LE NUOVE......ARTI

L'ARTE IN TUTTE LE SUE FORME

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  1. gheagabry
     
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    Le nuove .....ARTI




    Kumi Yamashita crea installazioni che giocano sul rapporto tra i corpi e le ombre che essi proiettano quando sono investiti da una fonte di luce. Le silhouette di teste e corpi che si delineano sulla parete risultano dalla fusione delle ombre prodotte da blocchetti di legno (in forma di lettere, numeri o altri solidi geometrici) illuminati da una sorgente luminosa laterale.
    Simile il procedimento utilizzato da Tim Noble e Sue Webster, che creano sculture d’ombra da oggetti metallici e materiali di recupero apparentemente accumulati senza ordine.



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    Edited by gheagabry1 - 18/3/2020, 15:15
     
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  2. gheagabry
     
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    Mentre programmatori e ingegneri sono costantemente alla ricerca di nuovi sistemi per ridurre il fastidioso “effetto pixelato” sulle immagini digitali, lo scultore texano Shawn Smith ha trovato il modo di sfruttare questo difetto per creare opere originali e attuali: lavorando con piccoli tasselli di legno crea sculture ispirate al mondo animale e vegetale, ma guardandole si ha l’impressione di stare osservando un’immagine generata al computer.
    Sul suo sito dice di sé:
    Il mio lavoro indaga il confine incerto tra mondo digitale e reale. Sono interessato in particolare al modo in cui percepiamo e viviamo la natura attraverso la tecnologia. Quando vediamo immagini naturalistiche in TV o sul monitor di un computer siamo convinti di star osservando la natura ma, in realtà, stiamo vedendo solo combinazioni di punti di luce colorata.
    [...] Trovo le immagini dei miei soggetti online e creo sculture tridimensionali di queste immagini bidimensionali. Costruisco le mie Re-things (n.d.r.: il nome della serie di opere, intraducibile gioco di parole) pixel per pixel per comprendere come ogni pixel gioca un ruolo fondamentale nell’identità di un oggetto. Nel processo di “pixelazione” il colore viene separato nei suoi elementi fondamentali, alcuni frammenti di informazione vengono persi e le forme diventano astratte.
    (ilpost.it)


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    Edited by gheagabry1 - 18/3/2020, 15:23
     
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  3. gheagabry
     
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    ROB TARBELL

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    L’arte di Rob Tarbell è bella da vedere e senza dubbio di impatto immediato. Ma dietro alle sue composizioni ipnotiche si cela uno studio complesso e dalle forti connotazioni filosofiche dal momento che, come spiega lo stesso autore, c’è la volontà di trovare e offrire “una prova della trasformazione e della conservazione dell’effimero” e, allo stesso tempo, di mettere in atto una tecnica di auto-aiuto consistente “nel bruciare cose con una valenza sentimentale per liberarsi del loro fardello emotivo“.

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    Per realizzare i suoi Smoke Rings, infatti, Tarbell brucia carte di credito, tessere per la raccolta punti, carta da regalo, fotografie e diapositive, incendiando meticolosamente tracce e disegni per dare vita a immagini di animali ritratti nelle più svariate attività. E nel fare questo, Tarbell dice di agire come un domatore, o un addestratore: assecondando cioè la natura del fumo, talvolta permettendogli e talvolta impedendogli di agire liberamente.

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    Insomma, un lavoro con presupposti cervellotici e diversi livelli di lettura e interpretazione, ma che nonostante le aspirazioni metafisiche del suo autore conserva un fascino elementare, facilmente intuibile e fortemente accattivante. Le volute di fumo ‘animate’ e gli artisti e gli animali del circo, infatti, esprimono allo stesso tempo quella eccezionalità e quotidianità che, da sempre, toccano le corde dell’emotività tanto dei bambini che degli adulti.
    (dal web)


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    Edited by gheagabry1 - 18/3/2020, 16:10
     
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  4. gheagabry
     
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    JOE BLACK

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    Joe Black è l’artista dei mosaici del terzo millennio. Sì, perché al posto delle usuali tessere di pietra questo creativo utilizza spille, pezzi di Lego e anche soldatini di plastica, mescolandoli a un uso sapiente di colla e colore. Il risultato? Qualcosa di assolutamente sorprendente, anche perché la scelta dei materiali di copertura non è mai casuale, ma in qualche modo legata al soggetto ritratto.
    Per realizzare la sua ultima opera – il primo piano del soldato cinese scattato da Robert Capa e pubblicato nel 1938 sulla copertina di Life – Black ha infatti usato 5.500 soldatini di plastica multicolor. Made in China diventa così una doppia allegoria della guerra e della condizione di chi è chiamato a combatterla. Ma non solo.

