ALBERI e ARBUSTI DA FRUTTO e a volte ....

PESCO, CILIEGIO,PERO, ALBICOCCO ECC

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  1. gheagabry
     
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    Il COTOGNO


    Il cotogno appartiene alla famiglia delle Rosacee, alla sottofamiglia delle Pomoidee, al genere Cydonia, che comprende diverse specie: il cotogno comune (Cydonia oblunga), il cotogno giapponese da fiore (C. japonica), utilizzato a scopo ornamentale ed il cotogno cinese (C. sinensis). Il cotogno comune è un albero di bassa taglia, alto non più di 4-6 m, che tende ad assumere un aspetto cespuglioso. Le radici si sviluppano in superficie, il fusto è tortuoso con una scorza molto scura che si stacca a pezzetti ed i rami sono di colore bruno, pelosi, inermi, con lenticelle più o meno evidenti. Le foglie sono caduche, alterne, di forma obovata, ellittica, ovale o rotonda a seconda della cultivar, di colore verde cupo e lisce sulla pagina superiore, verde più chiaro e pelose nella pagina inferiore; il margine è intero, dentato o ondulato. I rami misti di un anno portano le gemme miste, da cui si originano germogli lunghi 5-10 cm, provvisti di 3-6 foglie, che portano ai loro apici i fiori solitari, grandi, ermafroditi e di color bianco o rosa. La fioritura si verifica generalmente da fine aprile alla prima quindicina di maggio, l’impollinazione è entomofila, operata dalle api o da altri insetti pronubi. Molte varietà di cotogno sono autosterili, per cui necessitano di impollinatori. Il frutto è un pomo di forma variabile a seconda delle cultivar, con buccia di colore verde giallo e pelosa, a maturazione diviene giallo dorato e la peluria tende a sparire; il frutto è caratterizzato da un aroma fragrante. La polpa, di colore giallo-crema, è dura e granulosa per la presenza di numerose sclereidi, specialmente in prossimità dei semi. Il sapore piuttosto acido ed astringente rende il frutto non consumabile fresco, infatti viene utilizzato per la preparazione di confetture e gelatine. La maturazione si verifica da settembre ad ottobre.
    Non è possibile il consumo allo stato fresco dei frutti, hanno polpa dura anche a maturità, pochissimo dolce ed astringente. Il frutto è usato per la preparazione di confetture, gelatine, mostarde, distillati e liquori. La condizione di limitata dolcezza della polpa non significa assenza di zuccheri, ma la loro presenza sotto forma di lunghe catene glucidiche, che danno l'effetto soggettivo della scarsa dolcezza; con la cottura, nella preparazione di confetture, e quindi con la frammentazione dei polisaccaridi la polpa assume una dolcezza intensa, e la liberazione di un profumo di miele. L'elevato contenuto di pectina produce un veloce addensamento della confettura o della gelatina, limitando i tempi di cottura. In epoca precedente la diffusione dello zucchero raffinato la confettura semisolida di cotogne era con il miele (costosissimo) uno dei pochi cibi dolci facilmente disponibili e soprattutto ben conservabili. I frutti venivano anche posti negli armadi e nei cassetti per profumare la biancheria. Un liquore a base di Cotogna denominato sburlon viene prodotto nel parmense e in particolare più precisamente nella Bassa vicino a Roccabianca (PR). La cosiddetta Cotognata, gelatina semisolida in piccoli pezzi, è famosissima nel "Ragusano" e nel Basso Lodigiano, soprattutto a Codogno.
    La parola marmellata viene dal portoghese marmelo che è il nome del cotogno.

    ...storia, miti e leggende....


    Unica specie del genere Cydonia, simile ai peri ed ai meli, il cotogno è un piccolo albero tortuoso che produce un grosso frutto profumato: la cotogna. Il cotogno può entrare sicuramente di diritto nella categoria dei “frutti dimenticati”. Coltivato fin dall’antichità, non ha avuto tuttavia una diffusione paragonabile ad altre specie da frutto. Ai giorni nostri è generalmente poco conosciuto, tanto che spesso viene confuso per una varietà di melo o pero mentre, in realtà, appartiene ad una specie distinta ed è classificato in un diverso genere.
    I Greci lo conoscevano almeno dal VII sec. a.C. L’origine botanica di questo piccolo albero è l’Asia Minore, in cui si trovava una città dal nome di Cotonium. Presso gli antichi le cotogne furono forse apprezzate dapprima per il profumo: le mele nelle Esperidi della mitologia greca non erano rappresentate come delle arance, ma come cotogne (gli agrumi vennero introdotti più tardi nel bacino mediterraneo); i frutti che Eracle riceve dalle mani di Atlante nelle metope del tempio di Zeus ad Olimpia (450 a.C.) sono chiaramente delle cotogne. A Sparta, secondo Pamfito citato da Ateneo nei suoi “Deipnosophistes”, si offrivano agli dei certi pomi che “hanno un profumo soave ma che non sono molto buoni da mangiare”. Questi frutti passavano tra il popolo anche come pegno d’amore e infatti, dice Plutarco, un decreto di Solone obbligava le giovani spose a mangiare una mela cotogna prima di salire per la prima volta sul letto nuziale. La cotogna non è un frutto che si morde volentieri: aspra, molto astringente anche a perfetta maturità, essa ha bisogno di zucchero e cottura per poter piacere al palato. Ma questi suoi difetti le hanno procurato la reputazione di medicinale: Ippocrate consigliava le cotogne in caso di “sgomberi intestinali”. I medici del Medioevo e del Rinascimento la prescrivevano sia per uso interno, sottoforma di succo fresco, che per uso esterno come cataplasmi di polpa cruda. La polpa masticata era inoltre riconosciuta anche come potente antiveleno. I Romani, i quali apprezzavano molto questi frutti, conoscevano altri modi di conservarli: Columella (De re rustica) nel I sec. d.C. parla di “melomeli”: “a metà luna calante, con cielo sereno, ben pulite dalla loro lanugine, le cotogne vengono disposte in un vaso di terracotta a collo largo e coperte di miele molto liquido; si conservano a lungo e il miele, profumato dal loro contatto, diventa un medicamento contro la febbre”.

    Interessanti le ricette fornite da Olivier de Serres, autore di Le théâtre d'agriculture et mesnage des champs (1600), il quale consiglia di candire le cotogne con succo di uva fresco per ottenere le cotogne candite; egli dà poi varie ricette per la cotognata e per il ratafià (liquore dolce a base di succo di cotogne). Sempre Olivier de Serres ci insegna che le mele cotogne, “che non si conservano mai oltre il Natale, si possono mantenere quanto si vuole nella feccia di vino che rimane in fondo alle botti”. Ai giorni nostri, dopo la raccolta, le cotogne vengono conservate nella paglia per 2/3 settimane ma il loro profumo è così forte che spesso può risultare nauseabondo, come scrive anche Antonio Targioni Tozzetti nel suo Corso di Botanica medico-farmaceutica (1847): “ l’odore che mandano questi frutti è assai grande; tenuti in una camera possono produrre delle cefalee e delle vertigini per questi loro effluvi”.
    (Giulia Bartalozzi)
     
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118 replies since 13/2/2011, 11:34   75777 views
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