I GRANDI FOTOGRAFI

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    «Il fascino inesauribile per le persone che fotografo risiede per me in quello che io chiamo la loro forza interiore. Questa forza è parte del segreto, difficile da definire, celato in ciascuno di noi e il tentativo di fissarlo sulla pellicola è stato ed è il compito della mia vita.»



    KARSH, Yousuf

    1908 Mardin (Armenia) - 2002 Boston




    Nel 1924, all'età di 16 anni, Karsh emigra in Canada dove raggiunge lo zio, l'affermato fotografo George Nakash. In questo periodo Karsh scopre la passione per la fotografia e con l'aiuto dello zio apprende i rudimenti dei mestiere. Nel 1928, George Nakash permette al nipote di lavorare come apprendista presso il ritrattista John H.Caro a Boston al quale, oltre a una solida preparazione, Karsh deve anche la conoscenza dei grandi maestri della pittura e dell'arte in genere. Nel 1932, Karsh si stabilisce a Ottawa dove apre uno studio indipendente. In questa città conquista ben presto la fama di ritrattista straordinariamente dotato e tra i suoi clienti comincia a vantare personalità illustri del mondo della politica, delle scienze e dell'arte. Il successo sulle scene internazionali arriva nel 1941, con il ritratto di Winston Churchill. La fotografia in cui il penetrante sguardo di Churchill coinvolge l'osservatore, viene pubblicata sulla copertina di «Life» ed è oggi tra i suoi ritratti più riprodotti.
    Karsh non ha circoscritto la propria attività al suo studio, ma ha preferito ritrarre i suoi soggetti nell'ambiente a loro familiare. Ha pubblicato i suoi ritratti in numerosi volumi e spesso ne ha rivelato la genesi con brevi aneddoti.



    Yousuf Karsh sceglie di concentrarsi solo sulla purezza espressiva dei volti e dei corpi , che riesce a far emergere attraverso l’uso della luce e dei contrasti cromatici del bianco e del nero (ma è maestro anche nell’uso del colore). Ne scaturiscono immagini pulite, ma allo stesso tempo potenti attraverso le quali l’autore riesce a comunicarci l’importanza e il valore del personaggio ritratto, racchiuso in un’atmosfera fuori dal tempo. Come una nuova icona. I soggetti sono collocati in sfondi scuri, dai quali emergono grazie all’illuminazione, oppure sono posti su sfondi chiari, coi quali contrastano grazie al disegno delle ombre. Posano attenti e severi, come statue morbide e modellate nello spazio, le loro personalità sono ampiamente descritte dalla scelta della posa e dalla gestualità del corpo, che si relaziona con lo sguardo dell’artista. Sono pero’ soprattutto gli sguardi dei soggetti a parlarci di loro, sono gli occhi che potentemente si fissano nell’obiettivo, quasi sfrontati e sicuri; gli occhi che sfuggono, chiudendosi in loro stessi, quasi misteriosi, grazie alla sicurezza offerta della posa di profilo e di tre quarti. L’artista elabora una vera e propria monumentalità, costruisce una nuova mitologia, quella dei personaggi famosi, divinità terrene. Lo fa scegliendo per loro la posa che meglio possa esprimerne l’immagine pubblica, tuttavia lasciando volutamente emergere anche la loro interiorità, sottesa in ogni scelta espressiva delle sue opere fotografiche.




















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  2. gheagabry
     
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    “Pochi fotografi hanno considerato la fotografia di animali selvaggi come una forma d'arte. L'enfasi è stata posta, in genere, sul cogliere la spettacolarità degli animali in azione, sul catturare il singolo momento drammatico, in opposizione agli animali colti semplicemente nel loro stato di essere. Ho sempre considerato questo come un'opportunità sprecata”.


    NICK BRANDT



    Nick Brandt è un fotografo inglese noto per immagini in bianco e nero piene di luci drammatiche dove gli animali non sono soltanto personaggi principali, ma attori consumati di quadri compositivi di straordinaria bellezza.
    Nato a Londra nel 1966, Nick Brandt studia cinema e pittura alla St. Martin's School of Art. Trasferitosi negli Stati Uniti nel 1992 (oggi vive in California), si dedica con successo alla regia di videoclip per artisti del calibro di Michael Jackson (Earth Song, Stranger in Moscow) e Moby. Durante la direzione di Earth Song, in Tanzania nel 1995, si innamora dell’incredibile fauna africana e dei meravigliosi paesaggi della savana.
    La sua carriera fotografica inizia nel 2000, in Africa. Nel 2005 pubblica il suo primo libro, On this Earth; espone nelle più grandi gallerie di Londra, Berlino, Amburgo, New York, Los Angeles, Santa Fè, Sydney, Melbourne e San Francisco. Nel 2009 pubblica A Shadow Falls, il secondo libro della trilogia che dovrebbe completarsi intorno al 2013.



    “A parte l'uso di certe tecniche fotografiche, c'è una cosa che credo faccia la differenza: mi avvicino molto a questi animali selvaggi, spesso a poche decine di centimetri da loro. Non uso teleobiettivi. Questo perché voglio vedere quanto più possibile cielo e paesaggio, vedere gli animali nel contesto del loro ambiente. In questo modo le foto riguardano tanto l'atmosfera del luogo, quanto gli animali. Inoltre, essendo così vicino ottengo una sensazione di intimo contatto con l'animale che mi è di fronte”.



    La fotografia di Nick Brandt si caratterizza per l’uso di un bianco e nero pittorico dai tratti epici. Il fotografo inglese, attraverso un sapiente uso della composizione, ritrae animali maestosi che sembrano quasi in posa, in una natura spoglia e solenne. Ogni scatto rende omaggio ad una natura incontaminata e salvaguardata dalla cruda realtà, come fosse un Eden che sopravvive nel nostro immaginario.

