FIUMI nel mondo

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  1. gheagabry
     
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    «La personalità del fiume cambia nel corso del suo viaggio e passa dalla purezza
    delle origini alle ampiezze dei tratti commerciali, diventando il paradigma della vita»
    (Peter Ackroyd)


    IL TAMIGI


    Il Tamigi (in inglese Thames, dal latino Taměsis) è un fiume dell'Inghilterra meridionale che attraversa Londra e sfocia nel Mare del Nord. Il Tamigi è uno dei fiumi più citati del mondo: difficile negare l’importanza che ha per Londra, anzi si potrebbe dire che Londra come la conosciamo non sarebbe potuta esistere senza il fiume più lungo dell’Inghilterra, ma non della Gran Bretagna; il Severn lo supera per nove chilometri. Lungo trecentoquarantacinque chilometri navigabile per trecento, il Tamigi scorre lungo i confini di nove contee, attraversato da 134 ponti con 44 chiuse muovendosi a una velocità variabile tra gli ottocento metri e quattro chilometri l’ora. Si dice che il nome Tamigi nasce dalla parola "Tamas" del linguaggio Sanskrit, che significa scuro per il colore delle sue acque oppure dalla parola "Tam" che in antico romano significava largo e dalla parola "Isis" che significava acqua.

    ...storia....


    La storia delle grandi capitali è generalmente legata ad un fiume. Londra non fa eccezione: il suo fiume il Tamigi, è celeberrimo. Le sue origini risalgono ad oltre 30 milioni di anni fa, quando il Tamigi era un tributario del fiume Rhine, al tempo in cui la Gran Bretagna faceva ancora parte del continente. 10.000 anni fa, durante la Grande glaciazione, il Tamigi mutò il suo corso, ricavandosi un proprio percorso attraverso le Chiltern Hills nel sito oggi noto come Goring Gap. A quel tempo, la portata dell'acqua era superiore all'odierna di ben dieci volte, grazie allo scioglimento dei ghiacci. Con minime differenze, occorre, però, giungere a circa 3.000 anni fa per giungere all’attuale configurazione del fiume, il secondo per lunghezza in Gran Bretagna, che si distende per 215 miglia dalla sorgente a Cotswold Hills fino alla foce a Southend nell'Essex.
    Gli inizi di Londra possono essere datati con una certa esattezza con l'invasione dei Romani avvenuta nel 43 d.C.. Prima di questa data non vi era alcun nucleo di abitazioni permanenti nell'attuale sito dove si trova l'odierna città. Il Tamigi scorreva attraverso un terreno paludoso con piccole isole di ghiaia e sabbia. Il comandante delle truppe romane era un certo Aulus Plautius, la loro avanzata in Britannia si fermo su Tamigi. Fu costruito per questo il primo ponte sul fiume. Da recenti scavi si è visto che questo primo London Bridge, era distante pochissimo dal moderno London Bridge. Il ponte romano dimostrò di avere una posizione ideale per la nuova rete di strade che di lì a poco si sarebbe sviluppata per la rapida circolazione delle truppe. Vicino al ponte si sviluppò il primo insediamento della futura città Londinium che divenne rapidamente un importante centro commerciale per le merci che transitavano sul Tamigi.

    Durante il Cinquecento, all’epoca di Enrico VIII e della Riforma, il Tamigi divenne il fiume dello sfarzo e dei magnifici cortei regali: per la sua incoronazione Anna Bolena sfilò vestita d’oro e, secondo le cronache dell’epoca, le chiatte del corteo formarono una colonna di ben sei chilometri. Senza il Tamigi, l’Inghilterra non sarebbe diventata una potenza economica a partire dall’epoca elisabettiana. «Durante il suo regno la maggioranza degli abitanti della capitale si guadagnava da vivere con il fiume e merci di ogni tipo arrivavano e partivano dal porto che stava prendendo forma». Attraversarlo non era agevole e a lungo Londra ebbe solo il London Bridge, più volte distrutto e ricostruito. Se all’inizio del Settecento erano in media duemila le imbarcazioni che ne percorrevano il tratto da Londra all’estuario, il loro numero crebbe in epoca vittoriana grazie allo sviluppo di bacini che potevano ospitare navi da trasporto sempre più grandi. Conrad, che conosceva bene i bacini per la sua attività di ufficiale di marina, scrisse in un saggio: «il Tamigi è una sorta di giungla per la confusione, la varietà e l’aria impenetrabile degli edifici che sorgono nei pressi delle rive. Londra, il più vecchio e il più grande dei porti di fiume non possiede un metro di banchine libere sulla sponda». Le attività commerciali ebbero l’effetto di far crescere in misura esponenziale il livello di inquinamento. In pieno Ottocento il fiume che attraversava la capitale era “una fogna a cielo aperto” che puzzava in maniera insopportabile: alle finestre del Parlamento erano appesi stracci intrisi di cloro e un giorno, si legge in un resoconto, un ministro dovette abbandonare di corsa una sala «perché non reggeva quell’odore pestilenziale». A farne le spese furono anche Vittoria e il principe Alberto che, imbarcatisi per una crociera, fecero ritorno a riva dopo pochi minuti per la puzza che saliva dall’acqua....


    L’idea del cottage inglese con siepi e prati verdi nasce dal Tamigi. Basta risalirlo per una passeggiata tra le cittadine, da Cookham a Pangbourne o a Streatley, per capire che in fondo quest’immagine che si ha della nazione è nata proprio così. Un grande mito di unificazione, un museo all’aria aperta della storia inglese. Basta citare alcuni nomi: Greenwich, Windsor, Eton, Oxford. Nella parte superiore del fiume si può camminare senza incontrare anima viva. L’estuario è il luogo dell’isolamento, rappresenta la fuga dal mondo. Chi, se non Joseph Conrad, avrebbe potuto comprendere e descrivere con maestria anche gli aspetti più oscuri di questo fiume? In “Cuore di tenebra”, Marlow, il protagonista, guarda il fiume non “nel vivace bagliore di un breve giorno che viene e poi se ne va per sempre ma nella luce augusta dei ricordi durevoli”. Con “Lo specchio del mare”, Conrad racconta la sua fascinazione per l’estuario del Tamigi, mentre Charles Dickens, lo descrisse come un fiume di lacrime e oscurità... Il Tamigi aveva una reputazione anarchica. Luogo spesso violento, dove i barcaioli lottavano giornalmente contro i custodi delle chiuse, i marinai contro i doganieri, e contrabbando e furto erano diffusi. Per molti secoli il Tamigi fu luogo di punizione. Il rituale feroce dell’immersione delle “bisbetiche”, così erano definite le donne “scolds”, donne mature che usavano un linguaggio scurrile, infastidivano il marito o calunniavano il prossimo. La “scold” veniva legata a una sedia e poi lasciata cadere nel fiume per tre volte, una penitenza che spesso risultava fatale, un’idea di punizione associata alla purificazione. Alle streghe – cosiddette – andava peggio: se la donna restava a galla era dimostrata la sua colpevolezza, il fiume la rifiutava; se affondava era dimostrata la sua innocenza. Il Tamigi fu fino alla metà dell’Ottocento anche luogo di prigionia. Navi prigione (come la “Discovery” e la “Retribution”) furono usate per quei galeotti che, a causa della guerra d’indipendenza americana, non era stato possibile deportare oltreoceano. Non mancano le leggende. Nel 1660, a Fairford, un’invasione di rane e rospi si spinse fino alla casa di un giudice. Alcune entrarono dalla porta, i rospi scalarono le finestre. Quando il giudice fece pace con i non conformisti della cittadina dove amministrava la giustizia, le rane e i rospi scomparvero all’improvviso. (il foglio)

    .....lungo il Tamigi.....


    "Le bizzarre viuzze di Kingston, là ove scendevano fino all'orlo dell'acqua, sembravano quanto mai pittoresche nell'abbacinante luce del sole, con il fiume scintillante percorso dalle lente chiatte, gli argini boscosi e le ville ben tenute lungo ciascuna riva". Comincia così il viaggio di "Tre uomini in barca (per tacer del cane)", il celebre romanzo di Jerome K. Jerome che, oltre a essere uno dei libri più divertenti mai scritti, è un'affettuosa celebrazione del Tamigi, "Old Father Thames", come lo chiamano gli inglesi, che lo considerano orgogliosamente un simbolo e un pilastro della storia nazionale. Sopra e attorno alle sue acque, essi hanno navigato, vissuto, lavorato, intrapreso commerci, combattuto, gareggiato, riposato e allestito deliziosi pic-nic, come quelli comicamente narrati da Jerome. Il romanzo apparve nel 1889. Ebbene, centoquindici anni dopo, la scena descritta dall'autore quando i tre amici e il loro fido quattrozampe Montmorency si imbarcano a Kingston-on-Thames non è cambiata troppo. Anche in questo sta il fascino del Tamigi: in molti punti dei 338 chilometri del suo corso, l'Inghilterra offre un panorama immutato, come se lungo le rive si fosse fermato il tempo. Casette a colori pastello con muri di pietra grezza e tetto di paglia, deliziose locande, chiatte, chiuse, barche a remi, minuscoli battelli, eleganti signore con il parasole, pescatori solitari in stivaloni di gomma e cestino per la colazione, cigni e anatre sotto ponticelli arcuati, dolci colline, vecchie fattorie, placide mucche al pascolo: non una traccia della modernità e della globalizzazione che hanno trasformato gran parte del paese, e reso uniformi tante città e contrade dell'Europa intera. Beninteso, non è così ovunque.
    Non è certo così, ad esempio, quando il fiume attraversa Londra, scorrendo davanti a "The Eye", la gigantesca ruota panoramica installata ove sorgevano i vecchi "docks", o al grappolo di avveniristici grattacieli di Canary Wharf, il quartiere finanziario che ha rimpiazzato la City.....diventa un fiume vero e proprio soltanto qualche decina di chilometri più a est, a Lechlade, dove l'Halfpenny Bridge marca l'inizio del suo tratto navigabile, primo di cento ponti fino alla foce; e di lì il "Vecchio Padre" avvia il suo serpeggiante tragitto attraverso una fertile, rigogliosa pianura. Strada facendo, gonfiato dagli affluenti, s'ingrossa e s'allarga, bagna Oxford, la più antica città universitaria britannica, descrive curve tortuose attorno ai deliziosi villaggi di Henley e Bray, indugia davanti ai castelli di Windsor, residenza di campagna della regina Elisabetta, e di Hampton, per poi penetrare nel bacino di Londra. Nella capitale, l'acqua dolce del Tamigi avverte l'influenza del mare e diviene salmastra, subendo l'effetto delle maree: muta lo scenario, con il maestoso parlamento di Westminster, il Big Ben, il Tower Bridge, la cupola della cattedrale di St. Paul, i grattacieli, il respiro della metropoli più grande d'Europa con i suoi quasi otto milioni di abitanti; e muta pure la fauna, i gabbiani si mescolano alle anatre, compaiono conchiglie, anguille e passere di mare...All'uscita orientale di Londra, ecco Greenwich, con la Cutty Sark, il veliero che portava tè dalla Cina e lana dall'Australia facendo un (mezzo) giro del mondo di 22 mila chilometri in ottanta giorni di navigazione, il Royal Observatory trafitto dal meridiano zero, punto di partenza della longitudine su mappe e mappamondi, la Thames Barrier eretta nel 1984 per proteggere la città dalle alluvioni. E qui il viaggio sul Tamigi è quasi finito: trenta chilometri a est di Londra, il fiume si apre in un lungo estuario a imbuto, entra nei banchi sabbiosi di Nore e, salutato da un faro, si disperde nel mare del Nord.
    (Enrico Franceschini, repubblica)

    .....le "Fiere sul ghiaccio".....


    Lo studio migliore sui casi del gelo del Tamigi negli ultimi mille anni, è stato effettuato da uno studioso britannico, Ian Currie, che ha esaminato accuratamente le cronache dei Secoli passati, nonché i numerosi casi nei quali il fiume era talmente gelato, a Londra, da permettere la creazione di grandi "Fiere sul ghiaccio". Esse erano grandi feste che si svolgevano direttamente sulla superficie congelata del fiume, con la costruzione di grandi strade circondate da negozi, vere e proprie "vie" sul ghiaccio, con tutto il contorno di divertimenti vari. Le maggiori e più durature sembrano siano state quelle del 1683-84, e del 1739-40. Invece, stranamente, nell'Inverno del 1709, il più rigido di tutti in Europa, non si tenne una "Fiera", forse a causa di cambiamenti di vento improvvisi che impedirono il congelamento completo. Non tutti gli inverni, infatti, risultano rigidi allo stesso modo, in Inghilterra e nel resto d'Europa. Questi sono gli episodi di congelamento del Tamigi a Londra, con spessore tale da sostenere il peso delle persone...XII Secolo: 1 caso..XIII Secolo: 3 casi...XIV Secolo: 1 caso...XV Secolo: 2 casi...XVI Secolo: 4 casi...XVII Secolo: 7 casi...
    XVIII Secolo: 6 casi...XIX Secolo: 1 caso...XX Secolo: 0 casi. Si può notare l'alto numero di episodi verificatisi in corrispondenza del periodo più freddo della Piccola Età Glaciale, tra il 1500 ed il 1800. Nel Seicento, in particolare, il Tamigi gelava ogni 14 anni circa (in realtà, sommando gli episodi minori, si arriva ad un inverno ogni 7 anni). L'ultimo caso di grande congelamento del fiume risale al 1814, quando fu tenuta l'ultima "Fiera del ghiaccio" che si ricordi.
    (meteo.it)
     
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  2. gheagabry
     
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    " ... la nobiltà in un fiume...."


    LA LOIRA


    La Loira, spesso celebrata dai poeti seguendo la tradizione inaugurata da Ronsard e du Bellay, è stata a lungo l’elemento vivificante del paese; sebbene oggi il traffico fluviale che ne animava il corso sia completamente scomparso, il fiume continua a caratterizzare questa regione: i paesaggi più affascinanti sono proprio quelli che si rispecchiano nelle sue lunghe prospettive e nei suoi armoniosi meandri. Il fiume più lungo di Francia (1020 km) nasce ai piedi del monte Gerbier-de-Jonc, nel Sud del Massiccio Centrale, ma in questa guida viene preso in considerazione solo il suo corso medio. Originariamente la Loira seguiva il corso del fiume Loing e affluiva nella Senna, ma poi, quando un braccio dell’Atlantico penetrò all’interno fino a Blois, essa abbandonò il suo antico letto per dirigersi verso sud-ovest. A nord dell’ansa così formatasi si estende la grande foresta di Orléans che copre le sabbie granitiche erose dal fiume nel Massiccio Centrale.
    Il regime della Loira è irregolare e capriccioso, con un corso a volte furioso e a volte indolente; la sua portata varia, a Orléans, da 25 a 8000 m3 al secondo. In estate solo qualche sparuto rigagnolo d’acqua striato di luisettes (rametti con foglioline color verde chiaro argentato) scorre sul greto del fiume, creando così l’impressione di un “fiume di sabbia”; in autunno però, quando piove, oppure alla fine dell’inverno, quando si sciolgono le nevi, la Loira va in piena, gonfiando impetuosamente e vorticosamente le sue acque. Può accadere anche che abbatta le dighe e gli argini, chiamati levées o turcies, costruiti per proteggere la campagna dalle inondazioni. Ecco che allora il fiume si riversa nella valle e dall’immensa coltre d’acqua giallastra emerge qualche pioppo e qualche tetto di ardesia. Molti muri di villaggi recano ancora la data delle grandi piene: 1846, 1856, 1866, 1910.


