FARI

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  1. gheagabry
     
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    Il Faro di Mangiabarche



    Il faro di Mangiabarche è sicuramente unodei luoghi più belli e suggestivi di Calasetta, Sardegna



    ''Vidi un grande scoglio, circondato da altri più piccoli, dei quali emergevano dall' acqua solo le punte. Aguzze e pericolose. Le onde spinte dal maestrale si schiantavano contro le rocce, arrivando a bagnare con i loro spruzziil faro che si ergeva nel punto più alto. L'origine del nome era evidente:sembrava la dentatura di un mostro marino''


    Tratto dal libro ''Il Mistero di Mangiabarche''
    di Massimo Carlotto





     
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  2. gheagabry
     
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    St. Joseph, Michigan


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    Fotografia di Mike Gatch, Your Shot

    Questo faro a St. Joseph, nel Michigan, è costretto a fare il doppio lavoro: sentinella nella notte e cuscinetto contro gli spruzzi d'acqua gelida. Libbrecht ha spiegato che sono stati i getti d'acqua dal lago Michigan a trasformarlo in questo specie di ghiacciolo di brina.
    La brina si forma quando la temperatura delle gocce d'acqua scende sotto zero. A quel punto le gocce si congelano non appena entrano in contatto con una qualche superficie, creando così un rivestimento di ghiaccio.




    national geographic
     
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  3. gheagabry
     
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    Baltimore Lighthouse by Nick^D

     
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  4. gheagabry
     
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    Seaham, Contea Durham Inghilterra
    Fotografia di Owen Humphreys

     
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  5. gheagabry
     
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    (dal web)



    ...
    Eppure in quel vuoto d’alberi,
    in quella persa allegria di fogliame,
    l’orlo dell’estremo niente
    si mostra con un tepore
    di appartenenza, con un arido guizzo
    di prossimità alla sapienza delle ombre,
    al loro dialogo assiduo con la luce.

    Si può avvertire, qui, il suono
    della lontananza che lambisce la quiete,
    perché la terra è parte del cielo.
    ....
    (Antonio Prete)

     
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  6. gheagabry
     
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    Faro, Charles Fort, Contea Di Cork, Irlanda

     
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  7. gheagabry
     
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    IL FARO DI CAPE HATTERAS



    l Faro di Capo Hatteras è probabilmente il faro più conosciuto ed uno dei più fotografati degli Stati Uniti. Ha un segno distintivo molto particolare nella sua piattaforma di mattoni rossi e granito e nella sua decorazione a spirale bianco e nera. Con i suoi 60 metri è il Faro più alto degli U.S.A.
    La sua collocazione è anche molto particolare : si trova nel Sud Est degli Stati Uniti, a Buxton, nel North Carolina ed è situato sugli Outer Banks, una barriera sabbiosa interrotta da isole, che si snoda dalla Virginia al Sud Carolina, parallela alla costa. Nel punto in cui il Faro è collocato la costa si estende come un cuneo all'infuori e le correnti dell'Oceano Atlantico ed i banchi di sabbia sono una vera minaccia per le navi di passaggio. Il tratto di mare antistante il Faro si è guadagno nel tempo l'inquietante nome di "Cimitero dell'Oceano" a causa delle centinaia di relitti che giacciono in fondo al mare. Vi si trovano bastimenti a vela del 1800, navi mercantili e persino due U-Boat tedeschi affondati durante la Seconda Guerra Mondiale. Le due grandi correnti atlantiche, la calda Gulf Stream, o Corrente del Golfo, proveniente da Sud e la fredda corrente del Labrador, proveniente da Nord, si incontrano proprio in quel punto, causando pericolosi gorghi e movendo in continuazione gli insidiosi banchi di sabbia. In particolare un pericoloso banco, conosciuto come Diamond Shoals, che si estende a 14 miglia dalla costa è stato il maggior responsabile di tutti i naufragi che si sono verificati.