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    Tra i quadri di Black non mancano neppure dissacranti rivistazioni di miti della cultura americana come supereroi del calibro di Superman, Captain America e Wonder Woman (nella collana No More Heroes e nei singoli pezzi Animal Farm, Carry Your Own Sins Missy ed Eat my Lies), celebrazioni di personaggi disturbanti come i protaginisti de Il Pianeta delle Scimmie (realizzati con migliaia di pezzi di Lego) ed elaborazioni di soggetti ‘classici’ come il Diavolo.

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    Edited by gheagabry1 - 18/3/2020, 16:15
     
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  5. gheagabry
     
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    Luci e ombre di Rashad Alakbarov



    L’artista azero Rashad Alakbarov ponendo davanti ad una fonte di luce oggetti traslucidi e altri materiali di uso comune, come bottiglie, tubi, cd, matite e molto altro ancora, crea sulle pareti vere e proprie opere d'arte: inaspettati giochi di luce ed ombre che riproducono città, volti, scritte etc.
    Che dire, davvero molto creativo questo artista; basti pensare che per la sua tecnica ancora non è stata coniata una definizione.



     
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  6. gheagabry
     
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    Tokudzhina Yosioki



    Il Mori Art Museum, ci ha mostrato nel 2010 l'installazione dell'autore Tokudzhina Yosioki "neve", costituito, tuttavia, non dai fiocchi di neve, ma bianca come la neve.
    "Neve" – era un serbatoio trasparente 15 metri di lunghezza, all'interno dei quali c'erano centinaia di chilogrammi di lanugine. L'installazione non era statica: sotto l'influenza di flussi di aria, più leggera della piuma la lanugine è sempre stata in movimento, volando alto e lentamente affondando, come fiocchi di neve reale. Secondo Tokudzhina Yosioki, ha scelto come base per il suo lavoro questo materiale in quanto lo ritiene il più leggero che esiste attualmente. Lo scopo di questa opera d'arte era sorprendentemente semplice: l'autore ha voluto mostrare la bellezza inimmaginabile dei fenomeni naturali. Il progettista ritiene che la natura della principale fonte di bellezza nella nostra vita, ma ha sottolineato che il suo lavoro cerca di mostrare non solo la natura stessa, ma il modo per capire come una persona percepisce gli effetti. "Sole, vento leggero, l'armonia creata dalle foglie – la serie di fenomeni naturali influenzano i nostri sentimenti e le emozioni. Non cerco di ricreare tutti, ma solo selezionare gli elementi che ispirano i nostri cuori. "
    Installazione "Neve" – è stata parte della mostra «Sensing Natura», tenutasi a Tokyo Mori Art Museum dal 24 giugno al 7 novembre 2010.
    (dal web)
     
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  7. gheagabry
     
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    “La mia ispirazione nasce dalla natura e dall’ambiente urbano nel quale vivo e dal desiderio di utilizzare materiali e oggetti scartati, non più desiderati e obsoleti”.

    Claire Brewster


    Di sicuro è capitato a tutti, almeno una volta, di guardare un uccello volare e sognare di essere come lui, di avere un paio di ali con le quali volteggiare nel cielo, vedere il mondo da una prospettiva diversa ed essere liberi. Ecco perché, allora, il lavoro di Claire Brewster ci sembra così bello a livello esecutivo e, allo stesso tempo, poetico e ricco di significato. Questa artista inglese, infatti, ha dato voce al desiderio inespresso di molti e ha realizzato una serie di uccelli ritagliati da vecche cartine, mappe ed atlanti, unendo così la tematica del viaggio e della scoperta di terre lontane alla magia e al fascino del volo e della libertà di cui è metafora.
    Delicati, quasi impalpabili, fatti di ombre, colori, scritte, montagne, pianure e mari, gli uccelli di Claire sono un inno alla capacità di sognare e di guardare oltre i confini ridotti dell’oggi e della realtà quotidiana, spingendoci a riflettere sulla forza, sul coraggio e sulla perservanza di molti di questi animali che, spesso piccoli e apparentemente fragili, compiono invece traversate oceaniche per spostarsi da un continente all’altro, fedeli a loro stessi e alle proprie origini e tradizioni.
    Non solo una metafora del viaggio e della libertà, dunque, ma anche una ricerca del perché delle cose e della loro essenza, espressa dalla scelta del riciclo – inteso come nuovo modo di vedere e usare ciò che per altri è inutile, superfluo e ormai privo di interesse – e dalle ulteriori due tipologie di soggetti ritratti da Claire, fiori e piante, un’altra faccia della Natura e della sua capacità di mutare, adattarsi e reinventarsi per ‘non passare mai di moda’, come invece accade agli oggetti pensati e creati dall’uomo, compiuti e destinati a una fissità che può essere infranta solo dal proprio artefice.
    Londinese da più di vent’anni, ma nata e cresciuta nella realtà semi-rurale del Lincolnshire, Claire ha saputo accostare in modo mirabile lo sguardo sognante e aperto della donna di campagna a quello realistico e chiuso da molteplici muri – reali e metaforici – della cittadina, rendendo vivo e attuale il desiderio dell’uomo moderno, diviso tra la volontà di evadere e dare voce alle proprie ispirazioni più vere e la necessità di restare e obbedire alle regole della società da lui stessa creata.
    (kreathink)
















