i bimbi..e le prime scoperte...

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    BAMBINI: piccoli gesti di salute

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    ESPERTI CANADESI CONSIGLIANO COME DIFENDERE I PICCOLI DA SOSTANZE TOSSICHE E INQUINAMENTO – La Canadian Partnership for Children’s Health and Environment (CPCHE) ha pubblicato a giugno 2011 un opuscoletto contenente suggerimenti ai genitori per migliorare l’ambiente in cui vivono i loro figli. La CPCHE raggruppa undici associazioni con diverse specializzazioni, tutte in ambito pediatrico e connesse con l’ambiente.
    Ecco le linee guida dettate dagli esperti canadesi.1. Eliminare la polvere che è uno dei principali veicoli attraverso cui i bambini entrano in contatto con sostanze tossiche. Per questo è bene pulire la casa con un buon aspirapolvere o con uno spazzolone bagnato. Un’altro ottimo accorgimento è quello di togliersi subito le scarpe appena si entra in casa e custodire i giocattoli in un contenitore ben chiuso.
    2. Usare detergenti non tossici per pulire la casa o sostituirli con elementi naturali come il bicarbonato o l’aceto. Anche per il bucato è bene usare detersivi senza profumo ed evitare il lavaggio a secco spesso fatto con sostanze chimiche potenzialmente tossiche.
    3. Se si fanno lavori di ristrutturazione in casa, utilizzare vernici poco tossiche, areare bene i locali e tenere i vestiti e le scarpe da lavoro in un luogo separato. Le aree che si stanno rinnovando vanno sempre isolate con teli di plastica in modo che le poveri non arrivino al resto della casa.
    4. Ridurre l’utilizzo di plastica, sia per quanto riguarda i contenitori dove si consuma e si conserva il cibo sia per quanto riguarda i giocattoli.
    5. Attenzione a consumare diverse qualità di pesce scegliendo quelle che hanno un basso contenuto di mercurio (sgombro atlantico, aringa, trota iridea, salmone e tilapia). Per quanto riguarda il tonno, fresco o in scatola, preferire la qualità “striata” rispetto al classico “pinna gialla”.
     
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    OBESITA’ INFANTILE: tra le cause anche il biberon

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    L’USO DEL BIBERON OLTRE I DUE ANNI FAVORISCE L’OBESITA’ – Vi ricordate quando alle mamme si raccomandava di evitare l’uso di merendine e altri cibi spazzatura con i proprio figli? Bè oramai tutto ciò sembra non bastare: da oggi occorrerà ridurre anche l’uso del biberon!Un recente studio svolto in Pennsylvania ha evidenziato che i bambini che utilizzano il biberon oltre i due anni abbiano il 30% in più di probabilità, rispetto ai loro coetanei che si staccano dalla tettarella allo scoccare del primo anno, di cadere nell’obesità entro i cinque anni e mezzo. Tutto ciò dipende dall’enorme surplusnutritivo che il biberon comporta soprattutto se somministrato prima del sonno: esso infatti costituisce da solo il 13 % del fabbisogno nutritivo del bambino e quindi, sommato agli altri pasti, porta rapidamente ad un eccesso nutritivo.Non facciamoci allora ingannare dalla facilità di far mangiare i nostri bambini con il biberon (più goloso e anche più capiente): la prevenzione anche nell’infanzia è la vera chiave della salute!
     
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    Lo sviluppo del linguaggio

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    Nel primo mese di vita il bambino comunica con i vagiti, una forma di espressione puramente emotiva che, curiosamente, non si perde con la crescita.
    In età adulta, le grida inarticolate che sfuggono in particolari occasioni, per esempio a fronte di uno situazione spaventosa, hanno questa identica matrice.



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    I vocalizzi

    Intorno al secondo-terzo mese compaiono i vocalizzi, che costituiscono un vero e proprio allenamento per gli organi della voce e sono caratterizzati da piccoli strilli di gioia, seguiti dalla lallazione (ripetizione di sillabe come “ba” e “pa”).

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    La voce

    In genere, per le prime parole bisogna invece attendere l’anno di vita, anche se è molto prima, già verso il settimo-nono mese, che il bimbo comincia a comprendere il significato del linguaggio anche a prescindere dall’intonazione della voce con cui vengono pronunciate le frasi (Per esempio: “Questo non si tocca”).

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    Le prime parole

    L’intervallo di tempo che intercorre fra l’inizio della comprensione di quanto viene detto e la pronuncia delle prime parole varia molto da bambino a bambino, anche se di norma quasi tutti cominciano a dire “mamma”, “pappa”, “papà”, intorno agli 11-12 mesi.

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    Attività motoria


    Nel periodo che precede le prime parole il bambino ha solo una rappresentazione mentale degli oggetti e la capacità di utilizzare i termini che definiscono quanto lo circonda è favorita dall’attività motoria (gattonare, camminare, afferrare).

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    Una teoria

    La funzione primaria del linguaggio è sociale: parlare è il mezzo più importante di interazione con i propri simili. A sostegno di questa teoria, alcuni specialisti si riferiscono al caso del ragazzo selvaggio dell’Aveyron (in Francia, XVIII secolo), vissuto per i primi 12 anni di vita allo stato brado.
    Dopo il ritrovamento, fu affiancato da psicologi che cercarono di insegnargli a parlare, senza riuscirci mai. Da qui la teoria che per l’apprendimento sia fondamentale l’interazione con un ambiente favorevole fin dai primi giorni di vita.

