via Borgoforte, quasi a voler confermare la funzione difensiva dell’intero sistema….. il tempo invece ha saputo risparmiare un ricchissimo portale interno del XVII secolo, fatto edificare da un certo Nicola Brescia quando Errico Albano da Procida era capitano del popolo di Sesto, lungo tutto l’arco presenta una serie di insegne militari con i simboli delle arti e del commercio: compassi, squadre, scudi militari bilance, elmi, spade e lance, attrezzi per stendere le pelli decorano il portale che funge da ingresso su di un enorme cortile interno, e riportano al presente un epoca che non c’è più… “


    “Castel San Vincenzo si trova nell’alta valle del Volturno, nelle vicinanze del Parco nazionale d’Abruzzo. L’abitato si trova a Nord dell’abbazia, su uno sperone di roccia circondato da una lussureggiante natura, nato in seguito alla costruzione della diga sul Salzera, un affluente del Volturno. ..Il Volturno scorre per un breve tratto nel territorio del comune ed è proprio lì, che si trova la più importante testimonianza artistica del territorio: il monastero benedettino di San Vincenzo al Volturno…. fondato nel XII secolo e la sua storia è narrata nel Chronicon Volturnese, uno splendido codice miniato conservato nella Biblioteca apostolica vaticana, È a partire dalle cronache tracciate in quest’opera che si iniziò a narrare la leggenda della fondazione dell’abbazia. Secondo le cronache il monastero nacque per l’iniziativa di Paldo, Taso e Tato, tre longobardi di nobili origini che avevano deciso di allontanarsi dalle famiglie per condurre una vita ascetica. I tre eremiti avrebbero posto la prima pietra dell’abbazia in prossimità delle sorgenti del Volturno. Parte della leggenda rispecchia la verità..il monastero venne fondato nel 703 in epoca longobarda…ma dal duca di Benevento che lo volle proprio in quel punto per celebrare la conquista di quelle terre, strappate ai bizantini..Le costruzioni originarie che si trovavano nella parte sinistra del fiume furono trascurate fino ad essere dimenticate, finchè fu scoperta la “cripta di Epifanio”.”



    “…Davanti solo cielo e praterie immense, silenziose, invase soltanto da gruppi di pecore al pascolo in lontananza, beate nella loro libertà….. la strada che si fa via via più stretta, più ripida, segue il profilo dolce di queste colline soleggiate, che curva dopo curva, diventa più ruvido e irregolare…intorno solo natura, boschi fitti e rigogliosi si alternano a campi fioriti e alberi imponenti dai tronchi secolari… Montenero Val Cocchiara ..una viuzza non asfaltata che si allontana dal paese per condurci in un angolo di paradiso nascosto ”il Pantano”…. Una prateria sconfinata circondata da boschi fitti che dalla piana si arrampicano su per le montagne che proteggono, quasi a nascondere, questa meravigliosa oasi… Per chilometri non c’è traccia di pali elettrici, costruzioni, uomini: una natura incontaminata, maestosa, regno di cavalli rari, un po’ tozzi ma particolari, i cosiddetti cavalli Pentri, una razza locale, plasmata dalla natura selvaggia nella quale sono cresciuti….Lo scroscio di un piccolo ruscello scandisce il ritmo dei suoni in questo spazio che sembra non avere confine, accompagnato dal rumore degli zoccoli di mucche e cavalli che lo attraversano”



    “Un bar può significare tante cose…Può essere il posto dove lavori, dove hai conosciuto o fantasticato di conoscere qualcuno. Può essere il posto dove andavi la domenica a comprare il gelato o il posto dove non sei mai entrato perché è talmente sofisticato da metterti a disagio. Poi c’è il bar in paese, quello piccolo all’angolo della piazza, dove tutti si conoscono e qualche volta c’è anche un juke box..lo preferisci perché molto spesso nasconde delle storie o delle leggende… perché Castelnuovo, nel comune di Rocchetta al Volturno... Alle spalle dei tre uomini, davanti ai tuoi occhi, il bar in questione, il bar della leggenda….“Mussiè Mulà” …l’uomo nato a Lille nel 1869, che ha vissuto da eremita sul Monte Marrone, solo, in una capanna costruita con le sue mani, coperto di pochi stracci e tanta barba, è Charles Moulin. Quando si varca la soglia di Castelnuovo, invece, Charles Moulin scompare e lascia il posto a un Monsieur, non a un Monsieur qualunque ma a un rispettato amico, dal nome cordialmente dialettizzato: Mussiè Mulà…“Monte Marrone, raggiungibile attraverso una stradina in salita, affiancata da un panorama naturale, boschivo, verde e silenzioso..Non c’è nessuno. Le ultime persone che hai visto erano al paese e ti hanno salutato, come se ti conoscessero o stessero aspettando proprio te. Lungo la strada, solo alberi e un cielo un po’ malinconico. Un silenzio che tranquillizza ogni inquietudine, come fosse l’oracolo conoscitore del mistero di Mussiè Mulà; come se fosse l’unico conoscitore della risposta alla domanda: perché un pittore francese, di grande talento e successo, si è ritirato tra i monti molisani?..La leggenda di quest’uomo francese va oltre le sue abilità pittoriche, trascende ogni aspetto della realtà. Nella bocca di chi lo ha conosciuto, Moulin era un mago, un misterioso uomo che conosceva le erbe e sapeva come trasformarle in miracolosi rimedi. E poi, era anche un pittore.Moulin ha lavorato con Matisse, in Francia; ha vinto il Gran Pirx de Rome che gli ha permesso di lavorare a Villa Medici e ad Anticoli Corrado, ha esposto a New York e fu presentato fuori concorso alla Mostra del Salone di Parigi. Ma queste sono notizie che ricavo da libri o da internet. Nella bocca di chi lo ha conosciuto, Moulin era un mago che viveva tra i monti, che parlava con gli orsi, che viveva con un serpente. E poi, era anche un pittore.”