     
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  8. gheagabry
     
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    SONG DONG



    Al Barbican Centre di Londra è stata inaugurata oggi “Waste not”, la mostra dell’artista cinese Song Dong. L’installazione racconta l’infanzia di Dong negli anni della Grande Rivoluzione Culturale, attraverso 10.000 oggetti raccolti dalla madre dell’artista, Zhao Xiangyuan, nel corso di più di cinquant’anni. Gli oggetti sono di diverse dimensioni e tipologie: ci sono pentole, posate, stoviglie e contenitori, coperte, tappi di bottiglia, tubetti di dentifricio, giocattoli, e una sezione della casa della loro famiglia. Spiega Song Dong che quello che consiglia il proverbio cinese Wu jin qi gong (non bisogna sprecare nulla) è il prerequisito per la sopravvivenza durante periodi di agitazione politica e sociale. La mostra è stata allestita in passato al MoMa di New York e alla Vancouver Art Gallery.







     
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  9. gheagabry
     
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    CHIHARU SHIOTA


    Le opere di Chiharu Shiota assorbono letteralmente lo spazio che occupano e quasi se ne nutrono, in una maniera che sfiora il parassitismo. Sono grandi istallazioni di filo nero che sembrano impossessarsi velocemente di tutto ciò che ricoprono, dalle figure, agli abiti, alle stesse superfici, che perdono la loro stessa specificità, trasformandosi in meri supporti per una creatività traboccante. E non potrebbe essere altrimenti vista l’enorme energia che emana dall’artista, che è stata allieva di Marina Abramovic durante gli anni ‘90, e si cimenta nella produzione di “tele di lana di ragno” che prolungano l’a/essenza del suo corpo.
    Si tratta di una specie di tessuto, che ha la trama irregolare della vita, con i suoi nodi, le sue differenze di densità, le sue prede catturate e le sue trasparenze e la cui forma stessa degli oggetti imprigionati la dice lunga sul significato della loro cattura. Strumenti musicali, vestiti di bambole, scarpe e letti che si “spogliano” della loro finalità primaria, per raggiungere lo statuto etereo delle visioni poetiche, tracciando una mappa dalle infinite possibilità, che disegna mille percorsi allo stesso tempo, mettendo in comunicazione esistenze solo apparentemente lontane.










    Edited by gheagabry - 30/1/2014, 19:21
     
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  10. gheagabry
     
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    “Quando sei qui vicino a me questo soffitto viola no… non esiste più. Io vedo il cielo sopra… A noi… che restiamo qui abbandonati come se, se non ci fosse più niente… più niente al mondo. “.


    BERNDNAUT SMILDE


    Cantava così, Gino Paoli, in quella che è forse la sua canzone più nota. E, chi lo sa, magari Berndnaut Smilde ascoltava queste parole, queste note, mentre realizzava le sue installazioni Nimbus I e Nimbus II.
    34 anni, originario di Amsterdam e tuttora qui residente, Smilde è un artista che ha fatto della “presenza fisica degli spazi di transizione” il fulcro della propria ricerca creativa. Un concetto suggestivo che questo poliedrico sperimentatore olandese rende, se possibile, ancora più affascinante e misterioso nella sua rappresentazione materiale, che prende la forma di una nuvola che compare all’interno di una stanza e, come tale, è effimera e di breve durata e, pertanto, visibile solo per pochi minuti agli spettatori che si recano a vedere l’installazione.