    Primi piani intensi, profili intimi ed emozionanti di animali che vivono in una placida e totale simbiosi con il loro habitat. Immagini idilliache e romantiche di un continente incantato, elegia di un mondo che sta costantemente e tragicamente svanendo.



    «Cosa succede a questa terra sanguinante. Non ci accorgiamo di ferirla. Cosa succede al valore della natura. E' il grembo del nostro pianeta. Cosa succede agli animali. Abbiamo trasformato i regni in polvere», cantava quindici anni fa Michael Jackson nella sua Earth Song, in un grido disperato per la Terra, trasformato in un meraviglioso video dal regista e fotografo inglese Nick Brandt. Furono quelle immagini dal forte impatto emotivo, girate in diverse zone dell'Africa e in Croazia durante la guerra nei Balcani, a contribuire al successo del brano e a consacrare l'impegno ambientalista della pop star.
    Nick Brandt oggi espone nella galleria berlinese Camera Work uno strepitoso lavoro fotografico sull'Africa e suoi abitanti senza voce: animali immortalati nella natura selvaggia, ritratti con una loro espressività umana, quando l'aggettivo "umano" significa ricco di sentimenti e speranze: «Mi sono innamorato perdutamente dell'Africa nel 1995, quando andai per la prima volta proprio per dirigere il video di Michael Jackson. Da allora non l'ho più lasciata.



    «Il mio rapporto con l'Africa è profondo, basato su un'energia emozionale. Il legame con gli animali viene prima di tutto, anche prima delle fotografie. C'è qualcosa di iconico, forse persino mitologico, in questi animali, il resto lo fanno le grafiche perfette tracciate dai maestosi alberi di acacia e i cieli immensi». L'intento, perfettamente riuscito, era quello di dare una personalità a ogni essere vivente, perché nella sua macchina fotografica ogni soggetto, umano e non umano, ha pari dignità. «Volevo creare un testamento per immagini, immortalare qualcosa che sta scomparendo troppo velocemente. Conservo la speranza che le persone, ovunque, si convincano che possiamo fare qualcosa per invertire al rotta e proteggere questi esseri viventi». Proteggere loro, per proteggere anche noi stessi, perché le catastrofiche relazioni di causa-effetto su scala planetaria sono ormai sotto gli occhi di tutti: «Riscaldamento globale, bracconaggio, deforestazione, siccità, crescita della popolazione, nuovo colonialismo cinese… sono problematiche interconnesse. Anche noi occidentali possiamo fare qualcosa cambiando le nostre abitudini di vita. Esistono poi numerose associazioni benefiche in Africa che supportano lo sviluppo locale, per incoraggiare le comunità a lavorare insieme per la salvaguardia degli animali e dell'ambiente naturale, che è la loro risorsa più importante. Sono essenziali le donazioni per le attività contro il bracconaggio e per la sopravvivenza dei campi in cui si lavora per fermare la caccia agli elefanti: è pericolosamente aumentata la domanda d'avorio dalla Cina. E poi, sembra scontato, ma evidentemente non lo è, nessuno dovrebbe portare via gli animali dal loro ambiente naturale».
    (sole24ore)




    C’è l’Africa elegiaca di Nick Brandt, che riesce ad andare al di
    là del déjà vu di tanta fotografia naturalistica e mostra
    animali della savana come in posa per un ritratto,
    fotografati senza l’ausilio di grandi focali, da vicino, come
    oggetti d’arte, restituiti in un superbo bianco e nero

    Eppure si tratta, ancora una volta, di leoni, zebre, elefanti,
    ippopotami, giraffe. In che modo la visione fotografica
    di Nick Brandt, resa in uno splendido bianco e nero, se lo è (e
    noi crediamo di sì), è diversa? Lasciamo la parola allo stesso
    autore, per spiegarcelo:
    «Pochi fotografi hanno considerato la fotografia di animali
    selvaggi, come qualcosa di chiaramente opposta al genere
    della fotografia naturalistica, come una forma d’arte. L’enfasi
    è stata posta in genere sul cogliere la spettacolarità degli
    animali in azione, sul catturare il singolo momentodrammatico,
    in opposizione agli animali colti semplicemente nel loro stato
    di essere. Ho sempre considerato questo come un’opportunità
    sprecata. Gli animali selvaggi africani si prestano alle foto che
    vanno esteticamente al di là della comune fotografia
    naturalistica dell’obiettivo 35 mm a colori. Ed è così che, a mio
    modo, vorrei trascinare l’oggetto della fotografia naturalistica
    nell’arena della foto d’arte. Fare foto che trascendano quello
    che è stato un genere ampiamente documentativo. A parte
    l’uso di certe tecniche fotografiche non pratiche, c’è una
    cosa che faccio mentre scatto che credo faccia la differenza:
    mi avvicino molto a questi animali selvaggi, spesso a
    poche decine di centimetri da loro. Non uso teleobiettivi.
    Questo perché voglio vedere quanto più possibile cielo e
    paesaggio– vedere gli animali nel contestodel loro ambiente.
    In questo modo le foto riguardano tanto l’atmosfera del
    luogo, quanto gli animali. Inoltre, essendo così vicino agli
    animali, ottengo un a sensazione di intimo contatto con loro,
    con l’animale che mi è di fronte. A volte ho la sensazione che
    si presentino per un ritratto in studio. Perché gli animali
    africani in particolare? E ancora più in particolare dell’Africa
    orientale? Forse c’è qualcosa di più profondamente iconico,
    mitico, persino mitologico negli animali dell’Africa orientale,
    in confronto per esempio all’Artico o al Sud America. C’è anche
    qualcosa di profondamente emozionante e commovente
    nelle pianure africane – le grandi distese di pianure
    punteggiate dagli alberi di acacia graficamente perfetti.
    Le mie immagini sono apertamente idilliache e romantiche,
    una sorta di Africa incantata. Sono la mia elegia a un
    mondo che sta costantemente, tragicamente svanendo».





