SQUALI, RAZZE E CHIMERE

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  1. gheagabry
     
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    ".... non so che cosa credere. Mi chiedo spesso che cosa sia mai il pensiero, che cosa sia la comprensione.
    Siamo sicuri di comprendere l'universo meglio degli animali?"

    J.M. Coetzee


    LO SQUALO



    Da decenni ormai lo squalo è diventato il mito delle acque, l’assassino per eccellenza, la macchina perfetta per uccidere, tutto questo grazie alla disinformazione propinataci dai film anni ’70.
    Questi squali così intelligenti da appostarsi per delle ore per farci la sorpresina, squali dotati di un’intelligenza propria dei premi nobel per la fisica....lo squalo non è niente di tutto ciò.
    Possiede un apparato cognitivo molto semplice basato sul “se scappi sei una preda, se mi insegui sei un predatore” tutto qui … certo alcuni squali sono leggermente più intelligenti di altri, ma la loro caccia si basa essenzialmente su questo concetto e sulle forme, i movimenti e l’olfatto, ovvero come tutti gli animali carnivori della terra.
    Fondamentalmente l’uomo non è un cibo gradito agli squali, troppe ossa e poco grasso, infatti in molti attacchi registrati la vittima si è salvata perché “sputata” dallo squalo.
    Certo, se uno squalo di 4 metri ti assaggia hai poco da raccontare, ma se cominciamo a pensare che non siamo la sua cena preferita magari riusciremo anche a comportarci in maniera corretta in sua presenza.
    Nel Mediterraneo sono presenti 45 specie di squali di cui 14 potenzialmente pericolose per l’uomo, ma nella pratica, solo il famoso Squalo Bianco è annoverato nella statistica per attacchi all’uomo.
    Anche per quanto riguarda questi attacchi si deve stare ben attenti. Nella realtà dei fatti questi attacchi per l’80% sono stati provocati dall’uomo e il restante per “sviste” da parte dello squalo.
    Purtroppo quando siamo distesi su una tavola da surf la nostra immagine vista dal suo punto di vista è molto somigliante ad una foca, preda di cui va ghiotto.
    Anche il pasturare una zona non aiuta, e ancor di più cercarne lo scontro sott’acqua con fucili, o nuotare con pesci sanguinanti legati alla cintola.
    Sono tutti comportamenti che sembrano accendere una vistosa scritta luccicante sul nostro corpo con su scritto ATTACCAMI!
    La specie più grande presente nel Mediterraneo è il Cethorinus Maximus, ovvero squalo elefante, che raggiunge i 9/10 metri di lunghezza. Si nutre esclusivamente di plancton. Sono 15 le specie “nostrane” che possono raggiungere i 3 metri di lunghezza.
    Gli squali sono pesci cartilaginei così come Razze, Torpedini e Chimere, i cosiddetti “Condritti” .... significa sostanzialmente che hanno uno scheletro di cartilagine, a differenza degli altri pesci che hanno uno scheletro osseo. Questo tipo di struttura li rende più idrodinamici e leggeri, non hanno bisogno di vescica natante e possono raggiungere grandi dimensioni senza l’utilizzo di polmoni come nei mammiferi. Negli squali infatti è possibile notare l’assenza degli opercoli, strutture ossee a difesa delle branchie, ma la presenza di spiracoli, ossia aperture che consentono allo squalo, la respirazione anche da fermo che però non è presente in tutte le specie. La bocca è quasi sempre ventrale e altra particolarità è la struttura della pelle. Tutti gli Elasmobranchi sono forniti di scaglie placoidi ovvero denticoli dermali (prendono il nome proprio dai denti), formati dallo stesso tessuto, ed aventi la stessa forma e come questi consistono di tre strati: uno strato esterno di smalto, uno di dentina ed una cavita' centrale di polpa. Queste scaglie nello squalo sono predisposte in forme regolari. La disposizione delle squame placoidi degli squali riduce l'attrito dell'acqua per consentire movimenti veloci mediante la canalizzazione del flusso sul corpo. Uno squalo puo' ferire la sua preda rompendone la pelle con le sue squame placoidi. Come i denti, la forma delle scaglie varia da specie a specie. Le pinne degli squali sono rigide, sostenute da proteine e barre cartilaginee, cambiano di specie in specie ma sono di base di 5 tipi. Un paio di pinne pettorali, adatte a mantenere la posizione durante il nuoto, un paio di pinne pelviche e una o due pinne dorsali di stabilizzazione. In alcune specie quest’ultime sono spinate. La pinna anale, lì dove presente, assume anch’essa un ruolo di stabilizzatrice. La pinna caudale, o coda varia da specie a specie ma con un denominatore comune, il lobo superiore è in genere più grande di quello inferiore. Nelle specie pelagiche sono quasi uguali, mentre si ingrandisce man mano che ci avviciniamo al fondo come habitat.
    Altra struttura particolare dello squalo è quella dei denti, disposti in file parallele con più file presenti dove solo la prima è attiva, mentre nelle file retrostanti i denti continuano a crescere per sostituire quelli persi o danneggiati della prima fila. Uno squalo nutrice, in periodo estivo quando il cibo è più presente, può cambiare la fila anteriore di denti anche 1 volta ogni 14 giorni, mentre in Inverno ogni due mesi.
    La forma dei denti dipende dal tipo di cibo di cui si nutrono.
    Lo squalo è anche fornito di narici, poste sotto il muso, ma non gli servono per respirare ma per fiutare le prede, l’olfatto è molto sviluppato in questi animali.




    Il Mediterraneo contiene il famoso triangolo, sede della nursey degli squali bianchi, si trova nel Canale di Sicilia ed è il luogo dove si riproducono.
    Proprio nelle acque vicine a Malta fu pescato l’esemplare femmina più grande del mondo.
    Nonostante questo, l’incontro con uno squalo bianco è rarissimo, e anche a cercarlo hai pochissime probabilità di incontrarlo, questo perché è una specie molto schiva, così come un po’ tutte le specie di squalo, e anche per l’eliminazione sistematica di questo predatore che lo ha ormai portato sull’orlo dell’estinzione. A questo proposito vorrei citare la ricerca del dott. Ferretti, secondo la quale gli squali nel Mediterraneo stanno ormai scomparendo, alcuni hanno un deficit del 99,99%!!!





    E’ stato un tranquillo pescatore giapponese ad avvistare questa strana creatura in mare, apparsa all’improvviso davanti ai suoi occhi, ma dopo questo primo ragionevole stupore ha scoperto che il “mostro” era emerso dagli abissi per andare a morire proprio nei pressi delle coste nipponiche. l’aspetto dell’animale è dei più inquietanti: un’anguilla gigantesca con la testa da pescecane, l’occhio agguerrito, l’enorme bocca piena di denti affilati e sfrangiati come coralli molto taglienti.....si tratta di una rarissima specie chiamata “squalo arricciato”, una sorta di fossile vivente rimasto uguale dalla preistoria a oggi, con una lunghezza totale di 1,6 metri ed un peso di 7,5 chili.
    L’esistenza di questo raro esemplare risalirebbe addirittura a 80 milioni di anni fa ed il problema di questa specie, che vive solo a più di 600 metri di profondità è che, una volta giunti in superficie, hanno scarsissime possibilità di sopravvivere.



    Lo squalo è un animale molto antico: da 350 milioni di anni abita le acque del mare.
    Gli antichi non lo consideravano un animale feroce e pericoloso. Plutarco ne valorizzava le qualità: mite, amabile e protettivo, si pensava che padre e madre si alternassero nella cura parentale dei piccoli.
    Ma queste leggende non durarono a lungo e ben presto lo squalo è diventato, in ogni cultura, un mostro feroce che divora tutto. I Greci gli attribuivano uno stomaco grande come quello della balena e pensavano che potesse inghiottire un uomo intero. Una leggenda racconta che a Marsiglia fu scoperto, nelle sue viscere, un uomo senza testa ancora rivestito dell'armatura. Risale alla cronaca degli anni '50 la notizia di un marinaio tutto intero trovato nello stomaco di uno squalo.
    Ciò che sappiamo per certo è che lo squalo, con il suo armamentario naturale, è il divoratore per eccellenza.
    E' affascinante e pauroso al tempo stesso, cacciato e temuto in maniera anche incongrua, padrone incontrastato dei mari. Nel suo universo sottomarino (regno dell'inconscio), ha un solo nemico naturale, e in un'area ristretta: è la "sogliola di Mosè" del Mar Rosso. Lo uccide in due minuti paralizzandolo.
    L'unico vero predatore che può' dargli la caccia e ucciderlo è l'uomo che, da sempre, trasforma in divinità l'oggetto dei suoi terrori. L'uomo che non sa perché è battuto, arriva a deificare chi lo batte. Come in India sono divinità la tigre e il cobra, presso le popolazioni oceaniche lo è lo squalo.
    L'aspetto feroce dello squalo e il terrore ispirato dalle sue mascelle sono anche stati sfruttati a scopo bellico: come per le pitture sugli scudi o nelle maschere di certe culture, i piloti della seconda Guerra Mondiale dipingevano spesso mascelle dentate di squalo sul muso dei loro caccia.





    ....... mito e leggenda....