     
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    Da zero a sei mesi: giocare è una cosa seria!


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    Attraverso il gioco, il bimbo impara a conoscere se stesso e il mondo che lo circonda. E questo lungo percorso di scoperta ed esplorazione inizia già dalle prime settimane di vita. È bene, dunque, che i genitori siano al corrente dei giochi sicuri con cui far divertire i propri neonati.

    È infatti fondamentale il momento del gioco per la crescita del nostro bambino e per lo sviluppo delle sue abilità cognitive. Non sono necessari giocattoli costosi al bimbo di qualche mese e nemmeno a quello più grande. Quello che conta è la sperimentazione (di materiali, sensazioni, abilità che coinvolge i sensi) e la condivisione affettuosa con un adulto.

    Ovviamente, in base all’età del piccolo, l’approccio al gioco cambia: nel primo semestre di vita i progressi sono davvero impressionanti e il piccolo “comunica” la sua gioia e il suo divertimento con sorrisi e versetti. I giocattoli, in questa fase di vita del bambino, sono un buon alleato e devono essere semplici e sicuri.

    La semplicità, infatti, stimola maggiormente il bimbo: lasciate perdere gli oggetti che fanno tutto da soli schiacciando un bottone. Quanto alla sicurezza, è opportuno controllare sempre ogni dettaglio (materiali, costruzioni, rifiniture, eventuali parti che potrebbero staccarsi e causare soffocamento) e affidarsi a marchi che rispettano la normativa europea.

    Ecco una rosa di proposte che rispondono a questi criteri e sono adatte ai bebè, già dalla culla, e per i primi 6 mesi di vita.



     
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    Bambino e linguaggio: la prima parola



    Il mio bambino ha detto mamma…
    … il mio ha detto papà!


    La prima parola è certamente un evento atteso con ansia dai genitori e quando accade, parola_bambiniok-300x224benché spesso sia irriconoscibile, i genitori ritengono che il loro bambino sia oramai in grado di riferirsi chiaramente a loro.

    Sarà vero o il meccanismo è ben più complesso? Proviamo a capirlo.

    Al termine del primo anno di vita avvengono modificazioni fondamentali nello sviluppo cerebrale. Chi trascorre del tempo con un bambino, pur non essendo un esperto, può facilmente registrare tale sviluppo perché il bambino passa dal balbettio alle parole. Nella fase del balbettio si può dire che il bambino esercita le corde vocali e gioca con i suoni. Il passaggio alle parole è finalizzato, invece, alla comunicazione.

    Già prima dell’anno di vita sembra del tutto evidente che il bambino è in grado di capire parte di ciò che gli viene detto dagli adulti.

    Approssimandosi all’anno di vita, egli è in grado di ripetere sequenze di suoni e addirittura l’intonazione di una sequenza di parole o di una frase. Le parole mamma e papà pronunciate dal bambino non sono altro inizialmente che la ripetizione in sequenza del suono ma e del suono pa. Quando il bambino le pronuncia vuole suscitare solo l’attenzione dei presenti, esse hanno un aspetto “operazionale” ma non hanno ancora un carattere semantico, vale a dire che per il bambino non hanno da subito un preciso significato. Ma questo sfugge ai genitori che si sentono al settimo cielo, orgogliosi, rapiti ed estasiati per i progressi del loro bambino.


    E cosa fanno da quel momento in poi?


    Sono lì pronti ad accorrere con aria soddisfatta e sorridente non appena il bambino ripete la parolina pronunciata. Così facendo i genitori rinforzano l’operazione del bambino e, senza rendersene conto, mettono in atto un importantissimo principio di sviluppo. Il bambino impara molto presto a legare la parola pronunciata al suo bisogno di comunicazione, dunque al significato. E’ così che “mamma e papà” pronunciate dal bambino non solo prendono ad indicare le due figure parentali di riferimento ma, visto che per un po’ sono l’unica o le uniche parole del vocabolario del bambino, addirittura con esse il bambino può esprimere tutta la sua emotività. La singola parola, combinata con il contesto in cui è usata, racchiude il significato di un’intera frase. Insomma il bambino, benché sappia pronunciare solo due o tre parole, è in grado di comunicare con gli adulti perché ne completa il significato usando gesti, toni di voce e situazioni.

     
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    Vasino: quando il momento giusto per il bambino, la pedagogista

    2-300x224L’educazione degli sfinteri è senza dubbio un momento importante nella crescita del bambino e nel rapporto tra lui e i genitori. Per comprendere bene cosa esso rappresenti occorre tenere ben presente che, pur avendo un ruolo importante, non è l’adulto a determinarlo. Piuttosto è lo sviluppo fisico del bambino a fissarne limiti e riuscita. Non si può, infatti, pretendere di perseguire una tale educazione se la maturazione del bambino non è ancora giunta al punto da conseguire il controllo del muscolo interessato. E’ possibile un controllo volontario solo tra i 2-3 anni, quando la parte inferiore del tronco si sviluppa. Ogni tentativo degli adulti prima di quest’età, pur quando consegue l’effetto desiderato, non può tradursi nel convincimento che il bambino sia in grado di controllare gli sfinteri. Il controllo in questi casi è del genitore che può aver imparato a interpretare i movimenti del suo bambino e metterlo opportunamente e tempestivamente sul vasino.