    Nick Brandt è colui che nel 1995 diresse il video di Michael Jackson "Earth Song", dove il Re del pop lanciava il suo grido d'aiuto per la nostra Madre Terra. Le immagini di altissima qualità, girate tra Tanzania e Crozia, contribuirono al successo del brano e consolidarono l'impegno ambientalista per cui Michael era già noto.

    Oggi Brandt ha abbandonato la macchina da presa per la quella fotografica, ma da quando girò il videoclip di cui sopra, non si staccò più nè dall'Africa e nè tantomeno dalla causa per la salvaguardia del pianeta.
    Nel 2000 cominciò così il suo nuovo progetto, una trilogia di libri fotografici che immortalano la grandezza e la drammaticità della natura che sta inesorabilmente scomparendo giorno dopo giorno.
    Fin'ora i primi due, "On This Earth" e "A Shadow Falls" hanno lasciato a bocca aperta un pò tutti, pubblico e critica. Il terzo e conclusivo capitolo sarà presentato nel 2013 e probabilmente andrà a completare la frase che nasce dall'unione dei tre titoli.


















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    Marsel van Oosten

















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    ANGELO MAZZOLESI





    Sono nato a Firenze il 7 Giugno 1952 ed ho trascorso l’infanzia parte in Toscana, parte in una località montana bergamasca dove mio padre faceva il veterinario : paesaggi ed immagini diverse ma accomunate dalla presenza di una realtà naturale ancora incontaminata e che hanno naturalmente influito molto sulle mie scelte successive in tutte le loro varie manifestazioni .
    Mi sono occupato nel tempo: di arte, storia , letteratura e, a livello dilettantesco , di paleontologia (con la classica fortuna del principiante di scoprire un fossile di genere nuovo cui è stato attribuito il mio nome nelle relative pubblicazioni scientifiche ) ed infine naturalmente , anche di fotografia .

    L’interesse per il mistero del passato, per la natura, ma soprattutto la ricerca del senso delle nostre origini è uno degli elementi caratterizzanti e unificanti di tutta la mia esperienza sia in campo artistico che fotografico .

    Durante il corso della mia attività pittorica e scultorea , ormai trentennale , ho avuto modo di sviluppare una ricerca espressiva e sperimentale nel settore della fotografia generale creativa, poi ho intrappreso un percorso anche in ambito più specificamente naturalistico...



    Amore per la natura a parte , il mio obiettivo forse ambizioso , era ed è quello di scoprire se sia possibile raggiungere risultati non solo creativi ma più propriamente artistici, anche in questa ultima tipologia .
    Mi hanno sempre attratto in particolare le dimensioni , spesso ignorate, del fantastico micro e macro universo naturale, ma il mio intento principale è quello di rappresentarle con un linguaggio diverso da quello del fotografo classico e documentarista . Ho cercato e cerco cioè di raccontare la natura con creatività e fantasia , pur senza stravolgerne la realtà, interpretandola nell’interno, nell’ ottica di un artista o meglio ancora di un bambino che riscopre se stesso in un mondo ancora meravigliosamente puro, anche se sempre più minacciato dalle ombre dell’indifferenza , degli interessi economici e di una tecnologia umana spesso senza regole .

    Nel mondo esistono, per fortuna ancora integre, piccole oasi di semplice tranquillità, dove la vita degli esseri viventi trova il suo compimento in un intreccio di magiche e singolari relazioni e dove io spesso mi rifugio per contemplare e riprendere attimi della vita che scorre parallela intorno a noi . Qui sono nate spesso le mie piccole finestre sperimentali creative su un mondo capace ancora di stupire chi lo sappia osservare con l’innocenza visionaria che è in ognuno di noi cercando di coglierne l’essenza .



    Anche quando faccio semplici foto tradizionali, non amo le fotografie statiche e ripetitive o unidimensionali , preferisco quelle da ogni angolazione , mi piace ritrarre la natura a tutto tondo ed in movimento perché per me l’essenza della natura e della vita sono essenzialmente movimento e luce.

    La luce è l’anima sia di un dipinto sia di una fotografia è l’anima dello spirito del mondo.
    Nello specifico, ritengo che una fotografia artistica debba avere in fondo gli stessi elementi di base di un buon dipinto : tecnica di base adeguata , un progetto , un contenuto - messaggio valido, profondo ed originale , una buona composizione e soprattutto la capacità di trasmettere emozioni e pensieri al di là dell’apparenza e del reale , evocando suggestioni interiori a chi la guarda . Indipendentemente dalla tecnica utilizzata per realizzare una foto , per me è il messaggio finale che conta più di tutto .

    Come tutte le espressioni umane, anche la fotografia è un linguaggio e, per essere valido, deve saper comunicare col mondo.

    In questo mio percorso di ricerca creativa , son partito da foto documentative e tematiche con carattere di denuncia ambientale per poi arrivare a forme di espressione simboliche , surreali o concettuali di tipo interiore e tuttora continuo a cercare nuove vie ed esperimento nuove tecniche sia di esecuzione che di postproduzione oltre che di contenuto.



    Quel che mi preme maggiormente insomma è cercare di andare dentro il cuore stesso della natura , dei suoi problemi ma con un linguaggio fotografico diverso da quello realistico , documentativo o scientifico, un linguaggio che può apparire ad alcuni innaturale ma nella sostanza io credo non lo sia affatto perché ognuno di noi a suo modo interpreta il reale quando scatta una foto . Si tratta semplicemente di scegliere se farlo tradizionalmente o attraverso un linguaggio diverso .