    Viene di lontano, la Loira. Ma solo qui, verso Orléans, assume la sua personalità di fiume signorilmente inutile, che non alimenta turbìne, non è sbarrato da dighe, non serve alla navigazione: uno specchio azzurro e oro per la civetteria dei castelli, per la grazia del paesaggio. Così l'hanno sempre cantata i poeti, dai tempi di Cesare a quelli del Re Sole: «La Loira è un fiume che bagna un paese favorito dagli dei: splendide case, bei parchi, prati verdeggianti, vigne e boschi, tanta diversità che sembra di essere trasportati in un altro mondo».
    Gli uomini del Cinquecento, che si andavano aprendo ad una nuova, più raffinata civiltà, trovarono il loro ideale in questo giardino di Francia, che tre secoli dopo Michelet descriveva così: «Un verde vivo in agosto come in maggio, frutti, alberi. Se guardate dalla sponda, l'altra riva sembra sospesa nell'aria, tanto l'acqua riflette fedelmente il cielo: sabbia in basso, poi il salice che si abbevera nel fiume; dietro il pioppo, il frassino, il noce, le isole che fuggono fra le isole; in alto, teste rotonde di alberi si increspano dolcemente le une sulle altre... E' il paese del sorriso e del dolce far nulla ». Ritratto esattissimo, tranne che per l'ultimo particolare: seppure filosofi un po' scettici, maliziosi e vivaci nella loro parlata, che è il toscano della Francia, gli abitanti della Val di Loira sanno anche lavorare sodo, quando strappano i loro giardini ai bracci morti del fiume, quando circondano di mille gelose cure le vigne dei poggi gessosi, prodighe di un nettare di cui sono giustamente fieri. Il fiume disegna un percorso indimenticabile lungo circa 280 km nel tratto che tutti assocciano ai "Castelli della Loira", tratto che però è solamente un quarto della sua lunghezza totale: la Loira raggiunge i 1.020 km se consideriamo le sue sorgenti nel Massiccio Centrale e la sua larga foce in Atlantico a Sain-Nazaire, appena a sud della Bretagna. Fiume delle vigne e dei fiori, dei parchi e dei boschi, la Loira è anche e soprattutto il fiume della storia: delimitò per lungo tempo le terre occupate dagli inglesi da quelle fedeli al re; la sua valle costituì, nei giorni più oscuri, tutto il territorio del regno di Francia; fu fino al '600 la provincia-capitale Chinon, famosa per i suoi Vini, si specchia nella Vienne, affluente della Loira: visitando i suoi antichi quartieri si ha l'impressione di essere tornati in pieno medio evo. E il piacere, l'incanto che emana dalle vecchie pietre dei castelli saranno tanto più intensi, per poco che si ricordino personaggi e vicende di queste contrade: storie epiche e tragiche di lotte sanguinose, di congiure, di assedi, storie liete e frivole di amori e di intrighi, nella cornice di fasto grandioso di cui si com piaceva la Corte.


    Il tempo sembra essersi fermato, fra le enormi foreste intatte da secoli dove i re amavano andare a caccia, nei grandi parchi che attorniano i castelli. Orléans, Tours, Chinon, Gien, Sully sono le tappe dell'epopea di Giovanna d'Arco in Val di Loira: a Chinon la Pulzella annunciò a Carlo VII che egli era il vero erede del trono di Francia; da Sully partì, incompresa dal re, per incontrare la disfatta e il rogo.
    Chambord è il castello forse più famoso di tutta la Loira, si tratta di una reggia rinascimentale, in cui dovrebbe aleggiare l'influsso di Leonardo da Vinci, sicuramente nella sua notevole scala interna a dopia elica. E' un edifico enorme che vanta oltre 400 stanze e poco più di 280 camini che danno un tocco di movimento ai suoi maestosi tetti. Il castello di Chambord è considerato il capolavoro di Francesco I, che vi accolse il suo grande rivale, l'imperatore Carlo V, ricevuto all'ingresso da un gruppo di fanciulle travestite da divinità greche, che spargevano fiori ai suoi piedi. In questo gigantesco castello Molière scrisse in pochi giorni e rappresentò una delle sue farse, qui il Re Sole si divertì alle repliche del « Borghese gentiluomo », che lo aveva lasciato freddo alla « prima ».
    Amboise evoca invece il ricordo di Carlo VIII, che dalla sua spedizione in Italia riportò qui un enorme bottino di quadri, mobili, stoffe e il disegno di uno di quei giardini italiani in cui, diceva, « mancano solo Adamo ed Eva per fame un paradiso terrestre ». Ad Amboise Francesco I organizzò le sue feste più sontuose, balli, tornei, mascherate; ad Amboise, cinquant'anni dopo, Caterina de' Medici, Francesco II e la sua giovane moglie Maria Stuarda, attorniati da i cortigiani, assistettero all'agonia dei congiurati protestanti, impiccati o decapitati ai piedi del castello.
    Il nome di Caterina de' Medici è pure legato al castello di Chaumont, nella cui torre interrogava le stelle, assistita da un astrologo italiano, e a Chenonceaux, il castello che la regina tolse alla favorita del re, Diana di Poitiers. Chaumont è oggi famosa per ospitare l'importante manifestazione floreale e cioè il Festival International des Jardins, rievocazione dei mille e mille episodi che ebbero come teatro il paese bagnato dalla Loira .. è la storia stessa che ci viene incontro, non solo con la maestà dei monumenti, ma nel racconto stesso che ve ne fanno gli abitanti, che sembrano sentirla come parte viva di sé, come ricordi di famiglia la cui ignoranza impedisce di capire a fondo tutta la suggestione del « giardino di Francia ».
    (Enrico Montanari)
     
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  3. gheagabry
     
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    Le sorgenti del Rio delle Amazzoni



    rio_amazzoni

    Fin dall’antichità si era sempre creduto che il fiume più lungo del pianeta fosse il Nilo, le cui sorgenti sono state scoperte dall’esploratore inglese Speke nel 1858.
    I geografi avevano calcolato la sua lunghezza: 6670 chilometri, una distanza dalle sorgenti al mare apparentemente ineguagliabile, che ne faceva, anche se non per la portata d’acqua, il “re dei fiumi”.
    Il Rio delle Amazzoni, per il quale, ancora nel 1969, l’Enciclopedia Britannica indicava una lunghezza di 6437 chilometri, rimaneva in seconda posizione per quanto riguardava la lunghezza, anche se saldamente al comando per la portata d’acqua (200.000 metri cubi al secondo alla foce), la grandezza del suo bacino (7 milioni di chilometri quadrati), e il numero d’affluenti più lunghi di 1000 chilometri (ben 20!).
    Ma dove era situata la fonte d’acqua più lontana dal mare del Rio delle Amazzoni?
    Il primo uomo che si pose il problema di cercare le fonti del Rio delle Amazzoni fu il religioso Padre Fritz, che nel 1707 partì per un viaggio avventuroso nell’intento.




    In quel tempo l’intero fiume era già denominato Amazonas, però anche Marañon, seguendo un antico nome luso-castigliano.
    Padre Fritz rimontò il fiume dalle sue missioni, che erano situate nell’odierno Solimoes. Quando giunse nel luogo dove confluiscono i fiumi conosciuti oggi con il nome di Ucayali e Marañon, rimontò il corso d’acqua che veniva da destra il cui flusso d’acqua gli sembrava più grande, ed è per questo che ancora oggi quel corso d’acqua si denomina Marañon.
    Arrivò fino alla cordigliera Huayhuash e verificò che le fonti del Marañon si originavano in una lago detto Lauricocha, situato a 3850 metri sul livello del mare.
    Da quel viaggio del 1707 si originò pertanto l’errore, che si protrasse fino al 1978, che indicava il Marañon come il braccio principale del Rio delle Amazzoni.
    Quando nel dopoguerra iniziarono a diffondersi fotografie aeree prese da aeroplani degli Stati Uniti, vari ricercatori e geografi avanzarono nuove ipotesi su dove fossero situate le fonti d’acqua più lontane dal mare del Rio delle Amazzoni. Michael Perrin, nel 1953, propose che il braccio principale fosse l’Ucayali e non il Marañon. Ad un semplice sguardo nella mappa ci si rendeva conto che l’Ucayali era nettamente più lungo del Marañon, anche se aveva una minore portata d’acqua.
    In realtà già nel 1864, l’archeologo statunitense George Squier, aveva fatto una scoperta interessante: durante un suo viaggio dal lago Titicaca al Cusco, ricostruendo l’epopea di Manco Capac, aveva individuato il laghetto La Raya, da dove si originava il torrente Vilcanota, che più a valle si trasforma nel grande fiume che viene chiamato Urubamba. Siccome l’Urubamba disimbocca nell’Ucayali, Squier aveva proposto come fonte più lontana dal mare per il Rio delle Amazzoni il laghetto La Raya.
    L’archeologo statunitense aveva ragione indicando nell’Ucayali il braccio principale del Rio delle Amazzoni, ma si equivocava sul fatto che la sorgente stessa dell’Ucayali fosse il Vilcanota e il laghetto La Raya.
    Invece del Vilcanota, la fonte dell’Ucayali, e pertanto il braccio principale del Rio delle Amazzoni, era l’Apurimac (che in idioma quechua significa Signore Oracolo).
    Con l’avvento della fotografia aerea sorse inoltre il problema se considerare o no nella misurazione del Rio delle Amazzoni lo stretto di Breves e il braccio di fiume detto Pará, dove disimbocca il Rio Tocantins.
    Siccome la maggioranza dei geografi brasiliani concorda sul fatto che il Tocantins sia l’ultimo grande affluente di destra del Rio delle Amazzoni, si aggiunsero altri 320 chilometri di canali nella misurazione totale.
    Così calcolato dalla fonte dell’Apurimac all’Oceano Atlantico il Rio delle Amazzoni risultava essere lungo (misurazione Schreder), 6751 chilometri: 81 più del Nilo.
    Il Rio Mar pertanto (come lo chiamano i Brasiliani), si convertiva ufficialmente nel “re dei fiumi”, e non aveva più solamente i record di portata, grandezza del bacino e numero di grandi affluenti più lunghi di 1000 chilometri, ma si convertiva anche nel fiume più lungo del pianeta.
    A questo punto però si aveva una vaga idea di dove fosse situata la fonte più lontana dal mare dell’Apurimac ma nessuno sapeva indicarla con precisione assoluta.
    La prima spedizione che affrontò questo problema fu quella organizzata da Helena e Frank Schreider nel 1968, che, a partire dal paesello di minatori detto Cailloma, avevano seguito un fiumiciattolo che si chiamava Santiago, la cui fonte (situata a 5239 metri s.l.d.m.), era il Huaraco.
    Il Huaraco-Santiago disimbocca nell’Apurimac. Secondo la misurazione degli Schreider, la lunghezza del Rio delle Amazzoni, calcolato lungo la direttrice Huaraco-Santiago-Apurimac-Ene-Tambo-Ucayaly raggiungeva i 6751 chilometri.
    Il ricercatore statunitense Loren McIntyre però, non era convinto della scoperta degli Schreider.
    Nel 1969 McIntyre portò a termine due voli di ricognizione sulla vallata dell’Alto Apurimac. Individuò il Rio Apurimac, il paesello di Cailloma e la cordigliera di Chilca, con il massiccio Huagra verso nord-est e per lo meno una dozzina di lagune. Guardando dall’alto McIntyre si rese conto che vi erano molti piccoli fiumiciattoli che si originavano nell’estremo sud della vallata dove vi era il Nevado Mismi.
    Gli sembrò che quei torrenti dovevano essere ben più lunghi del Huaraco, che era stato considerato dalla spedizione Schreider come la fonte dell’Apurimac.
    In particolare ve n’era uno, il Loqueta, che sembrava essere la direttrice principale verso la fonte più lontana dal mare. Più tardi, in seguito ad un’analisi approfondita delle mappe dell’Istituto Geografico Militare, si rese conto che il Loqueta era alimentato da cinque piccoli torrentelli: il Calomoroca, il Ccaccansa, il Sillaque, il Carhuasanta e l’Apacheta.
    Uno di questi cinque fiumiciattoli doveva essere la fonte d’acqua più lontana dal mare del Rio delle Amazzoni.



    La spedizione McIntyre, che fu patrocinata dal National Geographic, ebbe inizio il 9 ottobre 1971, da Lima. Dopo pochi giorni di viaggio Loren McIntryre e il peruviano Victor Tupa si incontrarono con l’altro partecipante alla spedizione, il britannico Richard Bradshaw.
    Dopo aver raggiunto Cailloma con un robusto veicolo fuoristrada continuarono verso il ghiacciaio, risalendo il Loqueta.
    Dopo essersi resi conto che il Calomoroca, il Ccaccansa, e il Sillaque non potevano essere le fonti più distanti, perché erano torrentelli molto brevi, il dubbio rimase per il Carhuasanta e l’Apacheta. Questi due torrenti si uniscono formando il Loqueta, ma mentre le fonti del Carhuasanta stanno sul Nevado Mismi, quelle dell’Apacheta si trovano sul Nevado Quehuisha.
    McIntyre propose di risalire l’Apacheta fino al Nevado Quehuisha e quindi camminare lungo lo spartiacque, a circa 5400 metri d’altezza, per circa 25 chilometri, fino a giungere alle fonti del Carhuasanta e quindi percorrerlo discendendolo.
    Il 15 ottobre 1971, dopo aver camminato ore lungo lo spartiacque giunsero finalmente presso il Nevado Mismi che scalarono. Dalla cima situata a 5577 metri Loren MCintyre vide un laghetto, situato poco a monte del torrente Carhuasanta.
    Dopo aver scattato alcune fotografie nella vetta del Mismi, i tre ricercatori scesero di poco a valle fino a raggiungere il laghetto. Verificarono che era situato a 5242 metri s.l.d.m. e, siccome il Carhusanta si originava poco più a valle pensarono di aver trovato la vera fonte del Rio delle Amazzoni.
    In seguito la rivista National Geographic ufficializzò la scoperta dando per assodato che il lago, che fu battezzato McIntyre, fosse la fonte originale del Carhuasanta, che si considerò essere più lunga del torrente Apacheta.
    Anche se Loren McIntyre ha avuto l’indubbio merito di guidare la prima spedizione che rimontò il Rio Apacheta, ed esplorò la conca del Carhuasanta, bisogna ricordare che i due torrenti non furono misurati scientificamente, pertanto, il dubbio rimase.
    Fu solo nel 1996 che un'altra spedizione, guidata dal polacco Jacec Palkiewicz, portò a termine una serie di misurazioni scientifiche, non solo della lunghezza, dei due piccoli corsi d’acqua, ma anche della loro portata.
    La spedizione era composta, oltreché da Palkiewicz, dal presidente della Società Geografica di Lima, Zaniel Novoa Goicochea, e l’ammiraglio Guillermo Faura Giag, entrambi esperti in idrologia.
    Innunzitutto Jacec Palkiewicz ha dimostrato, basandosi su foto satellitari scattate dal satellite Kompsat-2, che la laguna McIntyre non è relazionata con le fonti del Carhuasanta.
    La scoperta più importante però è che il torrente Apacheta è più lungo del Carhuasanta di 691 metri (l’Apacheta dalla sua fonte alla confluenza con il Carhuasanta risulta essere lungo 7994 metri, contro i 7303 del Carhuasanta).



    La fonte reale del Rio delle Amazzoni risulta quindi essere l’Apacheta, e si trova a 5170 metri s.l.d.m. (coordinate: 15°30´52˝ S and 71°45´46˝ W), esattamente sotto il Nevado Quehuisha.
    E’ stato inoltre comprovato che la portata dell’Apacheta (anche se piccola, 0,15 metri cubi/sec), risulta essere maggiore di tutti gli altri torrenti della zona.
    In base a questi dati, l’Instituto Nacional de Pesquisas Espaciais (Istituto Nazionale di ricerca spaziale), di Sao José do Campos (Brasile) ha calcolato che la lunghezza totale del Rio delle Amazzoni, dalla fonte dell’Apacheta alla foce situata oltre Belem do Pará, assomma a ben 7040 chilometri, ovvero oltre 200 chilometri più lungo del Nilo.
    Il 19 novembre del 1999 la Società Geografica di Lima, in un comunicato stampa, ha confermato definitivamente la scoperta del 1996.