    I polinesiani hanno dunque un grosso bagaglio di leggende e tradizioni che spesso di fondono con la religiosità : la gran parte di queste leggende narrano di dei e della creazione del mondo .
    L'antica religione polinesiana, fortenente legata agli elementi naturali, parlava di una creazione del mondo ad opera di un soffio di vita da parte degli dei che infusero il loro spirito all'universo e alle creature.
    Queste creature divine erano immaginate vivere all'interno dei crateri dei vulcani , nelle acque, sulle cime della montagne.
    Ricchi di immaginazione, gli abitanti delle isole, di fronte agli inspiegabili fenomeni della natura, hanno inventato favole e leggende atte a spiegare questi fatti misteriosi.
    Charles Haskins Townsend, funzionario presso l’Acquario di New York all’inizio di questo secolo, aveva notato che i polinesiani nutrono per lo squalo lo stesso sentimento che provano alcune tribù africane per il leone. Le leggende polinesiane descrivono spesso le azioni di divinità-squalo, e si racconta che gli antichi hawaiiani inscenavano combattimenti fra uomini e squali in recinti di acqua poco profonda. Gli hawaiiani facevano anche un uso pratico dello squalo: le donne indossavano una sorta di guanti costellati di denti di squalo affilati come rasoi per scoraggiare eventuali corteggiatori troppo aggressivi.
    Tra le leggende sugli squali dei Mari del Sud vi sono quelle connesse con la credenza, ampiamente diffusa, che alcune persone, dopo la morte, vengono reincarnate come squali. Un racconto narra di un isolano che fu attaccato da uno squalo mentre era per mare con la sua canoa. Lo squalo balzò dentro la canoa, e l’uomo afferrò una scure per uccidere il pesce. Però prima di colpirlo, l’uomo notò che lo squalo lo guardava con uno sguardo assolutamente umano. Temendo di essere sul punto di colpire qualcuno che poteva aver conosciuto, l’uomo della canoa abbandonò l’imbarcazione e andò a nuoto verso la riva, mentre lo squalo si mosse in un’altra direzione.







    ...una favola....



    C'era una volta, tanto tanto tempo fa in un mare lontano, un piccolo pesciolino, molto piccolo e molto colorato. Vagava per i sette mari alla ricerca di tranquillità, dato che tutti i pesci più grossi di lui volevano mangiarselo. Un giorno incontrò un grande squalo, forse il più grande di tutti i sette mari, si avvicinò a lui e con un filo di voce gli chiese se poteva difenderlo dagli altri pesci più grandi di lui. Lo squalo si girò per vedere chi era che parlava, quando scorse un piccolissimo pesciolino, si mise a ridere e gli chiese: "perché non posso mangiarti io?". Il pesciolino rispose: "non riusciresti neanche a sentire il mio gusto, invece io posso accompagnarti per i sette mari alla ricerca di cibo". "Va bene" esclamò lo squalo. Girovagando per i sette mari un bel giorno arrivarono vicino a una profondissima fossa di cui non si riusciva neanche a vederne il fondo. Mentre i due amici scrutavano la fossa all'improvviso uscì una gigantesca balena che alla vista dei due pesci aprì la bocca e li mangiò in un boccone. Il pesciolino piccolo molto spaventato chiedeva allo squalo "ma dove stiamo andando?". "Guarda che neanche io so dove finiremo" esclamò lo squalo. All'improvviso in lontananza videro una lucina e, avvicinandosi, notarono le figure di due persone. Ad un tratto il pesciolino riconobbe una sagoma famigliare a molti bambini: era Pinocchio. Il piccolo pesciolino chiese a Pinocchio come mai era nella pancia della balena. Pinocchio rispose che per salvare il suo babbo finirono tutte e due nella pancia della balena, però oramai non avevano più legna per scaldarsi tranne che due enormi tronchi che erano gli alberi della nave dove erano imbarcati. Il pesciolino si girò verso lo squalo e disse "rompili tu con i tuoi denti che, se riusciamo a fare un grande falò, forse riusciamo ad uscire tutti dalla pancia della balena, però tu devi promettere che non cercherai di mangiarti i nostri nuovi amici". Lo squalo diede il suo assenso e cominciò a rompere i tronchi. Geppetto diede fuoco a tutti i pezzettini di legno e un grande fuoco si sviluppò nella pancia della balena, la quale cominciò a tossire e sputare fuori tutto quel fuoco che aveva nella pancia. Uscirono anche i nostri amici. A quel punto i quattro abitanti della balena furono in mare aperto. La balena fuggi via, ma lo squalo cominciò ad avere fame e rivolgendosi verso Pinocchio e Geppetto disse ora ho fame e penso che vi mangerò. Allora il pesciolino si mise davanti allo squalo e disse "dovrai passare su di me per mangiare i miei amici". Lo squalo si mise a ridere e aprì la bocca in modo spaventoso, ma a quel punto arrivò la fata dei sette mari e guardando il piccolo pesciolino gli si rivolse con dolci parole "caro piccolo pesciolino il tuo coraggio verrà premiato anche per tutto l'amore che risiede dentro di te". Con un colpo di bacchetta magica trasformò il piccolo pesciolino nella più grande balena bianca di tutti i tempi, la quale mise in fuga lo squalo, e salvò i due suoi nuovi amici portandoli a riva. Pinocchio e la balena bianca si ritrovavano tutti gli anni nelle stessa spiaggia, e Pinocchio chiedeva alla sua amica nuovi racconti marini sulla caccia delle balene, ma questa è un'altra favola.

    Giancarlo Gatti.



     
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  2. gheagabry
     
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    [...] Frattanto i pesci ..Dai quali discendiamo tutti ..Assistettero curiosi ..Al dramma collettivo
    Di questo mondo ..Che a loro indubbiamente ..Doveva sembrar cattivo ..
    E cominciarono a pensare ..Nel loro grande mare ..Com'è profondo il mare
    E' chiaro ..Che il pensiero dà fastidio ..Anche se chi pensa ..
    E' muto come un pesce ..Anzi un pesce
    E come pesce è difficile da bloccare ..Perchè lo protegge il mare ..Com'è profondo il mare
    Certo ..Chi comanda ..Non è disposto a fare distinzioni poetiche ..Il pensiero come l'oceano
    Non lo puoi bloccare ..Non lo puoi recintare ..
    Così stanno bruciando il mare ..Così stanno uccidendo il mare ..
    Così stanno umiliando il mare ..Così stanno piegando il mare
    - Lucio Dalla -



    LA RAZZA




    La famiglia dei Raidi è quella delle razze. Si tratta di raiformi ovipari il cui corpo è più o meno quadrato. Hanno coda lunga e sottile, provvista da due pinne dorsali, e la loro pelle rugosa è ornata di macchie colorate. Vivono in tutti i mari, ma in particolari in quelli temperati e nell'emisfero boreale. Alla razza appartengono diverse specie: la razza chiodata, quella bavosa o cappuccina e la razza monaca o dal muso lungo. La razza chiodata misura circa 90 centimetri a metri 1,25 di lunghezza, compresa la coda . Si chiama così perchè presenta delle protuberanze dure, senza una forma geometrica ben definita, presenti sulla pelle. Ha il corpo di colore grigio-bruno macchiato di nero. Vive nell'Atlantico orientale, nel Mediterraneo e nel Baltico. Caccia all'agguato affondandosi nella sabbia, da dove sorveglia i dintorni servendosi dei suoi occhi dorsali e poi quando avvista le prede, piomba all'improvviso su di esse. Si nutre di pesci e di crostacei, che cattura coprendoli col proprio corpo. Le uova sono molto grandi e vengono deposte a gruppi nel fondo.Esse sono costituite da un guscio corneo rettangolare, che può misurare fino a 9 centimetri di lunghezza ed è provvisto, agli angoli, di appendici cave dalle quali penetra l'acqua necessaria alla respirazione dell'embrione; sono presenti anche dei filamenti di attacco che permettono l'adesione dell'uovo alle rocce ed alla vegetazione sottomarina.

    La manta è una nomade del blu: uno dei più grandi pesci pelagici. E’ uno smisurato pesce cartilagineo, superato in lunghezza solo dallo squalo balena e dal cetorino, che non si alimenta sul fondo, come fanno tanti altri pesci dal corpo appiattito, ma si muove alla ricerca di cibo presso la superficie. La manta o grande diavolo del mare è il più grosso di tutti i raiformi: ha un'apertura che può superare gli 8 metri e il suo peso può avvicinarsi alle 3 tonnellate. Caratteristica è la posizione della sua bocca, situata non ventralmente, ma all'estremità del muso, fra le 2 caratteristiche corna. Ha una coda relativamente corta, armata di spine e pelle molto rugosa. Vive nell'Atlantico tropicale e nel Pacifico orientale. E' del tutto inoffensiva e rappresenta un'ambita preda per i pescatori subacquei. Le mante vivono nelle acque tropicali e temperate calde di tutti gli oceani, e sono frequenti soprattutto vicino alle coste. Quasi tutti i Mobulidi sono saltatori, vivono soli o a coppie e qualche specie si incontra anche in piccoli branchi. Questi pesci hanno abbandonato i costumi tipicamente bentonici che contraddistinguono numerose specie di Raiformi e, pur trascorrendo parecchio tempo sul fondo per riposare, nuotano spesso in prossimità della superficie muovendo lentamente le ampie pinne pettorali dall'alto verso il basso.
    Durante la notte sono più attive e compiono talvolta spettacolari e fragorosi balzi fuori dall'acqua, volando qualche metro al di sopra della superficie con un poderoso battito delle immense “ali”.