    Credo che ogni foto vada valutata sulla base della tipologia cui appartiene e usando i relativi parametri , per ciò che nel suo ambito sa esprimere e non certo per le tecniche utilizzate per realizzarla. Le tecniche e la postproduzione son solo dei mezzi, non la sostanza di un racconto . Questo per me vale indipendentemente dal fatto che si tratti di una foto documentativo- scientifica , creativa o pienamente artistica.

    Dietro ogni singola foto dovrebbe esserci infine un progetto, un’idea nel quadro generale del proprio percorso tematico o espressivo, insomma un proprio messaggio da lasciare al mondo .
    (Angelo Mazzoleni)







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  5. gheagabry
     
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    GREGORY COLBERT



    Gregory Colbert (Toronto, 1960) è un fotografo che deve la notorietà alla sua capacità di riprendere in modo inusuale, assai poetico, le relazioni tra uomini e animali. Le sue foto, color sabbia, trasmettono una dolcezza infinita e fanno provare una grande tenerezza. Di nessuna è possibile capire il luogo esatto dove è stata scattata ma, davanti a certe immagini, questo particolare appare del tutto superfluo. La maggior parte delle foto mostrano la totale comunione fra animali ed umani, sembra non esserci alcuna distinzione fra loro.



    Se la mia mostra e' radicale in qualcosa nella sua totale semplicita', - dice Colbert - sia un taglialegna che un broker di Wall Street possono capirla. Perche' la capacita' di sognare e' un dono di tutti.L'artista ha trascorso tredici anni a cercare per molte zone del mondo gli scatti perfetti che sono esposti in Ashes and snow.Le immagini che ha selezionato e installato non consentono di individuare la geografia del luogo ripreso.Mostrano Non Luoghi, non quelli descritti da Auge'; sono luoghi in cui si ritrova l'essenza, si richiama il Se', spazi meditativi e rituali.Nessun ritocco alle foto, la stampa e' effettuata su materiali preparati secondo antiche operazioni artigianali.



    Anche nell'installazione, Colbert sa andare oltre l'idea di spazi convenzionali e ristretti.La prima mostra nel 2002,a Venezia, ha riempito spazi che pochi artisti occupano con una personale. In seguito l'artista ha fatto costruire il Nomadic Museum, disegnato dall' architetto giapponese Shigeru Ban e realizzato interamente con materiali riciclabili e riutilizzabili, che viene smontato rimontato in diverse citta' del mondo.L'ultima ad accoglierlo e' stata Citta' del messico, nel 2009 fara' tappa in Brasile.Innumerevoli i visitatori dell'evento, molti dei quali si spostano e si organizzano in una specie di carovana viaggiante.L'opera e' una successione di visioni estatiche. Si incontrano i temi del viaggio, dell'associazione di mondi, luoghi, persone.E' contemplazione che porta alla contemplazione. Il dialogo fra l'uomo e 'animale non e' mai artificioso, e' empatia, rispetto e unita', l'affollarsi di archetipi, l'affacciarsi del numinoso.L'accostare il monaco che legge un libro all'elefante in sacrale ascolto suscitainsight senza fine.Corpi sospesi, donne dal vigore sciamanico che si mettono in rapporto con animali - medicina.

























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    Un tempo i cieli erano popolati di elefanti. Troppo pesanti per il volo, spesso urtavano le cime degli alberi, spaventando gli altri animali. Un giorno queste creature gentili decisero di rinunciare alle proprie ali e di trasferirsi sulla terra... le stelle che vediamo brillare nella notte sono elefanti che sognano: anche nel sonno tengono l'occhio spalancato per meglio vegliare su di noi.
    Gregory Colbert





    Le più antiche rappresentazioni di animali, nelle pitture rupestri di 30.000 anni fa, testimoniano una condizione remota del nostro mondo.C'è stato infatti un tempo in cui gli umani riconoscevano la loro natura animale, un tempo in cui essi occupavano ancora un posto all'interno dell'ordine naturale invece di tentare di dominarlo. Ma cos'è che è andato realmente perduto? Forse la scomparsa di specie meravigliose o della biodiversità? Oppure qualcos'altro che va oltre questo? Forse ciò di cui abbiamo bisogno è ricordarci che stiamo anche perdendo la capacità di riconoscere la sensibilità poetica che possiedono alcuni dei più maestosi capolavori della natura - elefanti, balene, lamantini, falchi, giraffe e rinoceronti. Eliminando la naturale biodiversità, stiamo riducendo un'orchestra al solo suono dei tamburi, impoverendo inesorabilmente la nostra stessa specie.Fin dai tempi della Roma antica gli uomini si sono divertiti ad osservare le evoluzioni degli elefanti sulle piste circensi, riducendo un magnifico animale ad una triste forma di spettacolo. Tuttavia il senso naturale del ritmo, l'innato comportamento sociale, la sensibilità al suono e al movimento che l'elefante possiede possono essere visti in un modo completamente diverso. Gregory Colbert ha trascorso otto anni a filmare e fotografare in India, Burma, Sri Lanka, Tailandia, Egitto, Isole Dominica e Tonga e ha creato una meditazione sulla superba dignità e sulla sensibilità poetica degli elefanti.Compagni dell'uomo nella danza, tanto sulla terra che nell'acqua, gli elefanti rivelano così per la prima volta il loro naturale, non addomesticato, senso del sublime. Gli elefanti non riproducono passi di danza ma ne diventano l'essenza stessa.





    Nel nostro mondo, sempre più veloce e meccanizzato, c'è bisogno di comprendere appieno la nostra comune appartenenza al mondo animale. Tale consapevolezza ci aiuterà a trovare l'empatia e la saggezza necessarie per imparare di nuovo ad interagire pacificamente in un mondo che un tempo era uno.