    YURI LEVERATTO
    Copyright 2010

    fonte www.yurileveratto.com
     
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  4. gheagabry
     
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    "..Visti dall’alto i fiumi sembrano lo scheletro della terra.
    Visti dai ponti sembrano libri di storia che ti scorre accanto.
    Visti dal basso, sembrano i luoghi delle favole."



    LA SENNA


    La Senna è uno dei principali fiumi della Francia. La lunghezza approssimativa del fiume è di 776 km, le sue fonti sono in Borgogna, a 470 m d'altezza, a Saint-Germain-Source-Seine sull'altopiano di Langres, e la foce è nella Manica, a Nord della Francia, presso Le Havre. La Senna attraversa Troyes, Parigi e Rouen, con un orientamento da sud-est a nord-ovest. La superficie del versante est del bacino, che occupa una parte importante del bacino parigino, è di circa 75.000 km².

    La scarsa pendenza della vallata della Senna, nell'Île-de-France e in Normandia, ha generato la formazione di molti profondi meandri. Per questa stessa ragione, la marea riesce a risalire per un centinaio di chilometri, fino a Poses, che è lo sbarramento situato più a valle, dando luogo ad una potente ondata, chiamata « mascaret ». Il mascaret può essere pericoloso sia per la navigazione - in particolare per le chiatte e i battelli fluviali, che non sono concepiti per affrontare le onde - che per le persone che si attardano sulla riva a rimirare la marea (si disse ad esempio che era stato un mascaret , a portarsi via la figlioletta di Victor Hugo). Per questa ragione, negli anni '60 vennero fatti grandi lavori finalizzati ad "addomesticare" il basso corso della Senna, sia a monte, creando il lago artificiale de la Forêt d'Orient per regolarizzare la portata del fiume, che a valle, con opere che hanno praticamente annullato il fenomeno. La Senna è una via navigabile molto importante, che collega Parigi alla Manica. La Senna ha diverse isole. Nel centro della capitale riposano l'"Île de la Cité", che della città fu la culla, e l'Île Saint Louis urbanizzata più tardi, ed ora piccolo quartiere elegantissimo. Nella sua prossimità Caterina de' Medici volle realizzare i giardini delle Tuileries.

    Il regime della S. è regolare, con un periodo di piene in inverno e di magre in estate. Per evitare inondazioni disastrose come quelle del 1910 e del 1955 sono stati costruiti due grandi serbatoi, uno sulla S. a monte di Troyes e uno sulla Marna a Saint-Dizier, nonché dighe di sbarramento sulla Yonne e sui suoi affluenti. L’importanza della S. deriva principalmente dalla sua funzione di via navigabile per gran parte del suo corso. Con il 25% del traffico marittimo francese, la S. inferiore rappresenta il maggiore complesso portuale della Francia. Alle due estremità si è stabilita una certa ripartizione del traffico tra Le Havre (che ha funzioni di porto celere e di trasbordo) e Rouen (specializzato nel traffico di prodotti pesanti) e si è sviluppato un attivissimo distretto industriale.

    Nel bosco in cui la Senna trova origine, si trova, nella penombra d'una grotta, la statua di una ninfea realizzata su ordine di Napoleone III. Questa statua ricorda quella della dea Sequana ritrovata in seguito a degli scavi, realizzati intorno al 1836, accanto alle rovine d'un tempio antico (tale statua si trova attualmente al museo Archeologico di Digione). I romani avevano realizzate delle terme in questa grotta in cui nasce la Senna e pellegrini provenienti da tutta Europa venivano credendo che le acque della Senna possedessero poteri curativi. Numerose sono le città attraversate da questa sinuosa creatura: Chatillon-sur-Seine, Troyes, Nogent, Montereau, Melun, Evry, Parigi, Conflans-Sainte-Honorine, Mantes-La-Jolie, Giverny, Rouen, Le Havre.
    La Senna ha saputo ispirare numerosi pittori, soprattutto impressionisti, tra il XIX e il XX secolo, tra questi: Richard Parkes Bonington, Joseph Mallord William Turner, Camille Corot, Eugène Isabey, Constant Troyon, Charles-François Daubigny,Eugène Boudin, Claude Monet, Frédéric Bazille, Gustave Caillebotte, ecc. ecc. Da citare anche le stupende vedute, sulla Senna parigina, ritratte da Nicolas-Jean-Baptiste Raguenet nel XVII secolo.

    “Resterei tutta la vita a veder scorrere la Senna...
    ..è un poema che attraversa Parigi”
    (Blaise Cendrars)


    ....a PARIGI....


    Nel cuore della città placida scorre la Senna, tra tutti i fiumi del mondo il più aristocratico e il più plebeo, solitario corso d’acqua che raccoglie le confessioni più intime di chi ad essa le affida e, nel contempo, presenza concreta nella vita parigina.
    La Senna, con la rive gauche, l’anima intellettuale di Parigi, e la rive droite, motore economico e finanziario della città, le due sponde opposte al centro Ile de la Cité, che, da sempre, rappresentano il costante punto di riferimento per orientarsi, attraversa tutta la città prima di sfociare nella Manica.
    Indugia tra i viali, si insinua sotto i ponti, contempla i giardini del Trocadero, il parco delle Tuileries (il primo ad essere realizzato sulle sue sponde, voluto nel 1564 da Caterina de’ Medici, che importò anche la moda fiorentina delle passeggiate in carrozza), lambisce l’imponente complesso del Louvre e sfiora l’isoletta in cui sorge la cattedrale di Nôtre –Dame: è nell’isolotto della Cité, oggi collegato alla terraferma da numerosi ponti, che un tempo vivevano i Parisii.
    …E’ un bel modo per visitare Parigi seguire la Senna, presenza viva della città, che da secoli accompagna il ritmo della sua storia , partecipandone ai mille eventi: le invasioni barbariche, l’insediamento dei Romani, le guerre sanguinose, lo sfarzo dei re, le miserie del popolo, i tragici amori segreti, gli aneliti alla libertà. E’ una presenza talmente viva che Prévert la paragonò ad un essere umano:…la Senna è come una persona…vi guarda come uno specchio/e piange se piangete/e sorride per consolarvi. I Parigini dicono che abbia una voce, schiva come una timida adolescente, languida come una donna innamorata, e, contemplandone le acque tranquille e silenziose che s’insinuano nelle viscere della città, tingendosi di mille tonalità diverse, al mattino d’intenso colore dello smeraldo, al tramonto di riflessi d’oro, di notte esplodendo in un tripudio di luci, pare davvero di sentir salire l’eco della sua voce.
    (letteraturaalfemminile)


    C'è un vascello nello stemma di Parigi, c'era un vascello nel sigillo dei mercanti d'acqua, la potente corporazione che controllava traffico e commerci sulla Senna. Segno di un legame forte tra la città con il suo fiume. Da sempre tutto arrivava via acqua. La riva destra, vicino all'Ile de la Cité, il nucleo originario, pullulava di chioschi, osterie, mercanti.
    In totale, a Parigi la Senna è attraversata da 32 ponti, tutti molto caratteristici. Il ponte più antico è il Pont Neuf (nonostante il suo nome, il ponte nuovo fu costruito nel 1578), immortalato da artisti e poeti lungo i secoli e anche da molti film XX secolo (uno tra tutti, 'Les Amants du Pont-Neuf' con Juliette Binoche, 1991).

    ...Monet e la Senna...


    Claude Monet da una visione di impianto descrittivo e naturalistico fino alla dissoluzione dentro la materia, la luce e il colore del dato di natura, rappresentato dalla Senna. Fiume che, fin da certe prove degli anni sessanta del XIX secolo, resta come un vero filo rosso entro la sua opera, segnandone molto spesso le svolte più importanti e decisive. Sarà quindi lungo questo corso d’acqua che egli darà vita a tanti dei suoi quadri più celebri...il suo procedere verso una interiorizzazione dell’immagine, quasi che, alla fine, la natura e il paesaggio sorgessero in lui non più dalla visione esteriore ma dalla visione interiore.
    Monet giunge addirittura a deviare il corso del fiume per creare, nella sua mente prima ancora che nella realtà, l’artificio della natura. Dunque le ninfee, lo stagno, il ponte giapponese, saranno la trascrizione nuova di ciò che nei decenni precedenti la Senna aveva rappresentato per lui.
    Monet inizia quel lungo canto disteso ai lati, e fin dentro, le acque della Senna. Dalle prime descrizioni del fiume, nei pressi della foce, tra Le Havre e Honfleur, fino alla contaminazione con l’acqua del mare: e proprio questo spazio indistinto, che è fiume e mare insieme, è oggetto di alcuni tra i primi quadri. Poi il fiume che attraversa Parigi, nella musicalità affollata del rigoglio fiorito della gente che invade le strade, fino alla identificazione di quel fiume con la natura, con il suo splendore.
    Fiume che diventa così, poco per volta, la lente per intendere la grandezza e l’evoluzione del pittore..Fino alla serie celebre, tra 1896 e 1897, dedicata ai Mattini sulla Senna, quando la visione partecipata del reale sta già virando entro il territorio della dissoluzione delle forme fattesi realtà della non realtà.

    ...miti e leggende...


    I celti pensavano che la Dea terra fosse più facilmente visibile nei fiumi che bagnavano la terra. Così le loro dee terra andrebbero piuttosto definite come divinità acquatiche. Sequana regnava sulla senna e le sue vallate; luogo particolarmente a lei sacro era la sorgente del fiume. Durante le feste in suo onore si portava una sua immagine lungo il fiume in una barca dalla forma di un’anatra con un frutto nel becco.
    Giunti al santuario, i devoti scagliavano nelle sorgenti offerte votive, spesso statuette, e pregavano per la propria salute; molti di questi oggetti sono venuti alla luce durante gli scavi del 1964 alla sorgente della Senna.

    La Senna è fortunata. Non ha preoccupazioni
    Se la spassa bellamente. Giorno e notte
    Esce dalla sorgente. Pian piano senza rumore
    E senza prendersela troppo
    Senza uscire dal suo letto. Verso il mare se ne va
    Passando per Parigi
    La Senna è fortunata. Non ha preoccupazioni
    E quando va girando. Lungo i suoi quais
    Col suo bel vestito verde E le sue luci dorate
    Notre-Dame gelosa. Dall’alto di tutte le sue pietre
    Immobile e severa. La guarda di traverso
    Ma la Senna se ne infischia. Non ha preoccupazioni
    Se la spassa bellamente. Giorno e notte
    E se ne va verso Le Havre. Se ne va verso il mare
    Passando come un sogno. In mezzo ai misteri
    Delle miserie di Parigi.
    (Jacques Prévert)

     
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    Bruneau, Idaho

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    Michael Melford, National Geographic

    Il sistema fluviale Bruneau, in Idaho, protetto dal 2009, si estende per 152 chilometri


    Owyhee, Idaho

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    Michael Melford, National Geographic


    Salmon river

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    Michael Melford, National Geographic

    Il Middle Fork, un affluente del Salmon River, scorre all'interno della Salmon-Challis National Forest, area protetta fin dal 1968.

     
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  6. gheagabry
     
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    Il fiume GIORDANO


    Il Giordano (in ebraico Yarden in arabo al-Urdunn) nasce nei monti dell'Antilibano (Monte Hermon - 2700 m) dalla congiunzione tra i fiumi Hasbani e Banyas e scorre verso sud attraversando dapprima il lago di Tiberiade (o mare di Galilea, bello e pescoso), passa tra Giordania e Israele segnando il confine per un lungo tratto, e termina infine nel mar Morto. Da millenni questo non ha altro emissario che l'evaporazione, concentrando così la salinità e rendendo le sue acque una salamoia mortale per qualsiasi essere vivente. Gli affluenti settentrionali del Giordano sono il Dan, il Banias e l'Hasbani. Solo il Dan è in territorio israeliano; l'Hasbani proviene dal Libano e il Banias dal territorio che Israele ha strappato alla Siria nel 1967. La lunghezza totale del Giordano è di 320 km e, con l'eccezione di brevi tratti e di piene stagionali, è di solito poco profondo, stretto e lento. Tra il lago di Tiberiade e il mar Morto, la valle del Giordano è chiamata Ghor; questa sezione è lunga circa 105 km. Il fiume, la sua valle, il lago di Tiberiade e il mar Morto sono compresi nella Rift Valley, la vasta depressione che si estende dalla Siria fino al Mozambico. Il Giordano compie un dislivello di migliaia di metri dalle sue sorgenti fino al mar Morto, che si trova 408 m sotto il livello del mare. La maggior parte del corso del fiume è sotto il livello del mare.

    Il percorso di ‘colui che scende’ è frastagliato e tortuoso, come gli animi dei popoli che incontra, le cui vite sono afflitte da guerre che si nascondono dietro al nome di un Dio ed alle differenze culturali, ma che sono solo il frutto di delicati e instabili equilibri politici ed economici. ‘Colui che scende’ sembra saperlo, sembra comprendere l’aridità e il marcio del mero potere, lui, il fiume Giordano, sembra riflettere la salute di una valle, la salute ormai andata, inquinato e depauperato di ogni risorsa vitale. Riflette morte, niente più.
    Il Giordano, il fiume più basso del mondo, scorreva placido e rigoglioso nelle terre della Valle di Giordania. Il fiume descritto nelle sacre scritture come ‘traboccante’ di acque ad oggi altro non è che un misero torrente, che ha perso oltre il 95 per cento delle acque utilizzabili e ch per questo rischia di scomparire per sempre. I fiumi da sempre rappresentano le culle della vita, i portatori di acqua che hanno ospitato e cresciuto le prime civiltà, e la loro morte non è altro che un sintomo di profondo disagio per l’ambiente e per la salute delle popolazioni, la cui vita da esso dipendeva.
    (blitzquotidiano.it)


    Il fiume Giordano di trova a circa 8 Km dalla città di Gerico. Lungo il corso di questo fiume vengono commemorati alcuni fatti biblici: - il passaggio del Giordano da parte degli israeliti per entrare nella terra promessa (Gs 3-4) - il passaggio di Elia e il suo rapimento in Cielo su un carro di fuoco (2Re 2,1-18) - la predicazione di Giovanni Battista (Gv 1,19-42) - il battesimo di Gesù (Mc 1,1-11 ;Lc 3,1-21 Mt 3)
    Per questi motivi il fiume è meta di numerosi pellegrinaggi da parte di Cristiani ed Ebrei. Suggestiva è la celebrazione della rinnovazione delle promesse battesimali compiuta da pellegrini cristiani fatta anche con l'immersione o l'aspersione delle acque del fiume.

    ..in viaggio lungo il fiume..


