JOAN MIRO'

pittore, scultore, ceramista

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    Joan Miró


    Da Wikipedia


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    « Un innocente col sorriso sulle labbra che passeggia nel giardino dei suoi sogni »

    (Jacques Prévert)


    Joan Miró i Ferrà (Barcellona, 20 aprile 1893 – Palma di Maiorca, 25 dicembre 1983) è stato un pittore, scultore e ceramista spagnolo, esponente del surrealismo.


    Biografia
    Infanzia e studi


    Figlio di un orefice e orologiaio, Joan Miró cominciò a disegnare dall’età di 8 anni. Su consiglio del padre, Miró intraprese studi commerciali ma in parallelo frequentò lezioni private di disegno; dal 1910 al 1911 lavorò come contabile in una drogheria, finché un esaurimento nervoso non lo convinse a dedicarsi all’arte a tempo pieno. Fu il lungo periodo di convalescenza passato nella casa di famiglia a Montroig del Camp a consolidare definitivamente la sua vocazione; lo stesso Miró riconobbe in seguito in Montroig e Maiorca i due poli della sua ispirazione.

    Tornato a Barcellona nel 1912, frequentò l’Accademia Galí fino al 1915, dopodiché passò al Circolo Artistico di Sant Lluc. Nel 1916 Mirò affittò uno studio ed entrò in contatto con personalità nel mondo dell'arte. Furono questi gli anni in cui Miró scoprì il fauvismo e in cui tenne la sua prima esposizione personale alle Galeries Dalmau (1918).

    Il periodo parigino

    Attirato dalla comunità artistica che si riuniva a Montparnasse, nel 1920 si stabilì a Parigi, dove conobbe Picasso e il circolo dadaista di Tristan Tzara. Già in questo periodo, in cui disegnava nell’accademia La Grande Chaumière, cominciò a delinearsi il suo stile decisamente originale, influenzato inizialmente dai dadaisti ma in seguito portato verso l’astrazione per l’influsso di poeti e scrittori surrealisti.

    Nel 1926 collaborò con Max Ernst per la scenografia di Romeo e Giulietta e realizzò il celebre Nudo. L’anno successivo, dopo la morte del padre, Miró si trasferì alla Cité des Fusains ed ebbe come vicini, oltre ad Ernst, anche Jean Arp e Pierre Bonnard. Sempre a Parigi, nel 1928, la sua esposizione nella galleria Georges Bernheim lo rese famoso.


    Il 12 ottobre 1929 Miró sposò Pilar Juncosa a Palma di Maiorca; la coppia ebbe una unica figlia di nome María Dolores (nata il 17 luglio 1931 e morta nel dicembre 2004).

    Iniziò in questi anni la sperimentazione artistica di Miró, che si cimentò con le litografie, l’acquaforte e la scultura, nonché con la pittura su carta catramata e vetro.

    Con lo scoppio della guerra civile spagnola (1936) tornò a Parigi, dove si dedicò a raccogliere fondi a favore della causa repubblicana, ma fece ritorno in Spagna al momento dell’invasione nazista della Francia. Da questo momento visse stabilmente a Maiorca o a Montroig.

    Miró fu uno dei più radicali teorici del surrealismo, al punto che André Breton, fondatore di questa corrente artistica, lo descrisse come “il più surrealista di noi tutti”. Tornato nella casa di famiglia, Miró sviluppò uno stile surrealista sempre più marcato; in numerosi scritti e interviste espresse il suo disprezzo per la pittura convenzionale e il desiderio di “ucciderla”, “assassinarla” o "stuprarla" per giungere a nuovi mezzi di espressione. La prima monografia su Miró fu pubblicata da Shuzo Takiguchi nel 1940.

    Dopo la morte della madre, avvenuta nel 1944, Miró iniziò a dedicarsi a lavori sfuni di ceramica e a sculture di bronzo.

    Gli anni della celebrità

    Nel 1954 Miró vinse il premio per la grafica alla Biennale di Venezia e nel 1958 il Premio Internazionale Guggenheim. In questi anni fece molti viaggi ed esposizioni negli Stati Uniti.