    “Campane che suonano: descrizione metaforica di un innamoramento, domenica di festa, fede religiosa, canto liberatorio, annunci tristi… le campane hanno un solo, montanaro rimando: Agnone….L’arte che si fa… dall’anno Mille, da quando i primi padri tramandavano ai figli l’arte della fusione delle campane, vive ancora oggi, richieste in ogni parte del mondo: a Lourdes, in Russia, in Giappone rintocca orgoglio alto molisano… l’antica fonderia agnonese è una dimensione di prezioso lavoro artigianale, una realtà artistica manuale, tattile, umanissima, dove si lavora in pochi e solo con il titolo di maestri artigiani. “Maestri artigiani”: un suono quasi fiabesco….A riprova di tale pregio campanaro, niente meno che la riproduzione della “Tavola Osca” di Agnone, del III secolo a.C., conservata al museo di Londra: british testimonianza….L’arte che si faceva… nelle botteghe ricalcate su modello veneziano nel territorio agnonese, da tal Landolfo Borrello che prestò servizio, per l’appunto, sotto il Doge. Le particolari entrate e finestre, di questo tipo di botteghe, sono ancora visibilissime nei vicoli del centro storico della cittadina….L’arte che si contempla… nelle numerose chiese agnonesi, affrescate da validissimi artisti, del posto e non…L’arte che si legge… e si può ascoltare, nell’affascinante Caffè Letterario, dove inaspettatamente, in un pomeriggio assolato, un rintocco di campana ti ha trascinato.”



    “A Isernia …Nel 263 a. C. i romani colonizzarono il centro sannita che, con l'apertura della via Minucia, collegando l'Appia alla Valleria, diventava un importante nodo stradale. Interessanti reperti della Aesernia latina si possono ammirare in località Quadrella (un ponte romano e cippi di età imperiale), in via Roma (bella cinta poligonale) e in via Sant'Ippolito (sontuoso complesso termale)… l'imponente (quasi due chilometri) acquedotto di Isernia, probabilmente di epoca traiana, scavato nella roccia, nelle viscere della città….. il panorama che si può vedere dal maestoso viadotto La Prece o Cardarelli, alto 157 metri e lungo 130…. la gola del fiume Sordo ed in lontananza lre vette del complesso montagnoso del Matese..la bella Fontana della Fraterna è una bella struttura loggiata del 1200 circa: prende il nome dalla Frataria, la società di Mutuo Soccorso fondata da Papa Celestino V, originario del Molise, e, a detta degli isernini, loro concittadino. La fontana è stata costruita con pietre di recupero provenienti da un monumento sepolcrale che si dice fosse di Ponzio Pilato. In effetti, benché la storia non si possa avallare con sicurezza, sembra che Pilato, dal ritorno dalla Galilea, fosse presente e risiedesse fra Abruzzo e Molise…La Cattedrale di San Pietro, neoclassica, sorge sul sito di una precedente fabbrica distrutta dal violento terremoto del 1805, laddove c'era il tempio di Giove, Giunone e Minerva, ed ospita una bella icona bizantineggiante proveniente da Rodi e giunta ad Isernia per volontà del Vescovo Gianbattista Lomellino: la Madonna di Via Lucis. La cattedrale ed il Palazzo Vescovile inglobano parecchie strutture romane e statue di spoglio, incluso un maestoso fornice, probabilmente originario del Foro, inserito nel poderoso Campanile…”



    “Isernia e i Santi Patroni! Gli Isernini hanno orgogliosamente rivendicato la paternità del Santo Papa Celestino V, divenuto presto fra i più amati patroni urbici; ma, in realtà, vari documenti attestano la compresenza di altri patroni: San Nicandro (probabilmente il "primo" patrono, non solo cronologicamente), S. Daria, S. Barbara (questi primi Santi diventati ora patroni di Venafro) e San Marciano….”



    “Andrea d'Isernia è stato un insigne giurista presso la corte angioina di Napoli fra 1230 e 1300, autore dei Commentaria in usus feudorum e di una Lectura delle Costituzioni melfitane di Federico II. Andrea, quindi, contribuì al serio dibattito sull'opera legislativa federiciana, non a caso ritenuta una pietra miliare nell'ambito degli studi giuridici, atto fondativo del diritto amministrativo moderno e di una moderna concezione di stato….Onorato Fascitelli, a cui è dedicato il Liceo Classico di Isernia, fu nel 1500 Vescovo di Isola di Caporizzuto ed importante poeta, letterato ed umanista, amico di Pietro Bembo e Pietro Aretino. Fascitelli lavorò a Venezia con Paolo Manuzio, figlio di Aldo, uno degli inventori della moderna tipografia….Giovanni Vincenzo Ciarlanti da Isernia, attivo nel 1600, è stato uno dei più importanti storici del Sannio, regione storica della città di Benevento, alla quale il contado del Molise fu a suo tempo aggregato…Giuseppe Pettine (1875-1966) è stato uno dei più grandi virtuosi di mandolino: trasferitosi negli Stati Uniti contribuì decisamente alla diffusione, allo studio e alla nascita di un metodo per lo strumento in America, guadagnandosi subito una fama di prodigio.”













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    ISERNIA...



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    La provincia di Isernia offre la possibilità di una vacanza romantica e spettacolare, tra vestigia romane e teatri sanniti, immersi n una campagna dalla bellezza struggente, da paese a paese, tra montagne e colline, a tu per tu con un Appennino quasi sconosciuto. Tra i tanti piccoli borghi sovrastati da castelli medievali ricordiamo: Venafro e il castello Pandone, il castello di Monteroduni con le sue possenti torri angolari merlate, il castello di Pescolanciano. A Isernia, capoluogo regionale e città patria di Celestino V, il papa del “gran rifiuto” del 1294, si trovano ancora tracce dell'antica Aesernia fondata dai Sanniti; da non perdere una visita al Lapidarium presso l'ex convento di Santa Maria delle Monache, dove sono conservati i resti fossili di un accampamento dell'Homo erectus.