    “L’idea che avevo era quella di creare un lavoro effimero. Che avrebbe potuto esistere soltanto in foto“, ha spiegato Smilde a My Modern Metropolis e, in effetti, sia Nimbus I che Nimbus II sono diventate note al pubblico proprio grazie agli scatti realizzati durante le loro brevi e misteriose apparizioni. L’artista infatti non ha voluto spiegare come riesce a creare l’effetto nuvola, anche se è probabile che per realizzare le installazioni utilizzi speciali liquidi evaporanti e si avvalga di macchinari che possono intervenire sulla pressione dell’aria e sulla percentuale di umidità in essa contenuta.


     
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  11. gheagabry
     
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    JANE THOMAS


    Jane Thomas, è una fotografa scozzese di 58 anni e ama fotografare le cose minuscole con un obiettivo macro. La scelta di questo tipo di fotografia nasce da una storia personale:

    La fonte di ispirazione del mio lavoro è mio marito. Geoffrey è cieco, e gli anni passati a descrivergli minuziosamente le cose che vedevo mi hanno reso molto più attenta e sensibile ai dettagli. Ora noto molti più dettagli nelle cose che vedo, credo che sia per questo che amo la fotografia con il macro, perché cerco di portare alla luce le cose che spesso passano inosservate.

    Soap Films, è una raccolta di immagini scattate con un obiettivo macro a bolle di sapone, ed è uno dei lavori con il quale ha avuto più successo recentemente. Racconta Thomas:

    Ho scoperto la “bubble art” un giorno mentre stavo lavando i piatti: ho visto queste strisce di sapone lucide e cangianti nella griglia della bistecchiera e ho pensato che sarebbe stato un soggetto interessante per le mie fotografie.

    Da anni sperimenta questa tecnica, utilizzando attrezzatura professionale per fare le bolle. Ogni immagine è scattata con una velocità elevata dell’otturatore per cogliere l’azione del liquido; Thomas non modifica mai i colori ma racconta che a seconda della materia prima della bolla, ad esempio shampoo o detersivo, ottiene sfumature diverse.
    (ilpost.it)










     
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  12. gheagabry
     
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    SEAN AVERY


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    In un'epoca in cui tutti i nostri dati, i nostri ricordi, le nostre foto, la musica e i file sono rinchiusi in “nuvole digitali”, in server immateriali, che destino riservare ai vecchi supporti fisici ormai inutili? Il boom dei consumi dei prodotti tecnologici ha infatti determinato un incremento proporzionale di rottami elettronici ad alto contenuto di composti chimici, pericolosi per la salute dell'uomo e dell'ambiente, di difficile smaltimento e riutilizzo in condizioni di sicurezza.
    Un’idea creativa di riciclo è quella proposta dall’artista australiano Sean E Avery, che con la propria arte recupera i rifiuti tecnologici trasformandoli in sculture tanto complesse quanto accattivanti. CD inutilizzati o inutilizzabili, microchip e vecchi hard disk riprendono vita nelle mani dell’artista che li rompe in piccole schegge che poi incolla, una a una, per dare forma a bellissimi colibrì, falconi, gru, piccoli roditori, insetti e persino pipistrelli. Le schegge iridescenti brillano come lame nella luce conferendo tridimensionalità alle forme. Il risultato è qualcosa di stranamente organico con uno spiccato senso di movimento.
    Designer, scultore, illustratore e grafico con un debole per il recupero di quello che per tutti gli altri è spazzatura, Avery utilizza solo materie prime di riciclo (vecchi CD e rifiuti elettronici) e classifica la propria arte come "sostenibile". La natura del processo creativo e dei materiali che utilizza fa sì che ogni pezzo sia assolutamente unico e “virtuoso” dal punto di vista ambientale.
    (dal web)


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    Edited by gheagabry1 - 18/3/2020, 11:49
     
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    JULIANA HERRERA


    A Parigi l'artista Juliana Herrera ha avuto questa idea: riempire le crepe dell'asfalto per strada con fili di lana colorati. Questa installazione di gomitoli colorati la potete trovare dalle parti di Ville Lumiere. Sulla sua pagina Flickr si possono vedere tutte le evoluzioni di questi strani florilegi che vanno sotto il nome di “Projet nid de poule”; la Herrera è attualmente una delle più quotate yarn bomber (questo il nome degli artisti che si cimentano con la lana), impegnata come gli altri artisti/performer del suo genere, a rendere più allegro e piacevole anche l’angolino più angusto che uno possa trovare per strada. Questa disciplina artistica si può definire una nuova forma di graffiti e ormai nel mondo non si contano le iniziative ad essa dedicate. L’arte del lavorare la lana è un vero e proprio movimento urbano. In tutto il mondo, gruppi di “attivisti dello knitting”, bombardano la città con trame di lana, regalando calore e colore ai grigi paesaggi urbani.