    La famiglia dei torpedinidi comprende raiformi in grado di emettere potenti scariche elettriche. Hanno 2 pinne dorsali sulla coda, non posseggono nè scaglie, nè aculei, hanno corpo meno piatto degli altri raiformi e sono vivipari. La torpedine ocellata è il rappresentante più noto della famiglia. Vive nel Meditterraneo e nell'Atlantico orientale, su fondali sabbiosi, a profondità variabili da un metro a più di cento. E' lunga al massimo 60 centimetri, ha un dorso bruno con macchie blu-cenere e nere. Possiede due organi elettrici posti nella parte anteriore del corpo, fra la testa e la pinna pettorale, che essa utilizza sia come armi difensive sia per parallizzare le prede. Questi organi sono muscoli modificati, funzionanti come una batteria elettrica. A forma di reni, essi sono composti di un gran numero di piccoli prismi disposti verticalmente, in colonne, fra la superficie dorsale e quella ventrale del pesce; al microspcopio ogni prisma si presenta formato da una decina di minuscoli dischi, sovrapposti come in una pila, il cui polo positivo è rivolto verso il dorso e il poli negativo verso il ventre dell'animale. Una torpedine di medie dimensioni può contare più di 300 mila di questi dischi contenuti nei due organi elettrici. La loro innervazione è assicurata da fasci di fibre che partono dai lobi elettrici dell'encefalo e si ramificano fra i prismi. L'entità delle scariche non supera i 60-80 volt. Essa dipende dalle dimensioni del pesce e dalla sua condizione fisica, e diminuisce quando le scariche si ripetono. Un pesce spossato da numerose scariche produce, toccandolo, solo un tremito e impiegherà parecchi giorni per riportare la tensione della propria batteria al livello normale. Le scosse sono più violente sott'acqua e più sensibili quando toccano contemporaneamente le superfici superiore ed inferiore del pesce. Le scosse più forti possono gettare a terra un uomo. Le torpedini sono pesci vivipari aplacentati. Gli embrioni si sviluppano nell'utero della madre grazie alle branchie embrionali molto sviluppate, che estraggono l'ossigeno e gli elementi indispensabili per la crescita dalle secrezioni uterine. Tra le altre torpedini che frequentano i nostri mari ricordiamo: la torpedine marmoreggiata o bruna, che supera il metro di lunghezza e la torpedine nera, delle stesse dimensioni, il cui dorso è di colore bruno-violaceo. Tutti vivono nello sfondo e si nutrono di pesci, molluschi, ecc.





    .....miti e leggende.....



    La manta deve il suo nome al caratteristico aspetto del corpo, simile ad un grande scialle o mantello, una coperta ondeggiante nel nuoto.
    Il nome venne dato dai navigatori spagnoli quando incontrarono per la prima volta le mante nei mari tropicali durante i grandi viaggi di esplorazione del sedicesimo secolo. Manta, in castigliano, significa coperta. Infatti, vista dal ponte di una nave, mentre nuota sotto la superficie del mare, la manta sembra proprio una grande coperta scura alla deriva, mentre vista da sotto appare come un gigantesco fantasma tutto bianco. Viene chiamata anche diavolo di mare, pesce diavolo, vacca marina o razza cornuta per via delle lunghe appendici carnose ai lati della testa che sembrano due corna (i lobi cefalici).
    Le pacifiche mante per le loro dimensioni sono state oggetto di strane e terrificanti leggende. Questo elegantissimo pesce cartilagineo, infatti, è leggendariamente temuto dagli indigeni di numerose regioni tropicali per le colossali dimensioni e l'aspetto inquietante. E’ il mostro insidioso, che negli antichi miti tramandati dai popoli dell'Oceania tenderebbe un abbraccio mortale ai pescatori di perle,
    ma che in realtà è solo un inoffensivo gigante.
    Un tempo si riteneva che le mante potessero attaccarsi con le appendici cefaliche alle catene delle ancore, esercitando poi una trazione così forte da strapparle, si diceva anche che se si aggrappavano ad un cavo pendente dal bordo, potevano trascinare a rimorchio una nave di grandi dimensioni. Erano dunque considerate creature maligne, feroci e diaboliche.





    .......... un racconto............



    (…)Mentre tutto questo accadeva avevamo già visto cinque o sei mante schizzare piroettando fuori dal mare. Avevamo doppiato il capo sud dell’isola, navigando al di là della barriera. Avevamo osservato altre volte e un pò dovunque, in quegli ultimi giorni, piccole mante schizzare improvvisamente dal mare: facevano tre o quattro capriole verticali, fino anche a quattro metri d’altezza, e ripiombavan di piatto nell’acqua con uno schianto. La scena era fulminea, bisognava coglierla come si sorprende una stella cadente, e poche volte riuscimmo a formulare un desiderio marino. Certamente dovevano correre nel mare a perdifiato per una cinquantina di metri prima di poter sprigionare una serie di salti mortali tanto alti nell’aria; ma come facevano a piroettare e a ricadere proprio nel punto da cui erano uscite? Erano piccole mante, bambini di mante; giocavano, forse. Non c’era niente di più allegro e di più pazzo nel mare di quei salti mortali.
    (…)La prima manta grande la incontrammo da sola. La vide Tesfanchièl alle mie spalle. Gridò e tese il dito. Ci volgemmo appena in tempo per scorgerla venire a galla col ventre bianchissimo nel viola delÌ acqua, e poco sotto la superficie incurvarsi all’indietro, sparire nel buio con una capriola lenta, solenne.



    Era la prima volta che vedevamo una manta fare così.
    Cento metri dopo, un’altra manta, a prua. Anch’essa venne a galla dal fondo, in cabrata verticale, e quando fu sotto il pelo si girò all’indietro tendendo le corna, si rovesciò sulla schiena, disparve a capofitto senza rumore. Cecco mi guardò, mormorò: “Che fanno, perdio?” Scossi la testa. “Andiamo avanti,” risposi. Forse succede qualcosa, pensavo, e intanto guardavo a occidente. Il sole, adesso, doveva essersi fermato. Le nubi si erano distese lunghe e sottili, come tanti orizzonti successivi sul mare, e su ciascun orizzonte divampavano fuochi giganteschi. Tutto il cielo, poco a poco, andava prendendo fuoco. “È tabù, Tesfanchièl, un cielo così?” dissi adagio. Tesfanchièl mi fissò, poi guardò il mare: una terza manta veniva a galla e girava col ventre bianco. Il cielo andava divampando come una pineta.
    “Può essere,” disse sottovoce. “Io non so.”
    Erano ora forse le sei. Camminavamo molto piano, col motore al minimo, la barca frusciava sull’olio. Ci avvicinavamo alla punta di settentrione, sempre al largo, sopra un fondale di una cinquantina di metri. Quand’ecco, prima a poppa poi a prua, due mante colossali apparvero nel solito giro. Una ne apparve col muso nero e bianco e le corna, le corna uscirono come braccia fuori dall’acqua e la bestia si ripiegò indietro di schiena spalancando al cielo le dieci branchie dilatate e poi il ventre, inabissandosi a picco. Ma altre, altre mante scorgemmo poco lungi ripetere il giro della morte, e andammo avanti, avanti ancora; mante di cinque metri di apertura alare, mante di sei, sette quintali erompevano dappertutto dal fondo del mare, protendevano le braccia in una incomprensibile invocazione e si capovolgevano lentamente intorno alla barca. Il mare si muoveva, molte braccia parallele sorgevano dalle acque e sparivano inghiottite. Ed ecco, là a occidente della punta, con un’esclamazione soffocata individuammo finalmente il centro motore della grande danza del mare. Il mare vi ribolliva, ma senza schiume, come rimescolato dal fondo da un vortice di duecento e più metri di diametro.
    Nessun uomo vide mai quello che noi vedemmo in quell’ora di tramonto o nessun uomo che vide volle mai raccontarlo.
    Quaranta e forse più mante in una giostra ininterrotta e quasi a catena, salivano dal baratro in volo verticale con le ali e le corna tese, aprivano il mare e a braccia spalancate si rovesciavano, calavano ancora a testa in giù e là nel profondo, a venti o a trenta metri, riprendevano quota come aeroplani per tornare in superficie. Quaranta o cinquanta mante turbinavano nei loro ininterrotti giri della morte, dal cielo all’abisso dall’abisso al cielo, e ovunque nel mare in subbuglio tendevano le corna al sole ormai moribondo tra le nubi, mostravano le pance bianche sull’acqua arancione, nere e spettrali sprofondavano per ricomparire venti secondi più tardi. La barca rollava, Tesfanchièl era divenuto di pelle grigia, si volgeva a destra e a sinistra a guardare le mante che a pochi metri e lontane sgorgavano improvvise e immense dall’acqua sanguigna. Alcune ci passarono sotto, altre emersero a due metri minacciando involontariamente di capovolgerci: potemmo così misurarle in proporzione alla barca, che era lunga quattro metri: erano mante di cinque, di sei metri in larghezza e di quasi altrettanto in lunghezza, mante.di oltre una tonnellata. E una, una cattedrale che eruppe dal mare grondando ondate a forse cinque metri da noi, non era meno di sette metri; l’ondata ci colse, gettò Cecco sui paglioli, affogò la barca, io mi trovai avvinghiato alla barra del timone completamente lavato. Cecco si rialzò, si drizzò in piedi – mi par di rivederlo – allargò le braccia e urlò:”Gran Dio!”
    Il sole divampò un’ultima volta sul mare, poi si fece verde e sparì di colpo. Il mare, di colpo, tornò viola e trasparentissimo. Così, con la testa fuori dal bordo, potemmo scrutare nella voragine. E vedemmo le mante girare nel fondo. Si scorgevano lontane, quasi invisibili; più che vedere potevamo intuire la loro cabrata, poi in pochi secondi quelle cose infinitesime, sperdute in quella grande sala turchina e profondissima, ingrandivano smisuratamente fino a essere mostri lanciati a velocità possente. Arrivavano verso di noi col loro volo verticale e le corna proiettate in avanti, a invocare o a ghermire qualcosa, esplodevano fuori e giravano, giravano, giravano. La danza durava da mezz’ora.
    Ma perché? Perché quel convegno? A un tratto frullò in superficie qualcosa, una faccenda lunga, come la scia di un mitico serpente marino. Guardammo senza capire. Ma dopo dieci minuti che la scia si era eclissata al largo, un’altra eguale si disegnò a cinquanta metri e ci venne incontro diritta, senza piegare. Cecco cercò affannosamente l’arpione, ma quello strano serpente di una trentina di metri già ci era addosso, ci investiva, ci investì passandoci ai lati: erano piccolissime mante in schiera, in fila per due, affarini di neppure un metro. Sbatacchiavano freneticamente le alucce e si dirigevano anch’esse in alto mare. Dopo altri dieci minuti ci passò accanto una nuova schiera di mante bambine, e intanto le madri giravano, giravano, giravano… “Le madri, Cecco!” gridai. “Questi sono i neonati! È il parto delle mante!” Cecco non mi rispose, guardava e gli tremavan le mani. Nessuno mai al mondo aveva visto partorire le mante, e ancor oggi non si conosce quanti figli esse mettano al mondo volta per volta. I testi dicono uno. Ma quando una manta di quelle enormi venne fuori intera col ventre a tre metri da me, io so di aver visto benissimo spuntare i codini dalla cloaca, e i codini erano due non uno! E con due codini penzoloni dalla cloaca vidi altre mante ancora, e sempre due e non tre e non uno!
    I plotoni delle mante bambine, sempre in fila per due, ci incrociarono cinque o sei volte; tutti viaggiavano decisi al largo, abbandonando le madri (o le madri che avevano partorito – se questo era vero – li seguivano dal basso?). Andavano tutti e senza fallo a occidente,
    verso gli ultimi bagliori di luce, si perdevano nelle ombre nere del mare.
    “Cecco,” gridai, e mi asciugavo la faccia dagli spruzzi e tenevo stretta la barra. “Cecco, è il parto delle mante! Si capovolgono così in tondo per aiutarsi! Guarda come fanno, si stirano sul ventre e spingono girando contro l’acqua, l’attrito dell’acqua le aiuta!” Un’ondata mi strozzò la frase, mi asciugai ancora. “I piccoli si radunano e partono insieme! Vedi che le mante sono diventate la metà: le altre hanno già partorito, se ne sono andate! Guarda le altre come si sforzano, giuro che soffrono, non vedi che accelerano i giri? Là, là guarda i piccoli! Ma dimmelo che sono le mante che partoriscono!” Cecco guardava avvinghiato alla prua. Il mare era diventato nero, le pance delle mante
    che ancora roteavano parevano spettri improvvisi nel buio.
    Le acque, lentamente, si andavano quietando, la danza moriva.
    Il cielo ora era sgombro. terso; nell’azzurro tremavano le prime stelle.
    Gianni Roghi