    E’ pur vero che i genitori attribuiscono notevole importanza al controllo degli sfinteri e si mostrano contenti se il loro bambino riesce a conseguirlo al momento opportuno e al posto giusto. Ma essi non devono dimenticare che il tutto deve avvenire secondo una naturale maturazione e senza che il controllo ingeneri uno scontro disciplinare tra loro e il bambino. In questa delicata fase il bambino deve essere trattato in maniera adeguata, se, invece, si ingenerano conflitti egli può sviluppare un senso di vergogna che potrà condizionarne i comportamenti e le relazioni sociali.

    jpgPuò accadere, infatti, che un bambino che ha già acquisito l’abitudine del vasino improvvisamente la dimentichi e non riesca più nel controllo. Come si può spiegare una tale regressione? Chiariamo innanzitutto che la regressione è un meccanismo di difesa. Un bambino regredisce, adotta, cioè comportamenti che utilizzava in stadi precedenti di sviluppo che per lui rappresentano momenti felici allorquando deve difendersi da stress, ansia, frustrazione. Ma la regressione per sé è sempre il segnale di uno stop nella crescita del bambino e perciò non va sottovalutata.



    Non è nostra intenzione dare ricette, sappiamo troppo bene che ogni bambino è una realtà a se stante e che i suoi comportamenti richiamano rapporti e relazioni familiari molto diversi dall’uno all’altro. Né del resto pensiamo che servano imposizioni aprioristiche di principi educativi. Siamo 4-300x141invece convinti che per aiutare il bambino nella crescita molto conti la capacità e la disponibilità dei genitori a vivere il cambiamento dei loro figli e un approccio basato sull’esperienza.

    Ci sia qui consentito esaminare qualche situazione che può essere emblematica e perciò può aiutare a comprendere i meccanismi che determinano il mancato controllo della minzione o della defecazione.

    Può capitare che un genitore, prevalentemente la mamma, sia troppo ansioso, si preoccupi soverchiamente del cibo, della pulizia, delle cadute ecc. e renda inconsapevolmente il proprio figlio troppo dipendente da sé. Vivendo in tal modo, il bambino sarà impreparato a reagire alle inevitabili frustrazioni che gli vengono dal mondo esterno. Da queste si difenderà regredendo, utilizzando cioè comportamenti tipici dei primi anni, come il mancato controllo degli sfinteri. Così, facendosela addosso, il bambino rafforzerà la dipendenza dai genitori.

    Ci sono mamme che non sanno vivere la conquistata autonomia del proprio bambino o, ancora, mamme che avvertono il proprio bambino come un ostacolo alla loro realizzazione economica, sociale o anche coniugale. Accade allora che il bambino può sentirsi rifiutato e, tra i tanti comportamenti che può mettere in atto, può dimostrarsi incapace nel controllo degli sfinteri al solo scopo di indurre l’adulto a prendersi cura di lui.

    Se poi un bambino vive, per cause diverse, distacchi più o meno lunghi dall’ambiente familiare, facilmente può mutuarne una sensazione di frustrazione. Di qui la difesa attraverso la regressione. Una particolare attenzione deve essere posta alla nascita di un fratellino. Il bambino può, infatti, avvertire una sensazione di annullamento e di messa in dubbio del proprio ruolo e, poiché il nuovo nato monopolizza l’attenzione dei genitori, anche lui cerca di comportarsi come un bambino piccolo e, dimenticando un’abitudine ormai acquisita, può fare la pipì a letto.

    Solo comprendendo che dimenticare l’abitudine del vasino è per il bambino un difendersi, i genitori potranno risalire all’esperienza scatenate la regressione e sorreggere il bambino nel suo percorso di crescita.

     
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    Cantare ai neonati ed ai bambini, i benefici della musica

    Cantate al vostro bambino.

    cantare-al-bimbo-0-300x226Non preoccupatevi di come si suona – il bambino non criticherà la vostra tecnica e amerà l’impegno e l’attenzione che gli donerete.

    Non dovreste limitarvi a ninne nanne - cantare canzoni durante i vari momenti della giornata…imitare i rumore degli oggetti attorno con ritmo. Anche un semplice gioco di imitazione può diventare teatro musicale.

    Fate smorfie e gesti per mantenere il vostro bambino coinvolto.

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    Lasciate che il vostro bambino faccia la sua musica.

    musica-didattica-square-299x300Il vostro bambino può anche godere battendo su un tamburo fatto con una scatola di latta, di cartone, di plastica; maracas con bottigliette o piccoli recipienti pieni di vari materiali (sale, sabbia, riso, sassolini) uno xilofono di metallo o legno, ma anche coperchi, pentole e tutto ciò non prettamente strumento ad hoc ma che può diventarlo solo per il gusto di sentire l’effetto che fa.