    Non è una soluzione a lungo termine ma è di sicuro quella più creativa: l’artista ha trovato un modo tutto suo, originale, sorprendente e coloratissimo, per riparare le buche che deturpano le nostre strade e al tempo stesso ottenere il risultato di evidenziarle e mandare un messaggio che non può passare inosservato. Il suo progetto si chiama Nid de poule e si incontra per le strade parigine, le cui crepe, buche e imperfezioni sono farcite di lavoro a maglia con fili di lana e cotone intrecciati, colorati e accostati per effetti cromatici che saltano immediatamente all’occhio, e da lontano. I buchi delle vie diventano così come poetici nidi per uccelli immaginari – questo significa il titolo del progetto – ma anche veri e propri manifesti visibili da lontano che sottolineano quanto non dovrebbe esserci eppure c’è e fornisce lo spunto creativo all’artista.







     
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  14. gheagabry
     
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    Lucas Simões



    Lucas Simões è un artista nato vicino a San Paolo in Brasile nel 1980. Usa una tecnica classica, come quella del collage, per raccontare le emozioni e nei pensieri di amici e persone con cui per qualche ragione stringe legami.
    La tecnica prevede una sorta di incontro privato con la persona da ritrarre, nel quale parlano come farebbero due vecchi amici. Poi Lucas incomincia a scattare un numero di fotografie che varia a seconda delle necessità. Una volta raccolto il materiale monta i ritratti decomponendoli e ricostruendoli, seguendo una logica che è legata non solo ad un gusto compositivo ma anche alle emozioni e che sembra raccontare anche del tempo che passa:


    Per costruire la serie Desretratos ho invitato alcuni amici intimi a dirmi un segreto, mentre costruivo il loro ritratto. La mia intenzione non era quella di sentire il loro segreto, ma usando questo espediente ho catturato le espressioni di ciascuno nel momento in cui mi rivelevano qualcosa di personale. Ho anche chiesto a ciascuno di scegliere una canzone da farmi ascoltare mentre scattavo delle immagini per fermare l'espressione che stavo cercando. Dopo la sessione fotografica ho chiesto se il segreto aveva un colore

    Lo stesso processo avviene per la serie Desmemórias:

    In questa serie, Desmemórias, ho ritratto alcuni vecchi amici d'infanzia con cui non ho più mantenuto i contatti. Queste immagini sono state scattate durante la conversazione che abbiamo tenuto e con esse ho costruito, sovrapponendo più piani, i ritratti di queste persone. Ho deciso di non trattare le foto, lasciando il colore e la luce com'erano in quel momento.
    (dal web)