    "...Lo stesso ragazzo che mi ha mandato quelle foto Vulcano Storm Patagonia, ha trasmesso le immagini di una migrazione di massa di pastinache. Per citare la nota che ho ottenuto, sembrano <gigantesche foglie galleggianti in mare." Ho pensato che fosse una specie di coperta, un motivo a scacchi su una coperta. >"
    Le foto sono state scattate al largo della penisola dello Yucatan da Sandra Critelli





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  3. gheagabry
     
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    " Mai sanguinare davanti agli squali! "


    Lo SQUALO MARTELLO



    Come indica il nome comune di questo squalo, il suo capo è “a martello”. In particolare il capo è molto appiattito ed espanso in due lobi, o porzioni laterali, che ne conferiscono la caratteristica forma. All’estremità del “martello” sono posti gli occhi, provvisti di membrane nittitanti (membrane che abbassandosi proteggono l’occhio). Il “martello” conferisce a questi animali particolari proprietà idrodinamiche e consente loro di compiere virate più strette rispetto agli altri squali. I denti sono triangolari ed appuntiti. La porzione superiore della pinna caudale è molto più lunga di quella inferiore.
    Il dorso del pesce martello è grigio nerastro, grigio bruno o verdastro; i fianchi ed il ventre sono più chiari. Il pesce martello può raggiungere i 4 m di lunghezza e i 4 quintali di peso.

    A vederlo sembra uno scherzo della natura, con quel martellone piantato sul muso e gli occhi posti alle sue estremità... e non dev'essere molto piacevole incontrarlo vis-à-vis... tant'è che questo "giovane" squalo (comparso sulla Terra solo 25 milioni di anni fa e conosciuto già nei primi secoli dopo Cristo), era considerato dai popoli antichi una vera e propria belva da temere ed evitare: si pensava che incontrarlo in mare portasse grande sfortuna. In effetti, proprio in virtù della sua particolare morfologia, sono nate intorno allo squalo martello numerose leggende. Per esempio, in Nuova Zelanda esiste una divinità chiamata Mangopare, che ha le sembianze dello squalo martello ed è considerata un portafortuna. Nelle isole del Pacifico si racconta invece che gli squali martello siano la reincarnazione dei morti. Pare che all'origine di questa credenza ci sia il fatto che, quando si radunano in gruppi di migliaia, il loro nuoto flessuoso e le oscillazioni laterali del capo ricordano tante anime che vagano nelle profondità ovattate dell’oceano.
    A cosa serva quel muso a martello, la scienza non è ancora riuscita a scoprirlo con esattezza, anche se sono state avanzate varie ipotesi. Si è ipotizzato che una testa così grande e dalla forma così strana potrebbe essere utile a spaventare i predatori. Oppure che la forma del muso, molto simile alle ali di un aereo, potrebbe aiutare lo squalo martello a raggiungere la superficie, visto che questi animali - essendo privi di vescica natatoria - sono pressoché impossibilitati a galleggiare. Esiste però una terza ipotesi ancor più accreditata. Una testa così espansa significa anche una superficie più ampia di ricettori elettrici. Infatti, l'intera struttura è infatti ricca di ampolle di Lorenzini*, che permettono all'animale di orientarsi per mezzo del campo magnetico terrestre e di percepire i campi elettrici generati dagli altri animali: quindi, di individuare anche prede sotto la sabbia e di riconoscere, probabilmente, la loro posizione rispetto al campo magnetico terrestre. Il suo "sesto senso" ha una capacità di ricezione che è circa 10 volte maggiore rispetto a quella degli squali dalla testa affusolata.
    Ciò implica una maggiore capacità di cacciare prede, che riesce a scovare ovunque, persino sotto la sabbia: per esempio le razze, di cui è ghiotto; oppure i granchi, che scova negli anfratti più nascosti. Si ciba anche di altri crostacei e pesci, oltre che di piccoli squali. Il martello gli serve anche per "grufolare" sui fondali o stordire le prede con... La forma della testa gli conferisce, inoltre, una capacità visiva particolare: mentre l’uomo percepisce due immagini che - quando vengono messe a fuoco - si accavallano e diventano una sola, si pensa che lo squalo martello (i cui occhi sono distanziati di oltre mezzo metro) sia in grado di percepire due immagini laterali distinte ed avere un visus centrale più ampio, con una sorta di "effetto grandangolare. L'unico inconveniente che presenta la sua testa enorme è che si rivela più facilmente esposta ed attaccabile nellalotta contro altri predatori.
    Anche con l'olfatto, il pesce martello non scherza. Le narici, poste alle estremità della testa appiattita, sono di dimensioni maggiori rispetto a quelle di altre specie di squali e si pensa che chi conferiscano una capacità olfattiva nettamente superiore. Non a caso, si è riscontrato che in presenza di sangue in acqua, o comunque quando ci sono pesci feriti o agonizzanti, gli squali martello sono i primi ad arrivare. Le narici di questi squali, sempre ben visibili sulla parte inferiore del muso, sono costituite da due canali a fondo cieco, che terminano con cellule olfattive in grado di analizzare la presenza di sostanze odorose, anche minima, disciolte in acqua. Si pensa che uno squalo martello sia in grado di individuare una parte di sangue in 100 milioni di parti d'acqua! Il suo habitat preferito è quello delle acque tropicali e subtropicali, in prossimità delle barriere coralline. Ma alcune specie vivono anche negli oceani a profondità di diverse decine di metri, così come è possibile incontrarli in fondali bassissimi vicino alla costa. I biologi non sono sicuri della presenza dello squalo martello nel Mar Mediterraneo. Lo squalo martello, a differenza degli altri squali, ha una vita sociale molto avanzata. In particolare, gli squali martello Sphyrna lewini sono stati osservati in numerosi branchi nei pressi del reef del Mar Rosso, con gli esemplari adulti all'esterno e i giovani al centro. La ragione per cui si muovano compatti è un mistero, dato che non è legata all'attività predatoria, in cui sono abilissimi, né a ragioni riproduttive. Si accoppiano generalmente in primavera, quando hanno raggiunto il metro di lunghezza per le specie più piccole e i tre metri per gli esemplari di dimensioni maggiori. L’accoppiamento tra squali è generalmente violento e questa specie non fa eccezione: morsi, colpi di martello e segnali aggressivi per assoggettare le femmine più facilmente. La gravidanza di una femmina di squalo martello dura un anno o poco più, al termine della quale vedranno la luce da 6 nuovi nati per le specie più piccole, fino a una quarantina per le specie più grosse. Gli sfirnidi sono vivipari come tutti i carcarinidi (ad eccezione dello squalo tigre); il che significa che l'embrione si sviluppa all'interno dell'utero materno in modo sorprendentemente analogo a quello dei mammiferi. Le femmine di squali ovovivipari, invece, custodiscono nel ventre materno sia gli embrioni, sia le uova che li contengono.(dal web)



    .....il sesto senso...