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    Il vostro obiettivo dovrebbe essere quello di coltivare un amore per la musica nel vostro bambino, per non creare la prossima Mozart. Dovrebbe essere di divertirsi e di esporre il bambino a nuovi suoni e ritmi.

    Sembra godere di ciò che proponete? Si anima quando si accenna una certa melodia? Seguite il suo esempio, ed è probabile che aiuterete l’amore per la musica per tutta la vita.

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    La musica può anche contribuire a rafforzare i neonati prematuri.

    I ricercatori della Brigham Young University hanno studiato gli effetti della musica su 33 neonati prematuri in terapia intensiva neonatale della Utah Valley Regional Medical Center di Provo. La ricerca consisteva nella filodiffusione di voci di uomini e donne che cantano ninne nanne per 40 minuti al giorno per quattro giorni.

    Quando i medici hanno esaminato i bambini il quarto giorno, hanno trovato che i bambini che sono stati esposti alla musica hanno guadagnato più peso, e avevano una pressione sanguigna più bassa e un battito cardiaco più forte.

    Quindi…musichiamo insieme!

     
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    Dentino che viene, dentino che va...

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    Verosimilmente il protagonista della vicenda, ovverossia il proprietario delle povere gengive la pensa diversamente. È evidente che la vediamo sotto due angolature differenti. L'importante è che non ci si faccia prendere dall'ansia e ci si precipiti a chiedere ogni tipo di rimedio per alleviare le pene della creatura, la quale, essendo dotata di strumenti superiori a quelli stimati da noi genitori, cerca di mitigare il fastidio mordicchiando tutto ciò che gli capita a tiro.
    Tutto qua? Solitamente sì, nel senso che nella maggior parte dei casi tutto quello che dobbiamo fare è impedire che oggetti pericolosi finiscano nella bocca dei nostri bambini. Ci sono, tuttavia, casi in cui non tutto fila liscio. Per esempio può capitare che il nostro bimbo inizi a manifestare sbalzi d'umore inaspettati, fin'anche a immotivate crisi di pianto. Anche in questo caso niente paura: probabilmente è solo il dentino che fatica a spuntare e pertanto ecco che possono emergere irrequietezza, irritabilità, risvegli notturni, improvvisi accessi di pianto, febbriciattola e inappetenza. Se siamo attorno al quarto mese (ma anche più avanti) e le gengive sono più gonfie e arrossate del solito è probabile che i dentini fatichino a spuntare. Che fare in questo caso? Nulla di che: applicare un po' di miele rosato dalle proprietà lenitive, cercate di distrarlo giocando con lui ma soprattutto non perdere l'occasione per fargli un po' di coccole, che non guastano mai. Utili da ultimo anche i massaggiagengive debitamente freddi e gli apposti gel per la dentizione, contenenti blandi anestetici locali.
    Tutto bene quindi? Senz'altro sì, se non fosse che per un dente che viene, c'è un dente che andrà. Il che porta un dubbio: chi mette sotto il cuscino il soldino al posto del dentino? Il topino o la fata?

     
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    Impara a massaggiare il tuo bebè

    Il momento del massaggio

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    Nel manuale Il libro delle coccole l'educatrice svizzera Marcella Barth spiega i fondamenti del massaggio infantile e le regole da rispettare. Il momento migliore per massaggiare il vostro bambino è quando è sazio e sveglio.
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    Prendete tutto il tempo che occorre: 10-20 minuti o anche di più.
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    Controllate la temperatura della stanza (va bene anche all'esterno se è estate).
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    Sedetevi per terra con le gambe tese, oppure inginocchiatevi davanti al piccolo, e per evitare brutte sorprese coprendovi le gambe con un asciugamano (probabilmente il neonato, rilassandosi, svuoterà la vescica).
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    Spalmatevi sulle palme delle mani dell'olio naturale tiepido e distribuitelo sul corpo del bebé.
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    Accarezzatelo in modo lento e calmo, cercando di rilassarvi, ripetendo i movimenti più volte.
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    Se possibile, fate seguire il massaggio da un bagno caldo, che lo rilassa ulteriormente.
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    Ricordatevi che durante il primo mese il massaggio è solo una carezza leggera. Finché l'ombelico non è cicatrizzato, il ventre non si tocca.
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    È possibile che il neonato pianga finché non si sarà abituato: insistete con precauzione, il piccolo non tarderà a manifestare il suo benessere.
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    Praticate il massaggio almeno per i primi sei mesi: a questa età il bambino è capace di muoversi e stare seduto da solo, quindi di rilassare la schiena. In ogni caso continuate questa pratica finché entrambi ne trarrete vantaggio psico-fisico.

     
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    Alla scoperta dei cinque sensi

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    I sensi, nei bambini, si sviluppano prestissimo. Alcuni, come l'udito, si affinano già nella pancia della mamma. Altri, come la vista, tenderanno a perfezionarsi man mano che il piccolo cresce.