    Con il suo disegno a spirale a larghe strisce somiglia un po' all'insegna dei barbieri vecchio stile, il faro di Cape Hatteras, nel Nord Carolina, così caratteristico da essere stato eletto a simbolo dell'intero stato. E così prezioso, che quando l'avanzata del mare lo ha minacciato, si è deciso di spostarlo in un punto più sicuro della costa. E' successo nel 1999. Già a partire dalla data di costruzione del faro definitivo, nel 1870, era iniziata un'azione di lenta ma inesorabile erosione della costa. Situazione che iniziò a farsi preoccupante a partire dal 1919, quando la battigia era avanzata fino a circa 90 metri dalla torre. Si iniziarono allora opere di contenimento e di barriera, ma senza risultato: anno dopo anno, centimetro dopo centimetro, le onde stavano letteralmente mangiando la terraferma. Finché negli anni Novanta, non senza qualche polemica, e il timore che il faro non sopravvivesse, si decise di spostarlo di 900 metri verso l'entroterra. Ma senza smontarlo: il faro fu caricato su una grande piattaforma e spostato un pezzetto alla volta fino alla sua nuova ubicazione.

    ...la storia...



    La storia di questo faro inizia nel 1789 quando lo stesso Presidente degli Stati Uniti, Thomas Jefferson, autorizzò un certo Alexander Hamilton di studiare la possibilità di costruire un faro come aiuto alla navigazione. La località adatta venne individuata proprio a Capo Hatteras, su una piccola collina, e, dopo vari ritardi, la costruzione della torre originale, affidata a Henry Dearbon, che in seguito divenne Segretario alla Difesa, fu ultimata nel 1803 ed il primo Guardiano del Faro, Adam Gaskin, venne nominato dallo stesso Presidente. La torre era alta 27 metri e la lanterna circa 3 metri ed era illuminata da 18 lampade alimentate con olio di balena. Fu subito chiaro però che questa lanterna non era abbastanza potente da essere vista da una distanza necessaria a tenere le navi lontane dai terribili Diamone Shoals così, nel 1815, le 18 lampade a olio di balena furono sostituite con un sistema di lampade Argan brevettate da Winslow Lewis. Benché fosse un grosso miglioramento si dimostrò ancora insufficiente per illuminare quel pericoloso tratto di mare, ma fu solo nel 1852 che furono stanziati i fondi necessari per grossi lavori di miglioramento. La torre fu alzata fino a 45 metri, la lanterna venne dotata di lenti di Fresnel e furono costruiti gli alloggi per i guardiani del faro. Il lavoro fu terminato nel 1854. Durante la Guerra di Secessione Americana, iniziata nel 1861, tutti i fari degli Outer Banks furono oscurati dai Confederati del Sud per evitare che potessero aiutare l'Unione del Nord nella navigazione costiera.
    Tuttavia le truppe dell'Unione conquistarono ugualmente la zona e naturalmente anche i fari, cercando di rimetterli in funzione, mentre le truppe del Sud cercavano di distruggerli, riuscendo in alcuni casi nel loro intento, ma per fortuna il Faro di Capo Hatteras si salvò. Tuttavia alla fine della Guerra Civile, nel 1865, il Faro mostrava i segni del tempo e fu anche deciso che, a causa degli alti costi, una sua ristrutturazione era fuori discussione, tanto valeva costruire un nuovo faro. Nel Marzo del 1867 il Congresso degli Stati Uniti stanziò i fondi per la costruzione di una nuova torre che avrebbe dovuto essere innalzata secondo i migliori standard dell'epoca. Il nuovo Faro fu costruito da Dexter Stetson in una nuova collocazione proprio sulla barriera di sabbia ed il lavoro, iniziato nel 1868, fu completato nel 1870. Il Faro era alto 60 metri ed è lo stesso che possiamo ammirare oggi. All'inizio la torre fu dipinta con i colori di quella precedente, la parte alta rosso mattone e la parte bassa, fino a sei metri di altezza, grigia, ma ben presto fu deciso di modificare queste tinte che non risultavano ben visibili durante il giorno e nel 1873 il faro venne dipinto con la spirale bianca e nera. Quando la costruzione fu ultimata nel 1870, il Faro distava circa 500 metri dal mare, nel 1920 l'Oceano era arrivato a solo 90 metri dalla base della torre, e continuava ad avvicinarsi e nel 1931 le onde, durante una tempesta, arrivarono a lambirlo.
    Per paura che la torre potesse essere abbattuta dalla furia del mare una nuova torre fu innalzata su una piccola collina boscosaCapo Hatteras nuova collocazione - clicki to enlarge a circa 2 chilometri a ovest di quella esistente. Si trattava di una torre a traliccio alta 45 metri che fu completata nel 1936. A quei tempi il servizio Fari in America era appannaggio del U.S. Lighthouse Service che chiese e ottenne di includere la vecchia torre e tutto il territorio circostante nel Parco Nazionale degli Outer Banks che sarebbe stato una dei più grandi parchi d'America in riva al mare. Intanto venivano portati avanti lavori per proteggere il vecchio Faro dal mare che avanzava e furono innalzate dune di sabbia per tutta la lunghezza della spiaggia di Capo Hatteras. Ma l'Oceano è strano e capriccioso, dal 1920 cominciò a recedere e nel 1937 era di nuovo a quasi 200 metri dalla base della torre. Nello stesso anno furono eseguito altri lavori di manutenzione e riparazione e fu istituito il Cape Hatteras National Seashore Recreation Area (come a dire una Parco Nazionale) che non fu però ufficialmente aperto fino al 1953.Nel 1942, durante la Seconda Guerra Mondiale, il Faro di Capo Hatteras fu oscurato e divenne un luogo di avvistamento per gli U-Boat Tedeschi, ma fu anche tanto trascurato che alla fine delle guerra erano in molti a darsi a vicenda la colpa delle sue condizioni. Nel tempo il Faro di Capo Hatteras è rimasto lì, altero e immobile, con l'Oceano che si avvicinava e si allontanava dalla sua base. Per evitare che l'erosione lo minacciasse ancora furono spesi milioni di dollari in opere di contenimento, ma l'Oceano voleva la sua vittima. Durante di anni '80 del 1900 nacque l'idea di spostare il Faro più lontano dal mare. Gli esperti di ingegneria dell'Università del North Carolina confermarono che il Faro doveva essere traslocato e che era in perfette condizioni per sopportare questa operazione. Finalmente nel 1998 arrivarono i fondi e furono iniziati i preparativi per questo complicato trasloco. Non può esistere una ditta specializzata nel trasloco di un Faro, ma vennero scovati i migliori esperti nel trasloco di case, cosa abituale negli Stati Uniti, coadiuvati da architetti, ingegneri e tutto il personale necessario per assisterli.