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  6. gheagabry
     
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    Antonio Perini





    Nato nel 1830, fu attivo a Venezia, dove aveva sede il suo "Stabilimento fotografico". Fin dagli anni '50 si impose come uno dei più richiesti fotografi, soprattutto di paesaggi e monumenti, della città lagunare. Per la sua attività fu infatti premiato alle Esposizioni Universali di Parigi e Bruxelles. Aveva i suoi laboratori presso le Procuratie nuove n.55 e in Piazza S.Marco "sotto il campanile" ai nn. 29-29. Morì nel 1879.



    "Cabinet cards" è uno dei formati più diffusi per i ritratti in studio a partire dalla seconda metà del XIX secolo insieme alla "carte de visite" (CDV). Le misure del supporto , che solitamente era di cartoncino rigido, sono di cm16,5x10,5 circa. Venne introdotto nel 1866 e incontrò una larga diffusione essenzialmente per due motivi: rispetto alla CDV (che misurava approssimativamente cm 10x6 circa) aveva un miglior impatto se esposto in un salotto, se incorniciato ecc; Anche dal punto di vista del fotografo, questo formato consentiva un lavoro più accurato soprattutto per quanto riguarda il "ritocco a mano" della lastra negativa, spesso necessario per la correzione di imperfezioni prima della stampa che, solitamente, veniva fatta con la tecnica dell'"albumina". Le ultime cabinet card risalgono, all'incirca, alla metà degli anni '20 del secolo scorso. Accanto alle notevoli qualità tecniche che caratterizzano queste fotografie realizzate in studio, è interessante notare come i fotografi utilizzassero il retro del supporto in cartoncino come un vero e proprio "spazio pubblicitario".







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  7. gheagabry
     
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    Clark Little, per ottenere le immagini che seguono, si lascia superare e travolgere da onde alte fino a dieci metri, e le fotografa “dall’interno”, mentre si infrangono. La sua macchina fotografica è stata modificata per resistere all’impatto con l’onda e, nonostante le condizioni estreme, gli permette di trovare l’inquadratura perfetta e le condizioni di luminosità migliori per i suoi scatti.



















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  8. gheagabry
     
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    STANLEY KUBRICK



    Stanley Kubrick, uno dei più importanti registi del secolo scorso, è stato anche un fotografo di grande talento. Da adolescente fu per un anno il fotografo ufficiale della sua scuola e nel 1945 – a 17 anni – iniziò a vendere le sue fotografie come free lance alla rivista di fotogiornalismo Look, una delle più importanti dell’epoca. Nel 1946 Look lo assunse come apprendista fotografo, il più giovane nella storia della rivista. Continuò a lavorarci fino al 1950, quando decise di dedicarsi esclusivamente al suo lavoro di regista.





















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  9. gheagabry
     
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    JERRY UELSMAN

    JerryUelsmann1

    Il fotomontaggio nasce ben prima di Photoshop: cambiano i mezzi, cambia la tecnica, si velocizza il processo, ma ora come prima ciò che conta davvero è l’idea creativa alla base. Jerry Uelsman ha cominciato a creare le sue “fotografie surrealiste” negli anni Cinquanta, sovrapponendo i negativi e facendo fino a sette passaggi di ingranditore per esporre una singola stampa. Il processo richiede tra le otto e le dieci ore di lavoro.

    JerryUelsmann28

    Ironia della sorte, la moglie di Jerry Uelsmann è Maggie Taylor, nota digital artist. Ma il fotografo non vede l’editing digitale come un’ingiusta scorciatoia che rovina lo stato dell’arte, anzi sostiene che un buon lavoro richieda lo stesso dispendio di energie a prescindere dalla tecnica: «Vedo le incredibili opportunità che Photoshop offre, ma la cosa importante è che la tecnica, qualunque essa sia, rispecchi e realizzi una buona idea e una buona immagine».
    (MyModernMet)

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    JerryUelsmann20



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    Edited by gheagabry - 8/12/2011, 19:51
     
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  10. ZIALAILA
     
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    Robert Mapplethorpe



    mapplethorpe-self-portrait-1980



    Uno tra i più importanti fotografi del Novecento, protagonista della New York degli anni Settanta e Ottanta, quella della rivoluzione pop, della liberazione sessuale, del new dada, della body art e di Andy Warhol.

    Nato nel 1946 a Floral Park, nel Queens (New York City), inizia a fotografare nel 1970 ,


    Quello che è speciale delle fotografie di Mapplethorpe è il rigore formale, la ricerca della perfezione : nelle sue still life , nei ritratti di fiori, di amici e conoscenti , nella serie dedicata a Lisa Lyon, nelle splendide immagini dedicate al corpo maschile, indagato e celebrato come mai prima di allora, nell’omaggio alla sua musa Patti Smith e negli insoliti , malinconici e poco conosciuti ritratti di bambini.

    L'artista utilizza la fotografia come potrebbe fare uno scienziato per studiare il corpo . Mapplethorpe stesso afferma : “Se fossi nato cento o duecento anni fa, avrei potuto fare lo scultore, ma la fotografia è un mezzo molto veloce per vedere e per fare scultura”.
    Robert Mapplethorpe guarda con ammirazione i modelli rinascimentali, da Michelangelo a Pontormo, al Giambologna .
    I corpi, come i fiori, sono impeccabili, ritratti in ambientazioni quasi asettiche, i loro movimenti sono armonici e ricordano gli studi dell’arte e della scultura rinascimentali.

    Nel 1986, gli viene diagnosticato l’AIDS , muore nel 1989 .