    Quando è ancora nel pancione

    Un'attivazione precoce, che consente al feto di entrare in contatto con il mondo esterno fin dalla vita intrauterina. Per questo, al momento della nascita, il bebè è portato a riconoscere la voce materna. Quale occasione migliore per comunicare con il proprio bambino, giocando con i suoi primi movimenti! Una leggera pressione del dito sulla pancia fa da richiamo: il bambino reagisce e... si mette in moto. È questa una prima forma di comunicazione affettiva resa possibile dalla stimolazione sensoriale. Ciò che cambia con la nascita è che al piccolo mondo dell'utero ne subentra uno ben più vasto, fitto di stimoli. Il normale sviluppo delle capacità percettive è legato all'esperienza. Per questo motivo, è importante che i genitori - e l'ambiente circostante - aiutino il neonato a esercitare le sue competenze di base. Vediamo come.

    Associare più sensi: udito, tatto e vista

    "Per stabilire una buona educazione sensoriale, tutto il corpo del bambino deve partecipare a una determinata esperienza", spiega Daniela Bavestrello, psicoterapeuta dell'infanzia. "È bene, infatti, che i suoni siano il più possibile associati a sensazioni fisiche. Abituiamoci a parlare al bambino mentre gli si cambia il pannolino, lo si culla o gli si fa il bagnetto. La vista della mamma, il massaggio dell'acqua, il suono delle parole e il calore del bagnetto rappresentano un ottimo 'allenamento' per i sensi del piccolo. Per lo sviluppo dell'associazione vista-udito, possiamo sfruttare il suono del carillon delle giostrine: il bambino le seguirà con lo sguardo e, contemporaneamente, sarà coinvolto dalle melodie".

    L'olfatto e il gusto

    Ricordate l'immagine di Linus, l'amico di Snoopy, e la sua inseparabile copertina azzurra? Il perché di questo attaccamento è presto svelato. "Mantenere il contatto con gli odori familiari - pensiamo al bambino che stringe a sé la maglia della mamma - da un lato ha un effetto rassicurante e, dall'altro, rappresenta per il piccolo un modo per riconoscere la realtà che lo circonda. Non preoccupiamoci degli odori sgradevoli: questa percezione, nel neonato, non esiste ancora", puntualizza l'esperta.

    "Per quanto riguarda, infine, il gusto - l'ultimo dei sensi a svilupparsi – non dobbiamo avere troppa fretta di far assaggiare al bambino sapori differenti. Per facilitare la fase dello svezzamento, è sempre valido il consiglio di sfruttare le sensazioni positive che provengono dagli altri sensi: un suono particolarmente accattivante, un colore gradevole e anche la possibilità di toccare gli oggetti". I genitori sono chiamati, quindi, a dare un ordine al flusso di sensazioni che il bambino percepisce, dotandole di significato. Soprattutto la mamma: il punto di partenza da cui il piccolo inizia a organizzare tutte le altre percezioni visive.



    Articolo di Elisa Fontana



    Le prime amicizie

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    La prima persona che il bimbo "incontra" è la mamma, poi si accorge della presenza del papà e, via via, allarga le sue conoscenze. Prima dei 18 mesi, però, è difficile che i bambini facciano amicizia: ognuno gioca per conto proprio, senza badare a quello che fanno gli altri.

    In seguito, con lo sviluppo del linguaggio, i primi rapporti sociali vengono favoriti e tendono a consolidarsi e diventare duraturi. Nascono le prime profonde amicizie, che spesso si esprimono non tanto con le parole, quanto, soprattutto, con il linguaggio del corpo (baci e abbracci), più diretto e "universale". Intorno ai 3 anni, ossia al momento del "debutto ufficiale" nella società con l'ingresso alla scuola materna, il bambino possiede tutti gli strumenti per stringere legami con gli altri, perché è in grado di comprendere meglio le loro esigenze e di farsi capire.

    Cosa fare

    All'inizio, i bambini vanno aiutati a fare amicizia. È giusto creare occasioni d'incontro, sia se il bambino è figlio unico, sia se ha fratelli. Confrontarsi con gli altri non può che essere un'opportunità preziosa per arricchire il proprio patrimonio di esperienze e maturare.

    La presenza degli adulti, però, man mano che i piccoli crescono, dovrebbe diventare sempre più discreta, soprattutto verso i 3 anni. Questo perché è importante che i piccoli imparino a cavarsela da soli e trovino un "loro" modo di stare insieme.

    È soprattutto nel rapporto con i coetanei che il piccolo impara valori come la lealtà e il rispetto. Insegnagli, anche con l'esempio, a essere generoso, a dividere la merenda o a prestare il suo giocattolo preferito. Fagli capire che si devono rispettare le esigenze degli altri. Ad esempio, quando si gioca con gli amici, si deve imparare a rispettare i turni.

    Cosa evitare

    Ci sono bambini più estroversi, altri più "chiusi". Non è questione di pregi o difetti, ma di caratteristiche personali. Se un piccolo fa più fatica a stringere legami con gli altri, è un errore fare confronti o affibbiargli etichette precostituite, dicendogli ad esempio: "Sei troppo timido". Lo diventerà ancora di più, perché non si sentirà capito.

    Un bambino introverso non deve essere mandato allo sbaraglio, costringendolo a frequentare i coetanei. Meglio procedere con gradualità, proponendogli incontri in un "contesto" rassicurante, con uno o due amichetti della sua età, meglio se a casa sua. Un rapporto a due è meno impegnativo, ma comunque molto utile per imparare a sentirsi a proprio agio e ad aprirsi di più.