    Uno dei piccoli misteri della natura è sempre stato quello della forma assurda del cranio del pesce martello. Un'ipotesi in proposito è stata esposta recentemente da Stephen Kajiura dello Hawaii Institute of Marine Biology, dal quale appare che la forma a T della testa di questo squalo, oltre alla già nota funzione idrodinamica, è dovuta alla presenza di un particolare organo di senso, capace di captare il campo elettromagnetico emesso dalla preda. Si tratta di elettrorecettori la cui presenza era già stata riscontrata su altri squali ma presenti, nel martello, in quantità molto superiore.

    Questi elettrorecettori sono le cosiddette ampolle di Lorenzini che formano una rete di canali con celle ripiene di gel conduttore di elettricità; da queste, si dipartono dei piccoli condotti che si aprono sulla superficie della pelle del capo degli elasmobranchi, mediante pori. Attraverso questi organi, scoperti già da Erasmo Lorenzini nel 18° Secolo, squali e razze percepiscono i campi elettromagnetici a bassa intensità prodotti dalle potenziali prede. Questi organi di senso possono contribuire anche all’orientamento poiché le correnti oceaniche creano dei campi elettrici che le ampolle di Lorenzini sono in grado di captare. Le ricerche compiute sugli squali hanno dimostrato che questo “sesto senso” è sollecitato da frequenze comprese tra 25 e 50 Hz.



    ..miti e leggende...


    .. in certe isole del Pacifico era il culto dello squalo, almeno fino a quando i missionari cristiani non vennero a contrastarlo. Gli isolani delle Salomone erigevano altari di pietra, e secondo una testimonianza offrivano sacrifici umani a un dio-squalo chiamato takw manacca. I Figiani compivano due volte all' anno la cerimonia del bacio dello squalo, in parte al fine di ottenere sicurezza per le aree dove nuotavano. ...
    I denti di squalo fossili secondo Plinio il Vecchio, erano lingue pietrificate cadute dal cielo durante un'eclissi di luna. Egli li chiamava glossopetra, "lingua di pietra", e si chiameranno cosi fino al XVII secolo.


    .....chi sono i veri squali?....


    Eccoli gli squali
    divorano voraci tutto cio che trovano
    non lasciano nulla a nessuno
    denaro , case , lavoro , esseri umani
    i nuovi squali non conoscono pause
    si gestiscono il potere fra loro
    spolpano ogni cosa fino all’osso
    pensano solo alla loro ingordigia
    ci lasciano ai margini , aprendo le fauci per spaventarci
    i nuovi squali sono della razza peggiore
    nessuno può fermarli , non avranno tregua
    fino a che non rimarrà più nulla sul loro cammino.
    (dal web)






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    ...il gigante dei mari...


    Lo SQUALO BALENA



    In virtù delle sue dimensioni (fino a 12 metri e più di lunghezza), che ne fanno il pesce più grande al mondo, gli squali balena hanno a disposizione un menù di ampissima scelta. Per nostra fortuna, e per la fortuna di buona parte degli abitanti marini, il suo cibo preferito è il plancton. Con l’enorme bocca spalancata, lo squalo balena nuota a fior d’acqua e aspira questi microrganismi vegetali e animali, risucchiando nel vortice anche tutti i piccoli pesci che si trovano a passare dalle sue parti.
    L’alimentazione dello squalo balena, così come quella dello squalo elefante, il secondo pesce in ordine di grandezza, poggia su un apparato di filtri. Per nutrirsi, lo squalo apre le sue imponenti mascelle e assorbe insieme acqua e qualunque forma di vita la abiti. Quindi richiude la bocca e fa defluire l’acqua verso le branchie, che funzionano da setacci. Tutto ciò che non viene filtrato diventa il pasto di questo gigante.
    La testa piatta dello squalo balena fa sfoggio di un muso smussato sopra la bocca, guarnito da piccoli filamenti che sbucano dalle narici. Il dorso e i fianchi degradano dal marrone al grigio, fino al bianco del ventre, con macchie chiare sparse sul lato superiore, segnato anche da una pallida trama di strisce verticali e orizzontali. Le due pinne dorsali sono notevolmente retrocesse lungo il suo corpo, che termina con una pinna caudale divisa in due lobi.
    Preferendo le acque calde, gli squali balena popolano tutti i mari tropicali. Sono noti per migrare ogni primavera verso la piattaforma continentale della costa centro-occidentale dell’Australia. La barriera corallina di Ningaloo Reef, teatro di un’intensa deposizione di uova di coralli, fornisce agli squali balena abbondanti scorte di plancton. Nonostante le loro dimensioni, gli squali balena sono docili e alle volte acconsentono a dare un passaggio agli uomini. Sebbene considerati una specie vulnerabile, la caccia a questi squali è ancora praticata in alcune zone dell’Asia, in particolare a Taiwan e nelle Filippine.
    (National Geographic)



    Il primo squalo balena di cui è a conoscenza la scienza fu catturato nel 1828 vicino al Capo di Buona Speranza. Questa distribuzione meridionale di una specie tropicale di squalo è il risultato della calda corrente del Mozambico che corre lungo la costa sud est dell’Africa.
    Questo individuo, relativamente piccolo, misurava 4,6 metri ed era stato arpionato. In seguito, l’animale morto fu conservato, e la sua descrizione scientifica pubblicata sul South African Zoological Journal nello stesso anno. L’esemplare fu poi spedito al Museo Nazionale di Storia Naturale di Parigi, dove ancora oggi è esposto!
    Il più lungo squalo balena la cui lunghezza sia stata determinata con precisione , fu catturato con una rete nel 1983 al largo delle coste di Bombay. Maschio, era lungo 12,18 metri e pesava 11 tonnellate.
    Quanto raro sia il pesce più grande del mondo risulta chiaro dalla lista di tutti gli esemplari incontrati fra il 1828 e il 1987: un biologo segnala 320 avvistamenti, ciò significa solo due all’anno.
    Nel novembre 1994 il pilota di un elicottero segnalò un gruppo di squali balena subito fuori MAHE, Seychelles, molto vicino ad un diving center. Lui comunicò via radio il suo avvistamento al centro ed il risultato fu un documentario unico, nel quale più di quattro squali balena che si nutrivano tutti insieme nello stesso punto.
    La bocca si apre in posizione frontale. Le aperture nasali sono visibili subito sopra la bocca e i loro barbigli ricordano quelli dello squalo nutrice.
    Ma come lavorano gli occhi di questo gigante?Confrontati con il corpo enorme sono piuttosto piccoli e servono solo in poche occasioni, come per la maggior parte degli squali. La forma stranamente schiacciata della testa contiene cavità orbitali più grandi di quanto non sia l’occhio in sé. Questo consente una mobilità in ogni direzione che non troviamo in altri squali. Per proteggere gli occhi, questi possono essere anche ruotati all’interno, coem se sprofondassero dentro della testa. Infatti allo squalo balena mancano le membrane che gli altri squali hanno per proteggere gli occhi durante gli attacchi.
    Mentre si nutre filtrando, lo squlo balena ha un movimento lineare, privo di quel movimento destra-sinistra classico degli altri squali, con i quali essi accumulano informazioni.
    Lo squalo balena, semplicemente, raccoglie le sue prede mentre nuota attraverso la superficie dove si accumula il plancton. I suoi occhi servono dunque solo per determinare la densità del plancton o per guidare l’animale attraverso banchi di acciughe, non appena ne scopre uno.
    (lovebubble.it)



    ............ racconti di mare...............