    Questa impresa che a molti sembrava impossibile si concluse il 14 Settembre 1999, appena prima che l'uragano Dennis spazzasse le coste del North Carolina e fu conclusa con successo. Prima furono traslocate le case dei guardiani, seguite poi dal Faro, che, trasportato su delle rotaie appositamente costruite, fu ricollocato a circa 885 metri a Sud Ovest dalla sua originale posizione. Ora il Faro di Capo Hatteras dista dal mare circa 500 metri, come all'epoca della sua costruzione nel 1870. La Lanterna è stata riaccesa il 13 Novembre 1999 e la torre riaperta al pubblico, con una grande cerimonia, il 26 Maggio del 2000. (www.ilmondodeifari.com/)

    La solitudine d’un faro
    ha per compagno solo
    il rumore de l’onda
    e riposa s’uno zoccolo
    annegato nel blu del mare.
    Rocciose coste scoscese
    s’adagiano su rive sabbiose,
    anse da gl’inquietanti riflessi,
    selvagge e solitarie a fronte
    di melanconici isolotti
    verdeggianti che si specchiano
    nell’acqua cristallina
    e nudi frangenti attorniati da schiuma.
    Il cielo della notte
    che tutto avvolge
    è solcato dal ritmico andare
    d’un raggio
    che la solitudine del faro
    lancia, quasi un grido d’aiuto.
    (Arianna De Corti)

     
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  8. fasanotto
     
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    graziee
     
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  9. gheagabry
     
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    “Il Faro torreggiava, nudo e diritto, scintillando, bianco e nero e si vedevano già le onde che si frangevano in bianche schegge come frammenti di vetro sugli scogli”
    (da “Gita al Faro” di Virginia Woolf)