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    Venafro - Castello Pandone
    Il territorio è segnato dai tratturi, le vie della transumanza, vere e proprie “autostrade verdi” che costituivano un vero e proprio sistema viario esteso dalla costa adriatica alle falde del Matese. Non può mancare una visita ad Agnone, la città delle campane con la sua storica fonderia Marinelli, attiva da almeno sette secoli, e a Scapoli, il paese delle zampogne. In stupenda posizione sulla valle del Trigno, a Pietrabbonante, si trova il più importante complesso monumentale sannitico, con il bellissimo teatro con cena, capace di 2.500 posti a sedere. Verso l'Abruzzo i monti si fanno più selvaggi e appartati, coperti da faggete secolari e abitati dall'orso e dal lupo. Qui, ai piedi dei 2.241 metri della Meta e delle altre cime, sorge una cerchia di paesi che hanno saputo puntare sulla carta dello sviluppo sostenibile, aderendo al Parco Nazionale d'Abruzzo. La cucina molisana è genuina e saporita nei suoi ingredienti, semplice e capace di trarre il meglio dai prodotti della terra.



    PANORAMI DEL MOLISE

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    GUERRIERI SANNITI................











    Petacciato



    Petacciato è un comune di 3.488 abitanti della provincia di Campobasso.

    Centro del litorale adriatico, si erge su di una collina a 225 m s.l.m. Dalla sua posizione dominante offre un vasto e suggestivo panorama che si estende dai monti della Majella al promontorio del Gargano, attraversando l'arcipelago delle Isole Tremiti.

    Il suo territorio si sviluppa su di una superficie di 2.968 ettari. Conta una popolazione di 3.488 abitanti


    Storia

    La storia di Petacciato è molto antica ma al tempo stesso incerta in quanto si dispone di una documentazione parzialmente dubbia circa la sua origine e denominazione. In epoca preromana fu occupata dai Frentani, popolo di origine incerta. Infatti, secondo alcuni storici questi discenderebbero dai Sanniti, per altri, invece, dai Liburni, dai Sabini o dagli Etruschi. Molteplici sono state anche le sue denominazioni: "Petazio", di origine greco-romana, vuol dire cappello a larghe falde, "Potare", che significa bere in abbondanza, probabilmente per la presenza di numerose sorgenti nel suo territorio, nonché "Betavium", "Petacciata", "Pitacciato" ecc.



    Il territorio di Petacciato è stato sempre conteso da vari popoli e briganti. Subì gli assalti dei Goti ( V secolo), dei Bizantini (VI secolo), dei Longobardi (VII secolo).

    Il centro costiero è stato più volte distrutto da terremoti; sono da menzionare quelli accorsi negli anni 1117, 1125, 1456. Quest'ultimo, in particolare, nella notte tra il 4 e il 5 dicembre, provocò una terribile distruzione del centro abitato con la conseguente morte di numerosi abitanti. Seguirono alcuni anni di povertà ed abbandono del paese.



    Nel 1463 Petacciato venne nuovamente rasa al suolo dagli Angioini, in battaglia contro gli Aragonesi che Petacciato, insieme a Guglionesi, un paese limitrofo, aveva difeso strenuamente. Solo dopo alcuni secoli, verso la metà del XVI secolo,

    Petacciato tornò a vivere momenti di prosperità. Ci furono infatti degli insediamenti di popolazione slava che garantirono il ripopolamento del territorio. Venne annesso all'Università di Guglionesi, ma nel 1618 il Feudo di Petacciato fu venduto e rilevato dal duca di Celenza (Abruzzo) Giulio Cesare Caracciolo nel 1619.

    Questi contribuì a rafforzare quella fase di ripopolamento e ripresa economica del paese.

    Verso la fine del XVI secolo Petacciato conobbe l'invasione dei Turchi, diventando rifugio di briganti.



    Nella sua lunga e travagliata storia, Petacciato ha vissuto anche il dominio dei D'Avalos, una nobile famiglia napoletana la quale contribuì notevolmente a ridare al paese uno sviluppo economico,sociale,culturale e religioso.

    Petacciato, nella sua millenaria storia, come si può evincere da questo breve escursus, lo si può comunque definire un paese "giovane", se si tiene conto del fatto che è divenuto un Comune autonomo soltanto il 30 dicembre del 1923, distaccandosi da Guglionesi




    Il Molise

    è una regione dell'Italia meridionale, con una popolazione che si aggira intorno ai 320.360 abitanti. Il capoluogo è Campobasso. Confina con l'Abruzzo, il Lazio, la Campania, la Puglia ed il Mar Adriatico. Dal 24 novembre 2005 la regione Molise ha anche una sede istituzionale a Bruxelles. Il Molise è l'unica regione italiana nata dalla divisione di 2 regioni. Fu istituita nel 1963, per distacco dall'antica regione Abruzzi e Molise, diventando la ventesima regione d'Italia, dapprima con la sola provincia di Campobasso e dal 1970 anche con la provincia di Isernia. In realtà la Regione Abruzzi e Molise, intesa come istituzione, come tutte le regioni a statuto ordinario non era mai stata attivata e dunque le due regioni hanno cominciato a funzionare autonomamente dal 1970.



    SANT'ANGELO MOLISANO....


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    CHIAUCI.......





    CIVITANOVA DEL SANNIO..........