    Evita di usare parole come "simpatico" e "antipatico" riferendoti agli amichetti di tuo figlio. Questo per non abituare il bambino a dividere i suoi compagni in due categorie: un atteggiamento che può limitarlo nei rapporti con gli altri. Piuttosto, aiutalo a scoprire i lati buoni di ciascuno e a far leva su quelli per intrecciare un'amicizia.

     
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    Divertiamoci in casa

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    Se il freddo e il maltempo ti impediscono di uscire, e sei costretta in casa con il tuo bambino, prova a proporgli qualche semplice passatempo. Il pomeriggio passerà piacevolmente e sarà l'occasione per ritagliarti del tempo tutto per te e per il tuo piccolo. Ecco qualche suggerimento.



    FINO A 6 MESI

    A spasso, camera per camera

    Passeggiando per le varie stanze con in braccio il bambino, soffermati sui diversi oggetti e racconta una breve storia che li riguarda: ad esempio, entrando in cucina, "qui la mamma prepara la pappa"; passando davanti alla cesta della gatta, "qui Lulù fa la nanna"; fermandoti di fronte alla vasca del pesciolino, "qui c'è Pallino che fa il bagnetto", e così via. Ripetere lo stesso racconto più e più volte trasmette al bambino un senso di sicurezza. Il passo cadenzato e la voce tranquilla, inoltre, sono molto rilassanti per lui.

    DA 6 A 12 MESI

    La scatola con i buchi "magici"

    Procurati alcuni tappi di differenti dimensioni e una scatola di cartone completa di coperchio. Con le forbici, crea sul coperchio dei buchi abbastanza grandi da far passare i tappi. Fai, quindi, vedere al tuo bambino come infilarli nella scatola. Una volta che è riuscito a inserirli tutti, mostragli come togliere il coperchio. Dopo aver ritirato fuori i tappi e richiuso la scatola il gioco può ricominciare!

    DA 12 A 18 MESI

    Barattoli sonori

    Disponi su un tavolo tre barattoli completi di coperchio. Mostra al piccolo come inserire all'interno di ciascun contenitore rispettivamente una noce, un po' di pasta e un pugnetto di riso. Aiutalo, poi, a richiuderli: ecco pronti tre semplici strumenti con cui accompagnare le sue canzoncine preferite! Creando un po' di attesa, scuoti i barattoli uno alla volta, facendogli sentire che suono producono. Lascia, poi, che sperimenti le diverse sonorità scuotendo i barattoli e mescolando i diversi contenuti.

    DA 18 MESI A 2 ANNI

    Mamma, mamma, che passi devo fare?

    Questo gioco è più divertente se fatto in compagnia degli amichetti. Disponi i bambini lungo una linea immaginaria, oppure in fondo alla stanza. Posizionati a una certa distanza guardando verso di loro. I piccoli, allora, tutti insieme devono chiedere: "Mamma, mamma, che passi devo fare?" (se i piccoli non riescono ancora a pronunciare la frase intera, la si può semplificare un pochettino, ad esempio "mamma, mamma, passi?"). Tu dai loro un'indicazione ogni volta diversa: ad esempio, "fai il gattino", oppure "fai l'uccellino". I bimbi, quindi, ti devono raggiungere camminando a quattro zampe oppure sbattendo le ali. Possono anche imitare il verso del gatto e dell'uccellino se vogliono. Quando arrivano, accoglili calorosamente con un bacino, una coccola, oppure facendo finta di dargli da mangiare (offrendo la ciotola del latte per i gattini o spargendo le briciole di pane per gli uccellini).

     
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    La lingua dei segni per capire il bambino

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    Esiste un modo per comunicare efficacemente col piccolo prima che inizi a parlare? Dagli Usa arrivano i primi libri sulla lingua dei segni, un metodo per decifrare le necessità dei bambini che ancora non parlano

    di Antonella Laudonia
    Un nuovo libro (“Mamma parla con me”, Cairo Editore) indica la strada nei cosiddetti baby signs. Ecco cosa ne pensano due esperte italiane.

    Il vostro bimbo piange e voi non riuscite a capirne il motivo. Avrà fame? Sarà stanco? Avrà sporcato il pannolino? Decifrare le necessità dei piccoli, in età preverbale, è un'esigenza molto sentita dalle mamme, che in questo modo riescono ad abbattere quel senso di frustrazione infinita da cui sono assalite ogni volta che non riescono a interpretare le ragioni dei pianti dei bebè, le loro esigenze, o i loro tentativi di comunicare.

    Leggi anche lo speciale: Il bambino piange. come mai? cosa fare?

    Su questo tema arrivano anche in Italia, direttamente da Oltreoceano, i primi libri sulla lingua dei segni, che teorizzano e spiegano come utilizzarla con bambini senza difficoltà uditive per migliorare l'interazione genitore-figlio. Da poco tempo nelle librerie “Mamma parla con me”, di Nancy Cadjan (Cairo Editore), è un manuale semplice, suddiviso in una parte teorica e una pratica con chiare illustrazioni, che si propone di divulgare anche alle famiglie italiane il metodo così utilizzato da migliaia di madri e padri e asili americani.