    IL FARO



    I primi rozzi segnalatori marittimi li costruirono i fenici. Grandi navigatori, sapevano bene che il mare di notte è uno degli ambienti più ostili. Per millenni i fari furono l’unico modo per avvistare un porto o uno scoglio pericoloso. Il più famoso, quello che diede il nome a questi edifici, era la torre alta 130 metri costruita da Sostrato di Cnido agli inizi del III sec. a. C. sull’isola di Pahtos, ad Alessandria d’Egitto. Ospitava sulla sua cima un grande fuoco visibile fino a 40 chilometri e si guadagnò un posto nella lista delle Sette meraviglie del mondo antico, prima di essere abbattuto da un terremoto. Tra il 1200 e il 300 a. C., i greci e i romani costituirono decine di fari analoghi nel mediterraneo e sulle coste dell’Atlantico, tutti molto simili tra loro: semplici torri sulle quali si accendeva un fuoco. Anche quelli medioevali, come la celebre lanterna di Geneva, erano di questo tipo. Le cose cominciarono a cambiare all’inizio dell’età moderna. Dapprima i tentativi furono incerti, nel 1532 si fecero esperimenti per raccogliere la luce con l’impiego di specchi piatti di metallo posti dietro la sorgente luminosa, in modo da ottenere un bagliore visibile. Poco dopo si provò a usare il carbone come combustione, con queste condizioni favorevoli la luce poteva essere visibile fino a 10-15 km, ma il carbone non era facile da procurare. I primi veri riflettori per fari apparvero solo nella seconda metà del 700 per merito di William Huthchinson, responsabile del porto di Liverpool. Erano grandi strutture emisferiche realizzate da una sagoma in legno da cui era stata ricavata in gesso la struttura cava del riflettore. Su questa venivano fissate tante piccole superfici riflettenti in stagno per concentrare la luce verso il mare.
    Nel 1698 fu inaugurato in Inghilterra il faro di Eddystone, il primo costruito in mare aperto, a circa 14 miglia a sud del porto di Plymuoth. Fu realizzato quasi per scommessa dall’armatore inglese Henry Winstanley. Egli perse una nave sulla pericolosa scogliera che in quel punto emerge appena dall’acqua e decise di porre rimedio a quell’insidia. Fu un’impresa al limite dell’impossibile. La scogliera è coperta dall’acqua e dalle onde per gran parte del tempo, e lavorarci era impossibile e pericoloso. Inoltre, l’Inghilterra all’epoca era in guerra con la Francia: un corsaro francese a un certo punto piombò sul faro in costruzione e fece prigionieri tutti gli operai portandoli in Francia. Per fortuna il re francese Luigi XIV, non appena venne a saperlo, li liberò immediatamente dichiarando che lui era “in guerra con l’Inghilterra, non con l’umanità”. In effetti l’utilità di un faro in quella posizione era evidente: nei 5 anni in cui la torre, alta circa 10 metri, rimase in servizio, nessuna nave fece naufragio. Ma nella notte tra il 25 e il 26 novembre 1703 l’Inghilterra venne colpita da una delle tempeste più violente della sua storia, che spazzò via anche il faro: il giorno dopo una nave naufragò sulla scogliera di Eddystone. Era chiaro che si doveva ricostruire il faro al più presto, e così avvenne. Da allora, il numero delle navi affondate in quel punto calò drasticamente. A rendere ancora più sicuri i mari fu però l’invenzione di un uomo nato dove il mare non c’è. Era la fine del 700 quando il fisico svizzero Aimé Argand costruì la sua rivoluzionaria lampada a olio. L’idea geniale consisteva nel dare allo stoppino una sezione circolare, anziché piatta, e nel posizionalo sopra un telaio cilindrico: in questo modo si creava una forte corrente d’aria che saliva dentro la fiamma e le permetteva di bruciare con poco fumo, senza bisogno di sorvegliarla continuamente.
    Le lampade Argand vennero presto perfezionate costituendo per anni la sorgente luminosa preferita dai progettisti dei fari. Ma non era ancora abbastanza per bucare la notte sul mare in tempesta.
    La soluzione la trovò il francese Auguste Fresnel, che nel 1822 progettò la lente che porta il suo nome ed è utilizzata ancora oggi. Si trattava di una lente di grandi dimensioni (può superare i tre metri di altezza) formata da anelli concentrici di vetro, a sezione prismatica, attorno a una piccola lente centrale. Rispetto a lenti e a specchi tradizionali, il nuovo sistema permetteva di ridurre la qualità di vetro, e quindi il peso, con una maggiore portata del fascio luminoso. Sorse un problema inatteso: la luce dei fari si confondeva con quelle delle città, nate con la rivoluzione industriale. Alla metà del 700 lo svedese Jonas Norberb ebbe l’intuizione di usare una luce intermittente e costruì un nuovo faro dotato di una sistema di specchi rotanti, azionati da un meccanismo ad orologeria. Nell’800 il codice fatti di lampi lunghi alternati a lampi brevi o pause di buio venne universabilmente adottato per identificare in modo certo i fari avvistati sulla costa. Ora che i fari divennero efficienti, si trattava di metterli in funzione convincendo qualcuno a vivere su promontori remoti e battuti dalle tempeste. I guardiani dei fari spesso rimanevano isolati per mesi. La vita durissima, anche se talvolta venivano accompagnati dalle famiglie. Alcuni di loro si sforzavano di allevare animali domestici o coltivare piante da frutto. I guardiani dovevano essere anche in grado di compiere piccole riparazioni per tenere in efficienza la lanterna e la fonte luminosa, nonché le attrezzature dell’impianto. Alcuni fari si trovavano su isole così scoscese da non avere neppure un minuscolo porticciolo per l’approdo: gli uomini dovevano arrivare a riva sulle scialuppe della nave che li aveva portati fin lì e che, magari, sarebbe ripassata dopo mesi per riprenderli, oppure venivano sbarcati con una teleferica volante collocata sulla nave e il faro per il tempo necessario al trasbordo. Il record non ufficiale di permanenza di una squadra di guardiani bloccati nel loro faro dalle tempeste è di 100 giorni.
    Alcuni fari erano così esposti che durante le tempeste i guardiani rischiavano di essere spazzati via, come avvenne nel 1911 con gli uomini al faro di Jument, sull’isola di Ouessant, in Bretagna, considerato uno dei più pericolosi: “ Da cinque giorni la tempesta atlantica sferza con violenza il faro, bloccandoci dall’interno…Dalle finestre grondanti d’acqua vediamo in distanza la barca di salvataggio in difficoltà, sballottata dalle onde e dal vento , il capitano non riesce ad accostare alla base del faro. Per l’equipaggio a bordo è impossibile lanciare verso di noi il cavo di salvataggio [..] le onde sono talmente alte e potenti che raggiungono la lanterna situata a 42 metri d’altezza scuotendo con forti boati e tremolii, l’intera struttura di pietra e cemento. In cima al faro la vasca della lanterna contenente il mercurio, usata per sostenere il gruppo ottico, si è spaccata ed il metallo liquido si è riversato all’interno colando lungo la scala a chiocciole sino a raggiungere e inquinare le scorte di acqua potabile della cisterna[..]diversi contenitori di pesce secco sono stati spazzati via dalle ondate che violentemente entrano dalle finestre e dalle porte dei piani bassi ormai completamente rotte o sfondate. Durante la notte appena trascorsa si sono aperte alcune crepe alla base del faro minacciando la stabilità della struttura” dopo 5 notti e cinque giorni passati in queste condizioni la tempesta di placò quel tanto che bastava per evacuare la squadra.
    (Paolo Rossi, focus storia sett 2013)
     