    Storia

    Storicamente il Molise si identifica con l'antico Sannio. A partire dal III secolo a.C. subì l'invasione dei Romani, che crearono le loro colonie nei principali centri abitati già esistenti (Isernia e Venafro). Alla caduta dell'Impero Romano, il territorio molisano fu devastato dai Goti (535-553), e poi incluso nel Ducato longobardo di Benevento. Il nome Molise compare nel Medioevo centrale per identificare una contea di appartenenza della famiglia normanna dei de' Moulins. Nell'847 sorsero alcune signorie feudali:(878) Campobasso assume un'importanza economica sempre crescente riuscendo a diventare la “capitale” della Contea sotto la signoria dei De Molisio, di Venafro (964), di Larino, di Trivento (992) e, nel 1000, quelle di Bojano, di Isernia e di Campomarino. Con l'arrivo dei Normanni, nell'XI secolo, le varie contee vennero unificate e poste sotto li controllo della contea di Bojano, che i normanni chiamarono Comitatus Molisii. L'integrità del Molise fu conservata fino al 1221, anno in cui la contea passò a Federico II di Svevia. In quell'anno il Molise divenne la sede di un giustizierato, cioè di un distretto di giustizia imperiale, dove l'autorità del re si sovrapponeva a quella dei feudatari. Nel 1531, il Molise passò sotto la dominazione spagnola e fu aggregato alla Capitanata (regione storica della Puglia, corrispondente alla provincia di Foggia). Fu questo un periodo di isolamento e di grave crisi economica e sociale, data la presenza sul territorio di numerose bande di briganti. Nel 1806, con Napoleone, il Molise divenne una provincia autonoma. Con l'annessione di Larino (in provincia di Campobasso) nel 1811, prese i confini corrispondenti all'attuale regione. Dall'epoca del Regno di Napoli il territorio molisano era compreso in tre giustizierati diversi: il Contado del Molise, l'Abruzzo Citeriore e la Capitanata. Con l'annessione al Regno d'Italia, nella regione scoppiarono molte ribellioni che furono completamente sedate solo alla fine del XIX secolo. Nel 1963 la Provincia di Campobasso fu proclamata regione a sé stante, creando così un'ulteriore divisione di un territorio con caratteristiche secolari ben definite.



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    Oratino

    è un comune di 1.288 abitanti in provincia di Campobasso.

    Visto dalla nostra mongolfiera ...

    Caratteristico paese di circa 1400 abitanti alle porte di Campobasso, Oratino dall’alto dei suoi 780 m. domina per lungo tratto la valle del fiume Biferno. Di origine antichissima, il primo documento conosciuto che ne riporta la presenza, è l’inventario del 1251 dei beni di valori presenti nelle chiese delle Diocesi di Venafro, Isernia, Boiano, Guardialfiera e Trivento redatto da Giovanni Capuano del Tesoro nel quale viene riportata la presenza della chiesa madre (Ecclesia Santae Mariae Castri Lorateni). Oratino è soprattutto arte. Un’arte che nei secoli si è espressa magnificamente nelle opere dei numerosi scalpellini, pittori, indoratori, scultori e vetriatari, che hanno lasciato segni del loro passaggio in tutto il Molise e nelle regioni limitrofe. E’ per questo che Oratino ancora oggi è testimonianza di un passato d’arte che si è ben conservato nel tempo. Ne sono prova tangibile i numerosi portali, i selciati in pietra, le Chiese di S. Maria Assunta e S. Maria di Loreto, la torre medioevale, il palazzo ducale, il centro storico, accuratamente restaurato e riportato all’originale fascino di borgo medievale.



    Oratino - "La Rocca" -

    In evidenza l’importanza archeologica del sito della Rocca di Oratino,ex feudo della famiglia Giordano,sito a pochi Km dal capoluogo regionale:esso si presenta del più grande interesse sia per il periodo preistorico,che per quello sannitico e medioevale.La località “La Rocca”,contraddistinta dalla presenza di una formazione rocciosa di notevoli dimensioni, alta circa 60 m e lunga attualmente circa 220 m,è collocata nella media valle del Biferno,a breve distanza dal fiume(sulla sponda destra) e direttamente interessata dal braccio tratturale Biferno-Campobasso e dal tratturo Castel di Sangro-Lucera;sia il fiume che i percorsi tratturali dovettero costituire fondamentali assi della viabilità antica,nonchè determinanti fattori per l’insediamento umano.



    isernia-citta515



    ISERNIA:DAI LONGOBARDI AGLI ANGIONI

    Con la caduta dell’Impero Romano e con le invasioni barbariche l’assetto istituzionale dello Stato subì delle trasformazioni sostanziali che modificarono non solo la struttura politico amministrativa, ma anche la realtà etnico-sociale ed urbanistica. Anche il paesaggio si modificò per la decadenza di quelle poderose strutture di cui i Romani avevano dotato sia le città che le campagne e che avevano costituito l’elemento essenziale, pratico e ideologico, per la conservazione del potere. Alla disorganizzazione amministrativa fecero presto seguito carestie, pestilenze e incultura che portarono all’abbandono ed alla ricerca di spazi autonomi dove la piccola comunità, riconducendo l’organizzazione sociale a sistemi elementari di amministrazione, poteva mirare alla semplice sopravvivenza. Le vecchie città, abbandonate per decenni, in alcuni casi addirittura scomparvero, in altri casi, come per Isernia, vennero solo parzialmente riutilizzate. Con le case in legno e senza più acquedotti, le situazioni igieniche diventarono molto precarie.



    Venafro

    (in latino Venafrum) è un comune di quasi 12.000 abitanti in provincia di Isernia.