    Il fiume Giordano, ridotto a uno scarico di liquami dopo il lago di Tiberiade, potrebbe ben presto prosciugarsi del tutto; una cooperazione tra Israele, Giordania e Palestina potrebbe salvare uno dei fiumi più sacri del mondo – scrive la giornalista israeliana Orly HalpernIn circostanze normali, durante i tour in autobus la guida fa diverse soste intermedie per i turisti. Ma mentre ci allontaniamo da Gerusalemme in direzione delle Montagne della Giudea e dello spazio aperto della Valle del Giordano, la nostra guida ha chiesto ai partecipanti di usare il bagno della prima stazione di servizio in cui ci saremmo fermati, perché avremmo evitato tutti gli altri servizi igienici fino al nostro arrivo al lago di Tiberiade.“Tutte le acque nere delle comunità che vivono lungo il Giordano finiscono direttamente nel fiume, e noi vogliamo evitare di aggiungervi le nostre”, ha detto Gidon Bromberg con un sorriso ironico. (Bromberg è il co-direttore israeliano di Friends of Earth Middle East) FoEME è un’organizzazione ambientalistica non-governativa israelo-palestinese-giordana che sta facendo progressi sorprendenti nella crisi ambientale più delicata che stia minacciando Israele, Palestina e Giordania: per la crisi idrica FoEME ha organizzato il tour per insegnare ai giornalisti cosa significhi distruggere il celebre fiume Giordano, e per condividere i risultati di due studi rivoluzionari da essa pubblicati, i quali individuano per la prima volta un modo per salvare il fiume – sia in termini di quanta acqua è necessaria, sia delle fonti da cui essa dovrebbe provenire. Gli studi rivelano che attraverso la cooperazione tra Israele, Giordania e Palestina, il fiume può essere salvato – e la stessa FoEME offre un esempio di tale cooperazione. Abbandonato e trascurato, abbiamo percorso la sponda occidentale del fiume Giordano lungo la Strada 90, che attraversa sia la parte palestinese che israeliana della Valle del Giordano. La nostra prima sosta è stata Qasr El-Yahud, che tradotto dall’arabo significa Castello degli Ebrei. Il nome è fuorviate. In realtà è un sito cristiano estremamente sacro, dove un gruppo di antiche chiese è ubicato vicino alle rive del Basso Giordano, proprio a nord del Mar Morto. In arabo è chiamato al-Maghtas (il luogo del Battesimo). Molti credono che questo sia il posto in cui fu battezzato Gesù. Fino alla guerra del 1967, i pellegrini vi si recavano quotidianamente, ma da allora Israele ha chiuso il sito al pubblico per ragioni di sicurezza. I militari hanno aperto i cancelli e il nostro autobus ha oltrepassato due reticolati che si estendono lungo tutto il confine. Siamo quindi passati attraverso le basse colline aride verso il fiume. Avvicinandoci, abbiamo visto antiche chiese su entrambe le sponde. Apparivano così com’erano: abbandonate e trascurate da oltre 40 anni. Un rivolo d’ acqua fetida. Abbiamo parcheggiato vicino al fiume e siamo scesi lungo gli scalini che conducono al molo sulla riva del fiume. Uno sguardo al fiume, e abbiamo capito la ragione del viaggio. Era in uno stato pietoso. Il fiume Giordano, malgrado la sua fama, era un ripugnante rivolo d’acqua brunastra che scorreva gorgogliando verso sud. Sull’altra sponda, ad appena pochi metri da noi in Giordania, su un pontile di legno simile al nostro c’era un via vai di turisti. Un pellegrino russo ha indossato una tunica bianca ed è entrato lentamente nell’acqua. Bromberg, che ci stava spiegano come e perché il fiume da un’impetuosa serie di rapide si fosse trasformato in un rivolo fetido, si è interrotto a metà della frase mentre noi guardavamo inorriditi. Un tempo il fiume Giordano aveva una portata annuale di 1,3 miliardi di metri cubi d’acqua. Era largo 25 metri, fiancheggiato da salici e pioppi, e ricco di pesci che potevano essere mangiati. Come avremmo visto più tardi durante il nostro viaggio in autobus, l’acqua del fiume Giordano non viene più dal Lago di Tiberiade ma dalle fognature, dagli scarichi agricoli contaminati e dalle acque saline che vi vengono scaricate. Salvare il fiume. Gli studi di FoEME sono i primi a mostrare con quale urgenza occorra recuperare il fiume Giordano. Secondo uno studio sulla qualità dell’acqua diffuso dall’ONG il 3 maggio, il fiume potrebbe tornare alla vita con 400 milioni di metri cubi (mmc) di acqua pulita ogni anno. Ma chi fornirebbe l’acqua, e da dove verrebbe? Secondo FoEME, 220 mmc dovrebbero essere forniti da Israele, 100 dalla Siria e 90 dalla Giordania. “Questi calcoli si basano su chi, storicamente, ha attinto al fiume, ed in quali quantità”, ha spiegato Bromberg mentre ce ne stavamo seduti davanti al fiume. “Israele si è preso il 46% della portata storica. Dunque può restituire almeno questa quantità e, data la sua [solida] situazione economica, può restituirne anche di più”.
    Un secondo studio della FoEME – redatto congiuntamente da economisti israeliani, giordani palestinesi – ha calcolato la quantità d’acqua che potrebbe essere risparmiata attraverso diversi meccanismi, ed il loro rapporto costi-benefici. Esso ha concluso che oltre un miliardo di metri cubi d’acqua potrebbe essere risparmiata dalla quantità di acqua dolce usata da Israele, Giordania e Palestina. Israele potrebbe risparmiare 800 milioni di metri cubi, la Giordania oltre 300 milioni e la Palestina più di 100 – tutto ad un costo economicamente sostenibile. L’analisi economica ha elencato diversi modi per incrementare l’approvvigionamento e ridurre la domanda nella maniera più efficiente; FoEME ha lavorato con israeliani, palestinesi e giordani per incoraggiarli alla cooperazione in modo da salvare il fiume a loro caro. Acqua benedetta? Abbiamo proseguito verso nord, lasciandoci sulla sinistra un castello dei crociati, e abbiamo superato il ruscello di Erode, un affluente del fiume, che oggigiorno è contaminato dalle acque degli allevamenti ittici israeliani, piene di mangimi, ormoni e escrementi di pesce. La nostra destinazione successiva era l’inizio del Basso Giordano in coincidenza con il Lago di Tiberiade. Con nostra grande sorpresa, abbiamo presto scoperto che il fiume finisce quasi subito dopo il punto in cui nasce. L’autobus ha poi svoltato in una strada polverosa e si è fermato di fronte alla diga di Alumot, un semplice mucchio di sporcizia a soli due chilometri dall’inizio del fiume. Sul lato nord della diga, grossi macchinari pompavano acqua fresca nelle condotte idriche nazionali di Israele, che forniscono agli israeliani un quarto o anche un terzo del loro fabbisogno di acqua corrente. Sul lato sud della diga una grande conduttura riversava acqua di scarico giallo-brunastra che gorgogliava e spumeggiava immettendosi nel letto del fiume. La puzza era insopportabile. Si trattava del punto in cui finiva l’acqua limpida proveniente dal Lago di Tiberiade e incominciavano le acque di scarico delle fognature dei 15.000 israeliani che vivono attorno al lago. Lungo il corso del fiume, le acque nere di altri 15.000 israeliani che vivono nell’Alta Valle del Giordano, di 6.000 coloni israeliani, di 60.000 palestinesi e di 250.000 giordani forniscono la maggior parte dell’acqua del Basso Giordano. “Nessuno può dire che questa sia acqua benedetta”, ha detto Bromberg con un tono carico di apprensione.“Il fiume Giordano si è trasformato in cacca benedetta… e Qasr A-Yahud (il sito in cui si pensa Gesù sia stato battezzato) è a soli 100 chilometri da qui”. Volontà politica. FoEME è fiduciosa che questa situazione cambierà. Ora con la recente pubblicazione di questi studi, Israele, Giordania e Palestina hanno le informazioni di cui hanno bisogno per salvare il fiume. Hanno solo bisogno di una buona dose di volontà politica. FoEME ha dimostrato che la perseveranza, la cooperazione tra tutte le parti in causa, e la pubblica consapevolezza ottenuta grazie ai media, possono aiutare a generare un cambiamento. Il lavoro che FoEME ha fatto con i consigli locali e i media ha creato un’indignazione generale che di conseguenza ha convinto le autorità locali dei dintorni del Lago di Tiberiade a costruire finalmente un impianto di depurazione delle acque di scarico, che tratterà i materiali di scarto e utilizzerà quell’acqua per altri scopi. Paradossalmente l’impianto, che dovrebbe essere completato a breve, decreterà la fine del fiume. Bromberg mette in guardia: “Nel 2011 l’impianto di depurazione delle acque sarà completato e non scorrerà più acqua da qui al fiume Giordano – e questa è la sua principale fonte d’acqua. Il tempo a disposizione sta finendo”.

    (Orly Halpern, una giornalista israelo-americana; conoscitrice della lingua e della cultura araba, ha seguito la seconda intifada, e la guerra in Iraq; ha scritto per diversi giornali israeliani ed americani - Traduzione a cura di Medarabnews.com)
     
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  7. gheagabry
     
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    Fiumi, le ultime incontaminate
    arterie azzurre del mondo
    Dall'Okavango al Niger, molti grandi fiumi sono ancora incontaminati, ma i progetti di sviluppo ne minacciano la sopravvivenza, con gravi rischi per la biodiversità e per i popoli indigeni

    di Tasha Eichenseher

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    Fiume Okavango, Botswana

    Fotografia di David Doubilet, National Geographic

    La sagoma di un boscimane sulla sua canoa si staglia sulle acque del fiume Okavango, il quarto corso d'acqua d'Africa per lunghezza. Il fiume nasce in Angola e si esaurisce 1.600 chilometri dopo nella Moremi Wildlife Reserve in Botswana, dove dà vita a un delta interno e a un'oasi di vita unica nel deserto del Kalahari.
    L'oasi, protetta dall'istituzione della riserva, è un dedalo pressoché incontaminato di canne di papiro, canali e isolotti che attira un numero enorme di specie animali, tra cui zebre, gnu, leoni, ghepardi, gru e licaoni.
    Inondato annualmente dalle piogge stagionali, il Delta dell'Okavango è un'area umida che può raggiungere i 16.800 chilometri quadrati.
    Il fiume in sé si snoda tra fitte foreste, savane aride e dune mentre si fa strada verso sud. Pur fornendo grandi quantità d'acqua a una regione fondamentalmente arida, il corso d'acqua non è navigato da grandi imbarcazioni e le sue sponde sono in gran parte disabitate.
    Questo però non significa che non sia a rischio. C'è infatti chi sostiene che l'acqua che alimenta la vasta zona umida dell'Okavango potrebbe essere sfruttata meglio per operazioni agricole su grande scala, miniere di diamanti o incanalata verso grandi città come Pretoria in Sudafrica.


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    Pantanal, Brasile

    Fotografia di Mike Bueno, Your Shot

    Gli uccelli affollano la cima di un albero che spunta dalle acque del Pantanal, tra le più grandi zone umide al mondo.

    La rigogliosa pianura alluvionale del Pantanal si estende per almeno 180.000 chilometri attraverso zone isolate del Brasile, della Bolivia e del Paraguay.

    Il WWF considera il Pantanal "uno degli habitat più produttivi al mondo", nonché una delle zone umide meglio conservate al mondo, nonostante il fatto che meno del due per cento del territorio sia ufficialmente designato come area protetta. Quella piccola porzione dell'enorme ecosistema è però Patrimonio dell'Umanità UNESCO.

    Il Pantanal è alimentato dalle piogge tropicali stagionali, che creano un'area riproduttiva per almeno 270 specie ittiche. Nella stagione secca il Pantanal ospita centinaia di specie di uccelli, ed è noto per la presenza di caimani, anaconda, lontre giganti, specie a rischio di estinzione come l'ara giacinto e l'elusivo giaguaro.

    Oltre a fornire un habitat per migliaia di animali e fornire sostentamento ai popoli indigeni, l'area umida del Pantanal purifica le acque grazie alle sue piante che assorbono sostanze inquinanti e nutrienti. Trovandosi alle sorgenti del fiume Paraguay, contribuisce anche a proteggere gli insediamenti a valle assorbendo le acque alluvionali e ricaricando le faglie sotterranee.

    Ma il valore di questa preziosa zona umida potrebbe diminuire drasticamente con l'aumento dello sviluppo e la crescita degli interessi economici nella regione: come molti altri corpi d'acqua, il Pantanal rischia di essere prosciugato per scopi agricoli o per rifornire d'acqua le zone urbane, o inquinato dalle operazioni di estrazione di petrolio e gas.





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    Fiume Niger, Mali

    Fotografia di George Steinmetz, National Geographic

    Il fiume Niger inonda le risaie nel Mali. Terzo fiume dell'Africa, il Niger scorre per 4.200 chilometri dalla sorgente in Guinea, attraverso parte del Sahara, fino alla costa della Nigeria, dove si riversa nell'Atlantico, formando un delta.
    Il fiume ha anche un delta interno nel Mali, un'oasi di 6.000 chilometri quadrati in cui regna un delicato equilibrio tra agricoltura e biodiversità.
    Per oltre 1.700 anni questo delta interno ha contribuito a sostenere i bisogni alimentari delle popolazioni locali attraverso la pesca e l'agricoltura. Le coltivazioni più diffuse nella piana alluvionale e nelle zone sabbiose circostanti sono il riso e il miglio.
    Nel Mali quasi due milioni di persone vivono attorno al delta e dipendono dalle sue acque. Ma il loro stile di vita in armonia con la natura potrebbe essere presto interrotto dalle dighe costruite a monte e dallo sfruttamento delle acque per progetti di sviluppo economici e agricoli.


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    Fiume Stikine, British Columbia, Canada

    Fotografia di Sarah Leen, National Geographic

    Il tumultuoso fiume Stikine nasce dalla fusione della neve nella British Columbia per poi scorrere impetuoso per 610 chilometri attraverso cittadine come Telegraph Creek (sopra), canyon profondi, territori di alci e terre di popoli nativi fino ad arrivare in Alaska e riversarsi infine nel Pacifico.

    Considerata tuttora un'area naturale incontaminata, il bacino alpino in cui nasce il fiume è nel mirino di aziende minerarie ed energetiche che vi intravedono un potenziale per estrazioni a cielo aperto di rame e oro nonché estrazione di gas metano. Diversi gruppi ambientalisti e fotografi conservazionisti si sono schierati per proteggere il fiume e preservare i popoli, gli animali selvatici (salmoni compresi) e la natura che sostenta.




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    Bacino del Rio delle Amazzoni, Brasile

    Fotografia di Ton Koene, Visuals Unlimited/Corbis

    Un ragazzo Xingu a caccia su una canoa nel Bacino del Rio delle Amazzoni.
    Il fiume Xingu, tributario del Rio delle Amazzoni di 1.980 chilometri, è al centro di un acceso dibattito sul ruolo delle popolazioni indigene nella costruzione di progetti infrastrutturali su grande scala che potrebbero costringere allo sfollamento migliaia di persone e inondare l'habitat che usa quotidianamente per la pesca e il commercio.
    Il governo brasiliano ha in progetto una diga (il cosidetto progetto Belo Monte) da 11.000 megawatt sullo Xingu che potrebbe fornire energia elettrica a 23.000 abitazioni; si tratterebbe della terza diga più grande al mondo dopo quella delle Tre Gole in Cina e quella di Itaipu sul confine tra Brasile e Paraguay.
    I detrattori del progetto pongono l'accento sui danni che la diga arrecherebbe alle popolazioni indigene dello Xingu e la loro cultura. Tra le tribù che rischierebbero di perdere per sempre le loro terre e la loro fonte di sostentamento vi sono i Juruna, gli Arara e i Xikrin.




    national geographic
     
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  8. gheagabry
     
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    A pelo d'acqua: obiettivo
    fiumi incontaminati


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    Wadi Wurayah, Fujairah, Emirati Arabi Uniti
    Fotografia di Michel Roggo


    Un fotografo svizzero gira il mondo per raccontare le meraviglie dei corsi d'acqua ancora intatti del nostro pianeta


    di Brian Clark Howard


    Il fotografo svizzero Michel Roggo ha scattato questa immagine del Wadi Wurajah, negli Emirati Arabi Uniti, nell'ambito del suo Freshwater Project, un lavoro di quattro anni per documentare 30 fiumi in tutto il mondo.

    Un wadi è un ruscello del deserto che rimane secco per buona parte dell'anno. In questo caso Roggo ha camminato per chilometri in uno scenario aridissimo fin quando non è stato colto di sorpresa da un rumore di acqua in movimento. Durante l'escursione del fotografo il wadi era percorso dall'acqua solo per qualche centinaio di metri. Dopo, il canale terminava nella polvere.