     
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  15. gheagabry
     
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    OLAFUR ELIASSON


    Olafur Eliasson è un artista che riesce a realizzare le sue visioni, e le sue visioni sono di prima categoria.....è nato nel 1967 a Copenhagen da genitori islandesi. Dal 1993 vive e lavora a Berlino dove ha sede lo Studio Olafur Eliasson, un laboratorio che oltre alle sperimentazioni dell’artista è anche impegnato in progetti architettonici. Del 2003 crea il lavoro che gli da popolarità mondiale: The weather project, allestito nella turbine hall della Tate Modern a Londra, viene visto da oltre due milioni di spettatori. Nel 2003 Olafur Eliasson ha costruito il sole, un sole composto da duecento lampadine monofrequenza, uno specchio e fumogeni delle discoteche, questo è bastato a per trasformare l’enorme Turbine Hall della Tate Modern in un luogo lisergico e surreale. Ancora una volta si ha la conferma di quanto alla base di ogni opera d’arte ben riuscita vi sia un progetto profondo; il materiale, (elementare) in questo caso diventa riferimento, e l’opera completa, un rimando interno alla Tate, ex centrale elettrica da cui Eliasson prende come elemento modulare le lampadine che la rappresentano. Le persone sono sedute, sdraiate, o semplicemente ferme a godersi lo spettacolo. Posizionato in alto, sul fondo dello spazio espositivo, un enorme sole. E’ formato da duecento lampade monofrequenza, le stesse usate per l’illuminazione stradale, montate dietro ad uno schermo circolare. Guardandolo più attenzione, si nota che la metà viene riflessa dalla superficie specchiata del soffitto, che ne duplica l’effetto. Un leggero gas fumogeno viene emanato costantemente da macchine per ricreare il vapore acqueo, garantendo un effetto surreale di sospensione. Viene annullato l’effetto-neon generalmente presente nelle gallerie, le sagome delle persone, sfumandosi, si mischiano con il pulviscolo dei gas; la particolarità della luce e la consistenza dell’aria oltre a ricreare un’atmosfera rilassante e lisergica, ricopre persone e oggetti.
    Di fronte alle opere di Olafur Eliasson non ci si ferma a pensare se si è di fronte ad un’opera riuscita tecnicamente o esteticamente, non è richiesto. La loro efficacia è dimostrata da qualcosa di diverso e di più potente: la costante permanenza del pubblico, che si gode l’esperienza. Con interventi apparentemente minimi l’artista ricrea una natura artificiale, lirica ed artefatta. E’ interessato allo stato naturale delle cose e ai suoi possibili cambiamenti, sempre convinto che “La natura non esiste di per sè, ma coincide con il nostro modo di guardarla.
    Nella Biennale di Venezia del 2005 ha presentato Your black horizon all’isola di San Lazzaro degli Armeni. Your black horizon è un raggio di luce che – ad altezza occhi, quindi a livello di orizzonte – percorre un cubo di 400 metri quadri, una black box fatta di travi di legno e rivestimento ondulato, esternamente color marrone scuro. Affascinato dall’elemento naturale come generatore delle diverse attitudini umane ed essendosi costantemente assunto la responsabilità di raccontarle a quanta più audience possibile, l’artista ha campionato la luce della laguna veneziana dalle 4 del mattino alle 10 della sera, per misurarne le intensità e i livelli di bianco, porpora, azzurro. Ha trasferito i dati in un meccanismo di illuminazione fatto di economicissimi led, compattando la sequenza di alba-meriggio-tramonto-notte ed accelerando di qualche minuto le singole variazioni del tempo
    Ed ha quindi messo in mostra l’intero ciclo di luce veneziano nella scatola che lo contiene, disegnata da un noto architetto britannico, David Adjaye. Non è poco nel mondo in cui viviamo lo stato di grazia che Your black horizon dona, l’esperienza è superiore a qualsiasi visita “tradizionale” ad una mostra. Una pedana, aperta nel fianco della struttura, percorsa da pareti listellate che inframmezzano il percorso con dei vuoti che sottraggono a poco a poco la luce per abituare gradatamente al buio introduce ad una grande stanza scura, vuota e senza colonne. 41 metri x 41. La stanza è totalmente devota ad un raggio di luce, sottile e bianco, che muta intensità, largo meno di un centimetro. Si tratta di un’esperienza rarissima: godersi la luce, soltanto la luce e le sue sottili variazioni, isolate dall’artista che le celebra, narrando con amore e con oggettività assoluta il virtuosismo della luce mediterranea. Usciti dal padiglione, gli occhi cercano di abituarsi alla luce lagunare, quella vera, estasiati dall’esperienza ‘sciamanica’ che è stata loro appena donata.
    Come Olafur Eliasson ha la capacità quasi ‘magica’ di rendere visibile l’immateriale, riconosco questa stessa caratteristica nella musica dei Sigur Ròs. Il quartetto di Reykjavik canta in una lingua incomprensibile l’”hopelandish”, tuttavia le loro canzoni affascinano istintivamente persone dell’età più disparata. “La loro musica è come il suono di Dio che piange lacrime d’oro in Paradiso”, ha scritto Melody Maker. Atmosfere eteree e sognanti, unite a sperimentalismi elettronici al crocevia tra minimalismo e ambient music. E’ la formula musicale dei Sigur Ròs: suoni limpidi e suggestivi come le terre d’Islanda da cui provengono. Possiedono la capacità di creare sonorità ‘emotive’ capaci di penetrare nei recessi più oscuri della mente di chi ascolta. La loro musica è un magma vulcanico di suoni trasversali, di incandescenti gemme sonore. Come Olafur Eliasson anche i Sigur Ròs regalano a chi si accosta alla loro musica uno ‘stato di grazia’ che non è paragonabile ad altro. “Inutile spiegarlo con parole, bisogna solo ascoltare”.
    (vitaminic.it)




















     
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130 replies since 30/1/2011, 14:41   13210 views
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