    Il Santuario dell’Addolorata di Castelpetroso

    Il santuario dell’Addolorata di Castelpetroso è situato nella frazione di Guasto, comune di Castelpetroso (IS) e fa parte dell’Arcidiocesi di Campobasso- Bojano. Il punto dove sorge il Santuario fu, un tempo, terra sannitica e punto di riferimento in epoca romana (314-263).Anche Annibale, diretto a Gero-nio presso Casacalenda, passò per Inter-Pentros (Indiprete, frazione di Castelpetroso). Fu punto di vedetta per il controllo della cintura di colonie: Atina-Isernia e Venafro. Il Santuario, che sorge a pochi metri dall’antico tratturo (le antiche arterie viarie di congiunzione tra l’Abruzzo e le Puglie, percorse da pastori, mercanti, pellegrini, ecc.), si trova addossato alla catena appenninica ed è punto di spartiacque tra la Campania (Tirreno) e il Molise (Adriatico). L’attuale strada statale 17 è punto obbligato di passaggio per chi viene dalla Bifernina o dalla Trignina. La montagna e il verde dei boschi sono gli elementi, che caratterizzano l’ambiente, e danno al paesaggio la giusta tonalità della pietra e del verde. A poche centinaia di metri dalla strada statale 17, il Santuario tutto di pietra bianca locale si staglia al cielo come prezioso diamante incastonato sulla montagna. Era il 22 marzo 1888, Giovedì antecedente la Domenica delle Palme, quando Fabiana Cicchino e Serafina Giovanna Valentino in località "Macchie Rosse" o "Cesa tra Santi", recatesi a coltivare un appezzamento di terreno a 857 m. s.l.m., smarriscono una pecorella. Fabiana si mette a cercarla. Attirata dallo sfolgorio, che promana da una grotta, si avvicina, e si trova immersa in una visione celeste: la Vergine Santissima e Cristo morto coperto di piaghe disteso ai suoi piedi. Maria si presentava seminginocchiata, aveva le mani allargate e gli occhi rivolti al cielo in un atto di implorazione e di offerta. La sua veste era di colore rosaceo; il manto, che scendeva dal capo e ricopriva le spalle e i fianchi sino a terra, era di colore bruno. Con Fabiana c’è anche Serafina, ma lei, quel giorno, non vede nulla. Dieci giorni dopo, il 1° aprile, festa di Pasqua, l’apparizione si rinnova, questa volta anche per Serafina. La Madonna si presenta nello stesso atteggiamento del 22 marzo, ma in entrambe le apparizioni ella non parla, non lascia alcun messaggio verbale. La notizia delle apparizioni si propaga con la rapidità di un lampo per tutta Castelpetroso e si allarga a ondate successive in tutti i paesi e le regioni vicine. Folle di fedeli, come percorse da un fremito, si sentono spinte a peregrinare verso la grotta di Cesa tra Santi e il loro numero cresce di giorno in giorno. A pochi giorni dalle apparizioni i pellegrini si contavano a migliaia; come riportano le cronache del tempo in un solo giorno ve ne erano oltre 4000. La stampa, specie "Il Servo di Maria" di Bologna, diretto dal Conte Carlo Acquaderni, in ogni numero, in una speciale rubrica parlava e dava notizie delle apparizioni di Castelpetroso.




    Storia

    Benché la sua fondazione sia attribuita a Diomede, personaggio della mitologia greca figlio di Tideo e di Deipile, ha nell'antico nome di Venafrum origini sannitiche. Nella piana, in diversi punti sono stati rinvenuti numerosi reperti che fanno pensare all'esistenza di insediamenti umani già in epoca preistorica. Durante la Guerra sociale, il frentano Mario Egnazio la prese a tradimento e fece strage di sei coorti] romane. Anche Silla la rase al suolo. Nel gennaio del 49 a.C. Pompeo Magno venendo da Teano, vi fece sosta. Ma le prime notizie certe dell'esistenza di Venafro risalgono al 300 d.C. quando si trovava sotto la giurisdizione dei romani con Massimiliano, rivestendo da subito un ruolo importante e strategico tanto da essere con Augusto colonia (Colonia Augusta Julia Venafrum), e recepì la caratteristica sistemazione urbanistica, parzialmente conservata nell'abitato attuale. In epoca augustea molta attenzione fu data all'acquedotto (Rivus Venafranus) che portava l'acqua del fiume Volturno da Rocchetta a Venafro. Rinomata per fertilità e amenità, è ricordata da Orazio come luogo di villeggiatura, e Plinio il Vecchio parla di una sorgente diuretica lì situata. In epoca romana vanta di una sviluppata economia con il rinomato olio che secondo la leggenda fu portato da Licinio il quale ne parla in molte sue opere. Fra il 774 ed il 787 la piana di Venafro fu attraversata dalle truppe di Carlo Magno che si scontrarono con quelle dei Longobardi del Principato di Benevento. Dopo il periodo buio del Medioevo che ha visto Venafro sprofondare in miseria e malattie, nei secoli successivi la città visse un'epoca di espansione e di benessere, basti pensare alle numerose costruzioni risalenti a questa epoca che hanno cambiato il volto della città con monumentali chiese e palazzi. Nell'ottobre del 1911 il Padre Provinciale, Benedetto da San Marco in Lamis, accompagnò Padre Pio da Pietralcina, malato, a Napoli dal celebre dottore Antonio Cardarelli, il quale suggerì di condurlo Venafro. Durante il mese e mezzo passato in questo convento, la fraternità si accorse dei primi fenomeni soprannaturali: estasi divine della durata anche di un'ora e apparizioni diaboliche, di breve durata. Tra l'autunno del 1943 e la primavera del 1944 fu teatro, come altri paesi dei dintorni (Pozzilli, Filignano, San Pietro Infine ed altri), di aspri combattimenti fra i Tedeschi, asserragliati sulle montagne a nord e gli Anglo-Franco-Statunitensi, lungo la linea Gustav, per la conquista di Montecassino. Scambiata per quest'ultima dai piloti anglo-americani, Venafro venne colpita duramente dai bombardamenti alleati il 15 marzo 1944. Nella primavera del 1984 fu molto danneggiata dal terremoto originatosi nella non lontana Valle di Comino, in provincia di Frosinone. Nel 1987 la città fa parte, su segnalazione del Censis, dei 100 comuni della "piccola grande Italia".Dal 1994, insieme ad altri 338 soci,fa parte dell'A.N.C.O., (Associazione Nazionale Città dell'Olio). Il 25 aprile 2005 Venafro ha ottenuto la medaglia d'oro al valor civile dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi per il tragico bombardamento aereo subito il 15 marzo 1944. Tra il centro abitato di Venafro ed il convento dei Cappuccini, è presente il cimitero militare francese dei caduti della Seconda Guerra Mondiale appartenenti al CEF guidato da Alphonse Juin, che nella cittadina pose il suo quartier generale. Fino al 1863 Venafro era compreso nel territorio della Terra di Lavoro l'attuale provincia di Caserta, finché con l'istituzione della provincia di Campobasso fu annessa a tale territorio e quindi entrò definitivamente a far parte della regione Molise. Nel 1970 fu inclusa nella neonata provincia di Isernia, di cui fa attualmente parte, nonostante le polemiche e le proteste spesso violente della popolazione, favorevole invece a rimanere a far parte della provincia di Caserta. Venafro è sede vescovile dal V secolo. Ultimi feudatari furono i Savelli, i Peretti, i Caracciolo di Miranda.