    "Alcuni pesci riescono a sopravvivere anche quando l'acqua si prosciuga totalmente. Perché quando l'acqua ritorna, questi pesci riappaiono. Nessuno sa come sia possibile", dice Roggo. Aggiungendo che intorno a un wadi può anche crescere la vegetazione e molti animali, dai serpenti ai leopardi, si avvicinano per bere o per cercare una preda.

    Roggo e alcuni studenti del posto hanno esposto queste fotografie in alcune località arabe. "La gente locale non riusciva a credere che fossero state scattate nel loro paese. L'acqua, per questa gente, vale forse persino più dell'oro".

    Per il suo progetto fino ad ora Roggo ha fotografato oltre 20 fiumi. Il suo obiettivo è quello di realizzare foto di qualità e sensibilizzare le persone sull'importanza di preservare l'acqua dolce.

    Roggo è specializzato in foto di fiumi e laghi da circa 25 anni. Ma non si immerge quasi mai: preferisce piuttosto realizzare gran parte dei suoi scatti con fotocamere controllate da remoto, restando così a riva. "Cerco di lavorare velocemente, voglio catturare l'atmosfera di quante più ambientazioni possibili", spiega lo svizzero, che continua spiegando come molti habitat di acqua dolce siano in pericolo. Ma sulle minacce che corrono questi ambienti c'è ancora molto da scoprire. "Ogni volta che mi sposto, scopro qualcosa di completamente nuovo", dice Roggo.

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    Serra da Bodoquena, Brasile
    Fotografia di Michel Roggo

    Pochi mesi fa Roggo ha visitato il Pantanal per fotografare i fiumi, le insenature e le sorgenti delle più grande palude del mondo. Roggo ha esplorato il parco nazionale Serra da Bodoquena. Qui ha puntato l'obiettivo della fotocamera sulle limpide acque che si incuneano attraverso le pietre calcaree.

    "Ho scoperto una foresta pluviale subacquea di una bellezza difficile da descrivere", spiega Roggo. Quest'area è protetta in maniera piuttosto efficiente ed è un'attrazione molto famosa per i turisti più "eco" e avventurosi, soprattutto per le attività di snorkeling.

    "Le guide locali insegnano alle persone a non distruggere il delicato letto del fiume", spiega il fotografo.


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    Fiume Ozernaya, Kamchatka, Russia
    Fotografia di Michel Roggo

    Quando Roggo ha visitato la Kamchatka, in Russia, ha visto circa 20 orsi bruni che cercavano di pescare salmoni rossi. Gli esemplari femmine più giovani sono stati piuttosto aggressivi con le sue fotocamere controllate da lontano, colpendole e prendendone a morsi le custodie. In compenso un orso maschio adulto (nella foto) "si è trasformato nel modello perfetto". Il fotografo spiega di non essersi mai avvicinato all'orso, ma è comunque riuscito a registrare i suoi comportamenti naturali grazie alle fotocamera, da una distanza di sicurezza e all'asciutto.


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    Fiume Verzasca, Svizzera
    Fotografia di Michel Roggo

    Roggo si è anche concentrato su un fiume "di casa", nella sua Svizzera. Il Verzasca scorre nella omonima valle che si trova nella parte meridionale delle alpi svizzere.

    "Per milioni di anni il corso d'acqua si è scavato una strada nella roccia, levigandola e lucidandola", spiega il fotografo. "L'acqua è cristallina, profonda oltre dieci metri e molto fredda, anche d'estate".

    Roggo spiega che nel fiume vi sono forti correnti e che diverse persone sono annegate per aver tentato di nuotarci. Nonostante Roggo abbia spiegato di fare ricorso molto spesso al telecomando, in questo caso ha fatto un'eccezione scattando la foto mentre si trovava sott'acqua.


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    Te Waikoropupu Springs, Nuova Zelanda
    Fotografia di Michel Roggo

    Le Waikoropupu sono le più grandi fonti di acqua dolce della Nuova Zelanda e le più grandi di acqua fredda dell'emisfero meridionale. Secondo Roggo, qui ci sono le acque più limpide mai misurate.

    Lo svizzero ha scattato questa fotografia poche settimane fa posizionando la fotocamera su un'asta. Non è mai entrato in contatto con l'acqua perché è vietato: lo scopo è quello di proteggere la qualità dell'habitat che è anche un grande patrimonio culturale.

    "Per i Maori, le Waikoropupu sono un taonga (tesoro) e un wahi tapu, un luogo da tenere in grande considerazione sia spiritualmente che culturalmente, spiega Roggo. "Per un europeo è sorprendente vedere questa gente che ha così tanto rispetto per l'acqua. Per noi questa risorsa è utile per generare elettricità, la sprechiamo con facilità".


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    Rio Negro Igapo, Amazzonia, Brasile
    Fotografia di Michel Roggo

    Un delfino del Rio delle Amazzoni è alla ricerca di pesce. Siamo nel Rio Negro Igapo, nel bacino del Rio delle Amazzoni in Brasile. Ogni anno le foreste di questa regione si allagano di acqua dolce, a volte anche per sei mesi consecutivi. L'influsso degli agenti nutrienti e della vita acquatica sono una manna per la fauna selvatica di questo luogo.

    "Il colore rosso e l'acidità dell'acqua sono dovuti alle sostanze organiche, come il tannino, che si disperdono nel fiume", spiega Roggo. Diversi alberi si sono adattati a massimizzare la produzione di frutti proprio durante il periodo di inondazione, per sfruttare il vantaggio dato dalla possibilità di disperdere i semi. I pesci banchettano con questi frutti, poi espellono i semi in luoghi diversi. I delfini, i serpenti, i felini e altri predatori si nutrono dei pesci.


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    River Itchen, Hampshire, Inghilterra
    Fotografia di Michel Roggo

    L'Itchen è solo uno di una serie di fiumi inglesi - nella parte meridionale del paese - famoso per la pesca con la mosca. Questo habitat ospita molta varietà di piante, insetti e pesci, soprattutto trote e temoli.

    "Ma anche su splendidi corsi d'acqua come questo, nel passato sono stati commessi errori: alcuni tratti dell'Itchen infatti sono stati trasformati in canali", spiega Roggo, che conclude: "Oggi il fiume è stato rivitalizzato per larghi tratti e in breve tempo la diversità di flora e fauna è stata ripristinata".


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    Taman Negara Gunung Mulu, Sarawak, Malesia
    Fotografia di Michel Roggo

    Il Taman Negara Gunung Mulu è un parco nazionale malese che si trova sull'isola del Borneo, vicino al confine con il Brunei. Quest'area è stata anche dichiarata patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.


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    Ichetuknee River, Florida
    Fotografia di Michel Roggo

    Sotto gran parte della Florida c'è un enorme fiume sotterraneo detto anche "la falda acquifera della Florida". "Diverse sorgenti, anche molto grandi, sgorgano dalla roccia calcarea dando origine a fiumi di acqua cristallina che scorrono attraverso una giungla di piante acquatiche verso il mare", spiega Roggo.

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    Abismo Anhumas, Mato Grosso do Sul, Brasile
    Fotografia di Michel Roggo

    La pietra calcarea che si trova sotto alla Serra da Bodoquena in Brasile si è lentamente disciolta per fare spazio a queste caverne. Una delle più famose è l'Abismo Anhumas, profonda 72 metri. Per gran parte la caverna è piena di acqua cristallina.

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    Pantanal, Mato Grosso do Sul, Brasile
    Fotografia di Michel Roggo

    La maggior parte dell'acqua nel Pantanal è torbida, tuttavia vi sono alcuni affluenti molto limpidi che dalle vicine montagne calcaree fluiscono verso la piana. "Grazie a una brava guida siamo riusciti a trovare un torrente nascosto", spiega Roggo.



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  9. gheagabry
     
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    L'acqua che tocchi de' fiumi è l'ultima di quella che andò
    e la prima di quella che viene. Così il tempo presente.
    (Leonardo da Vinci, Codice Trivulziano, 1487-90)


    L'ARNO


    La sorgente del fiume Arno è situata in provincia di Firenze (Monte Falterona sull'Appennino tosco-romagnolo a quota 1.385 m sul livello del mare) anche se subito dopo prosegue il suo corso nella città provincia di Arezzo. Rientra poi sul territorio della provincia di Firenze (passando sotto il famoso Ponte Vecchio) nei pressi del comune di San Giovanni Valdarno e ne esce nuovamente nella località di Fucecchio. Da qui il corso del fiume scende verso la provincia di Pisa per poi giungere alla foce. Durante il suo tragitto le acque del fiume bagnano paesi e città importanti tra cui Firenze, Pisa, Empoli, Santa Croce sull'Arno e Pontedera. Tra i molti affluenti ricoriamo la Sieve, il Bisenzio, l'Ombrone, la Pescia, il Greve, la Pesa, l'Elsa, l'Usciana e l'Era.
    L'Arno è il principale della toscana ed il secondo (dopo il Tevere) come importanza dell'Italia Centrale. Ha una lunghezza di circa 240 Km, un bacino di circa 8.230 kmq ed una portata media annua alla foce di 110 mc/sec. Ha prevalentemente un regime torrentizio con portate medie nel da 4-6 mc/s nel periodo estivo fino ad arrivare a piene di 3000 mc/s nel periodo autunnale.

    L’Arno più che un vero e proprio fiume è un "fiumicel che nasce in Falterona e cento miglia di corso nol sazia" (Purgatorio XIV); "un giovinastro scapestrato, forse troppo stretto e ingabbiato tra le braccia della sua bella". I poeti, che sanno indagare nelle pieghe dei sentimenti, colgono ed evidenziano, più e meglio di molti trattati, le intime e vere ragioni di un rapporto in conflitto; spesso ammiriamo l’infilata dei ponti che segnano dall’alto gli incontri delle due sponde dell’Arno, rapiti dall’incanto dell’opera dell’uomo che si coniuga in modo mirabile con quella della natura, specialmente quando è trasfigurata nella magica atmosfera dei tramonti. Firenze vista dall’alto o dalle spallette del suo fiume o dal ponte a Santa Trinità, scuote e cattura nella sua magica e surreale visione, sempre uguale eppure sempre nuova...Eppure tra tanta bellezza Luzi ha sottolineato un rapporto difficile: "II fiume è accolto tra le mura e nel mezzo delle case nella sua qualità di fiume, forza benefica e insidiosa, con la quale non è lecito indulgere a debolezze... è catturato dai muraglioni e procedendo verso il cuore della città rinserrato nella sua petrosa fossa..."

    ..la storia..


    La storia ci racconta che alle origini c’era solo un guado che gli Etruschi avevano trovato spostandosi via via verso est. Il guado di un fiume è una caratteristica geografica che rende questo punto strategicamente importante; gli insediamenti delle antiche popolazioni erano infatti spesso guidati dalla necessità di conquistare e poi controllare i passaggi obbligati; per questa ragione anche il passo sull’Arno sarà controllato in un primo momento dagli Etruschi e poi dai Romani. In alto, sulla sovrastante collina, i primi avevano fondato Fiesole che dominava una valle insalubre e paludosa e quindi poco adatta all’insediamento. L’abitato si limitava infatti a essere un emporio sul fiume mentre l’Arno con il suo corso tracciava solo una linea di confine naturale tra gli Etruschi e i bellicosi Liguri i quali, come ebbe a dire Strabone, furono cattivi vicini.
    Poi ci fu un ponte di legno, costruito dai Romani su quello stesso guado, ma con un intento diverso: la bonifica, il controllo delle pianure e la fondazione di nuove città che potessero costituire una trama di collegamenti stesa sul territorio; sulla sponda nord e in prossimità del guado nascerà quindi una nuova colonia romana. Il ponte e il nuovo insediamento avrebbero favorito infatti il raggiungimento del passo appenninico, attraverso il quale arrivare a Bononia, l’antica Felsina etrusca, mentre un sistema di strade avrebbe messo in comunicazione le varie città della pianura. L’Arno acquistava una nuova identità e diventava un’arteria importante tra l’entroterra e la costa: in epoca romana era infatti navigabile dalla foce fino alla confluenza con il torrente Affrico, a monte di Firenze.
    Con questi presupposti nasceva nel 59 a.C. la futura Florentia, ultima tra le colonie romane della valle dell’Arno, forse in origine chiamata Fluentia per quel fiume e quel ponte di legno che ne sovrastava la corrente, sulla sponda nord, a pochi passi dall’antico guado dove sarà poi edificato il Ponte Vecchio, oggi simbolo della città. Con l’espansione urbana della prima età comunale che il rapporto con il fiume cambia, diviene più stretto: con la realizzazione della quinta cerchia di mura (1172 – 1175) infatti, i tre borghi cresciuti Oltrarno, dove fioriva l’artigianato, verranno compresi nel nuovo perimetro; l’Arno cesserà di costituire un margine naturale della città per diventare un’autentica infrastruttura cittadina. Il nuovo sviluppo urbano, che vedrà la necessità di ulteriori ponti, ma anche di pescaie e di approdi, caratterizza il nuovo rapporto con il fiume, parte integrante non solo del paesaggio cittadino, ma anche di uno sviluppo economico che risiede nella forza e nella presenza del corso d’acqua.
    Quattro erano quindi i ponti che completavano il sistema di collegamenti fra le due rive popolose, ma stringevano il fiume in un abbraccio forse troppo stritolante tanto che furono spesso abbattuti dalla forza dell’acqua fermata dalle loro arcate, dai piloni e da tutto quello che il fiume poi rovinosamente trasportava. Più volte danneggiato dalle alluvioni, il primo ponte nel 1080 era in legno, mentre intorno al 1170 fu costruito in pietra con cinque arcate, ma fu spazzato via dall'alluvione del 1333, una delle più violente che si ricordino.
    "Novello sermintese lacrimando". Così si apre un antico sermintese datato 1333 a opera di un cantastorie dell’epoca, Antonio Pucci, conosciuto a Firenze come campanario, banditore e autore di vari componimenti in rima: sonetti, canzoni, sermintesi e il più famoso Centiloquio, in terza rima. Il sermintese era una narrazione in rima di avvenimenti politici, di cronaca, di feste rituali, in uso nel periodo che va dal XIII al XV secolo. Se è vero che i poeti sanno leggere tra le pieghe dei sentimenti, il cantastorie trecentesco Antonio Pucci, aveva saputo leggere chiaramente le cause dell’alluvione del 4 novembre (e le date si ripetono con imprevedibile coincidenza) 1333 e con arguta saggezza popolare apostrofava pesantemente i fiorentini nel suo sermintese, composto subito dopo la tragedia; attribuiva infatti nel suo poemetto narrativo a uno sfrenato desiderio di arricchimento il motivo fondamentale del disastro. Prosperità e distruzione: l’Arno diventa infatti elemento fondamentale della fortuna di Firenze fra il XIII e il XV secolo, ma anche portatore di morte e di devastazione.