    Luna Piena. Stanotte nelle profondità dell’oceano qualcosa è successo. Migliaia di piccoli polpi e creature del mare hanno rilasciato il loro sperma impalpabile. Milioni di uova e larve, da questa notte, hanno iniziato il loro faticoso viaggio verso il futuro. Pochissime di loro riusciranno a portare a termine il loro sublime incarico: la vita. Molte dovranno essere sacrificate, come parte di un grande disegno biologico, che le vuole cibo per voraci organismi di ogni misura e razza, che sicuramente da molto lontano e dalle profondità più oscure hanno già percepito che qualcosa di nuovo si muove nell’acqua.
    Il cielo, alle prime ore dell’alba e nelle ultime ore del pomeriggio, in questi primi giorni di novembre, è bianco latte, non ancora abbastanza scuro e denso da sciogliersi in pioggia.
    L’umidità si va raccogliendo, ma ancora troppo poco, un delicato venticello è ancora sufficiente a spazzarla via.
    Sule e gabbiani volano alti, la mattina presto, scrutando la superficie del mare ancora un po’ troppo increspata, non ancora abbastanza piatta da consentire al loro sguardo di penetrarla. Qualche fregata, in picchiata, sfiora le onde, per tornare poi nel blu del cielo, in attesa, anche lei.
    Ogni mattina, uscendo in mare aperto, ci facciamo assorbire affascinati dalla visione delle prime mangianze che fanno ribollire il mare; ci attardiamo ai margini di queste distese in fermento, concentrati e speranzosi, ben sapendo che è ancora presto per riuscire a vedere la tanto agognata pinna, o quel cielo di stelle che, d’improvviso, attraversa il blu del mare sotto alla barca.
    Sembra strano, ma noi, popolo dei subacquei, da oggi, come ogni anno, qui a Nosy Be, alla sera, aspettiamo la pioggia.
    A parte il fatto che è bellissimo quando piove così. Se non hai sentito un acquazzone tropicale non puoi dire di sapere cos’è la pioggia.
    E’ incredibile. Incredibile il muro d’acqua che ti si para davanti ma soprattutto è incredibile il RUMORE che ti assorda rombando su tutto, o intorno a te, è incredibile come il mare diventi immobile, una lastra di metallo incolore, ai cui margini tutto sparisce, il cielo si fonde con il mare e non puoi dire dove inizia uno e dove finisce l’altro. E’ una pioggia che cade a secchi, impetuosa, calda e improvvisa, ed ha il potere di bagnarti completamente nel giro di pochi secondi, ma non te ne importa, è calda e viva e ti fa sentire felice su questa terra e ti chiedi come sia possibile che la natura sia così potente e magnifica.
    Quando alla sera comincia a piovere in questo modo, e con regolarità, allora vuole dire che la stagione dello squalo balena è iniziata, che la natura ha preparato il suo scenario, e che da quel momento il grande protagonista potrà tornare in scena.
    Ci vogliono 27 gradi in acqua, ci vuole tanto plancton: piste compatte come una via lattea appoggiata su velluto blu, dall’odore forte e familiare, che senti a centinaia di metri di distanza; ci vuole l’acqua tranquilla ed i raggi del sole che la attraversano creando giochi di luce di gioielli sommersi.
    Poi c’è l’ingrediente magico, che nessuno ha ancora scoperto. Una volta che tutte queste condizioni si verificano insieme (so che questa frase vuole dire tutto e niente, ma la natura è così, ha i suoi misteri e i suoi poteri), allora arriva lui.
    Piccole meduse trasparenti ed inoffensive si lasciano trasportare dalle correnti di superficie, e fluttuano imperterrite assistendo alla grande battaglia che si svolge sotto il pelo dell’acqua, un misterioso gioco di ruolo dove in palio c’è la vita del più debole.
    Lo squalo balena transita pacifico ed ozioso, con la sua bocca gigantesca spalancata ad inghiottire quintali di acqua e plancton. In Madagascar il suo nome è MAROKINTANA che significa “tante stelle”, perché è proprio un cielo di stelle che vedi passare sotto la barca quando lo incontri. Intorno a lui minuscole sardine azzurre trovano riparo, convinte che una tale massa in movimento tenga alla larga anche il più spietato dei predatori, ma tutti intorno, i predatori, partecipano al gioco con entusiasmo e si scagliano come proiettili verso le loro prede, con una tale spinta propulsiva da balzare fuori dall’acqua.
    Dall’alto, gi uccelli predatori del mare, tengono d’occhio tutto ciò che si muove sotto la superficie e si tuffano fulminei a catturare le prede che disperate cercano una estrema via di fuga, come se il cielo potesse salvarle.
    Ecco che l’acqua ribolle. Il blu, al di sotto, è squarciato da piste bianche simili quelle lasciate dagli aerei in cielo e svariati pesci sembrano assistere allo prettacolo, apparentemente senza parteciparvi: marlin, pesci vela, mobule, una manta che sembra divertirsi in mezzo a questo parapiglia.
    Se anche noi riusciamo ad essere fluidi come l’acqua, silenziosi come una medusa, attenti come rapaci, possiamo assistere a questo spettacolo da molto, molto vicino, come parte di esso.
    Nessuna paura incute il protagonista, un gigante gentile con occhi piccolissimi ma mobili, vigili, simpatici, non freddi ed impersonali come quelli degli altri squali. E’ curioso, se ti lasci scivolare in acqua delicatamente lui abbandona per un attimo la sua tranquilla occupazione e viene a guardarti, ad amoreggiare un po’ con la strana e dura nuova compagna fatta di resina e metallo, ti gironzola intorno finchè ha percepito tutte le angolazioni della tua figura, poi torna al suo plancton o sparisce come un sogno nelle profondità del mare.
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    Un summit di pezzi grossi


    Fotografia per gentile concessione Smithsonian Institution

    È la più affollata "riunione” di pesci balena mai osservata: centinaia di esemplari del pesce più grande del mondo si sono ritrovati al largo della Penisola dello Yucatán, in Messico, come si vede in quest'immagine scattata da un piccolo aeroplano in cui una piccola imbarcazione viene circondata dagli squali. Lo rivela uno studio pubblicato di recente sulla rivista PlosOne. La foto è stata scattata nel 2009.

    Di solito gli squali balena, che possono misurare oltre 12 metri di lunghezza, se ne stanno per conto loro mentre attraversano le acque dei mari tropicali a caccia di plancton e altre piccole prede.

    (Leggi la scheda dell'animale)

    Ma nel corso di questo rilevamento sono stati osservati almeno 420 individui ammassati uno accanto all'altro mentre si nutrono delle uova di un piccolo pesce azzurro simile al maccarello.

    "Vedere un gruppo così numeroso in un singolo posto ha del fenomenale”, commenta Mike Maslanka, uno degli autori della ricerca nonché responsabile del Nutrition Science Department dello Smithsonian Conservation Biology Institute, in Virginia.




    national geographic




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    Lo SQUALO TAPPETO



    Gli Orectolobidae Gill, 1896 sono una famiglia di squali dell'ordine Orectolobiformes. A volte sono chiamati squali tappeto. Il termine inglese che indica la famiglia, wobbegong, proviene da una parola aborigena australiana che significa barba irsuta e si riferisce alle escrescenze attorno alla bocca tipiche delle specie che vivono nel Pacifico. La specie più grande, l'Orectolobus maculatus, raggiunge la lunghezza di 3.2 metri. Gli Orectolobidae sono dotati di un eccellente mimetismo: sono coperti da segni neri disposti in maniera dimmetrica che li fanno assomigliare a tappeti. Proprio per questo motivo sono spesso chiamati squali tappeto. Il mimetismo è migliorato ulteriormente dalla presenza di alette simili a piantine sulla pelle che circonda la bocca.

    Si trovano nelle acque poco profonde temperate e tropicali dell'Oceano Pacifico Occidentale e dell'Oceano Indiano Orientale. In particolare vivono nelle acque al largo di Australia ed Indonesia, anche se una specie (l'Orectolobus japonicus) abita le acque del Giappone. Vivono vicini al fondale, e spendono la maggior parte del loro tempo immobili in attesa appoggiati sul fondale stesso. Gli Orectolobidae sfruttano la loro relativa invisibilità per nascondersi tra le rocce e catturare i piccoli pesci ossei che si avvicinano troppo.
    Gli Orectolobidae non sono affatto pericolosi se non sono provocati. A volte hanno morso dei sommozzatori o snorkeler che li hanno accidentalmente calpestati, li hanno toccati o hanno impedito loro la via di fuga. Essendo molto flessibili riescono facilmente a mordere una cosa che stia trattenendo la loro coda. Hanno numerosi e piccoli, ma allo stesso tempo appuntiti, denti ed il loro morso può essere molto efficace, anche attraverso una muta da sub. Dopo che hanno morso, tendono a trattenere la preda ed è estremamente difficile levarseli di dosso. Anche se non sono aggressivi verso l'uomo, sono spesso pescati, soprattutto per motivi alimentari. La loro carne, con il nome di flake, è molto utilizzata in Australia per la produzione di fish and chips. La loro pelle è inoltre utilizzata nella produzione di cuoio.

    "I Wobbegongs o Squali Tappeto, sono molto comuni lungo le coste NSW Australiane, generalemente i primi incontrati dai sub. La prima volta che ne ho visto uno stavo ancora prendendo il mio primo brevetto da subacqueo, era la quarta immerisone della mia vita. Ero giu' sul relitto della Scottish Prince, nella Gold Coast del Queensland, facendo pratica con un amico (Penny) e un istruttore. Eravamo un po' storditi dalla quantita' di pesci quando l'istruttore richiama la nostra attenzione verso una parte del relitto. Appena ci guardai subbi uno shock! A circa 18" dalla mia faccia c'erano quelli che consideravo degli animali mostruosi. Ce n'era un intero mucchio, uno sopra l'altro, il piu' grandi dei quali misuravano circa cinque piedi. Fu una esperienza magica, quella che mi fece decidere di diventare un subacque. Quel giorno vidi circa 10 Wobbegongs.
    L'incontro successivo fu alla Baia di Byron, in cima al NSW Australiano. Se si vogliono incontrare questo e' il posto giusto. In un giorno fortunato se ne possono vedere da 12 a 15 senza impegnarsi sul serio. Amano abitare lungo scanalature sabbiose, specialmente in Hugo's Trench. Alcuni di loro raggiungono dimensioni veramente ragguardevoli. Si creda o no, possono raggiungere i 10 piedi, ed oltre a crescere in lunghezza, lo fanno anche in larghezza."
    (Tratto dal BilsonsSharkSite)