    ... Ragazzi, posso fare una piccola riflessione? Davvero è incredibile come in ogni angolo del nostro paese ci siano angoli bellissimi ... in nessun altro luogo al mondo si trova un concentrato di storia e bellezze naturali come in Italia ... da quando abbiamo iniziato questo viaggio in Italia, continuo a prendere nota di luoghi che andrò a vedere perchè non ne conoscevo la bellezza ...



    I poeti latini Orazio, Plinio, Varrone e Marziale esaltarono la cittadina per la salubrità dell'aria, per l'incantevole ambiente e per gli olivi che danno tuttora finissimo olio.

    Il castello



    ISERNIA FU......

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    Alla Trinità di Macchia di Isernia fu trovata una strana lapide che, spostata ad Isernia almeno dal XVII secolo, è stata successivamente portata a Napoli da dove ha preso il volo per Parigi per finire nella sezione archeologica del Louvre. Di questa insegna si conosceva l’esistenza già nel XVII secolo perché trascritta, sia pure in maniera grossolana, in una carta di quel secolo oggi conservata nella Biblioteca Comunale. di Isernia. Sappiamo che per un periodo, all’inizio dell’Ottocento, era nel cortile dell’Episcopio di Isernia. Successivamente risulta spostata nella casa di Vincenzo Piccoli, economo della diocesi, ma se ne perdono subito le tracce e ricompare a Napoli nella collezione privata del cav. Avellino, direttore del museo reale di Ercolano, secondo quanto riferisce il Garrucci. Alla fine del XIX secolo l’architetto Giuseppe Barone fu autorizzato dagli eredi di Avellino a farne delle riproduzioni in gesso, una delle quali destinata alla propria collezione privata di Baranello dove è oggi conservata. Non sappiamo con quali modalità il museo francese ne abbia conseguito il possesso, ma sta di fatto che la pietra di Macchia, tra le più originali insegne di una taverna romana, non appartiene più al luogo di provenienza.

     
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    Tradizione e folklore
    Angeli e demoni





    Ogni anno nel giorno del Corpus Domini il centro di Campobasso si popola di angeli, santi e diavoli che sembrano volare nel cielo: è la straordinaria rappresentazione scenica dei Misteri, tredici quadri viventi che rievocano in modo simbolico episodi della Bibbia.

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    La particolarità della processione risiede negli 'ngign (congegni) realizzati a metà del Settecento dal geniale scultore Paolo Saverio Di Zinno, che anziché le consuete statue concepì delle singolari strutture di legno e ferro cui vengono ancorati, attraverso cinghie di cuoio, i giovanissimi figuranti.

    Il corteo partirà la mattina del 10 giugno dal borgo antico della città per raggiungere Piazza del Municipio, dove il vescovo impartirà la benedizione solenne, fra due ali di folla che incita i portatori e l'accompagnamento della banda: fra i Misteri, di particolare fascino quelli di Sant'Antonio, in cui il Diavolo tenta invano di sedurre la Sposa alternando lusinghe e minacce, e di San Michele, dove tre nerissimi demoni dalle lingue scarlatte provocano il pubblico e in particolare le donne invitandole a salire sul carro (pensateci bene prima di accettare: chi lo fa, rischia di ritrovarsi con il viso tinto di fuliggine).

    Oltre all'affascinante sfilata, da non mancare una visita al raccolto centro storico, al Castello Monforte, maniero rinascimentale da cui si può ammirare un vasto panorama sulle valli del Trigno e del Fortore, alla chiesa barocca di Sant'Antonio Abate e alle chiese romaniche di San Giorgio e San Bartolomeo; un imperdibile esempio di architettura medioevale è a pochi chilometri dalla città, sulla strada che porta verso Larino: la splendida Santa Maria della Strada, capolavoro del XII secolo immerso nella campagna.

    da: pleinair.it
    foto web



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    Alta valle del Volturno

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    Le aree interne ignorate dai grandi percorsi turistici sono un serbatoio di proposte a cui attingere senza riserve per gli itinerari pleinair, con la certezza di scoprire motivi di pregio resi ancora più godibili dalla freschezza con cui si propongono. E' il caso delle sorgenti del Volturno e dei paesi molisani che presidiano il primo tratto del suo corso: un piccolo comprensorio dalla lunga storia, con tradizioni popolari tenacemente conservate e testimonianze architettoniche e artistiche del tutto degne del confronto con località ben più famose.