    Da sempre il fiume ha infatti aggredito e ghermito la città lasciandola stremata e indaffarata a ricostruire. Tante e disastrose sono state le esondazioni dell’Arno; se dovessimo farne l’elenco resteremmo sgomenti del loro considerevole numero. Fino al XVI secolo le alluvioni furono da due a cinque per secolo; da allora fino ai nostri giorni sono aumentate da sette a nove e alcune davvero rovinose. Quando nel 1333 l’Arno colpì Firenze con un’ alluvione poderosa e devastatrice che spazzò via tutti i mulini e le gualchiere, all’epoca collocate su grandi zattere di legno ancorate alle sponde del fiume, una delle cause del disastro fu attribuita proprio alla presenza di quelle strutture produttive lungo il suo corso.
    Sacro e profano riescono a convivere nel cuore dei fiorentini; si erano affidati fino ad allora anche a un altro antico simulacro che le acque nel 1333 però avevano strappato, nella loro furia devastatrice, quello di Marte. "E cadde in Arno la statua di Mars, ch'era in sul pilastro a piè del detto ponte Vecchio di qua. E nota di Mars che li antichi diceano e lasciarono in iscritta che quando la statua di Mars cadesse o fosse mossa, la città di Firenze avrebbe gran pericolo o mutazione."
    La statua, quanto mai di misterioso e controverso in quanto riconosciuta come simulacro di Marte, ma forse raffigurante un cavaliere germanico, sorgeva all’imboccatura del ponte, sulla sinistra, all’angolo di via Por Santa Maria, ed era già malconcia; in passato infatti era stata travolta dalle piene del fiume, come era accaduto nel 1178, ma la pietra scema , come la definisce Dante, sebbene appunto monca, era stata ritrovata e rimessa a guardia dell’Arno a protezione della città, ma in occasione della alluvione del 1333 non fu più recuperata dalle acque. Due date segnano l’inizio e la fine di questa prima fioritura di Firenze: il 1252, data del conio del fiorino d’oro e il 1333 data della catastrofica alluvione. A partire dal 1341 tutte le banche fiorentine falliranno e Firenze vivrà un periodo di decadenza e di fame: alla grave crisi economica si accompagnerà la carestia del 1346 e la conseguente peste del 1348.
    Dalla tragedia causata dall’alluvione e dagli avvenimenti che di lì a poco seguirono, Firenze si risolleverà solo più tardi, per conoscere una nuova fioritura che la farà non solo fiorente, ma culla del Rinascimento.
    I nomi delle strade cittadine ancora oggi conservano, in una minima nomenclatura, la memoria di quelle attività e di quelle strutture che fecero Firenze grande. Nomi legati alla presenza del fiume o alle antiche manifatture e ai vecchi mestieri che vi si svolgevano: così corso tintori, via del tiratoio, via dell’Arte della Lana, via delle gore. Dei tiratoi manca completamente la traccia in quanto sono stati trasformati in palazzi o teatri o sono stati demoliti per far spazio a piazze. Il tiratoio era un edificio industriale preposto all’asciugatura dei panni di lana dopo le operazioni di gualcatura, lavaggio o tintura; era costruito con un sistema di terrazze e spazi vuoti, ed era situato secondo la direzione dei venti in quanto destinato all’asciugatura delle pezze. In quei nomi si legge chiaramente l’opera di un sodalizio che ancora oggi continua: l’Arno, sebbene non d’argento, con le sue pigrizie e lentezze o con le sue piene un po’ da scavezzacollo scriteriato, insieme ai monumenti e alle opere dell’ingegno e della creatività umana, con i ponti e il loro artistico abbraccio tra le due sponde, regalano la tangibile visione di affascinanti brandelli di storia in una geografia ancora intatta, lungo quel tratto di fiume che sin dai primordi ha contribuito, e non poco, a costruire tutti i fortunosi eventi.
    (tratto da InStoria, FIRENZE E L’ARNO: UN RAPPORTO DIFFICILE DALLE ORIGINI AL DILUVIO DEL 1333 di Salvina Pizzuoli)

    ....storie, miti e leggende....


    Nel distretto di Lastra a Signa esiste un luogo avvolto nella leggenda, dove i molteplici fili della trama tessuta pazientemente dall’uomo e della natura, si aggrovigliano in una matassa inestricabile. Questo luogo è segnato da un grosso macigno, muto testimone della storia di questa parte del Valdarno, un monolite informe, che evoca le suggestioni di un paesaggio primordiale, non ancora plasmato dalle esigenze della civilizzazione. Si dice che Ercole di ritorno dalla Spagna, dopo il compimento della decima fatica, si stabilì per qualche tempo in Toscana, diventando re degli Etruschi. Per venire incontro alle esigenze degli abitanti della zona, l’eroe distrusse la diga naturale che impediva il deflusso delle acque dell’Arno dalla Piana di Firenze, creando la gola della Gonfolina. Anche secondo gli antichi storici fiorentini - Giovanni Villani, Scipione Ammirato e il Borghini - il masso detto “della Gonfolina”, ostruiva il corso dell’Arno contribuendo all’impaludamento di tutta l’area; furono gli antichi romani a rimuoverlo, permettendo una prima e parziale bonifica degli agri della Piana e la successiva colonizzazione del territorio. Il Repetti nel suo Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana, è invece dell’opinione che il masso della Gonfolina sia stato eroso dall’azione incessante delle acque e che non ci sia stato un intervento umano.
    Oltre alle storie di Ercole e dei romani ci sono molti miti e leggende popolari legati a questo luogo: si dice che gli scalpellini che si siano azzardati a picchettare il grande masso abbiano rotto i loro attrezzi contro la roccia, più dura di qualsiasi lega di metallo. Anche i tedeschi, durante la Seconda Guerra Mondiale, non riuscirono a far saltare il masso con le cariche. Alcuni raccontano inoltre che il luogo sia abitato da fate simili a folletti – da qui il nome di Masso delle Fate - e forse dalla chioccia d’oro sotterrata da Castruccio Castracani. Il passaggio della strada in direzione di Empoli, proprio sotto il grande macigno, è una realizzazione abbastanza recente. La strada regia pisana, tracciata sulla riva sinistra dell’Arno, fu resa carreggiabile sotto il Granducato di Leopoldo II, dopo la metà del XVIII Secolo. Nei tempi antichi la via provinciale conosciuta sotto il nome di strada militare pisana, passava attraverso il Castello di Malmantile.

    Nessun fiume è stato cantato da poeti e scrittori come l’Arno. Dante Alighieri, più volte nella Divina Commedia, trovò i versi giusti per parlarne: “Li ruscelletti che d’i verdi colli del Casentino discendon giuso in Arno, facendo i lor canali freddi e molli” (Inferno 30° canto), oppure lo cita nel Purgatorio (14° canto) “per mezza Toscana si spazia un fiumicel che nasce in Falterona, e cento miglia di corso nol sazia”. Eugenio Montale ricorda il corso d’acqua nella sua poesia “L’Arno a Rovezzano”, Curzio Malaparte lo cita spesso nel libro “Maledetti Toscani”, Vasco Pratolini ne fece la scenografia dominante di molti suoi libri.
    Anche famosi pittori come Ottone Rosai e Ardengo Soffici usarono l’Arno come sfondo per i loro quadri. Pure il cinema ha fatto del grande fiume toscano un primo attore: Roberto Rossellini nel suo film “Paisà” fece passare i partigiani in armi nel Corridoio Vasariano, che attraversa le acque dell’Arno, proprio sopra Ponte Vecchio. Pietro Germi in “Amici miei” non poté fare a meno di raccontare in chiave comica e grottesca la più grande sciagura causata dal fiume,nel Novembre del 1966: l’alluvione di Firenze.
    La peculiarità dell’Arno è quella di aver fatto da trait-d’union tra gli Etruschi e il Rinascimento, tra la natura rude del Casentino e i delicati palazzi quattrocenteschi di Firenze; di aver presenziato alla nascita e alla morte di Pisa Repubblica Marinara, di essere stato un liquido ammalato colpito dal virus di un inquinamento scriteriato che è durato più di quarant’anni. Insomma, il fiume scorre insieme alla storia toscana ed è stato sempre presente; un testimone e un amante muto della vita di questa regione.


    I grandi fiumi sono l’immagine del tempo,
    crudele e impersonale. Osservati da un ponte
    dichiarano la loro nullità inesorabile.
    Solo l’ansa esitante di qualche paludoso
    giuncheto, qualche specchio
    che riluca tra folte sterpaglie e borraccina
    può svelare che l’acqua come noi pensa se stessa
    prima di farsi vortice e rapina.
    Tanto tempo è passato, nulla è scorso
    da quando ti cantavo al telefono 'tu
    che fai l’addormentata' col triplice cachinno.
    La tua casa era un lampo visto dal treno. Curva
    sull’Arno come l’albero di Giuda
    che voleva proteggerla. Forse c’è ancora o
    non è che una rovina. Tutta piena,
    mi dicevi, di insetti, inabitabile.
    Altro comfort fa per noi ora, altro
    sconforto.
    (Eugenio Montale)

     
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  10. gheagabry
     
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    RIO SECRETO



    E’ come tornare indietro nel tempo, un viaggio al centro della terra. Immaginate di trovare un buco nel terreno e abbassarsi verso l'ignoto in cui scoprire un mondo sotterraneo mozzafiato intatto per migliaia di anni. Un sistema di grotte, formata nel corso dei secoli da un fiume sotterraneo, si trova a pochi chilometri da Playa del Carmen, nella penisola dello Yucatan.
    Fuori il sole giungla caldo, molto al di sotto delle rovine erette sotto il grande impero Maya, scorre la linfa vitale. Scoperto nel 2007 e lungo 15 km di cui 10 km mappati dagli speleologi, attraverso migliaia di stalattiti e stalagmiti dai riflessi dorati e argentei, colonne calcaree naturali, soffitti cattedrale-simili, e la piccola fauna selvatica che abita le grotte, come i pipistrelli e piccoli pesci.

    La più lunga grotta semi-affondata nella penisola dello Yucatan e la riserva naturale forse più distinta e affascinante del paese. Un fiume con 89 grotte con profondità superiori ai 1.000 metri. Le grotte sono composte da circa il 20 per cento di calcare, un tipo di roccia assorbente derivante da una sedimentazione e di processo di fossilizzazione iniziato 50 milioni di anni. Migliaia di stalattiti, le formazioni di calcio a forma di cono che ricordano ghiaccioli, pendono dal soffitto della grotta, mentre stalagmiti, depositi di calcio arrotondati, si sviluppano verso l'alto dal pavimento. Quando i due si incontrano, formano colonne, che a poco a poco ampliano e fanno crescere il sistema fluviale sotterraneo, che è rimasto intatto fino al 2007, salvo che per l'uomo che ha trovato per primo... il proprietario della struttura stava inseguendo un iguana che scomparve sotto alcune rocce così scoprì l'ingresso della grotta.

    Al fine di proteggere il sistema, solo una parte di esso è aperto al pubblico con visite guidate. La cura dai proprietari e guide è quello di garantire che rimanga pura per le generazioni future. Tutti devono doccia prima di entrare, tutti sono informati su come evitare di toccare le stalattiti ecc per fermare qualsiasi contaminazione umana. Niente luci abbaglianti.E 'veramente solo voi, una lampada frontale e un paradiso naturale impressionante.



















     
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    UNO STRANO TORRENTE tra fuoco e ghiaccio

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    Le pareti di ghiaccio di una grotta che si trova sui fianchi del Mutnovsky, un vulcano situato nella parte meridionale della penisola della Kamčatka in Russia - 2322 metri - hanno formato un tunnel lungo circa un chilometro. Grazie a un'interazione tra caldo e freddo, tra fuoco e ghiaccio... si è formato un corso d'acqua che scorre al di sotto del ghiacciaio.

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    Photos by Denis Budko, focus.it
     
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    "Senza dubbio nessu altro fiume di pari importanza
    ha un carattere piu' singolare"
    (XIX sec. - Francis Garnier, esploratore francese)

    IL MEKONG



    Il Mekong è uno dei fiumi più lunghi dell’Asia e il dodicesimo al mondo (circa 5.000km). Ha tanti nomi: in Cina lo chiamano Za Qu “fiume di pietra”, o Lancang Jang, cioè “acqua turbolenta”. In Cambogia è chiamato Tonle Thom, “grande acqua”.... “Fiume del dragone”, e “fiume dei nove draghi”. In Thailandia infine è il Mae Nam Khong, “il fiume madre”, ed è così che alla fine hanno finito per chiamarlo gli occidentali, Mekong.

    Nasce a cinquemila metri d’altezza, in Tibet, non lontano dalla sorgente di un altro immenso fiume (lo Yangtze). Nei suoi 4500 chilometri bagna anche Myanmar (l’ex Birmania), Laos, Thailandia, Cambogia e Vietnam.
    La metà circa del corso del fiume si snoda nella parte sud-ovest della Cina e gran parte di questo tratto è caratterizzato da vallate strette e profonde. Il fiume prosegue segnando per circa 200 km il confine naturale tra Myanmar e Laos. Al termine di questo tratto vi confluisce il fiume Ruak in corrispondenza della regione chiamata Triangolo d'oro. Successivamente il Mekong segue il confine tra Laos e Tailandia prima di inoltrarsi nel Laos dove è chiamato, sia in lingua Lao sia in lingua tailandese, Maè Nam Khong (Madre di tutti i fiumi). Il tratto del Laos è caratterizzato da rapide e basse profondità nei mesi estivi e a sud della città di Luang Prabang il fiume si allarga notevolmente, la portata rimane molto irregolare ma da questo tratto in poi il fiume diviene navigabile rappresentando una delle vie di comunicazione principali dell'area. Più a sud il fiume torna a seguire per diverse centinaia di chilometri il confine tra Laos e Tailandia, attraversa la città di Vientiane e nella parte meridionale del Laos si inoltra nuovamente nel paese attraversando la regione di Si Phan Don sopra le cascate di Khone vicino al confine con la Cambogia. In Cambogia il fiume è chiamato Mékôngk oppure Tonle Thom (grande fiume). Le cascate di Sambor sopra Kratié sono l'ultimo ostacolo per la navigazione, appena prima di Phnom Penh confluisce con il fiume Tonle Sap, il principale affluente cambogiano. Dopo Phnom Penh il fiume si divide in due rami, il Bassac e il Mekong vero e proprio, entrambi fluiscono nel delta del Mekong in Vietnam. In vietnamita, l'intero fiume è chiamato Mê Kông, la parte che attraversa il Vietnam per contro è chiamata Sông Cửu Long (fiume dei nove dragoni) e a sud di Ho-Chi-Minh si divide in due rami principali, il Tiền Giang (fiume anteriore) e il Hậu Giang (fiume posteriore), questi sfociano nel mare in nove estuari.

    Millesessantotto specie sconosciute alla scienza: tra esse 519 nuove specie di piante, 279 di pesci, 88 di rane, 88 di ragni, 46 tipi di lucertole, 22 serpenti, 15 mammiferi, 4 uccelli, 4 tartarughe, 2 salamandre e un rospo. Tra i ragni, uno grande 30 centimetri; tra i topi, uno che si pensava estinto 11 milioni di anni; e un millepiedi di color rosa-shocking (Desmoxytes purpurosea) che produce cianuro. È il “tesoro” scoperto dagli scienziati del WWF in dieci anni d’attività (dal 1997 al 2007) tra le foreste pluviali e le paludi del fiume Mekong che scorre tra Cambogia, Laos, Birmania, Thailandia, Vietnam e nella provincia meridionale dello Yunnan. «Non poteva andare meglio – ha dichiarato Stuart Chapman, direttore WWF del Mekong Superiore – pensavamo che scoperte di questo genere fossero riservate soltanto ai libri di storia. Questo riconferma l’importanza del Mekong Superiore nella mappa mondiale delle priorità di conservazione». «Molte delle risorse naturali di cui il Mekong è ricco - commenta Massimiliano Rocco, responsabile Traffic e Timber Trade del WWF Italia - sono oggetto di interesse e importazione da parte della comunità occidentale: legname, pelli di rettile, piante ornamentali, una ricchezza di specie che finisce sui nostri mercati e che rappresenta un’importante opportunità economica per le popolazioni locali. La comunità occidentale è quindi responsabile se questi preziosi patrimoni non vengono gestiti in maniera sostenibile, e deve collaborare con i governi locali trasferendo risorse e conoscenza per una gestione adeguata e duratura, che consenta la conservazione di questa grande ricchezza di biodiversità - importante anche per le nostre economie - e contribuisca ad alleviare la povertà delle economie locali».(subaqva.com)

    ...storia miti e leggende...