    Uno squalo immortalato mentre mangia un altro squalo nella Grande Barriera Corallina australiana. La foto mostra uno squalo tappeto che ha cominciato a ingoiare uno squalo bambù. Daniela Ceccarelli e David Williamson dell'Australian Research Council's Centre of Excellence for Coral Reef Studies hanno assistito allo spettacolo mentre conducevano un censimento sui pesci nella barriera corallina dell'isola di Keppel.
    "La prima cosa che ha catturato il mio sguardo è stato il bianco traslucido dello squalo bambù", dice Ceccarelli. Pensando che la parte anteriore dello squalo bambù fosse nascosta sotto i coralli, Ceccarelli si è avvicinata nuotando e lo squalo tappeto, perfettamente mimetizzato, le è apparso all'improvviso.
    "Ed è stato subito chiaro che la testa dello squalo bambù era nascosta nella sua bocca," dice Ceccarelli. "Lo squalo bambù si muoveva sempre più lentamente e alla fine è morto". Precedenti analisi del contenuto dello stomaco degli squali ha mostrato che gli squali tappeto mangiano regolarmente altri squali.
    (national geographic, foto Tom Mannering)
     
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    Gli squali lanterna e pigmeo



    Gli squali hanno forma e dimensioni molto diverse: c’è ad esempio il grande squalo bianco (Carcharodon carcharias) , che raggiunge i 7 m, oppure lo squalo balena (Rhincodon typus) che può arrivare addirittura a 18 m di lunghezza, ma ne esistono anche di piccolissimi, che starebbero comodamente nel palmo di una nostra mano.. Stiamo parlando dei due più piccoli squali attualmente conosciuti: l’Etmopterus perryi e l’Etmopterus carteri, rispettivamente squalo lanterna nano e squalo lanterna cilindrico, che raggiungono una lunghezza massima di appena 21 cm. Al terzo posto di questa particolarissima classifica si inserisce lo squalo pigmeo dalla coda a nastro, Eridacnis radcliffei, la cui dimensione massima è di 24 cm. Questi tre piccoli pesci cartilaginei sono meno conosciuti al grande pubblico rispetto ai loro “fratelli maggiori”, ma non per questo la loro biologia risulta meno interessante e priva di considerazione..

    Lo squalo lanterna cilindrico ha il corpo di colore nero uniforme, il muso è corto e arrotondato e la testa, come suggerisce il nome, ha una forma semi-cilindrica. Le fessure branchiali sono abbastanza ampie ed anche gli occhi di questo piccolo squalo, in proporzione con la lunghezza totale, sono molto grandi, utili per captare ogni minimo movimento alle alte profondità nelle quali nuota, dove pochissima luminosità aiuta la visione di queste creature. Le due pinne dorsali sono di medie dimensioni e davanti ad ognuna di esse è presente una robusta spina scanalata, prezioso strumento di difesa contro gli attacchi dei predatori. Le pinne pettorali sono lobate mentre la pinna anale è assente. Lo squalo lanterna cilindrico nuota mediamente a profondità che oscillano tra 280-350 m e sembra essere presente esclusivamente nelle acque in prossimità delle coste caraibiche della Colombia.

    Lo squalo lanterna nano appartiene alla famiglia Etmopteridae, la più numerosa dell’ordine Squaliformes. Il nome di questo squalo è dovuto alla presenza dei fotofori, punti luminosi caratteristici (bioluminescenza) disposti soprattutto attorno alla bocca e lungo i fianchi, con la funzione di far avvicinare piccole prede, creature attirate da queste deboli lucine in una oscurità quasi completa. Infatti anche lo squalo lanterna nano nuota normalmente in acque profonde, tra 280-430 m di profondità, sempre in prossimità delle coste caraibiche della Colombia. Il corpo dell’Etmopterus perryi è di colore marrone scuro sul dorso, quasi nera la parte ventrale, con linee e motivi diffusi che interrompono questa colorazione. Il muso è allungato e gli occhi sono grandi, adatti alla visione in acque scarsamente illuminate e le due pinne dorsali, di medie dimensioni, sono precedute da robuste spine difensive. Le fessure branchiali non sono molto sviluppate e la pinna anale è assente.

    Lo Squalo pigmeo dalla coda a nastro (max: 24 cm) è molto piccolo e di colore marrone scuro con caratteristiche bande scure nelle due pinne dorsali e nella pinna caudale, a forma di nastro e con il lobo superiore molto sviluppato. La pinna anale è presente, molto piccola, circa la metà di quelle dorsali. Il muso è allungato e gli occhi sono mediamente sviluppati, con la presenza di una rudimentale membrana nittitante (palpebra che si chiude sopra l'occhio). L’Eridacnis radcliffei può nuotare a profondità elevate, da 70 fino a 750 m di profondità ed è diffuso principalmente nelle acque antistanti l’India, le Filippine, il Vietman e nell’Indo-Pacifico. Le sue prede principali sono crostacei, calamari e piccolo pesci ossei. La riproduzione è vivipara aplacentata, con lo sviluppo di 1-2 piccoli squali per ogni momento riproduttivo. Il nome Eridacnis radcliffei è stato dato in onore del naturalista Lewis Radcliffe.
    (prionace.it)
     
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  11. gheagabry
     
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    Lo squalo SMERIGLIO



    Lo smeriglio fa parte del gruppo conosciuto come "squali maccarello" -Isuridae o Lamnidae- probabilmente il piu' noto fra tutte le famiglie di squali. Ci sono solo tre generi Carcharodon, Lamna, and Isurus,, ma vi si trovano le tre specie di squalo piu' note che da sempre nuotano nel mare: il mako -- il grande squalo bianco -- e l'estinto Megalodon.
    Tutti questi squali hanno abbastanza in comune per essere classificati come una singola famiglia: la stessa figura fusiforme ed affusolata e il muso appuntito. Hanno tutti delle chiglie caudali laterali appiattite (sebbene solo lo smeriglio abbia una seconda chiglia caudale), la coda muscolosa dai lobi quasi uguali e una insignificante seconda pinna dorsale. Nuotano rigidi flettendo soltanto la coda rinforzata dai muscoli delle chiglie e sono capaci di raggiungere velicita' incredibili. Alcuni sostengono che gli squali maccarello sono gli animali piu' veloci del mare.
    Lo smeriglio ha alcuni nomi comuni, tra cui "squalo maccarello", "squalo bonito" e "squalo salmone", derivante dalle sue abitudini predatorie piuttosto che da una vera somiglianza con questi pesci. Il valore della nomenclatura linnea binomiale e' evidente in situazioni come questa; in un posto esso e' lo smeriglio, in un altro uno squalo salmone, e al largo delle coste del Maine e' il bleudog.
    Gli smeriglio sono pesci oceanici, essendo stati avvistati nel Nord Atlantico, nel Mare del Nord, al largo di Inghilterra, Scozia, Islanda, Nuova Inghilterra e alle corrispondenti latitudini nell' emisfero sud. Tutti gli smeriglio possono essere considerati come specie di acque temperate o persino fredde, questo e' uno dei motivi per cui non sono mai stati documentati attacchi nei confronti dei bagnanti, nonostante gli smeriglio ne siano certamente in grado. Dove vivono loro in effetti non c'e' molta gente. La riproduzione ed il parto dello smeriglio si ritiene simile a quella del mako. Dati i suoi illustri parenti, non c'e' da meravigliarsi che anche sullo smeriglio sia stata emessa una sentenza di condanna. Lo squalo dal nome scherzoso non e' mai stato incriminato in attacchi non provocati nei confronti di umani, e non esegue movimenti elaborati e divertenti quando e' preso all'amo. Esso potrebbe apparire come il poveraccio fra gli squali maccarello, ma e' a pieno titolo uno della famiglia, un veloce e abile cacciatore. Non cosi' letale come lo squalo bianco, ne cosi' elegante come il mako ma e' tra i nuotatori piu' veloci dell'oceano, e per questa ragione si pone al top della catena alimentare. E' il predarore superiore del suo ambiente.
     
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  12. gheagabry
     
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    La PASTINACA



    La pastinaca liscia, Dasyatis brevicaudata, è una pastinaca della famiglia Dasyatidae distribuita lungo le coste africane dell'Oceano Indiano e nelle acque dell'Australia e della Nuova Zelanda. Predilige i fondali sabbiosi, detritici e limosi della zona intercotidale sino ad una profondità di 470 metri. Gli adulti possono raggiungere una larghezza di oltre 2 metri, una lunghezza di 4,3 metri e un peso superiore ai 350 chili. La colorazione del dorso varia dal grigio-marrone al bluastro, mentre il ventre è di colore chiaro. È piuttosto comune sui fondali sabbiosi delle acque costiere, dei porti, delle baie e delle scogliere. Spesso, con l'arrivo dell'alta marea, decine di esemplari di questa specie si riuniscono in grandi gruppi. Si nutre prevalentemente di piccoli pesci, gronghi, bivalvi, crostacei ed altri invertebrati bentonici. È una specie ovovivipara.
    Si differenziano dalle "cugine" razze della famiglia rajidae per la presenza dell'aculeo velenoso sulla coda.