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    Anche i fiumi, come gli esseri umani, vengono solitamente ricordati per la loro importanza; e come accade per gli uomini, dei grandi corsi d'acqua spesso dimentichiamo le origini, quelle piccole sorgenti da cui sgorgano le prime gocce. Prendiamo ad esempio il Volturno, il principale fiume dell'Italia meridionale sia per lunghezza sia per portata. Molti sanno che sfocia nel Tirreno fra Gaeta e Napoli, a Castel Volturno, perché il paese porta il suo nome, ed è noto altresì che durante il Risorgimento la sua valle fu teatro di un'importantissima battaglia, nella quale Garibaldi e i suoi uomini bloccarono l'offensiva dell'esercito borbonico ricostituitosi tra le mura di Capua.
    Ma quanti sanno che il Volturno nasce in Molise, sui Monti della Meta? I primi rivoli stillano dalle rocce di questa piccola catena a ridosso del confine tra Lazio, Abruzzo e Molise, non lontano dal paese di Castel San Vincenzo; da qui il fiume, pur con un andamento sinuoso che cambia spesso direzione, punta decisamente a sud andando a segnare il limite con la Campania. L'alta valle è un territorio quasi sconosciuto al turismo, nonostante i motivi di interesse rappresentati dalle località della zona: come dire che la sua più naturale modalità di scoperta è il pleinair.
    Individuare la sorgente di Capo Volturno non è semplicissimo, ma c'è qualche indicazione nella parte bassa del territorio di Rocchetta a Volturno, dove si trova un piccolo impianto dell'Enel con un laghetto artificiale circondato da salici e pioppi, molto frequentato dalle anatre durante le migrazioni: se nel periodo autunnale si concentrano soprattutto folaghe, moriglioni e tuffetti, in primavera sarà la volta di marzaiole, alzavole e gallinelle d'acqua. Essendo circondato da una rete il piccolo specchio d'acqua non è molto fruibile, ma proprio di fronte, sempre sotto la mole del Monte della Rocchetta, c'è ampia possibilità di sostare con il veicolo ricreazionale e si presume che la fontana offra acqua di sorgente. Un breve tragitto, percorribile anche a piedi o in bicicletta, conduce all'abbazia di San Vincenzo al Volturno, la cui storia risale all'anno 703 quando tre nobili beneventani, dai curiosi nomi di Paldo, Tato e Taso, fondarono il primo cenobio per poter fare vita di penitenza secondo la regola benedettina. Nel periodo di maggior splendore il complesso abbaziale occupava un'area di circa 5 ettari su entrambe le sponde del Volturno: una vera cittadina con refettorio, officine, altri edifici di servizio e ben otto chiese. Nell'881 la struttura venne distrutta dai Saraceni e nell'incendio morirono 700 monaci, come racconta il codice miniato Chronicon Vulturnense (oggi conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana). La chiesa e il monastero sono stati ampiamente ricostruiti dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, e il convento è oggi abitato da monache di clausura provenienti dagli Stati Uniti. Sono assai interessanti gli antichi resti del complesso di San Vincenzo Minore, con la Cripta di Epifanio (aperta su prenotazione) ornata da bellissimi affreschi. Di fronte all'abbazia si può sostare ma non pernottare, motivo in più per scegliere le due ruote o le gambe lasciando il veicolo in prossimità delle sorgenti.


    Note di tradizione

    Il fiume si ingrossa quasi subito, ricevendo il Rio dell'Omero, e bagna Cerro al Volturno, il cui nome deriva naturalmente dalla quercia più comune nella zona, il cerro. La parte vecchia dell'abitato è scenograficamente disposta a semicerchio intorno al castello, visibile a grande distanza per l'impressionante mole quadrangolare con tre alte torri che ne difendono i lati più esposti, mentre è una ripida scarpata a proteggere il versante orientale. Risalente all'anno 989, come documenta un atto di cessione dei terreni sottoscritto dall'abate di San Vincenzo, si può però ammirare solo dall'esterno, a meno di non sedersi ai tavoli del ristorante annesso o di alloggiare nel bed&breakfast ricavato all'interno del maestoso edificio.


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    Di poco posteriore al castello è l'adiacente chiesa di Santa Maria Assunta, con campanile a vela e due cippi funerari romani praticamente intatti, mentre nella parte bassa del paese si trova la chiesa di San Pietro Apostolo, del XIV secolo, con torre campanaria angolare e un altare in marmo policromo.
    Da Cerro il fiume scende a lambire Colli a Volturno, ricevendo molti altri piccoli tributari che ne accrescono sensibilmente la portata. Noi invece, ripreso il veicolo, ci dirigiamo verso Castelnuovo al Volturno, frazione di Rocchetta che si aggrappa al massiccio montuoso delle Mainarde, frontiera del Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise.

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    Il paese ospitò il pittore e naturalista francese Charles Moulin, un curioso personaggio che vi giunse nel 1911 perché uno zampognaro del posto da lui ritratto lo aveva ammaliato con i suoi racconti sulla bellezza dei luoghi. L'intenzione era di rimanere qualche giorno e invece vi restò per tutta la vita, a eccezione di brevi viaggi che compì in Francia e Stati Uniti per partecipare a esposizioni e ritirare premi. Moulin si costruì una casetta di pietra, dove viveva modestamente con la sola compagnia dei suoi dipinti e di una bambola di pezza di dimensioni umane, che presentava divertito come “la sua signora”, passando le giornate a dipingere e a preparare intrugli di erbe medicinali con le quali alleviare i disagi dei nuovi compaesani, che storpiando il suo nome lo chiamavano Mussié Mulà. Un tipo originale, insomma, che trovò in questo borghetto molisano la sua dimensione ideale. Adattissimo alla visita è il periodo del Carnevale quando, sul manto di neve che d'inverno ricopre queste alture nonostante le quote relativamente basse, va in scena il rito dell’uomo cervo, che risale addirittura ai Lupercali degli antichi Romani.
    Il Molise è una regione attenta a conservare le tradizioni, e ci sono numerosi altri esempi di come le varie località riescano a valorizzare il proprio patrimonio culturale.