    Quelli dell’Indocina sono confini spesso non netti, difficili da delineare, tra paludi, lagune, isole e acquitrini. Confini incerti tra popoli millenari, i cui gesti e le cui abitudini si tramandano da nonno a nipote in una rete di esperienze consolidate, le cui maglie esistono solo in relazione le une alle altre. Questi popoli vivono in eterna simbiosi col fiume traendo da esso cibo, acqua, e tutto ciò che costituisce la base fondante della loro economia.

    Nel cuore della Cina il fiume parte in alto, all’ombra dei picchi della catena Tanggula. La sua sorgente è sacra. «In realtà ce ne sono due», spiegano ai viaggiatori i pastori tibetani. «C’è la sorgente in alto, sul ghiacciaio. Nessuno va fin lassù. Ci abita lo spirito del dragone Zajiadujiawangzha, e la protegge. E poi c’è la sorgente più in basso, quella sacra: gli uomini che vi si abbeverano vivono più a lungo. E anche gli animali». Vi si può giungere solo a cavallo, e sul grande pianoro gelato, chinandosi sul ghiaccio e appoggiandovi l’orecchio, si può udire il fruscio dell’acqua che scorre, e che diventerà il Mekong.
    Poi il fiume scende, e per quasi 1600 chilometri scava profondamente il territorio della provincia cinese dello Yunnan. Lo incide, letteralmente, scorrendo in fondo a canyon profondi anche tre chilometri. E’ talmente immerso nelle viscere della terra che è difficilissimo seguirne il corso: i villaggi sono lontani dalle sue rapide, i ponti sono semplici cavi d’acciaio tesi fra le due rive rocciose.
    Dice una leggenda cambogiana che i pesci nascono dalle radici degli alberi e che, quando viene la stagione secca e l’acqua si ritira, vanno a nascondersi nei tronchi cavi, o sottoterra. Un’altra leggenda racconta che il fiume riprende la sua corsa verso il mare a novembre, e per farlo ha bisogno di un ordine superiore: così fino agli anni Settanta erano il re e la regina a navigare fino al centro del fiume. Qui tagliavano un nastro teso da riva a riva, e dopo un attimo d’esitazione le acque cominciavano a ritirarsi. Lasciando i paesaggi cambogiani, il fiume attraversa placidamente il Vietnam. La popolazione lo chiama Cuu Long o “Nove Draghi”: è qui infatti che il Mekong forma una dozzina di piccoli fiumi che danno forma al Delta, un suggestivo labirinto di oltre 4.000 chilometri di canali. Si attraversano corsi d’acqua, si osservano villaggi e risaie in silenzio, spinti lentamente dalle barche a remi, ci si ritrova immersi in una atmosfera singolare.. degli affollatissimi mercati galleggianti o attraversare le loro acque in equilibrio sui caukhi, i “ponti delle scimmie”, ponti pedonali sospesi, di altezza variabile dai 2 ai 10 metri, costruiti con tronchi irregolari e canna di bambù.


    "Il Mekong è una realtà complessa, bisogna risalire alla sua storia per capirlo. E' un fiume che nel corso dei secoli è servito po' a tutto, per far spostare persone da una terra all'altra, ma anche per traffici illeciti...Nel corso della storia lo hanno chiamato "il fiume della memoria del diavolo", oppure "il sangue che scorre nelle nostre vene", appellativi che rappresentano un attaccamento forte ma ambivalente nei suoi confronti. Poi è diventato il fiume della guerra, un fiume rosso sangue su cui scorrevano le atrocità del conflitto in Vietnam, con tutte le loro implicazioni politiche ed emotive." (Corrado Ruggeri)




    Un tuffo nel Mekong

    Giungemmo con gli elefanti
    Al villaggio mentre
    Una donna macinava un pugno di grano.
    Il sole ci colorava di giallo.
    Mi avviai solitario verso il fiume
    e mentre alla fonte
    tu lavavi i tuoi folti capelli d’oro.
    I bambini sorridevano di felicità
    sulla sponda d’argento,
    e il loro sorriso prendeva il largo
    con un tuffo dai ciottoli
    bagnati di fresco.
    Tra le zattere di bambù
    Entrai senza fretta in acqua
    Giocando con la corrente.
    Mi lascia trasportare tra le betulle tremolanti
    Al dolce soffio del vento.
    Giunsi all’ansa del fiume. Allegro e forte.
    La mia mente. Libera
    Sussurrava emozioni profonde.
    Dal mio petto bagnato
    spicco il volo, una farfalla
    Nel tiepido vento serale.
    (Agostino Falconetti,Triangolo d’oro, Thailandia dicembre 1997)

     
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  13. gheagabry
     
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    Caño Cristales




    Caño Cristales è un fiume colombiano che si trova a Serrania de la Macarena, nella provincia di Meta. Il corso d’acqua è comunemente chiamato “il fiume dei cinque colori” o “arcobaleno liquido”, ma anche “il fiume più bello del mondo” per i suoi colori vivaci: giallo, verde, blu, nero e soprattutto il rosso della Macarenia Clavigera, la pianta che cresce sul letto del fiume e gli da questo aspetto unico al mondo.



    Durante tutto l’anno il Caño Cristales è un normalissimo fiume come tutti gli altri. Ma tra la fine della stagione delle piogge e l’inizio della stagione secca si trasforma diventando il più bello al mondo. Per cento chilometri le alghe che ricoprono le rocce del fiume abbandonano le solite sfumature scure e si colorano di verde, rosa, blu, rosso e nero, dipingendo le acque del Caño Cristales con colori sgargianti. La magia si compie solo in questo periodo, quando il livello dell’acqua permette alle alghe e al muschio di essere ‘scaldate dal sole’ senza seccarle.





    Il nome Caño, invece proviene dalla tradizione linguistica locale e designa i piccoli corsi d’acqua.
    Il fiume inoltre è movimentato da rapide e cascate, con acque molto pulite e trasparenti che in estate prosciugano, permettendo alle alghe e ad altre piante di moltiplicarsi.
    I piccoli pozzi circolari che caratterizzano il letto del fiume sono stati formati da minerali di elevata durezza. Quando uno di questi frammenti entrano in una delle cavità, grandi o piccole, comincia a ruotare erodendo la parete della cavità che man mano aumenta le dimensioni.






    Oltre a questo sorprendente spettacolo, nella zona, ci sono anche le rocce della Macarena di 1.200 milioni di anni e che costituiscono il prolungamento ad ovest dell’ Escudo Guyanés de Venezuela, le cui rocce sono considerate le più antiche al mondo.









     
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  14. gheagabry
     
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    "L’Adda è un viaggiatore, gli piace vedere l'Italia.
    Chissà dove andrebbe se presso Cremona,
    in un rigoglioso verde piano, non incontrasse il Po.
    Non diventa affluente contento...l'incontro non è pacifico,
    ma tumultuoso di ondate e correnti.."


    L' ADDA


    Il fiume Adda, con i suoi 313 chilometri, è il quarto in Italia per lunghezza ed è il maggiore affluente del Po. Secondo Cassiodoro, il nome deriva dal latino “duo”, due, perché anticamente si credeva che il fiume nascesse da due sorgenti, anziché da una sola; altri studiosi ritengono invece che il nome sia di origine celtica, cioè che derivi dal vocabolo celtico "abda" che vale “acqua che scorre impetuosa”. Trae le sue origini dal passo di Val Alpisella ad Ovest dello Stelvio; scorre attraverso la valle di Fraele, a Bormio, tra le Alpi Retiche e le Orobie, lungo tutta la Valtellina sino a sboccare nel lago di Como a nord di Colico. Uscito dal Lario, entra nei due laghi di Garlate e di Olginate, riprendendo poi la sua corsa verso il Po. Tra Brivio e Paderno, in provincia di Lecco, l’Adda scorre in una valle incassata tra formazioni moreniche e alluvionali immerse in ripe boscose ad ampio dislivello, che furono insormontabili ostacoli per i naviganti dei secoli scorsi. Da Paderno fino alle porte della provincia di Milano e poi più giù fino a Cassano d’Adda, il fiume muta il suo corso in un divenire progressivamente più calmo ma pur sempre scosceso. Da Cassano la morfologia dell’Adda si trasforma definitivamente: l’alveo diventa ampio e la corrente meno impetuosa; in territorio lodigiano arriva a livello della campagna per congiungersi, infine, a Castelnuovo Bocca d’Adda, con il grande fiume Po.

    Opere poderose come il castello visconteo di Trezzo, la struttura a sbarramento della centrale idroelettrica Taccani (entrata in funzione nel 1906), il ponte in ghisa a Paderno, chiamato anche la torre Eiffel dell’Adda, di cui è quasi contemporaneo, sintetizzano efficacemente il gran numero di testimonianze che l’uomo ha lasciato lungo le sponde dell’Adda, alle quali va aggiunto il villaggio operaio di Crespi d’Adda, entrato a far parte del patrimonio mondiale dell’Unesco. Il corso del fiume, il suo patrimonio storico e artistico assieme a quello ambientale, sono tutelati e valorizzati dal Parco Adda Nord, al quale corrisponde il Parco Adda Sud per la parte della pianura.

    Lo cantarono poeti di tutti i tempi, da Claudiano a Siconio Apollinare a Giosuè
    Carducci, ripreso da moltissimi pittori tra i quali Leonardo.
    L’Adda è chiamato “fiume di Leonardo” per l’attenzione che il genio del Rinascimento rivolse al corso d’acqua soprattutto nei tratti più spettacolari. Leonardo visse a Milano dal 1482 al 1500 e, successivamente, dal 1506 al 1512. Durante questi soggiorni venne ospitato nella residenza di campagna, a Vaprio d’Adda, del nobile milanese Girolamo Melzi. In tale occasione non solo studiò e condusse esperimenti sul flusso delle acque, ma ritrasse anche luoghi e paesaggi del fiume. Celebre è lo scorcio dei “Tre corni”, che appare nello sfondo del dipinto della Vergine delle Rocce e, forse, nel ritratto di Monna Lisa. Alla Royal Library di Windsor è conservato anche un disegno del traghetto che collegava le sponde del fiume tra Vaprio e Canonica. Per questo la singolare imbarcazione che, perfettamente funzionante, attraversa il corso del fiume tra Villa d’Adda e Imbersago, viene chiamata “traghetto di Leonardo”. Tra i vari studi e progetti durante questi soggiorni ci sono sicuramente le migliorie per le chiuse idrauliche, chiamate “conche vinciane”.

    Veri e propri cercatori d'oro con pazienza certosina setacciavano l'Adda per cercare nelle sue sabbie, da Cassano al Po, il prezioso metallo. Gente che aveva occhio nell’individuare i "banchi auriferi". Non trovavano pepite ma pagliuzze dorate, assommando qualche grammo dopo settimane e settimane di fatica.
    Arduino, Re d'Italia, nel 1002 concede al vescovo di Lodi, Andrea, il permesso di
    estrarre l'oro dall’Adda nel tratto compreso tra Galgagnano e Cavenago.

    Le sue acque hanno avuto un ruolo importante per l’irrigazione di una vasta fascia della campagna milanese attraverso la rete di canali, noti anche come navigli. Prima dell’introduzione della ferrovia su questi stessi navigli una piccola flotta di barconi e di chiatte assicurava il rifornimento di Milano trasportando ogni genere di merce: dai prodotti dei campi alla ghiaia e alle pietre necessarie per l’edilizia.

    ...la storia...


    L'Adda è un fiume legato a parte della storia d'Italia essendo stato il teatro di importanti battaglie ed un confine tra territori oggetto di contese secolari.
    Tra gli episodi storici che hanno avuto come scenario le rive dell'Adda si ricorda, la battaglia del 223 a.C. nel corso della quale Caio Flaminio sconfisse i Galli. Famosa anche la battaglia tra Toedorico, re degli Ostrogoti, ed Odoacre, re degli Eruli, combattuta nel 490 e dalla quale prese avvio il dominio degli Ostrogoti nel nostro paese. Nel 900 Berengario, incoronato re d'Italia, bloccò sul fiume Adda l'avanzata degli Ungari mentre tentavano di conquistare parte della penisola italiana.
    I Veneziani e i Milanesi, guidati dal famoso condottiero Niccolò Piccinino, si fronteggiarono nel 1437 lungo le rive dell'Adda, il quale ha segnato per circa quattrocento anni, dal Trecento al Settecento, il confine tra la Repubblica di Venezia ed il Ducato di Milano, confine messo in discussione in occasione delle numerose battaglie.
    Il grande Napoleone legò il suo destino all'Adda che attraversò nel 1796, durante la battaglia di Lodi, per aprire un varco verso la città di Milano, nel corso dell'epocale scontro tra Austriaci e Francesi. Napoleone affermava che l’Adda fosse il fiume più strategico del mondo: “l’Adda é il fiume più difendevole di tutta l'Italia”.

    Un tempo, lungo le sue sponde vi erano molti gerài: “La lunga colonna dei carretti trainati dai cavalli scendeva verso il greto del fiume: caricavano la gèra, la ghiaia, che vi si trovava in abbondanza. Ad attendere i gèrai c’erano i barconi, i grandi barconi dell’Adda che “tagliando” per il Naviglio, giungevano con il loro carico sino a Milano. Un viaggio che durava alcuni giorni”.
    A partire dal XVI° secolo, ma con scarsi risultati fino al 1777, si cercò di utilizzare il fiume Adda come via di comunicazione navigabile. Negli anni precedenti il fiume era in effetti navigabile dalla confluenza del Po fino a Lodi e, talvolta, fino a Cassano. Il tragitto da Milano al Lago di Como divenne praticabile dopo l’apertura del Naviglio della Martesana, ma presentava un ostacolo allora insuperabile costituito dalle ripe di Paderno che formavano un dislivello di 28 m in 25 Km di percorrenza. La navigazione veniva interrotta in questo punto obbligando il trasbordo a terra, di merci e genti, da Trezzo a Brivio. Nel 1777, con la costruzione del Naviglio di Paderno, il dislivello fu superato grazie alla realizzazione di sette conche. Scrive il Cattaneo nel 1841: "Nel tratto superiore dell’Adda, a Trezzo, v’è prima un tratto navigabile (m 11.700), poi un aspro dirupo, nel fianco del quale fu necessario incavare il breve Naviglio di Paderno (2.605 m) al solo uso della navigazione".
    L’importanza di questa via d’acqua per l’economia di oltre 200 anni fa è testimoniata anche dal conio di una moneta commemorativa dell’apertura del Naviglio di Paderno da parte del Governatore del Ducato di Milano, l’Arciduca Ferdinando. La navigazione, pur consentendo un salto di qualità per l’allargamento dei mercati, suscitò conflitti anche aspri con alcuni settori dell’economia fluviale come quella rappresentata dai pescatori. Negozianti e conduttori di barche, in una lettera inviata alla Vice Prefettura di Lecco nel febbraio del 1807, così auspicavano provvedimenti contro i pescatori di Olginate: "riesce incomoda e pericolosa la navigazione tanto ascendendo che discendendo, poichè, si sono dai detti pescatori di Olginate formati tanti rialzi di sassi , da provocare , dannose incalcolabili conseguenze al commercio, alla proprietà ed alla individuale sicurezza". Il trasporto da Lecco a Milano richiedeva oltre un giorno di navigazione; per la risalita occorrevano anche più di 15 giorni. Da Lecco a Milano le barche scendevano cariche di merci che venivano poi offerte nei mercati della grande città ma il ritorno, in salita, era faticoso e costoso perchè anche per il solo trasporto delle imbarcazioni vuote era necessario l'utilizzo di bestie per il traino.


