ALBERI e ARBUSTI DA FRUTTO e a volte ....

PESCO, CILIEGIO,PERO, ALBICOCCO ECC

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  1. gheagabry
     
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    Il CARRUBO


    E’ destino di molte cose che hanno avuto un passato importante, ritrovarsi, oggi, ai margini della storia. Lo è per tante macchine e strumenti come per popoli e nazioni; lo è per molte piante e animali utilizzati dall’uomo. Questo è toccato al carrubo, un tempo preziosa risorsa di tutto il Mediterraneo, l’oro nero di Cipro, oggi sporadica presenza nei paesaggi rurali più integri. Questo è toccato a molte piante che la moderna agricoltura raggruppa nei cosiddetti “Frutti minori”.

    Il nome scientifico del carrubo (Ceratonia siliqua L.) deriva da greco Keras, che significa corno e dal latino siliqua con riferimento al tipo e alla forma del frutto che, come per tutte le specie della stessa famiglia, è rappresentato da un legume. Il nome comune, invece, deriva dal termine arabo Kharrub da cui Algarrobo, in Spagna, Caroubier, in Francia, Alfarrobeira, in Portogallo e Charaoupi in Grecia. Anche per le regioni italiane è interessante vedere i diversi nomi con cui viene indicata la specie. Così abbiamo Garrubaro o Garrubbo in Calabria, Sciuscella in Campania, Carrua o Carrubbi in Sicilia, Asceneddha in Basilicata e Cornola o Cornula in Puglia. Il carrubo è una pianta originaria della Siria e dell’Asia Minore; il suo arrivo in Europa è incerto; alcuni autori sostengono che sia avvenuto nel medioevo, attraverso la Spagna, dove era stato portato dagli arabi. La sua presenza, allo stato spontaneo, in alcune regioni meridionali come la Sicilia, è considerata, da questi autori, un processo di inselvatichimento a partire da forme coltivate. Altri, invece, sostengono che il carrubo ha, in Europa, una storia molto più antica e che la presenza cercedelle forme spontanee e delle tipiche associazioni vegetali con altre piante autoctone, rappresentano una prova dell’indigenato della specie in Italia meridionale In tempi più recenti il carrubo, come altre specie mediterranee, si è diffuso in altre regioni del Mondo: in Sud Africa e in India, portato dagli inglesi, in Australia dagli emigranti mediterranei, in California, Messico, Argentina, Cile grazie agli spagnoli. Fino agli anni sessanta l’Italia era uno dei paesi di maggiore produzione, al secondo posto dopo la Spagna, tra i paesi del Mediterraneo. Il crollo della produzione, avvenuto negli anni successivi, è stato inesorabile; la sostituzione con colture più redditizie e, soprattutto, la scomparsa dei piccoli allevamenti familiari nei quali erano utilizzati i frutti per l’alimentazione del bestiame ne hanno sancito il netto abbandono. Vetusti carrubi negli oliveti terrazzati lungo la nostra costa sono sempre più il ricordo di raccolte difficili e faticose, di sacchi sulle schiena di contadini che, come capre, salivano e scendevano tra i fazzoletti di terra strappati alla roccia. L’odore dei depositi era penetrante, con i portoni aperti sulla strada dove mercanti e intermediari stagionali facevano visita, alla fine dell’estate, presso le famiglie contadine per contrattare il prezzo e ritirare il carico. Fatta salva la scorta di carrube per l’alimentazione invernale del proprio bestiame, rimanevano le quelle destinate, insieme ai fichi secchi, al mercato dei prodotti per le distillerie.