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    Robert Mapplethorpe : artista fotografo si diverte a trasgredire con una inedita propensione formalista alla classicità, elemento che tende prepotentemente a rispecchiarsi nei suoi torsi, nei suoi corpi nudi maschili e femminili, nei ritratti e nelle nature morte.
     
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  11. ZIALAILA
     
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    Evgen Bavcar.




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    Un fotografo del tutto particolare che attrae l’attenzione per la sua paradossale condizione di non vedente , ma che finisce per rappresentare visivamente un mondo ai più sconosciuto e incomunicabile.

    Evgen Bavcar è nato in Slovenia, a Lokavec (una piccola città vicino ai confini con l’Italia) nel 1946.

    A 16 anni fotografò una ragazza e già quella prima esperienza gli fece sentire un legame particolare con quell’arte, sebbene non ne poteva vedere i risultati .
    Nell’87 ebbe la sua prima mostra che riscosse immediato successo e da allora continua a pubblicare libri di fotografia, allestire i suoi lavori a Parigi, in Germania, Italia, Brasile, Canada e altri paesi .

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    Essendo un non vedente, sebbene con la memoria della vista ( persa all'eta' di 12 anni ) egli può approcciarsi all’immagine, realizzando ritratti, nudi, e scene di vita. Per farlo utilizza vari espedienti : come egli stesso racconta in una intervista , prende la macchina fotografica automatica, tocca il volto della donna e partendo da quella posizione allontana la fotocamera sempre tenendola direzionata verso la donna, infine scatta.

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    Ancora più interessante è il racconto di uno shooting bellissimo, in cui si vede una bambina vestita di bianco, la nipote, che corre su un prato. In quell’occasione Bavcar chiese alla bimba di correre sul prato portando un campanellino con sè. Le immagini risultanti non possono essere centrate e neppure dritte , ma la fotografia non ha regole e queste caratteristiche aggiungono quella sorta di rarefazione contenuta, propria delle sue fotografie.
    Sono dei " non luoghi della mente " in cui le immagini, talvolta mosse e sfocate, altre volte perfettamente a fuoco, rappresentano dei volti, le sue mani che toccano-vedono quasi sempre ambienti notturni .

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    Per Bavcar : " la notte e' il luogo della nascita della luce. Eros e Psiche hanno vissuto nel buio. Psiche, cercando la luce, ha tradito... Io sono in quel buio arcaico e originale, sono dalla parte di Eros".

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    Bavcar non e' solo un artista, e' un poeta che sfida la logica. Le immagini di Bavcar sono "immagini mentali".
    Quanti veramente "vedono"? Racconta : un giorno il destino mi ha portato una donna. Un amico mi ha chiesto di descriverla: ho toccato i suoi capelli e ho pensato: e' come un' arpa sostenuta dal vento. Ho accarezzato il suo volto: un orologio, rotondo, preciso, perfetto. Ho sfiorato la sua bocca, una ciliegia nel mese di maggio. E il suo corpo: un Sapiente di fronte al teorema di Pitagora .

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    Ognuna delle sue foto , nella sua poeticità, rimarca una volta di più quanto guardare e vedere siano due concetti estremamente diversi .
     
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  12. gheagabry
     
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    JAN SAUDEK



    Jan Saudek (Praga, 13 maggio 1935) è un fotografo ceco.
    Figlio di un direttore di banca, di origine ebraica, Jan Saudek nasce a Praga, la sua famiglia viene deportata nel Campo di concentramento di Terezín, dove moriranno alcuni dei suoi fratelli.
    Dopo la guerra comincia a dipingere e disegnare. Nel 1950 viene assunto presso una tipografia e dal 1954 al 1956 viene chiamato ad assolvere gli obblighi di leva. Nel 1958 sposa Marie, dalla quale avrà due figli: Samuel e David. Nel 1959 Marie gli regala la prima vera macchina fotografica, una Flexaret 6 x 6.
    Nel 1963, ispirato dai lavori di Edward Steichen e dal catalogo della sua famosa esposizione a New York intitolata The Family of Man, decide di diventare un fotografo professionista.
    Nel 1969 si reca per la prima volta negli USA, dove il curatore Hugh Edwards lo incoraggia a continuare nella sua professione di fotografo e all'università di Bloomington nell'Indiana inaugura la sua prima mostra personale.



    Tornato a Praga, è costretto a lavorare in uno scantinato per evitare il controllo della polizia. Le sue prime fotografie erano stampate in bianco e nero o virate seppia. Verso la metà degli anni settanta, su pressione dei suoi clienti, prende la decisione di colorare ad acquerello le sue stampe in bianco e nero, dando vita ad uno stile particolare e riconoscibile.
    I suoi temi principali sono l'erotismo e il corpo femminile, che Saudek carica di simboli religiosi e politici di corruzione e innocenza. Spesso raffigura scene oniriche, dipinte a mano, in cui figure nude o seminude vengono ritratte sullo sfondo di una parete dall'intonaco scrostato, che altro non è che la parete del suo scantinato. Altro tema ricorrente della fotografia di Saudek è l'evocazione dell'infanzia. Spesso Saudek ritrae lo stesso soggetto, nella stessa posa, a distanza di anni per descrivere il trascorrere del tempo.
    Nel 1970 Saudek si separa dalla moglie Marie. La sua reputazione internazionale cresce sempre di più e molte sono le collaborazioni di prestigio e le esposizioni dei suoi lavori, ad Anversa, Bruxelles, Bonn, Losanna, Parigi, Chicago. Nel 1983 viene pubblicata la prima monografia su Saudek, Il mondo di Jan Saudek, in lingua inglese, tedesca e francese.
    Nel 1984, dopo anni di lavoro in una fabbrica, il governo comunista gli concede un permesso così che, libero dal vincolo del salario settimanale, dedica tutte le sue capacità e il suo tempo alla fotografia artistica.
    Saudek vive e lavora tuttora a Praga.