    "Ultimata la giornata di lavoro, l'operaio deve rientrare con piacere sotto il suo tetto: curi dunque l'imprenditore che egli vi si trovi comodo, tranquillo ed in pace; adoperi ogni mezzo per far germogliare nel cuore di lui l'affezione, l'amore alla casa.. Chi ama la propria casa ama anche la famiglia e la patria, e non sarà mai la vittima del vizio e della neghittosità. I più bei momenti della giornata per l'industriale previdente sono quelli in cui vede i robusti bambini dei suoi operai scorrazzare per fioriti giardini, correndo incontro ai padri che tornano contenti dal lavoro; sono quelli in cui vede l'operaio svagarsi ed ornare il campicello o la casa linda e ordinata; sono quelli in cui scopre un idillio o un quadro di domestica felicità; in cui fra l'occhio del padrone e quello del dipendente, scorre un raggio di simpatia, di fratellanza schietta e sincera. Allora svaniscono le preoccupazioni di assurde lotte di classe e il cuore si apre ad ideali sempre più alti di pace e d'amore universale." (Silvio Cespi -Dei mezzi di prevenire gli infortuni e garantire la vita e la salute degli operai nell'industria del cotone in Italia" -U. Hoepli, Milano 1894).


    Il villaggio Crespi



    Fabbrica e villaggio di Crespi d'Adda furono realizzati a cavallo tra Otto e Novecento dalla famiglia di industriali cotonieri Crespi, quando in Italia nasceva l'industria moderna. Era questa l'epoca dei grandi capitani d'industria illuminati, al tempo stesso padroni e filantropi, ispirati a una dottrina sociale che li vedeva impegnati a tutelare la vita dei propri operai dentro e fuori la fabbrica, colmando in tal modo i ritardi della legislazione sociale dello Stato stesso.
    L'idea era di dare a tutti i dipendenti una villetta, con orto e giardino, e di fornire tutti i servizi necessari alla vita della comunità: chiesa, scuola, ospedale, dopolavoro, teatro, bagni pubblici... Nato nel 1878 sulla riva dell'Adda, in provincia di Bergamo, anche questo esperimento paternalista ebbe inesorabilmente termine - alla fine degli anni Venti - con la fuoriuscita dei suoi protagonisti e a causa dei mutamenti avvenuti nel XX secolo.
    Oggi il villaggio di Crespi ospita una comunità in gran parte discendente degli operai che vi hanno vissuto o lavorato; e la fabbrica stessa è rimasta in funzione fino al 2003, sempre nel settore tessile cotoniero.
    Il paesaggio che ospita Crespi d'Adda è davvero singolare: il villaggio è inserito in una sorta di culla, un bassopiano dalla forma triangolare che è delimitato da due fiumi confluenti e da un dislivello del terreno, una lunga costa che lo cinge da nord. I due fiumi sono l'Adda e il Brembo, che formano una penisola chiamata "Isola Bergamasca", alla cui estremità si trova appunto il villaggio; mentre lungo la citata costa correva anticamente il "Fosso Bergamasco", linea di confine tra il territorio del Ducato di Milano e quello della Repubblica di Venezia.
    L'isolamento geografico è poi accentuato dal fatto che il villaggio è collegato all'esterno soltanto in direzione Nord. Oggi queste caratteristiche geografiche e il grado di emarginazione che esse hanno implicato ci aiutano a capire come Crespi d'Adda si sia potuta conservare in modo così straordinario, nascosta ed estranea allo sviluppo caotico dell'area circostante. L'Unesco il 5 dicembre 1995 ha inserito Crespi d'Adda tra i siti del patrimonio mondiale della cultura (World Heritage List). Le sue caratteristiche ambientali e formali sono ritenute di eccezionale valore storico, urbanistico e sociale.(villaggiocrespi.it)


    PRESSO L'ADDA
    Striscia l'Adda al tuo fianco nel meriggio
    e segui l'ombra a rovescio del cielo.
    Qui, dove curve pecore risalgono
    con il capo affondato dentro l'erba,
    saltava l'acqua a taglio della ruota,
    e s'udiva la mola del frantoio
    e il tonfo dell'uliva nella vasca.
    Tu solo ti sgomenti a un moto spento.
    Riappare la corona del sambuco
    dal fitto della siepe e agita la canna
    nuove foglie sugli argini del fiume.
    La vita che t'illuse è in questo segno
    delle piante, saluto della terra
    umana alle domande, alle violenze.
    Il riaprirsi del legno in un colore
    è certezza per te, come l'insidia
    del tuo sangue e la mano che distesa
    alzi alla fronte a schermo della luce.

    (Salvatore Quasimodo, da "Giorno per giorno", 1947)

     
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  15. gheagabry
     
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    "…venne la neve e nascose i miei pensieri
    tra i sassi del Ticino…
    M’affidai allora ad un riverbero di sole
    raccolto lungo il sentiero della primavera.
    Il vento di ponente disegnava graffiti di mistero,
    sulle pietre delle case,
    fiorite di lichene e capelvenere.
    Il silenzio profumava di fiume,
    e la notte raccontava i rumori di passi lontani
    nel tempo…nel vento,
    tra i sassi del Ticino.
    (Randagia, 21/01/04 - raccontioltre.it/)


    IL TICINO




    Jan Geerk
    Il Ticino nasce in Svizzera. La sua sorgente principale è in val Bedretto, al Passo di Novena, a circa 2.480 metri di quota, mentre un’altra sorgente è nei pressi dell’Ospizio del San Gottardo e si congiunge alla prima ad Airolo. Dopo un percorso selvaggio, all’imbocco della piana di Magadino il Ticino viene imbrigliato in argini che ne fanno un banale canale fino al delta con cui sfocia nel Lago Maggiore. Ne esce nei pressi di Sesto Calende per proseguire il suo corso fin oltre Pavia dove, in località Ponte della Becca, unisce le sue limpide acque a quelle limacciose del Po. La lunghezza complessiva è di 248 chilometri, 110 dei quali interessano il territorio dei Parchi omonimi.
    Geomorfologicamente la valle del Ticino è caratterizzata da una forma detta "a cassetta": il fiume si è infatti scavato una vallata in tutti gli ambienti attraversati (colline moreniche, pianalti e pianura) piuttosto stretta nella parte superiore e più ampia in quella centrale. Seguendo il corso del suo alveo, si nota il dislivello tra la pianura e il greto diminuisce man mano che ci si allontana dal Lago Maggiore: nel tratto da Sesto Calende a Somma Lombardo il Ticino scorre tra le colline moreniche con una forte differenza di quota; ad Oleggio il dislivello tocca i quaranta metri, mentre a Vigevano i venti.
    Il Ticino è uno dei fiumi meno inquinati d’Italia e uno degli obiettivi del Parco è impedire l’insediamento sulle rive del fiume di complessi industriali o agricoli inquinanti e ricreare dove necessario o solo mantenere buone condizioni ambientali.Una delle ragioni della purezza e limpidità dell’acqua del fiume è l’esistenza del Lago Maggiore, grande bacino in cui sedimentano tutti i materiali trasportati giù dalle montagne dai fiumi e dai torrenti che vi si versano.Oggi l’acqua del Ticino viene usata, attraverso tutta una rete di canalizzazione, per l’irrigazione di un territorio di circa 400.000 ettari nelle province di Milano, Pavia, Novara e Vercelli.

    roberto caccia
    Di particolare interesse, oltre i canali prima citati, il Naviglio Grande (le cui origini risalgono al XII sec.), che dalla Cascina Castellana (nei pressi della Centrale Tornavento) dopo 50 chilometri raggiunge Milano. Discendendo il Canale Industriale si giunge, in breve, alla centrale di Vizzola.
    Il primo impianto, inaugurato nel 1901 da Vittorio Emanuele II, è andato completamente distrutto (rimangono i resti della vasca di carico). L'attuale centrale, realizzata nel 1938 su progetto di Giovanni Muzio, è di notevole valore architettonico. Lo schema razionalista e alcuni elementi della centrale di Vizzola (come il colore del rivestimento e l'impiego di bucature verticali) le ritroviamo anche nella successiva centrale di Tornavento (1943).
    Come tutti i fiumi che corrono ai piedi di catene montuose, anche il Ticino è un bacino nel quale è possibile trovare dell'oro.
    Gli antichi Romani lo sapevano molto bene, e lo avevano capito al punto da impiegare, come ci descrive Plinio il Vecchio, una forza lavoro pari a 5.000 schiavi per l'estrazione del prezioso metallo dai bacini fluviali della Bassa Gallia (Piemonte e Lombardia occidentale); ancora oggi, non a caso, lungo il corso del fiume è possibile individuare enormi cumuli di massi ammonticchiati conosciuti come vie Aurifodine, testimonianze di antiche miniere d'oro a cielo aperto distribuite lungo un percorso di quasi due km nel territorio di Varallo Pombia.
    L'oro è presente in forma di pagliuzze generalmente non più lunghe di un millimetro, e la potenzialità aurifera del Ticino è calcolata essere di 6-8 grammi per tonnellata di sabbia setacciata.

    ...storia...


    Il fiume Ticino, è posto su uno dei più importanti itinerari che univa la pianura padana con il centro Europa, ha rappresentato fin dalla Preistoria una comoda via d’acqua per traffici commerciali di ogni genere. Sulle sue sponde si sono sviluppati insediamenti umani fin dalle epoche più antiche; a Vigevano, in località "Casinasa", sono stati trovati reperti del Mesolitico recente (5.500-4.500 a.C.), mentre in sepolture a Garlasco sono stati rinvenuti oggetti dell’età del Rame.
    L'aspetto del fiume è stato modificato fortemente anche dall'uomo attraverso la costruzione di ponti e strade e, soprattutto, attraverso l'utilizzo dei terreni circostanti a favore dell'agricoltura con opere di bonifica ed irrigazione, opere che ebbero inizio fin dai tempi degli Etruschi e, successivamente, dei Greci e dei Romani. Dal punto di vista storico, il "Fiume Azzurro" ha sempre avuto un ruolo
    molto importante, basti pensare alla città di Pavia (che nell'antichità era chiamata "Ticinum") che, grazie alla sua particolare collocazione lungo l'asse verticale del Ticino, quasi alla confluenza con quello del Po, divenne un punto di incontro di grandi itinerari terrestri e fluviali: la via d'acqua del Po e del Ticino, le vie di terra per la Riviera Ligure, per le Alpi Occidentali e per l'Appennino Emiliano. Quest'ultima sarà la celebre via Francigena che collegava Roma ai paesi transalpini e che veniva percorsa dai cristiani in pellegrinaggio. Non a caso, nel territorio circostante il fiume Ticino e la città di Pavia, si sono verificati numerosi episodi dell'antichità come, ad esempio: la battaglia di Casteggio nel corso della II° guerra Punica (218 a.c.); gli scontri tra Vitelliani e Ofoniani nel 69 d.c.; la vittoria di Aureliano sulle torme di Alamanni e Iutungi calati in Pianura Padana nel 270 d.c.; la tremenda battaglia di Pavia nel 1525 tra l'armata imperiale di Carlo V e la spedizione francese di Francesco I.

    Il Ticino è stato sempre confine naturale tra civiltà, nazioni, popoli, regnanti, che hanno abbondantemente fortificato questa area strategica soprattutto con torri di avvistamento e castelli. Il Castello di Abbiategrasso, il Castello di Vigevano, Villa Visconti a Cassindetta di Lugagnano, il Castello di Bereguardo, il Castello di Somma Lombardo, Villa Gaia e Borgo Archinto a Robecco sul Naviglio, l'Abbazzia di Morimondo... sono solo alcuni dei tesori dell'arte situati nel territorio del Parco.
    l sistema di canalizzazione fu iniziato dai monaci nel Medioevo, poi ai tempi di Federico Barbarossa, nel 1179 fu realizzato il Naviglio Grande, nella seconda metà del 1400 furono realizzate le prime risaie, durante la dominazione dei Visconti e degli Sforza, con il contributo di Leonardo da Vinci, l’opera fu perfezionata e per alcuni secoli fu considerata all’avanguardia in tutta Europa.Nel corso degli ultimi cento anni accanto allo sfruttamento dell’acqua del Ticino per l’irrigazione dei campi coltivati, si è andato affermando quello per la produzione di energia elettrica.Alla fine dell’Ottocento risale la costruzione della centrale di Vizzola Ticino, inaugurata nel 1901 alla quale se ne aggiunsero via via altre fino ad arrivare a dodici centrali, oggi non tutte attive.

    ..il canale Villoresi..


    Il canale Villoresi è un importante canale d'irrigazione ideato nel XIX secolo dall'ingegnere lombardo Eugenio Villoresi da cui prese il nome.
    Già nel 1150 si era iniziata la costruzione di un canale che avrebbe dovuto portare le acqua del lago Maggiore fino a Milano. Ma l'onerosità dell'opera e alcuni errori di progettazione costrinsero ad abbandonare i lavori già iniziati (esiste ancora parte dello scavo nei boschi di Vizzola Ticino). Da qui il nome "Pan Perduto", ossia fatiche al vento - soldi sprecati.
    Ha origine dal fiume Ticino, dalla diga del Pan Perduto in località Maddalena, frazione di Somma Lombardo e si getta nel fiume Adda al termine di un percorso lungo 60 km che lo qualifica come uno dei canali artificiali più lunghi d'Italia.
    I lavori di realizzazione cominciarono nel 1877 e vennero completati nel 1890. Nonostante l'irrigazione fosse lo scopo principale dell'opera, la costruzione di alcune conche di navigazione lo rese parzialmente accessibile a barconi per il trasporto di sabbia. Ogni contadino otteneva l'assegnazione di un determinato orario per poter irrigare il suo campo , per la durata di un'ora o più in relazione alle dimensioni del campo stesso e al tipo di coltivazione. Vi provvedeva alzando le porte in legno che chiudevano le aperture sui terziari.
    Esisteva una figura importante in questo sistema: ul campé, ossia colui che su incarico del Consorzio Villoresi, subentrato nel 1938 alla Società Condotte Acqua, controllava che l'utilizzo dell'acqua negli orari assegnati venisse rispettato da tutti, provvedeva a tenere puliti gli argini dei terziari, al recupero delle saracinesche in legno nel periodo invernale, quando vi era l'asciutta dei canali, perché non si deteriorassero e a riparare quelle già deteriorate.


    "Lo chiamano il Fiume Azzurro per la trasparenza cristallina delle sue acque, che scorrono come una lingua celeste nel bel mezzo del verde in chiaroscuro di prati e boschi. Una leggenda metropolitana continua a sostenere che sia, se non potabile, sicuramente balneabile. E anche se da più parti si sta scoraggiando o addirittura vietando l'abitudine di farci il bagno, il Ticino resta uno degli angoli più selvaggi e incontaminati della Pianura Padana. Un fiume dal corso libero e privo di argini, un vero polmone di natura nel cuore produttivo, agricolo e industriale del Norditalia. Praterie di ranuncoli bianchi o nannufari gialli si affacciano sulle dolci rapide come un tappeto ondeggiante, il raro gladiolo palustre o l'iris siberiano sbocciano ai margini dei prati umidi, gli ultimi residui di foresta planiziale di ontani e salici coperti di edere e liane danno rifugio a tassi, volpi, scoiattoli, ghiri, donnole, puzzole, cinghiali e al raro capriolo, da poco reintrodotto, che di tanto in tanto attraversa il sentiero in un solo balzo dando all'escursionista appena il tempo di notare il bianco delle terga. Persino la timida lontra, molto esigente in fatto di pulizia dell'ambiente e disturbo umano, ha fatto capolino sulle sponde...Nelle acque cristalline delle rogge, i canali artificiali per l'irrigazione, si possono ammirare le evoluzioni subacquee del simpatico tuffetto, un piccolo anatide che somiglia alle paperelle giocattolo, ma anche le immersioni dell'elegante svasso o della rumorosa folaga. In alto, sopra le radure, le piccole isole sabbiose o le anse dai greti più scoperti, è possibile scorgere il volo planato del falco pescatore o dell'aquila anatraia, mentre nei rami fluviali senza sbocco, le lanche più isolate e pulite, sopravvivono la tartaruga palustre europea e persino il gambero di fiume." (pleinair.it)

     
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