    Fin dal 1956 si stabilì definitivamente a Palma di Maiorca in una casa progettata e costruita dal cognato, cui aggregò in seguito un laboratorio e uno studio di pittura grazie all’aiuto dell’amico Josep Lluís Sert. Al fine di preservare la proprietà così delineatasi, per lui luogo creativo per eccellenza, Miró ne donò parte alla cittadinanza, che nel 1981 vi allestì la Fundació Pilar e Joan Miró.

    Già nel 1972, d’altronde, Miró aveva creato la Fundació Joan Miró a Barcellona.

    Nel 1978 si dedicò alla scenografia per uno spettacolo teatrale, nonché alla scultura monumentale. Risale a questo periodo la sua celebre scultura Dona i ocell (Donna e uccello), che si trova nel parco Joan Miró a Barcellona.

    Gli ultimi anni

    Per i riconoscimenti in patria Miró dovette attendere gli anni della vecchiaia e la caduta del franchismo: nel 1978 ricevette la Medalla d'Or de la Generalitat de Catalunya; nel 1979 l'Università di Barcellona gli conferì la laurea honoris causa (l'Università di Harvard aveva già provveduto nel 1968); nel 1980 ricevette la medaglia d’oro delle Belle Arti dal re di Spagna Juan Carlos; nel 1981 fu premiato con la medaglia d'oro di Barcellona.

    In età avanzata Miró accelerò il suo lavoro, creando ad esempio centinaia di ceramiche, tra cui il Muro della Luna e il Muro del Sole presso l'edificio dell'UNESCO a Parigi. Si dedicò pure a pitture su vetro per esposizione.

    Negli ultimi anni di vita Miró concepì le sue idee più radicali, interessandosi della scultura gassosa e della pittura quadridimensionale.

    Joan Miró morì a Maiorca all'età di 90 anni e venne sepolto a Barcellona, nel cimitero di Montjuïc.

    Opere parziali

    * Nude with a Mirror, 1919 [1]
    * Animal Composition
    * La fattoria, 1921-1922
    * Il carnevale di Arlecchino, 1924-1925
    * Ballerina II, 1925 [2]
    * Head of a Catalan Peasant, 1925
    * Bleu II, 4.3.61
    * Ceret
    * Uomo e donna di fronte a una pila di escrementi, 1936
    * Aidez l'Espagne, 1937
    * Portrait, 1938
    * Femmes et Oiseau la nuit, 1945
    * Femmes et oiseaux devant la lune
    * Peinture, 1954
    * Famille d'oiseleurs, 1955
    * Salon De Mai, 1966
    * Juillet, 1968
    * Daybreak Tagesanbruch, 1968
    * Dona en la nit, 1973
    * Bernabè,1975
    * Personnage Etoile, 1978
    * Pintura, 1978
    * Femme, 1981
    * Femme assise, 1983
    * Constellations-Seibu, 1984
    * Fixe les Cheveux D'une Etoile
    * L'oiseau Solaire
    * Litho V (LE)
    * Nightv
    * Ode To Miro
    * Personnage et oiseau
    * Portrait of a Young Girl
    * The singing fish
    * Vladimir
    * Vuelo de pajaros



    recensioni:

    Equipèco estate 2007
    Joan Miró
    Carmine Mario Muliere

    «Bisogna dipingere calpestando la terra perché la forza entra dai piedi.»

    Edward Lucie-Smith, critico inglese, scrive di Lui: «...Dato che il surrealismo sottolinea con tanta forza la spontaneità e le intuizioni del subcosciente, risulterà forse sorprendente che alcuni dei suoi piú noti esponenti adoperino una tecnica accademica, fino al punto di far sembrare che rigettino molte delle scoperte dell’epoca precedente. Ma artisti come Dalí e René Magritte sono cosí intenti a mostrarci la loro visione il piú chiaramente possibile che scelgono per presentarcela il modo ch’essi sperano piú accessibile. È questa la ragione per cui un artista come Magritte è rimasto stilisticamente inerte lungo tutta la sua carriera. La pittura non fu mai per lui fine a se stessa, ma solo un conveniente mezzo di comunicazione.
    Un certo numero di esponenti imortanti del surrealismo pensava che questo fosse un sacrificio delle qualità che il pittore dovrebbe ancora possedere.
    Uno di essi era Joàn Miró, il cui Interno olandese del 1928 mostra un trattamento dei problemi spaziali che deve molto al cubismo. In questo quadro possiamo osservare gli inizi di uno stile che Miró avrebbe molto sviluppato in seguito, un modo di dipingere che era piuttosto un modo di scrivere, in cui delle forme emblematiche vengono allineate sulla tela come se si trattasse di una serie di geroglifici. (...) Questo sviluppo era pregno di conseguenze per l’arte successiva al 1945.»1