    Negli anni Settanta inizia a «correggere» le sue stampe in bianco e nero con l'ausilio dell'acquerello. Da questa emarginazione da "uomo del sottosuolo" nasce un'arte onirica, elegantemente triste e allegra: erotica nel senso più vitale ed interessante del termine. Le opere di Saudek, affascinanti e misteriose come la stessa Praga, hanno reso questo artista uno dei maggiori autori viventi. Un pilastro della storia della fotografia del Novecento.
    Il mondo surreale di Jan Saudek è una stanza dall'intonaco scrostato da cui filtra l'infinito. Le carni esposte al suo occhio e pennello sono oscenizzazione di corpi fastidiosi ed imperfetti, resi unici e straordinari dal quel tocco di bellezza malinconica che solo l'arte ctonia sa dare. Sara Saudek dal canto suo, ci racconta delle infinite declinazioni di un femminile impossibile da arginare e restringere con paletti moralizzanti e interpretativi.
    (mondobizzarrogallery)




    La prima cosa che colpisce del lavoro del fotografo Ceco Jan Saudek è che le persone nelle sue fotografie di nudi sono gente comune, persone della porta accanto, e non supertop da copertina. La seconda che molte delle sue immagini sono divertenti: ricordo ancora il pomeriggio della fine deglia anni 90 in cui, in una libreria in centro, con un amica e un'avventore causale, girammo assieme le pagine di uno dei suoi primi libri sbellicandoci dalle risate.
    Le sue immagini esplorano più i sogni che la realtà, sebben fortemente caratterizzate dalla sanguigna personalità sempre espressa dalla persona ritratta, e dall'uso della colorazione manuale dell'immagine che produce per se un effetto onirico e non realistico, anche se, ad onor del vero, la scelta di Jan fu dettata dalla accidentale difficoltà di reperire pellicole e sviluppi a colori. Le sue immagini sono contemporaneamente un pugno nello stomaco ed un gioioso inno alla vita, sprizzano forza da tutti i pori, a volte in modo divertente, a volte patetico, o altre volte un pelo volgare... proprio come la vita vera.





    La tecnica di Jan Saudek

    Jan Saudek è uno di questi, egli è considerato uno dei principali artisti cecoslovacchi contemporanei, è un grande fotografo, un eccellente pittore e fine calligrafo. Nato nel '35 è sopravvissuto alla deportazione nazista mangiando erba e dentifricio. Durante gli anni del regime Saudek, che ancora non era conosciuto come artista, lavorava in fabbrica (e lo ha fatto per 32 anni) ma durante il tempo libero coltivava la sua passione per l'arte e la fotografia nell'umida cantina di casa sua.

    In questo modo la sua personalità artistica diventa sempre più forte e sempre più definita. Le sue immagini parlano di maternità, di esibizionismo, di feticismo ma anche di parodia del corpo umano, con uno stile assolutamente unico e inimitabile.




    Le modelle sono, in genere, sue amiche o conoscenti, come la sua bella compagna e altrettanto valida artista Sára Saudková, che fotografa spesso insieme alla sua amica Olga. Nelle foto di Saudek appare un unico uomo: egli stesso. Dice che non lo fa per narcisismo ma per semplificarsi la vita perchè gli uomini quando devono posare nudi sono sempre impacciati e imbarazzati così fotografa se stesso e risolve il problema.

    Non sempre è soddisfatto delle proprie opere ma ammette che se vedesse le sue foto fatte da qualcun altro morirebbe di invidia. Dichiara in un intervista rilasciata in occasione della pubblicazione di un suo libro: "Se una fotografia non racconta una storia non è una fotografia. Forse è la storia di tutti i nostri pensieri, quelli che diventano pubblici e sfidano i luoghi comuni e quelli che per pudore restano confinati".



    Le sue foto, in origine erano in bianco e nero o virate seppia, poi decise di sottoporre alcuni amici ad un test: mostrò loro tre versioni di una stessa foto, una in bianco e nero, una virata seppia ed una colorata a mano, tutti scelsero quest'ultima, così prese la decisione di colorare manualmente i suoi scatti in bianco e nero con colori trasparenti ad acqua dando vita a capolavori di straordinaria bellezza.

    Le riprese, durante i suoi primi anni di carriera artistica, venivano effettuate in una cantina, usando come sfondo un muro scrostato dall'umidità che era perfetto per sfumature e tonalità di grigio che restituiva alle foto. Ora può permettersi diversi appartamenti anche lussuosi ma in tutti ha riprodotto quello stesso muro che ha usato tante volte in gioventù.
    (Annamaria da sestazona)


















    Edited by gheagabry - 23/4/2014, 15:14
     
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  13. gheagabry
     
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    .....ancora JAN SAUDEK....

















     
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  14. ZIALAILA
     
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    DORA MAAR



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    Henriette Theodora Markovich , nome d'arte, Dora Maar.

    Negli anni '30, anni di grandi fermenti , appena diciannovenne, con la famiglia -padre architetto croato e madre francese - arriva a Parigi da Buenos Aires dove ha vissuto per anni.

    Dopo gli studi artistici tra lezioni di fotografia e pittura sceglierà la fotografia : fotografie pubblicitarie e di moda .

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    Dora incontra Picasso nel 1936, lei ha 25 anni, lui ne ha 54 : per sette anni Dora sarà compagna e musa ispiratrice di Picasso e, senza alcun dubbio, vittima del suo genio creativo.