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  10. gheagabry
     
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    "Inspiegabili emozioni suscitano luoghi solitari
    e congiunti tra la salsedine del mare ed il freddo vento che spira ...."


    IL FARO DI CAPO GALLO



    Il Sentiero dei Cavaddari, a Barcarello, già noto nel 1600, negli anni è scomparso. Fu realizzato per esigenze
    militari per permettere ai cavaddari, guardie a cavallo, di controllare la zona e dare l'allarme con fani (segnali di fumo) e borgne (grosse conchiglie che emettevano suoni), le torri di avvistamento di Malopasso, nei pressi di Capo Gallo, e Sferracavallo. A Capo Gallo, in Sicilia, vi è un faro che anticamente veniva chiamato “lanterna”, il suo ruolo era quello di segnalare alle navi in arrivo la presenza dei due Golfi: Mondello e Sferracavallo. Costituito da una torre centrale addossata ad un edificio bianco, fu costruito nel 1854 e rappresentò per quasi un secolo un insostituibile riferimento per tutte le imbarcazioni che transitavano, essendo ben visibile ai naviganti fino ad una distanza di 23 km dalla costa. Il complesso del faro sorge su uno dei punti più strategici della costa settentrionale di Monte Gallo. Le stanze che circondano la torre centrale in passato servivano per ospitare i tecnici e gli ufficiali della Marina Militare che si alternavano alla vigilanza del mare. Esternamente è presente un cortile dove si trovava un profondo pozzo che serviva come approvvigionamento di acqua potabile. Alle spalle del complesso furono edificate delle spesse mura con lo scopo di proteggere il faro dai distaccamenti di roccia dalle pareti poco compatte del promontorio, che rotolano pericolosamente fino a raggiungere il mare sottostante.