    E Giulio Carlo Argan: «(...) I miti di Picasso sono allarmanti, mettono in guardia il mondo; il mitologismo conformista di Léger lo rassicura e, senza volerlo, l’inganna.
    L’altra faccia della medaglia, Miró: un pittore spagnolo, da principio tendenzialmente fauve e poi nel ‘24, a Parigi, a fianco di Masson tra i maggiori esponenti del surrealismo.
    Facendone la rivelazione dell’inconscio, il surrealismo riconosce che l’arte non ha piú una circolazione e una funzione sociali: a meno che la sua funzione non consista proprio nel liberare l’individuo e la società dalla repressione della ragione per restituirlo all’autenticità degli istinti, alla capacità di vivere in comunione mitico-magica col mondo. Non serve cercare, come Léger, di costruire miti razionali, il mito è sempre irrazionale. La pittura di Mirò è caratterizzata dall’assoluta mancanza di censure: evita perfino di attribuire alle immagini significati simbolici perché le giustificherebbero, e la giustificazione è ancora una censura.
    La mancanza di giustificazione non è mancanza di motivazione. Se le immagini di Mirò si configurano come stelle o falci di luna o corolle e stami di fiori v’è certamente una motivazione inconscia; ma è tale l’evidenza, la purezza del segno e del colore che non si cerca alcun significato secondo al di là della percezione. La profondità dell’inconscio si risolve totalmente nella superficie dell’immagine visiva. Tra la motivazione occulta e l’evidenza scoperta dell’immagine c’è soltanto l’azione del pittore. La motivazione non è una causa a cui corrisponde logicamente un effetto, è un impulso che si trasmette e perdura nel gesto che forma l’immagine. La si può leggere nella vibrazione delle linee e nella fosforescenza dei colori, come una corrente elettrica che rende incandescente il circuito che percorre. L’immagine non è una proiezione, ma un prolungamento dell’essere profondo dell’artista: un venire a galla per respirare una boccata d’aria, brillare per un istante nel sole.
    È facile accorgersi che la dimensione psichica in cui si muove Miró è la stessa di Klee, ma il moto è inverso: Klee s’immerge ed esplora, Mirò risale e affiora. Il mito non è al di là (come per Léger), ma al di qua della coscienza: ed alla soglia della coscienza la percezione si arresta. È il segno stesso, come traccia del gesto, che conduce all’origine del mito, al punto d’indistinzione e comunicazione tra vita biologica e psichica: ad una condizione veramente naturale dell’essere, in cui non può esservi nulla di oscuro, di torbido, di minaccioso. I falsi miti, non i veri, sono pericolosi; i miti conformi alla ragione, come quelli di Léger, incutono timore; con gli altri, i contrari, si può tranquillamente giocare».2

    Infine, Guy Weelen: «...Per certi pittori, il silenzio, la tenacia nello sforzo sono altrettanto importanti dei colori. Un solo luogo, sempre lo stesso, lo studio, permette loro di vivere davanti alla tela bianca le avventure piú inimmaginabili. È probabile che Miró sia uno di loro.
    Conta per Miró la fantasia del linguaggio. L’ha dimostrato giostrando sulle tele con frasi, con lettere, ma anche scrivendo diverse poesie».