    Si tratta di segni intuitivi e facili da imparare, che mimano attività (mangiare, dormire, giocare…), oggetti (latte, ciuccio, letto), persone (mamma, papà, nonna...), sensazioni (caldo, freddo, dolore...) suddivise per fasce d'età, per comunicare meglio nella quotidianità. Secondo questo libro, infine, i bambini le cui madri adottano questo sistema dimostrerebbero un più precoce e più ricco sviluppo del linguaggio.



     
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    Quando saro’ grande


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    i sogni dei bimbi...


    Saprai perchè, saprai perchè
    quando sarai grande
    saprai perchè...





    zocie3


    avrai sorrisi sul tuo viso come ad agosto grilli e stelle
    storie fotografate dentro un album rilegato in pelle
    tuoni d'aerei supersonici che fanno alzar la testa
    e il buio all'alba che si fa d'argento alla finestra

    163283_189375724412949_7435378_n
    avrai un telefono vicino che vuol dire già aspettare
    schiuma di cavalloni pazzi che s'inseguono nel mare
    e pantaloni bianchi da tirare fuori che è già estate
    un treno per l'America senza fermate
    avrai due lacrime più dolci da seccare
    un sole che si uccide e pescatori di telline
    e neve di montagne e pioggia di colline

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    avrai un legnetto di cremino da succhiare
    avrai una donna acerba e un giovane dolore
    viali di foglie in fiamme ad incendiarti il cuore
    avrai una sedia per posarti ore
    vuote come uova di cioccolato
    ed un amico che ti avrà deluso tradito ingannato

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    avrai avrai avrai
    il tuo tempo per andar lontano
    camminerai dimenticando
    ti fermerai sognando
    avrai avrai avrai
    la stessa mia triste speranza
    e sentirai di non avere amato mai abbastanza
    se amore amore avrai
    avrai parole nuove da cercare quando viene sera
    e cento ponti da passare e far suonare la ringhiera
    la prima sigaretta che ti fuma in bocca un po' di tosse
    Natale di agrifoglio e candeline rosse
    avrai un lavoro da sudare
    mattini fradici di brividi e rugiada
    giochi elettronici e sassi per la strada
    avrai ricordi di ombrelli e chiavi da scordare
    avrai carezze per parlare con i cani
    e sarà sempre di domenica domani
    e avrai discorsi chiusi dentro mani
    che frugano le tasche della vita
    ed una radio per sentire che la guerra è finita
    avrai avrai avrai
    il tuo tempo per andar lontano
    camminerai dimenticando ti fermerai sognando
    avrai avrai avrai
    la stessa mia triste speranza
    e sentirai di non avere amato mai abbastanza
    se amore amore amore avrai




    dire_14984628_33110

     
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    “Mamma, mi prendi in braccio?”


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    Ogni bimbo, per una crescita serena, ha bisogno di una "dose quotidiana" di tenerezza. I "contatti di pelle" – l'essere preso in braccio, accarezzato e coccolato – fanno parte delle necessità fisiologiche del piccolo, attraverso cui potrà sperimentare le prime forme di attaccamento alla madre. Come comportarsi, però, se la richiesta di essere preso in braccio diventa continua, anche quando il bambino è grandicello e sa già camminare?

    Un po' di pigrizia o una richiesta di attenzione?

    "I genitori rappresentano la 'base sicura' – l'isola felice, potremmo dire – dalla quale, crescendo, il bambino, a poco a poco, si stacca per esplorare l'ambiente circostante, ma a cui fa ritorno quando sente il bisogno di essere contenuto, protetto e rassicurato", spiega Rosalinda Cassibba, professore ordinario di Psicologia dello Sviluppo e dell'Educazione presso l'Università di Bari. "Quando non dipende dal temperamento del bimbo, che può essere tendenzialmente un po' pigro, la richiesta continua di essere presi in braccio può nascondere il bisogno di attirare su di sé l'attenzione". Puntare i piedini e tendere le braccia per essere accolto sono gesti che possono rappresentare, in realtà, una forma di difesa, attraverso cui il bambino cerca riparo quando si sente un po' trascurato.

    Tanti stimoli per essere più autonomo

    Vero è che, a lungo andare, stare continuamente in braccio potrebbe diventare un 'vizio'. Come incoraggiare il bambino a essere più attivo e autonomo? "Non certo rivolgendogli frasi del tipo: 'Ormai sei grande! Non ti vergogni a voler venire ancora in braccio dalla mamma?". Sono espressioni, queste, che lo umiliano soltanto, compromettendo la sua fiducia in se stesso e negli altri", dice l'esperta. "Sarà invece importante incoraggiarlo, offrendogli stimoli e occasioni nuove per sviluppare gradualmente la sua autonomia. Se il primogenito, ad esempio, ha la sensazione che le attenzioni, in famiglia, siano rivolte maggiormente al fratellino più piccolo, lo si può invitare a spingere il passeggino o a stare in piedi sulla pedana. Non esageriamo, però, con l'uso del passeggino 'a tutti i costi': potrebbe impigrire eccessivamente il bambino, soprattutto nella fase in cui comincia a camminare.