    Così Picasso descrive le fotografie di Dora :
    " Le sue fotografie mi ricordano le tele di De Chirico. Rappresentano spesso un lungo tunnel con in fondo la luce e un oggetto piuttosto difficile a identificarsi perché si trova in contro-luce"

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    Della vita e delle opere di Dora, dopo l’abbandono di Picasso non si seppe quasi più nulla , fu inghiottita dalla depressione.
    Da qui il ricovero in una clinica psichiatrica e gli elettroshock .
    Dopo due anni di analisi Dora ritrova il proprio equilibrio e con esso la forza di riprendere in mano la propria vita. Solo molti anni dopo, già anziana, a settant'anni, si riavvicina alla fotografia .



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    Dora-maar




    Morì , sola , nel 1997 .
     
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  15. gheagabry
     
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    ALEXANDER SEMENOV



    Alexander Semenov, in realtà, egli è biologo marino dalla Russia, che ha passione per il "mondo alieno", così come la fotografia. Alcune delle creature che ha fotografato nel mare sono piuttosto rare e uniche poichè vivono nelle gelide profondità del mare. "L'intera area alle spalle del circolo polare è molto difficile da raggiungere, ed è veramente un disagio tuffarsi nelle gelide profondità." Alexander in una intervista .



    Negli ultimi anni, il biologo marino russo Alexander Semenov ha costruito una collezione bellissima di fotografie in mare profondo, ha catturato creature aliene localizzabili solo nelle ostili, gelide profondità del mare lontano, al largo della costa settentrionale della Russia.

    "Coraggiosi abitanti che potrebbero rivaleggiare nel mondo dell'arte per la loro bellezza e soprattutto per i colori.....i grandi maestri, sì, Henri Matisse e Vincent Van Gogh furono i re di colore, e Hieronymus Bosch Diid inventore di creature selvatiche, ma nelle fotografie di Semenov non ci sono organismi di fantasia. I loro colori vivaci, non sono stati mescolati su una tavolozza, né le loro strutture sono state progettate da un cervello umano. Sono reali come te o me.



    Nel 2007, mi sono laureato di Lomonosov Moscow State University nel dipartimento di Zoologia. Mi sono specializzato nello studio degli animali invertebrati, con particolare attenzione sul cervello calamari. Poco dopo, ho cominciato a lavorare presso la Stazione Biologica Mar Bianco (WSBS) come operaio senior. WSBS ha una stazione di immersione, che è grande per tutti i tipi di esigenze scientifiche subacquee, e dopo 4 anni di lavoro lì, sono diventato il capo della loro squadra di sommozzatori. Ora organizzare tutti i progetti WSBS, e immersioni da me con grande piacere (e sempre con una macchina fotografica).



    Quando ho iniziato a sperimentare con la fotografia la vita di mare, ho cercato di catturare con l'obiettivo piccoli invertebrati per divertimento con una vecchia macchina fotografica, e senza luci professionali o lenti. Ho trovato e raccolto gli invertebrati sott'acqua....Dopo due o tre mesi di continui fallimenti, sono riuscito a raccogliere un paio di foto buone, che ho mostrato alla squadra. Questo ci ha ispirato a comprare una fotocamera semi-professionale, completa di custodia subacquea e flash. Ho poi trascorso la stagione dopo cercando le stesse creature, ma questa volta nel loro ambiente naturale. E 'stato molto più difficile, e non ho avuto per altri due mesi molti risultati. Ma quando si lavora a qualcosa ogni giorno, inevitabilmente si guadagna un sacco di esperienza, e alla fine, ho iniziato ad avere alcune interessanti foto di uno o due di ogni immersione. Ora ho sempre più grandi scatti ogni volta che vado.



    D. Qual è la storia dietro la "Underwater Experiments" progetto?

    A: " Esperimenti Underwater "è solo una piccola parte di un più ampio progetto dei miei colleghi. Ho trascorso due anni per realizzare un libro sulla flora e la fauna del Mar Bianco. E' un grande libro scientifico, bellissimo ed affascinante per chiunque sia interessato a saperne di più sul mondo subacqueo. C'erano più di dieci fotografi subacquei coinvolti, oltre a molti scienziati e specialisti, ognuno dei quali ha scritto articoli sulle creature in cui sono specializzati in più.



    D. Puoi condividere tutte le informazioni circa le creature?

    A: Tutte le mie creature sono abitanti dei mari freddi del nord. Alcuni di loro sono specie comuni che si trovano in quasi tutti i mari freddi, mentre altri sono piuttosto rari e unici. La maggior parte di questi animali sono stati visti solo da pochi specialisti, o da rari (ed estremamente coraggiosi) subacquei in acqua fredda. L'intera area alle spalle del circolo polare è molto difficile da raggiungere.



    D. Può descrivere il processo fotografico che ha usato per catturare le creature?

    A: E 'semplice: Prendere una telecamera e obiettivo macro, e racchiudono in una custodia subacquea. Collegare tutti i cavi, chiudere, controllare tutti i bordi e pulsanti, e controllare i flash subacquei. Poi trascinare tutti i (circa) 8 kg di apparecchiature la fotografia ad alta tecnologia nelle immersioni, dalla barca, in mare, e trovare le creature. Impostare manualmente tutti i parametri della fotocamera e flash, quindi assicuratevi di non muoversi o addirittura regolare al massimo il respiro, per trovare il giusto punto di messa a fuoco (senza messa a fuoco automatica, tutto manuale). Premere il pulsante di scatto, e questo è tutto. Beh, quasi. Ci sono sempre alcuni problemi ambientali, quali correnti, acqua gelata (-2 * C), l'oscurità totale inferiore a 20m di profondità, costante della torbidità, e altro ancora. Ma si può abituare ad esso immersioni dopo circa due o tre centinaia.


















     
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47 replies since 27/3/2011, 18:53   14235 views
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