    Cosa possiamo aggiungere?. Vogliamo soltanto testimoniare -attraverso queste pagine-, che l’artista è colui che riesce a liberarsi dalla formalità accademica rendendo cosí le proprie opere veicoli di comunicabilità per eccellenza.
    L’immagine, infatti, è il mezzo piú immediato per fare ciò: l’occhio non ha filtri né metafore che impediscano la comprensione; altresí, registrano nella mente direttamente e, a volte, senza che ce ne rendiamo conto; e non occupano lo spazio della nostra memoria anzi, possono forse resettarla: è un fatto eccezionale quando accada: si può esperimentare e vivere la dimensione dell’Essere totale e personale contemporaneamente: condizione che permette l’interazione che avviene senza l’intervento del pensiero poiché si realizza un fatto affine che può essere tangibile ed elettivo. Egli riesce a trovare un equlibrio eccezionale anche tra parola e immagine:

    «L’ala dell’usignolo cerchiata di blu raggiunge il cuore del papavero che dorme nellaprateria adorna di papaveri».









    La fattoria (Mirò)

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    La fattoria (Mirò) Autore Joan Mirò
    Data 1921-1922
    Tecnica olio su tela
    Dimensioni 123,8 × 141,3 cm
    Ubicazione National Gallery of Art, Washington

    La fattoria è un dipinto ad olio su tela di Joan Mirò eseguito tra il 1921 ed il 1922. Il quadro misura 123.8 x 141.3 cm ed è conservato alla National Gallery of Art di Washington, che lo ha ricevuto in donazione da Mary Welsh Hemingway, moglie dello scrittore Ernest Hemingway. L'opera è nota anche con il titolo Montroig: la fattoria.

    È firmata dall'artista con la sigla "Miro. / 1921-22".

    Risale al periodo giovanile dell'artista ed il soggetto pittorico si basa sui propri ricordi dell'infanzia: il luogo rappresentato è, infatti, la fattoria di famiglia a Mont-roig del Camp, in Catalogna.

    Nel quadro, dipinto a Parigi, non si riscontrano ancora i segni del surrealismo e dell'astrattismo che caratterizzeranno l'opera successiva di Mirò: c'è, al contrario, una spinta verso la descrizione realistica e minuziosa, tratteggiata in stile naif.

    Il rapporto tra gli elementi figurativi è scandito dalla presenza, al centro della tela, dell'albero di eucalipto, che divide la stalla dall'aia. La prospettiva non viene rispettata matematicamente: mentre l'interno del fienile è visto dal basso, l'aiuola è ripresa dall'alto. Tra i minuziosi dettagli si possono notare una chiocciola nel terreno, la grezza copertura delle mura della stalla, una donna in lontananza che lava i panni e vari attrezzi di lavoro ed animali.




     
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    autoritratto





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    la bottiglia di vino 1924

     
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    Il carnevale di Arlecchino


    Da Wikipedia


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    Il carnevale di Arlecchino è un quadro dipinto con tecnica ad olio su tela, opera di Joan Miró (che eseguì a Parigi quando aveva già aderito al surrealismo), del 1924-1925, è oggi conservato alla Albright-Knox Art Gallery di Buffalo.
    [modifica] Descrizione

    Compose questo quadro prima che Breton scrisse il "manifesto surrealista", ma applica già la tecnica surrealista dell'automatismo psichico, che prevede di mettere a dura prova il corpo per permettere all'immaginazione di perdersi in visioni fantastiche e surreali.

    Lo scopo dell'artista in questo quadro è proprio rappresentare una delle sue visioni. Si riconosce qualche elemento della realtà (un gatto, un tavolo, un pesce, una scala), ma questi non sono altro che elementi della realtà che si trasformano dando origine alla visione. Tutti gli oggetti sono fluttuanti, quasi come se fossero inventati. Popolano questo ampio spazio come se fossero fantasmi.

    L'artista non rappresenta più, come nel precedente "La Fattoria", la realtà visibile, ma quella del suo inconscio. Compare ancora una volta la scala a pioli, ricorrente nelle opere di Mirò. La scala rappresenta un trampolino di lancio che parte dalla realtà e va oltre: è la fantasia, il surreale.