    Oggi il faro è abbandonato al suo destino, corroso dalla salsedine, dai forti venti e dal passare incessante del tempo; questa struttura attende da troppo tempo il recupero e la creazione di una stazione di biologia marina, per poter osservare uno dei pochi tratti marini più integri della costa siciliana.
     
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  11. gheagabry
     
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    FARI NELLA NOTTE



    Fari si spengono nella notte davanti ad una scogliera. Il vento soffia forte portando segni d’acqua sul parabrezza della macchina ormai ferma nel buio. Il finestrino si abbassa emettendo un sibilo che interrompe il suono incessante delle onde che si infrangono sugli scogli. Aria fresca e salmastra attraversa i capelli e carezza la pelle del viso di un uomo con lo sguardo perso nell’infinito. La porta della macchina si apre e le luci del suo interno illuminano lo spazio intorno; un rumore, la porta si chiude e poco dopo la luce scompare. Passi decisi verso gli scogli, passi convinti verso l’infinito e verso quella immensa distesa scura, agitata che sembra chiamarlo a se. Toglie le scarpe e le lascia ai piedi di quella distesa di roccia che si protende verso il mare. Piedi nudi, passi incerti ora a causa di quel terreno ispido e sconnesso; percorre quella striscia di roccia che sembra essere un ponte proteso verso l’infinito. Giunto alla estremità della scogliera, l’uomo si siede; gambe incrociate e occhi chiusi. Fermo immobile in attesa dell’onda più forte, in attesa che quei segni d’acqua coloriscano il suo volto con le perle di acqua salmastra. Fermo, immobile in attesa dell’appuntamento di quella sera, l’incontro con la compagna luminosa delle sue notti magiche. Un silenzio irreale prepara l’onda più forte, l’uomo percepisce in quella improvvisa assenza di suoni l’imminente arrivo dell’attimo tanto atteso. Schegge di acqua come cristalli segnano il viso dell’uomo che tradisce un sorriso di gioia; di nuovo altro attimo di silenzio e ancora un’onda più forte della prima lancia i suoi tentacoli verso il volto dell’uomo come fossero dita di una mano che carezzano dolcemente il volto in attesa di quel gesto colmo d’amore. Brividi continui sferzano la pelle e scuotono il cuore di quell’uomo; cuore impazzito di gioia come quello di un bambino che riceve la carezza colma di dolcezza e amore della propria mamma. Sta arrivando l’ora del’incontro; l’uomo si abbandona distendendosi con dolcezza sulla parete dura e ispida delle rocce. Prima di distendersi completamente, getta uno sguardo verso l’orizzonte e si emoziona nel vedere le mille increspature bianche delle onde che fanno contrasto con la distesa scura e infinita del mare davanti a lui. Una folata di vento più forte spazza via l’ultima nube tra lui e l’amata attesa da tempo. Capelli si muovono per quell’ultima sferzata di vento, è il segno, il momento è finalmente arrivato. Apre gli occhi e finalmente davanti a lui si presenta l’attesa compagna, l’ispiratrice magica di mille pensieri, di altrettante riflessioni di infinite emozioni. Intorno a se, grazie a quella presenza, c’è finalmente luce; la distesa davanti a lui che prima era scura, ora era ricco di una miriade di riflessi come brillanti distesi e come le stelle in cielo stellato. Disteso sugli scogli, occhi aperti, distende le sue braccia verso il cielo e protende le sue mani verso la sua amica tanto desiderata: “Luna abbracciami, carezzami con i tuoi delicati raggi, donami la magia della tua essenza”; un silenzio più grande che prelude ad un’onda ancora più forte; l’uomo socchiude gli occhi in attesa di altri segni sul suo viso dal mare … ancora silenzio, occhi chiusi ancora più forte; l’onda non arriva, attimi interminabili. Un brivido sulla pelle un tumulto nel cuore, una carezza un soffio sulle sue labbra, l’uomo sorride, non ci sono segni dell’onda sul suo viso … apre gli occhi, un attimo, coglie un sorriso della sua amica Luna e un raggio della sua luce gli carezza il volto con dolcezza. Inizia così un dialogo che dura da sempre e si protrarrà per sempre mentre tutto intorno Il mare si calma in una pace irreale a fare da cornice ad un incontro davvero speciale, unico.
    (Claudio)
     
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