    Se la passeggiata diventa un gioco

    "Per fargli scoprire il piacere di camminare da soli, sarà importante trasformare la routine della passeggiata in una sorta di gioco", consiglia la psicologa. Ad esempio, si possono prevedere alcune piccole soste durante il percorso, nei luoghi che il piccolo ama di più, come il parco giochi, un giardino dove raccogliere fiori, un muretto dove potrà arrampicarsi e fare qualche passo tenuto per mano da mamma e papà. Oppure proporgli di contare o indicare tutte le macchine di un certo colore che passano per la strada o i cuccioli che passeggiano con i loro padroni. O, ancora, raccontargli una delle sue storie preferite. Se il bimbo sarà tutto preso da un'attività divertente, il percorso sembrerà di certo più breve!

    Per i più grandicelli, dunque, il tempo trascorso in braccio e l'uso del passeggino devono rappresentare momenti di coccole, svago e relax, che non vanno confusi, però, con la buona abitudine a camminare 'con le proprie gambe'.



    Articolo di Elisa Fontana Gennaio 2013

     
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    Mamma, come nascono i bambini?

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    Come spiegare il sesso ai bambini? In modo semplice e rispondendo di volta in volta alle curiosità del bambino: è il parere della psicologa Paola Scalari

    di Angela Bisceglia
    Prima o poi la domanda fatidica la fanno tutti i bambini e, a qualunque età, crea mille dubbi ai genitori, che non sappiamo se e fino a quando ricorrere a storielle fantasiose di cavoli e cicogne e quando affrontare l’argomento sesso in modo ‘scientifico’. Semplice a dirsi, ma bisogna fare i conti anche con il nostro imbarazzo di fronte a domande alle quali faremmo volentieri a meno di rispondere.

    “E invece una risposta al bambino va sempre data, qualunque età egli abbia” risponde Paola Scalari, psicologa del’età evolutiva. “La curiosità non va ‘tappata’, perché, se mostriamo di volerla reprimere, è come se gli dicessimo di non farci domande sconvenienti”.

    Quale risposta dare allora? La risposta deve essere proporzionale all’età e alla tranquillità con cui noi genitori ci sentiamo di affrontare l’argomento. Facendo attenzione a non dire più di quel che il bambino ci sta chiedendo in quel momento.

    La storia del semino e dell’ovetto: ecco come nasce un bambino
    Ai bambini più piccoli si può spiegare in modo molto semplice che il bambino nasce grazie all’incontro di mamma e papà, perché il papà ha dei semini che entrano nel corpo della mamma che ha degli ovetti e dall’unione di un semino e di un ovetto si sviluppa il bambino.

    Se poi chiede come questo incontro avviene, ci si può aiutare con il disegno di un libro, facendo vedere come la protuberanza maschile sia stata creata apposta dalla natura per entrare nella farfallina (o come siamo stati abituati a chiamarla nel nostro gergo familiare) e depositare si suoi semini. Di solito queste risposte sono più che sufficienti a soddisfare le prime curiosità.

    Il ruolo dell’attrazione e dell’amore
    Se però il bambino fa altre domande, è il segno che ha già acquisito sue informazioni, dai media o dagli amichetti, e vuol capirci di più. “E’ un’evenienza che capita con i bambini più grandicelli” dice Scalari. “In tal caso prima di affrettarci a dare altre spiegazioni, poniamo noi delle domande, per comprendere che cosa il bambino sa e che cosa vuol sapere in più. Chiediamogli per esempio: “Mi sembra che mi stai chiedendo qualcos’altro: ne hai parlato con qualcuno? Che cosa hai visto? Che cosa ti piacerebbe sapere?”

    È probabile infatti che dal campo puramente scientifico della fecondazione il bambino voglia passare a sapere qualcosa in più sul desiderio. “Qui entriamo in un ambito diverso ma ancora una volta non è bene glissare” sostiene la psicologa. “Si può spiegare allora che in natura succede che i maschi siano attratti dalle femmine e le femmine dai maschi e che se stanno bene insieme desiderano anche star vicini, farsi delle coccole, abbracciarsi, sottolineando sempre che è una cosa naturale, che si manifesta con l’età. E soprattutto che è una cosa bella perché passa attraverso l’amore e l’affetto che un uomo e una donna provano l’uno per l’altra.

    Non c’è niente di strano, non c’è niente di ‘sporco’ o di proibito, ma fa parte del dialogo intimo e personale tra un uomo e una donna che si amano; un rapporto che, oltre che con le parole, si crea anche con il contatto fisico. Una cosa che del resto succede anche al bambino, che prova piacere a farsi fare le coccole dalla mamma”.

    Per evitare ‘traumi’ “basta veicolare il messaggio in modo naturale e tranquillizzante, ecco perché è importante che noi genitori ‘curiamo’ preventivamente il nostro imbarazzo” conclude la psicologa. “In ogni caso, i bambini di oggi sono in genere molto più ‘sgamati’ di come eravamo noi alla loro età, perché hanno molte più fonti di informazione, per cui recepiscono certi messaggi in modo più graduale, e non come rivelazioni improvvise”.





    04 marzo 2013

     
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