    Jòan Mirò
    Il Carnevale di Arlecchino


    L’opera si presenta come un grande spettacolo realizzato con oggetti strani, piccoli giocattoli fantastici, infantili diavoletti, strani esseri informi, mostriciattoli che escono da cubi che si attorcigliano su asticelle sottili...
    pubblicato lunedì 30 dicembre 2002
    Jòan Mirò lavora al Carnevale di Arlecchino per tutto l’inverno del 1924-’25 nello studio di Rue Blomet a Parigi. La tela viene esposta per la prima volta nel giugno del 1925 in una mostra alla Galerie Fierre organizzata da Andrè Breton, leader del movimento surrealista.
    L’opera si presenta come un grande spettacolo realizzato con oggetti strani, piccoli giocattoli fantastici, infantili diavoletti, strani esseri informi, mostriciattoli che escono da cubi che si attorcigliano su asticelle sottili, molti sono sospesi a mezz’aria come giocolieri nel paese delle meraviglie. Oggetti simboli, questi di Mirò, fluttuanti in uno spazio appena accennato che evocano una pittura infantile e primitiva che nessuno dei suoi compagni surrealisti aveva ancora esplorato in quegli anni. La disposizione libera delle figure all’interno della composizione ricorda dipinti del secolo XV di Hieronimus Bosch che pare siano stati osservati al Louvre dallo stesso Mirò. Si ritrovano infatti, gli stessi strani folletti, gli stessi esseri informi diabolici presenti nel carnevale del pittore catalano.
    Mirò, liberando la sua fantasia, è riuscito a creare una seconda realtà ugualmente fisica e reale, forse più forte e scioccante di quella reale. Un mondo parallelo al nostro, surreale ed inconscio. E’ riuscito a reinventare oggetti non sottomessi alle leggi morali e ai conformismi sociali fino ad arrivare ad uno stato fluido delle cose: oggetti-simboli, elementi puramente immaginativi, onirici e metafisici. Il quadro richiama mondi infantili e burleschi ma che non vogliono essere una realtà astratta ma una parallela a quella reale, ugualmente reale e concreta. Mirò, infatti, amava ripetere che i suoi mondi proprio perché creati da forme non sono astratti ma sono veri: la forma, per Mirò non è mai astratta, è come un algoritmo matematico, ha cioè un inizio ed una fine. Nel 1938, rievocando questa opera, chiarisce quelli che sono i suoi elementi caratterizzanti, i quali possono essere ritrovati anche in altre tele: la scala indica la fuga dal mondo e l’evasione, gli animali sono quelli che amava e di cui sempre si circondava, il gatto colorato, ad esempio, è un omaggio a quello che aveva sempre con sé quando dipingeva; la sfera nera sulla destra del dipinto simboleggia il globo terrestre, il triangolo che appare dalla finestra evoca la Tour Eiffel e Parigi dove risiedeva in quegli anni. Tutto per Mirò aveva una vita segreta, gli interessava immaginare e raccontare, rappresentare quello che gli altri non consideravano. Egli dava enorme importanza alla pittura infantile perché i bambini non condizionati dalla società, riuscivano ad avvicinarsi più agevolmente al mondo delle fiabe, le vivevano, le assaporavano meglio di quanto potesse fare un adulto. Da qui parte il suo personale cammino artistico degli anni surrealisti che riesce a potenziare fino ad arrivare, negli ultimi anni della sua vita, ad opere completamente astratte. L’amore per l’arte infantile proprio perché svincolata dai tradizionali canoni pittorici lo porta a semplificazioni formali fortemente antinaturalistiche. Il carnevale di Arlecchino è considerato uno dei capolavori del movimento surrealista perché esemplifica, meglio di altre opere, gli obiettivi ed i traguardi che questa corrente pittorica si è proposta fin dal momento della sua fondazione. Essa, infatti, aveva come principale obiettivo quello di liberare la fantasia e l’immaginazione dell’artista, fino a quel momento legata alla tradizione naturalistica ancora di stampo ottocentesco, ormai sterile e priva di interesse. Il surrealismo, partendo da posizioni già avanzate dal gruppo DADA di Tzara, voleva, una volta per tutte, proporre delle soluzioni che garantivano a tutti gli artisti e all’uomo in genere una libertà realizzabile in senso positivo e costruttivo. Andre Breton vede nella psicanalisi freudiana il mezzo attraverso il quale l’uomo può liberarsi dalle catene della ragione e sentirsi finalmente libero. Nel manifesto surrealista il poeta francese, infatti, afferma che per merito di Freud l’immaginazione è sul punto di riconquistare i suoi diritti. Il sogno e la fantasia sono, per Breton ed i surrealisti, una sorta di realtà assoluta così come aveva dimostrato già da tempo il grande medico viennese. Per Breton era importante poter liberare l’immaginazione dalla logica comune, era necessario liberare la mente, anche durante lo stato di veglia, dalla ragione, così da non essere più condizionati da preoccupazioni estetiche e morali. Mirò senza alcun artificio psichico ha fatto propri questi semplici precetti, lavorando soltanto sul potenziamento di una visione del mondo ingenua ed onirica. Dal Carnevale di Arlecchino, infatti, realizza opere dal sapore puramente infantile e fantastico che rimangono uniche nel panorama artistico contemporaneo.