    I frutti, per il loro alto contenuto di zuccheri si sono prestati utilmente per la produzione di alcool; nelle distillerie pugliesi la lavorazione delle carrube si alternava a quella dei fichi secchi.
    Il procedimento usato per la distillazione consisteva nella frantumazione delle carrube, quindi si pressava la polpa ed il liquido ottenuto veniva sottoposto a fermentazione previa l’aggiunta di lieviti specifici. La resa in alcool, variabile a seconda delle varietà, oscilla tra il 20 ed il 25%.
    Alimento molto gradito agli animali, i frutti del carrubo hanno trovato largo impiego nelle produzione dei mangimi oltre che naturalmente nel consumo diretto, semplicemente sminuzzati, nei piccoli allevamenti familiari.
    Un interessante utilizzo è quello dell’industria farmaceutica e della medicina popolare.
    La farina di carrube ha azione antidiarroica; questa azione, spiegano alcuni autori è dovuta ad un triplice meccanismo d’azione: fisico, per il contenuto di idrati di carbonio che hanno la capacità di assorbire forti quantità di liquido; chimico, l’elevato potere tampone della farina che quindi è in grado di combattere l’acidosi nelle enteriti diarroiche; ed infine un’azione chimico-fisica per l’azione adsorbente della farina sulle tossine presenti nell’intestino. Da tale prodotto si sono, quindi, ricavati preparati farmaceutici come “Arabon” ed “Intromycin”. La medicina popolare fa uso diretto dei frutti in un dolcissimo decotto, utile per la tosse e le bronchiti; viene preparato con 5-6 carrube, altrettanti fichi secchi, qualche foglia di alloro e, in alcuni paesi 50 grammi di orzo, il tutto lasciato bollire per mezz’ora in un litro d’acqua. Quello che ne viene fuori è senza dubbio una bevanda dolce e gradevole da provare anche indipendentemente dalla stato di malattia.
    Dai semi, invece, si ottiene un speciale farina utilizzata nei campi alimentare e farmaceutico per le sue proprietà. Si usava, per esempio, nella fabbricazione di addensanti, emulsionanti, flocculanti, stabilizzanti, in varie preparazioni alimentari e farmaceutiche...Dalle foglie si sono ottenute sostanze tanniche utili per la concia delle pelli. Mentre il legno è utilizzato per lavori di ebanisteria ed anche nella fabbricazione delle barche....Non sono che alcuni dei tanti utilizzi passati, attuali e possibili di cui il carrubo è oggetto; si parla anche di pane di carrube, sciroppo di carrube, surrogato del caffè di carrube, vinello di carrube, liquore di carrube (noto in Turchia con il nome di “Scherbet” ed ottenuto dalla polpa), cioccolato di carrube ecc.., ecc…

    I semi, di forma lenticolare, duri e lucidi, grazie alla loro relativa uniformità di peso, erano utilizzati, in passato, come unità di misura per metalli e preziosi. In greco erano chiamati Keration e da qui l’origine del termine Carato che ancora oggi si identifica nell’unità di misura del grado di purezza di alcuni preziosi.
    Nonostante il ruolo nobile, anche il carrubo rientra nella lista degli alberi incriminati di aver offerto un ramo per il suicidio di Giuda; nel caso specifico si tratta di una tradizione popolare siciliana che riguarda, più precisamente, il carrubo selvatico. In Siria e nell’Asia Minore, invece, la specie era sotto la protezione di San Giorgio; ancora oggi si possono incontrare chiesette dedicate al Santo, protette dalla rassicurante ombra del carrubo.
    Nel comune di Gallipoli tra gli oliveti della masseria Pacciana vive uno dei più antichi esemplari di carrubo d’Italia, certamente tra i più grandi ancora presenti nel Mediterraneo. Come riportano gli autori del libro “Gli alberi monumentali del Salento” questo patriarca arboreo può datare più di 500 anni; con poco meno di 14 metri di circonferenza alla base; nodoso e scavato, dalla chioma ormai sempre più rada presiede, austero ed imponente, un’area dove altre presenze arboree, frutto di vecchi rimboschimenti, rendono l’ambiente di grande interesse e carico di suggestioni.
    Il Carrubo ( Ceratonia siliqua ) è l’albero nazionale del Principato di Monaco. Noto anche come Pane di San Giovanni Battista, Fava di Pitagora, o Fico d’Egitto.