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    E' il caso del vicinissimo paese di Scapoli, che raggiungiamo percorrendo una strada immersa nei boschi con il massiccio delle Mainarde a fare da cortina. I musicisti di mezzo mondo e gli appassionati di musica popolare hanno eletto Scapoli a capitale della zampogna, strumento pastorale per eccellenza che nei ricordi di molti è ancora fortemente legato alle festività natalizie: negli ultimi anni, però, sta conoscendo una nuova notorietà grazie alla crescente diffusione del suo impiego in ambiti culturali più vasti (memorabile l'esibizione dello zampognaro molisano Piero Ricci alla Scala, nell'opera Nina del Paisiello, sotto la direzione di Riccardo Muti). E' con queste premesse che ci rechiamo in Via Vico Santa Maria per visitare il Museo della Zampogna, nel quale sono in mostra esemplari provenienti dalle più diverse tradizioni ed epoche: una vera sorpresa per chi ha in mente solo le cornamuse scozzesi o le pive dell'Appennino Emiliano. Alle sale espositive, distribuite su tre piani, si aggiungono una cineteca, un'audioteca e la ricostruzione di una bottega artigiana, senza dimenticare che sono ben quattro in paese i maestri tuttora specializzati nella costruzione di zampogne. A pochi passi dal museo, è invece dedicato all'intarsio del legno il laboratorio di Giovanni Di Falco, che non si sottrae al compito di insegnare ai più giovani quest'altra forma di arte popolare e non solo.
    Nonostante le trasformazioni architettoniche (un'antica chiesa è oggi un'abitazione privata e il palazzo marchesale dei Battiloro è stato frazionato), il centro storico ha conservato l'impianto originario: imboccando un passaggio coperto detto Scarupato, ci si porta sull'antico cammino di ronda che abbraccia il borgo vecchio dominando la chiesa di San Giorgio, di fronte alla quale troneggia un'impressionante quercia secolare.


    Andar per castelli

    Da Scapoli riprendiamo la strada panoramica che ci porta verso Colli a Volturno, dove ci immettiamo sulla statale 158; superate Montaquila e Roccaravindola, prendiamo la superstrada in direzione Isernia e attraversiamo il Volturno sul Ponte Venticinque Archi, dove il fiume segna il confine con la Campania.

    Questo importante snodo era servito da un ponte di età romana, il Latrone, il cui crollo obbligò a servirsi di una zattera a corda (la scafa) per passare da una sponda all'altra; quello che abbiamo appena percorso fu invece realizzato per volontà di Gioacchino Murat, che visitò la zona nel 1810 quando era re di Napoli, e ancora oggi è una delle più scenografiche opere architettoniche del genere, pur se ricostruito dopo i danni dell'ultima guerra.

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    A Monteroduni troviamo ad accoglierci una delle poche aree attrezzate della provincia di Isernia, in strategica posizione per la visita del circondario e a meno di un chilometro dal paese, che si raggiunge facilmente a piedi. L'abitato si addensa su un colle tappezzato da vigneti e oliveti intorno al magnifico castello di origine longobarda: chiedendo del vigile urbano ci si faranno aprire le porte di questa rocca giustamente considerata tra le più belle del Molise, anche grazie all'eccellente stato di conservazione. Se ne hanno notizie certe fin dal XII secolo quando Enrico VI di Hohenstaufen, figlio di Federico Barbarossa e sovrano del Sacro Romano Impero, contendeva il Regno di Sicilia al normanno Tancredi.


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    Non meno affascinante è la storia del castello di Venafro, la cittadina più grande di questo lembo del Molise, che abbiamo scelto come ultima tappa del nostro piccolo viaggio.

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    La parte bassa si distende sui due lati di una provinciale piuttosto trafficata, che porta il nome di Via Colonia Julia in memoria dell'età romana, ma non lascia intuire le bellezze della parte più antica. Il monumento più rilevante è proprio l'antica residenza dei Pandone, feudatari di Venafro sin dal XV secolo, anche se le sue origini sono in realtà precedenti trattandosi di una rocca longobarda più tardi passata sotto il dominio normanno e quello svevo. Dell'edificio, attualmente interessato da lavori di restauro che presto consentiranno la riapertura di tutte le sale, si può intanto visitare il piano nobile; in via di ripristino anche il fossato difensivo, che nel '700 era stato interrato a causa di una frana. Di grande interesse gli affreschi che raffigurano cavalli privi di cavalieri: uno dei padroni di casa, quell'Enrico Pandone che alla fine del '400 divenne conte di Venafro e della non lontana Bojano, era un vero appassionato del mondo equino e fece immortalare sulle pareti decine e decine di inquilini delle sue stalle. Purtroppo i proprietari successivi non condividevano questo interesse e fecero ricoprire diversi affreschi, così che oggi è stato possibile riportare alla luce solo il disegno e non i colori.

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    Dall'alto delle mura merlate la vista spazia sui tetti dai quali emergono i campanili gemelli del Cristo e dell'Annunziata, due delle ben quattordici chiese distribuite nel tessuto urbano. Scendendo verso Piazza Vittorio Veneto troviamo invece la Torre del Mercato, che nel Medioevo era inserita nel sistema difensivo della città, e alle sue spalle un museo di reperti bellici della Seconda Guerra Mondiale, che in questa zona visse alcune delle sue fasi conclusive più drammatiche (come ricorda anche il cimitero militare francese che si trova uscendo dalla città in direzione di Isernia). In posizione defilata rispetto al borgo medioevale sorge il duomo di Santa Maria Assunta, nei pressi del quale è disponibile un ampio spazio per sostare con il camper. Se è attestato che il vescovo Costantino vi risiedeva alla fine del V secolo, le attuali strutture della cattedrale – assai rimaneggiate in seguito – datano all'XI secolo. Da qui parte inoltre un lungo sentiero che sale sulla montagna fra gli olivi: percorrendolo per intero si raggiunge il paese di Conca Casale, ma per apprezzare la suggestione del paesaggio bastano pochi passi fra gli splendidi alberi secolari, per la cui tutela è stato creato il Parco Regionale Storico Agricolo dell'Olivo di Venafro. Al momento l'iniziativa sembra più sulla carta che effettivamente avviata, ma si tratta di un ottimo strumento per dare corpo alla tutela di un territorio la cui spiccata vocazione agricola non ha ancora ceduto il passo all'economia di stampo industriale.
    E siamo ormai in prossimità dell'incrocio tra i confini di Lazio, Molise e Campania: il Volturno, che scorre ormai a buona distanza, prosegue la sua discesa verso il mare, mentre noi torniamo a riprendere la statale che in pochi chilometri ci ricondurrà sull'Autostrada del Sole.


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    Testo e foto di Gabriele Salari
    PleinAir 461 – dicembre 2010
     
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