    da:exibart.
     
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  7. tomiva57
     
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    La ballerina



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    Nella gioiosa ribellione contro i metodi tradizionali della pittura, l'arte surrealista spagnolo Joan Miró emana un disinibito della libertà di espressione infantile. Traendo ispirazione dalla controcultura del 1920 di Parigi ', la sua arte è piena di assurdità meraviglioso. . Miro uso di colori primari e secondari, nonché forme organiche trasmette una vivace, energico entusiasmo per la vita - un parco giochi del subconscio dell'artista.

     
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    Mirò dice "sto" e lo stare di Mirò è il suo stare nel presente con pienezza. Come è riportato nei "quaderni catalani" nella sua bottega Miro' mostra, segnala "sto".
    Per il pittore "Esto" è "el choque producido por una realidad que esta surgiendo, aun no bautizada, incorporada al lenguaje comun. Esto: lo imprevisto, lo improbabble, lo que nada sabia que guardaba". Questo scontro è il moto che precede la creazione, l'improbabile, ma ancora di più l'imprevedibile. Ogni giorno nel suo studio, Miro' lavora dando origene a questo "Sto"; lui è l'intermediario tra il nulla e lo "Sto".
    Tutte le linne di centinaia di disegni nel suo "taller" galleggiano sulla stessa superficie agitata.
    Miro' dice "Il tempo? Il tempo non conta."
    Gli piace dire: "yo pertenezco al presente"
    "Non è la data, non questo aggiornamneto può misurare la distanza, testimoniare i progressi, ma piuttosto l'impronta di questa attività costante". Può accadere che un' opera datata molto tempo fa dopo venti anni produca un'altra forma, che l'idea della stessa si aggiusti. Miro' dice: "la fecha (la datazione) prueba que la immaginacion supera el tiempo, que la creacion es la elipsis del tiempo".
    La creazione, l'atto che produce tra il nulla e l'esistere lo strato materico, forma costantemente in movimento (poichè sono "linee che galleggiano sulla stessa superficie agitata"), è la sentenza emanata dall'artista sul tempo relegato a eterno
    "Esto".
    Tutti i suoi disegni sono punti di partenza possibili, niente più!
    Questo post è parte di una traduzione dai "Quaderni Catalani"


    dal web
     
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  11. tomiva57
     
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    Joan Mirò
    Rondine - Amore
    ( Studio per arazzo )
    1934
    Olio su tela
    200X250cm
    MoMa - New York








    Nei primi anni della Repubblica, caratterizzati da alterni equilibri Mirò, che conduce una vita agiata e tranquilla, avverte un riflusso nella poetica della sua arte.

    Questo a riprova del fatto che per quanto l'artista no esprimesse mai apertamente crisi e problematiche relative alla condizione in cui versava il suo paese, queste influenzavano la sua attività, sia il suo equilibrio psico-emotivo.

    L'opera concepita da Mirò come uno studio per un arazzo anticipa, nella formula della sua composizione, quella dei dipinti successivi caratterizzanti lo stile dell'artista più noto al grande pubblico con le Costellazioni.

    In questo dipinto, memore della poesia di immagini sperimentata intorno al 1924, Mirò offre una perfetta coordinazione tra figure e parole, pittura e poesia; forme e scrittura si librano liberamente nello spazio in un perfetto equilibrio cromatico.