    Le pastinache sono presenti in abbondanza nelle acque costiere e poco profonde dei mari temperati. Passano buona parte del loro tempo inattive, semisepolte sotto la sabbia, muovendosi solitamente con il solo oscillamento della coda. In genere il colore della pastinaca si mimetizza con il fondale marino, nascondendola agli squali predatori e alle razze più grandi. Il suo corpo piatto, munito di pinne pettorali tra la testa e il tronco, termina con la famigerata coda posteriore. Gli occhi sporgenti della pastinaca sono posizionati sul lato dorsale, mentre bocca, narici e branchie si trovano su quello ventrale. Gli scienziati traggono da ciò la convinzione che gli occhi della pastinaca non giochino un ruolo centrale nelle sue attività predatorie.
    Al pari dei suoi “cugini” squali, la pastinaca dispone di sensori elettrici detti ampolle di Lorenzini. Situati intorno alla bocca, questi organi rilevano la carica elettrica naturale delle potenziali prede. Molte pastinache hanno una mascella dentata che permette loro di frantumare i gusci di crostacei quali vongole, ostriche e cozze. Quando si risolvono a muoversi, la maggior parte delle pastinache nuotano sfruttando le oscillazioni ondulatorie del corpo; solo alcune sbattono i lati del corpo come fossero ali. La coda può essere usata a mo’ di timone, ma la sua funzione primaria è la difesa. La spina dorsale della pastinaca può essere corredata da ciglia dentellate e da una punta affilata.

    Il lato inferiore del suo corpo può produrre un veleno letale per gli uomini, che conserva le sue proprietà mortifere anche dopo la morte della pastinaca. Nella mitologia greca, Odisseo, il celebre re di Itaca, fu ucciso da suo figlio Telegono con una lancia la cui punta era stata ricavata dalla spina di una pastinaca.
    (national geographic)
     
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  13. gheagabry
     
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    Lo SQUALO DELLA GROENLANDIA



    Lo squalo della Groenlandia (Somniosus microcephalus; Eqalussuaq, come lo chiamano gli Inuit) è un grosso squalo originario delle acque prospicienti le coste della Groenlandia e dell'Islanda, nel Nordatlantico. Si spinge più a nord di qualsiasi altra specie di squalo. È imparentato molto da vicino con il lemargo del Pacifico. È una delle più grandi specie di squalo e le sue dimensioni sono paragonabili solamente a quelle dello squalo bianco: gli esemplari più grandi misurano 6,4 metri di lunghezza e pesano 1000 kg ed alcuni di essi possono raggiungere anche i 7,3 metri.

    “Sonnolento con la testa piccola”.. è questo il significato del nome scientifico Somniosus microcephalus, ma in realtà lo squalo della Groenlandia si rivela tutt’altro che una pigra e lenta creatura abissale. Anche per questo animale infatti, sono possibili, a dispetto del suo nome, potenti e veloci scatti per catturare le prede e resistenza e tenacia nella caccia.

    Il muso dello squalo di Groenlandia è corto e arrotondato e gli occhi sono piccoli. Le due pinne dorsali sono arretrate e senza spine, la pinna anale è assente. Anche le pinne pettorali e ventrali sono di piccole dimensioni mentre la pinna caudale è abbastanza sviluppata, sia il lobo superiore che quello inferiore.
    Le fessure branchiali sono decisamente piccole e questa caratteristica suggerisce che lo squalo di Groenlandia, pur dotato di potenza e possibilità di brevi scatti veloci per cacciare, per la maggior parte del tempo nuoti in maniera lenta e costante, con un minimo consumo energetico.



    I denti sono diversi nelle due arcate, in quella superiore sono sottili e appuntiti, mentre in quella inferiore più larghi, resistenti, con la cuspide (punta) spostata verso l’esterno.
    La vista non sembra essere molto sviluppata, gli occhi infatti sono piccoli e nelle profondità medie in cui questo squalo nuota la luminosità è quasi assente..
    Oltre a questi elementi, in una grande percentuale di squali di Groenlandia, uno dei due occhi viene attaccato da un parassita specifico, il copepode Ommatokoita elongata. La femmina adulta di questo parassita, lunga circa 5 cm, si ancora nella cornea dell’occhio dello squalo, portando ad una quasi totale cecità per quel campo visivo. Sono rari gli esemplari di squalo di Groenlandia in cui tutti e due gli occhi sono parassitari da Ommatokoita elongata.
    Nonostante questo importante disturbo alla vista l’animale non sembra risentirne, affidandosi per la predazione ad altri efficientissimi sensi (olfatto, elettrorecezione). Risulterebbe addirittura che il parassita Ommatokoita elongata sia in gradi di emettere una bioluminescenza che potrebbe attirare le prede proprio nella bocca dello squalo di Groenlandia, prede attirate da una piccola luminescenza nelle buie e gelide profondità dell’artico.
    Lo squalo di Groenlandia non è considerato pericoloso per l’uomo, soprattutto perché sarebbe davvero raro un incontro con questa creatura abissale nelle acque artiche, ma le sue grandi dimensioni spingerebbero comunque ad estrema cautela in un eventuale contatto diretto..


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    Lo squalo della Groenlandia si nutre soprattutto di pesci, ma negli stomaci di alcuni esemplari dell’estremo Nord sono stati trovati anche resti di foche. Yuuki Watanabe, autore dello studio e biologo marino presso il National Institute of Polar Research di Tokio, ha spiegato che i resti ritrovati negli squali sono “spesso freschi e privi dei tipici invertebrati ‘spazzini’, il che ci ha fatto pensare che gli squali mangino le loro prede ancora vive”.
    I ricercatori, guidati da Watanabe, hanno seguito gli squali nei loro movimenti intorno alle isole Svalbard, scoprendo che la velocità massima degli squali è appena la metà di quella della maggior parte dei mammiferi marini. "Anche se questa specie viene spesso descritta come pigra e lenta, è stata comunque una vera sorpresa scoprire che uno squalo di tre metri nuota alla stessa velocità di un bambino", ha detto Watanabe.
    E visto il ritmo letargico degli squali, Watanabe ha ipotizzato che le foche vengano catturate proprio mentre dormono. I ricercatori sostengono infatti che le foche riposino in acqua e non sul ghiaccio, per evitare di essere catturate dagli orsi polari.
    Come ha potuto osservare Watanabe durante le sue ricerche, le foche dormono sonni così profondi che potrebbero benissimo venire colte di sorpresa dagli squali. Racconta infatti il biologo giapponese che un giorno lui e i colleghi videro una foca galleggiare nelle acque artiche, e pensando fosse morta si avvicinarono, “ma non appena l’abbiamo toccata si è mossa e si è tuffata verso il basso”.
    La caccia dello squalo lento rimane un mistero..Gregory Skomal, un biologo marino del Dipartimento della pesca marittima del Massachusetts, ha già monitorato gli squali della Groenlandia utilizzando dei rilevatori acustici. In uno studio precedente, Skomal ha ipotizzato che gli squali della Groenlandia rallentino la loro velocità appositamente per tendere delle imboscate alle foche. “In questo nuovo studio, sono state avanzate delle ipotesi serie ma penso che il mistero resti ancora irrisolto”, ha commentato Skomal. “Nessuno per ora è stato ancora in grado di dimostrare come questi animali catturino le foche”.
    In ogni caso la mancanza di invertebrati sui resti di foca ritrovati negli stomaci degli squali, non esclude, secondo Watanabe, l’attività degli animali ‘spazzini’. "Immagino che questi piccoli invertebrati sarebbero in grado di abbandonare la foca morta molto velocemente, se un enorme squalo si avvicinasse loro con le fauci spalancate”, ha detto Watanabe.
    (national geographic)



    Le carne dello squalo della Groenlandia è velenosa, a causa della presenza in essa di una tossina, l'ossido di trimetilammina, che, se digerita, si scinde in trimetilammina, una sostanza che provoca effetti pari a quelli di una grandissima sbronza. A causa di questa neurotossina, i cani da slitta che si sono nutriti della carne di questo squalo non riescono più a stare in piedi. Tuttavia, se essa viene bollita cambiando spesso l'acqua o se viene seccata e messa a fermentare per alcuni mesi per produrre il cosiddetto Kæstur Hákarl, detto anche semplicemente Hákarl, può essere consumata. Tradizionalmente la preparazione di quest'ultimo viene effettuata seppellendo lo squalo in terreni boreali e lasciandolo esposto a vari cicli di congelamento e scongelamento. Ciò che ne viene fuori è considerato una prelibatezza in Islanda e Groenlandia.

     
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  14. gheagabry
     
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    Fotografia di Raul Boesel

    Uno squalo martello curioso al crepuscolo nelle aque di Cat Key, Bahamas.


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    Fotografia di David Litchfield

    Subacquei in immersione con una gabbia antisqualo si trovano di fronte a uno squalo bianco all'Isla de Guadalupe.

     
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  15. gheagabry
     
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    LO SQUALO LANTERNA

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    Chiamato comunemente squalo lanterna nano, Etmopterus perryi è con ogni probabilità la più piccola specie di squalo conosciuta: si aggira tra i 16 e i 18 centimetri di lunghezza; l'esemplare più grande mai misurato era lungo 21,2 centimetri.

    Etmopterus_perryisito

    Non si sa molto di questo pesce che, come suggerisce il nome, è dotato di bioluminescenza; è stato osservato nel suo habitat, una zona abbastanza ristretta del Mar dei Caraibi al largo del Venezuela e della Colombia, a profondità che vanno dai 250 ai 450 metri circa. Date le scarse informazioni sul suo conto, secondo l'IUCN non è possibile stabilire se si tratti di una specie a rischio oppure no.(national geographic)

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