    I frutti, per il loro alto contenuto di zuccheri si sono prestati utilmente per la produzione di alcool; nelle distillerie pugliesi la lavorazione delle carrube si alternava a quella dei fichi secchi.
    Il procedimento usato per la distillazione consisteva nella frantumazione delle carrube, quindi si pressava la polpa ed il liquido ottenuto veniva sottoposto a fermentazione previa l’aggiunta di lieviti specifici. La resa in alcool, variabile a seconda delle varietà, oscilla tra il 20 ed il 25%.
    Alimento molto gradito agli animali, i frutti del carrubo hanno trovato largo impiego nelle produzione dei mangimi oltre che naturalmente nel consumo diretto, semplicemente sminuzzati, nei piccoli allevamenti familiari.
    Un interessante utilizzo è quello dell’industria farmaceutica e della medicina popolare. La farina di carrube ha azione antidiarroica; questa azione, spiegano alcuni autori è dovuta ad un triplice meccanismo d’azione: fisico, per il contenuto di idrati di carbonio che hanno la capacità di assorbire forti quantità di liquido; chimico, l’elevato potere tampone della farina che quindi è in grado di combattere l’acidosi nelle enteriti diarroiche; ed infine un’azione chimico-fisica per l’azione adsorbente della farina sulle tossine presenti nell’intestino. Da tale prodotto si sono, quindi, ricavati preparati farmaceutici come “Arabon” ed “Intromycin”. La medicina popolare fa uso diretto dei frutti in un dolcissimo decotto, utile per la tosse e le bronchiti; viene preparato con 5-6 carrube, altrettanti fichi secchi, qualche foglia di alloro e, in alcuni paesi 50 grammi di orzo, il tutto lasciato bollire per mezz’ora in un litro d’acqua. Quello che ne viene fuori è senza dubbio una bevanda dolce e gradevole da provare anche indipendentemente dalla stato di malattia.
    Dai semi, invece, si ottiene un speciale farina utilizzata nei campi alimentare e farmaceutico per le sue proprietà. Si usava, per esempio, nella fabbricazione di addensanti, emulsionanti, flocculanti, stabilizzanti, in varie preparazioni alimentari e farmaceutiche.
    Dalle foglie si sono ottenute sostanze tanniche utili per la concia delle pelli. Mentre il legno è utilizzato per lavori di ebanisteria ed anche nella fabbricazione delle barche (chiedere ai maestri d’ascia di Marittima per ulteriori dettagli).
    Non sono che alcuni dei tanti utilizzi passati, attuali e possibili di cui il carrubo è oggetto; si parla anche di pane di carrube, sciroppo di carrube, surrogato del caffè di carrube, vinello di carrube, liquore di carrube (noto in Turchia con il nome di “Scherbet” ed ottenuto dalla polpa), cioccolato di carrube ecc.., ecc…
    (Francesco Minonne)

    ....nella storia.....


    Il carrubo esisteva come albero spontaneo nelle terre del bacino orientale del Mediterraneo. La sua coltivazione pare ebbe inizio soltanto al tempo dei Greci, che la estesero in Sicilia, ma furono gli Arabi che ne intensificarono la coltivazione e la propagarono fino in Marocco e in Spagna. Altri Autori sostengono che l'originaria diffusione del carrubo in Sicilia sarebbe dovuta ai Fenici, che della Sicilia furono i colonizzatori più antichi e provenivano da territori, quali il Libano, dove il carrubo può considerarsi originario. Questa pianta per le sue proprietà e caratteristiche fu sicuramente uno degli alberi da frutto più apprezzati dai Fenici e dai Cartaginesi. Nei tempi medioevali furono certamente gli Arabi a interessarsi del carrubo, diffondendolo e intensificandone la coltivazione in tutto il bacino del Mediterraneo. Sul finire del periodo medioevale il carrubo sicuramente doveva essere coltivato in tutte le terre del Mediterraneo accessibili alla sua coltura. Il suo frutto, noto a tutte le popolazioni cristiane d'Europa, veniva utilizzato per la preparazione di prodotti medicinali e di dolci. Nella seconda metà del Settecento interessanti notizie sulla coltura del carrubo in Sicilia vengono fornite dall'abate Sestini, il quale elenca tra le zone di maggiore produzione i territori di Modica, Ragusa, Scicli, Comiso, Noto e Avola. A quel tempo, la produzione siciliana di carrube era valutata in 60 mila quintali l'anno. Di questa enorme produzione, circa 40 mila quintali venivano esportati, mentre il resto era utilizzato come alimento per il bestiame e per la povera gente, oltre che per usi medicinali.
     
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118 replies since 13/2/2011, 11:34   75777 views
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