    Come l'artista stesso afferma: "La materia, lo strumento mi dettano una tecnica, un modo di dare vita a una cosa"; probabilmente il fatto stesso di confrontarsi con la tecnica dell'arazzo influenza il modo in cui l'artista concepisce questo studio preparatorio.

    I fili colorati, che formeranno le campiture di queste forme dai colori accesi, sono gli stessi che legano in linee flessuose i soggetti gli uni agli altri; gli stessi fili che contorcendosi come in un balletto, con un movimento che ci pare di poter percepire, compongono le parole. ( Mar L8v )
     
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  13. tomiva57
     
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    BLU





    Nel 1961 dipinse la serie Blu I, Blu II, Blu III .
    Negli ultimi anni le tele si depurano progressivamente, come nel caso del trittico" Blu". Mirò˜ disserigurdo al soggetto: "E' importante per me raggiungere un massimo di intensità con un minimo di mezzi. Da cui l'importanza enorme del vuoto nelle mie tavole". Le forme, pur ridotte alla loro più semplice espressione, non sono tuttavia astratte: esse dipendono comunque sempre dalla natura, e si ispirano a lei.
    Il blu è un colore intenso primario.
    L'essenzialità è ciò che colpisce dell'opera.
     
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  15. tomiva57
     
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    Dona i ocell



    Data 1983
    Dimensioni 2200x300x300 cm
    Ubicazione Parc Joan Miró, Barcellona


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    Dona i ocell (Donna e uccello) è un'opera dell'artista catalano Joan Miró.

    Descrizione

    L'opera venne inaugurata nel 1983 senza la presenza dell'autore, assente a causa dei gravi problemi di salute dei quali soffriva e che lo condussero alla morte pochi mesi dopo. Si trova nel parco Joan Miró di Barcellona ed è alta 22 metri. Rappresenta una forma femminile con un cappello al di sopra del quale vi è l'immagine di un uccello. E' ricoperta con ceramiche di colore rosso, giallo, verde e azzurro realizzate con la tecnica trencadís da Joan Gardy Artigas.




    13 aprile 2011

    Uno sguardo inedito su Joan Mirò, pittore catalano intriso di magia e di passione politica

    di Nicol Degli Innocenti
    da: il sole 24 ore


    Joan Mirò è uno degli artisti più noti e più riconoscibili del Ventesimo secolo, considerato un fratello dei surrealisti e un precursore dell'Espressionismo astratto, amato dal pubblico e onorato da decine di mostre. Eppure, secondo gli esperti della Tate Modern di Londra e della Fondazione Joan Mirò di Barcellona, è un artista incompreso e sottovalutato.

    Il perché lo ha spiegato ieri l'omonimo nipote del pittore catalano inaugurando a Londra la grande retrospettiva dedicata a suo nonno: «Tutti pensano di conoscere Mirò, ma la maggior parte delle mostre banalizza la sua opera, mostrandolo come un artista leggero e infantile» -ha detto Joan Mirò. «Bisogna guardare dietro i simboli, capire quanto fosse rivoluzionario e impegnato nei problemi politici e sociali della sua epoca. Per questo la mostra della Tate è senz'altro la migliore delle tante mostre su mio nonno che ho visto».

    Già il titolo della mostra La scala dell'evasione, dimostra l'intenzione di voler appunto "guardare dietro i simboli". La scala è uno dei temi ricorrenti nell'opera del longevo artista catalano, simbolo di fuga ma anche di aspirazione e libertà. Mirò, nato a Barcellona nel 1893, ha intriso anche le sue prime opere del suo profondo orgoglio di essere catalano (tutta la vita ha insistito per farsi chiamare Joan e non Juan alla spagnola). Alcuni dei primi dipinti, come La fattoria del 1921 che fu acquistata dall'amico Ernest Hemingway, sono «una sintesi della mia vita», un'immagine dell'amata campagna vicino a Tarragona densa di immagini simboliche come la scala, la luna, gli uccelli, l'albero di carruba che rappresenta lo spirito di sopravvivenza e la vita.

    Già da giovane artista Mirò sceglie il suo percorso di astrazione e sublimazione del mondo reale, che negli anni Venti lo porta ad affiliarsi ai surrealisti guidati da André Breton. «Non ha senso dare più importanza a una montagna che a una formica», disse Mirò, dipingendo quadri così onirici che Breton lo definì «il più surrealista di tutti noi». Un'altra figura simbolica appare nei suoi dipinti, quella del contadino catalano, ridotto all'essenziale, di cui si riconosce solo la ‘barretina', il tradizionale berretto rosso. Certo un simbolo delle tradizioni autentiche e senza tempo della sua terra, ma anche un messaggio politico di ribellione e di solidarietà, in anni in cui il movimento autonomo catalano veniva soppresso e l'uso della lingua limitato.

    La politica interferisce sempre di più nella vita di Mirò: nel 1936 per sfuggire alla guerra civile va in esilio in Francia e nel 1939, quando Franco conquista Barcellona e avvia la sua lunga dittatura, l'artista descrive il suo regime come «una lotta contro tutto quello che rappresenta il puro valore dello spirito». Il quadro Natura morta con una vecchia scarpa esprime il disagio e sconcerto dell'artista in questo periodo, con i suoi oggetti familiari in un contesto assolutamente alieno.

    Un lungo muro della mostra è dedicato alla "serie di Barcellona", 50 litografie dense di mostri, orchi, dittatori, vittime innocenti e angoscia. Gli uccelli stilizzati esprimono il senso di oppressione e l'anelito di libertà, così come La scala dell'evasione, che dà il titolo alla mostra e fa parte delle Costellazioni, una serie di dipinti di grande bellezza creati proprio come antidoto alla bruttezza del mondo. «Sono un pessimista di natura - disse Mirò - ma quando lavoro voglio evadere dal mio pessimismo».

    Nel 1940, di fronte all'invasione della Francia da parte delle truppe tedesche, decide di andare in tornare in Spagna ma in "esilio interno" a Palma di Majorca, luogo natale di sua madre, dove resterà fino alla morte, con frequenti viaggi all'estero per lavoro. Nei suoi viaggi a New York incontra Jackson Pollock, suo grande ammiratore, e viene ispirato a tentare nuove sperimentazioni.

    I cinque trittici
    Nascono così i cinque immensi trittici, che la Tate ha riunito per la prima volta per la mostra, e per i quali ha costruito apposta delle sale interne ottagonali, piccoli templi per apprezzare l'ambiziosa visione di Mirò. Il trittico blu e quello colorato sono un'ode alla gioia e alla vita. I due trittici bianchi sono una pausa di mesta riflessione. Uno dei due, La speranza di un uomo condannato del 1973, è un'elegia per l'anarchico catalano ucciso Salvador Puig Antich.

    Eventi politici e tumulti sociali continuano a ispirare Mirò anche da anziano. Nel 1968 dedica un dipinto dai colori vibranti alla ribellione degli studenti e alle prime manifestazioni di lavoratori in Spagna dai tempi della guerra civile. «Il titolo, Maggio 68, dice tutto», ha spiegato l'artista. Con la rabbia Mirò ritrova anche la voglia di sperimentare e crea gli straordinari "dipinti bruciati", sospesi dal soffitto per poter guardare attraverso i buchi creati dalle fiamme e vedere l'intelaiatura denudata della tela. Il fuoco, secondo l'artista, «non tanto distrugge quanto trasforma, agisce con una grande inventiva che ha qualcosa di magico».

    Mirò rimase creativo e vitale fino alla fine, gettando secchi di vernice su grandi tele alla maniera di Pollock quando aveva oltre ottant'anni. Riuscì a vedere la fine di Franco in Spagna e il ritorno della democrazia nella sua amata terra. E lasciò una dichiarazione che è anche un epitaffio: «L'artista è qualcuno che, mentre gli altri tacciono, usa la sua voce per dire qualcosa che sia utile all'umanità. L'artista deve trasformare ognuna delle sue opere in una negazione delle negazioni, in uno scioglimento di tutte le oppressioni, tutti i pregiudizi e tutti i falsi valori».

    Il nipote può essere soddisfatto: dopo questa mostra nessuno potrà più sottovalutare Mirò o considerarlo infantile.




    Juiliet

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