DESERTO

..un luogo misterioso

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  1. gheagabry
     
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    Leggende


    I FIGLI DEL SAHARA


    Con un tintolo accattivante quanto misterioso esploriamo una delle zone più affascinanti del pianeta: il deserto del Sahara.
    Meta di avventurieri, di scrittori e di romantici questo deserto ha esercitato sempre un forte potere sulla mente degli uomini come se qualcosa di misterioso circondasse le enormi dune che compongono questo luogo. La fantasia nel corso del tempo si è sbizzarrita e si è visto il silenzioso deserto come teatro di antiche civiltà perdute, di miti che vogliono gli dèi provenienti dal profondo spazio, e di tante altre cose misteriose. Abbiamo già detto numerose volte come questo luogo potrebbe aver ospitato quella civiltà planetaria barbaramente spazzata via dalla furia dei cataclismi. Sebbene sia una teoria un po' insolita le pitture rupestri ci mostrano come questo luogo fosse geologicamente molto diverso da come lo è ora, dal punto di vista biologico e etnologico. Le stesse illustrano come questo mondo perduto fosse in contatto ora con giganti, ora con esseri non umani. In tal modo, danno adito alla teoria di una civiltà avanzata del deserto del Sahara. Secondo molti studiosi 11.000 anni fa il deserto ospitava una natura rigogliosa, acque limpide e una fauna che oggi si può trovare soltanto nell'Africa Subshariana o nelle più sperdute giungle del continente nero; il tutto abbellito da un enorme e grandioso lago che ha detta di numerosi idrologi esisterebbe ancora, a diversi metri sotto le dune del deserto. I gruppi che vi vivevano qui, la cui origine è incerta, crearono una grande civiltà che, secondo alcuni studiosi, entrò in contatto con esseri di altri mondi, sbarcati per caso in quelle zone. Le pitture rupestri, come vediamo qui a fianco, ci mostrarono chiaramente esseri che sembrano portare scafandri spaziali. Questi personaggi indosserebbero abiti simili a tute spaziali. Che siano giunti nel Sahara preistorico esseri di altri mondi, capaci di istruire gruppi di indigeni tanto da indirizzarli verso un elaborata civiltà? Una civiltà distrutta poi da un diluvio universale che fece di questo paradiso uno sterile deserto? Dovremmo pensare che le oasi che raramente si incontrano in questi luoghi siano in realtà i resti di quel paesaggio da cartolina? Tutto può essere. Da dove provenivano gli abitanti dell'antico Sahara? Alcuni studiosi li immaginano ultimi discendenti delle genti di Atlantide che, rifugiatisi in queste zone in seguito al primo dei quattro diluvi universali, si imbarbarirono a tal punto da scordare tutto la loro sacra scienza. Molto probabilmente, potremmo immaginare, lo sbarco di esseri di altri mondi fu più che necessario e forse utile per rinfrescare la memoria agli ex Atlantidei sul loro antico sapere. Potrebbero essere antenati degli Egizi, i quali, incontrandosi con altri gruppi provenienti dall'Indonesia, avrebbero dato vita a un'elaborata civiltà. Da quegli stessi antenati gli Egizi appresero le loro magia, la loro scienza. Ma forse non tutti si imbarbarirono, poiché il mistero che circonda la civiltà Nok, quella dei Kush e del Grande Zimbawe, senza escludere le cittadelle perdute nella Savana e nella Giungla, troverebbe spiegazione soltanto immaginando un ipotetico rapporto tra le genti di origine Atlantidee trapiantati in Africa e gli antichi indigeni. Dopo il diluvio si imbarbarirono a tal punto da scordare tutta le tecnologia, tutto il sapere appreso, tornando a una forma di espressione artistica tipicamente preistorica. Forse, esseri di altri mondi istruirono queste genti, con lo scopo di condurli verso una nuova civiltà. Se così fosse, acquisterebbero senso le meravigliose pitture rupestri ritraenti esseri giganteschi (ndr. come il grande dio Marte) o capaci di una civiltà più evoluta, scelsero questo paradiso per coltivarci le loro scienze sacre. Purtroppo un cataclisma, il secondo a questo punto, distrusse tutto e ogni cosa divenne polvere. Sopravissero in pochi, insieme di volteggiare nell'aria. Dischi sospesi da terra e altri anacronismi. Gli indigeni, incapaci di comprendere la vera natura dei loro dèi, rappresentarono quel che videro adattandolo al loro modo di vedere il mondo, con una sorprendente ingenuità. Gli Atlantidei, o comunque questi portavoce all'orda indoeuropea proveniente dall'Asia (ma forse originaria di Mu). La stessa che nel frattempo aveva già distrutto le civiltà di Harappa e Mohenjo Dara con le famose Vimana e con bombe nucleari, fondato la civiltà Tibetana, Khmer e Mongola e, infine, aveva disseminato il mondo di piramidi. Forse, furono proprio questi Indoeuropei ad attraversare l'Oceano indiano fino a risalire la penisola Araba, unendosi culturalmente agli indigeni africani, fondando la civiltà Egizia. Una civiltà avanzata, con grandi poteri, grandi segreti e grandi macchine! Purtroppo questa è solo fantascienza, almeno per ora. Non possiamo sapere se le cose andarono veramente così o meno. Sicuramente qualcosa in questo luogo, come del resto in qualsiasi altro luogo del mondo, è avvenuta. Uno scambio culturale, un'evoluzione artistica limitata solo ad alcune zone del deserto. Non possiamo capirne ancora le cause, gli esiti. Qualsiasi teoria tende a scontrarsi con i pochi dati archeologici e storici in nostro possesso. Il deserto del Sahara con la sua vastità silenziosa continua ancora a conservare i tesori e le meraviglie delle antiche genti misteriose; un Universo immenso e sorprendente celato dal tempo e dalla solitudine.

    sahara-desert



    Edited by gheagabry1 - 1/10/2019, 20:06
     
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  2. gheagabry
     
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    sahara-desert-pictures-libyan



    Mi è sempre piaciuto il deserto. Ci si siede su una duna di sabbia, non si vede nulla, non si sente nulla, e tuttavia qualche cosa risplende nel silenzio.

    Antoine de Saint Exupery



    Edited by gheagabry1 - 1/10/2019, 20:04
     
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  3. gheagabry
     
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    deserto-sahara-cresciuto-secolo-



    IL DESERTO E’… Il deserto è una distesa di sabbia bruciata dal sole e tormentata dal vento.
    E’ un mare di onde dorate che si increspano all’infinito, oltre l’orizzonte, fino a dissolversi nell’aria tremula che ne riproduce il ritmo. E’ un’infinita varietà di colori, soggiogati da una luce instancabile, mai uguale a se stessa: tanto generosa di riflessi quanto avida di ombre, maestra di gradazioni e sfumature. Il deserto è la morsa del ghiaccio che rattrappisce un cuore ormai privo di impulsi. Il deserto è l’immersione nell’ignoto, il naufragio nell’immenso, l’estatico oblio delle certezze e l’inebriante annichilimento delle incertezze. E’ la calma dell’incedere senza tempo, verso un dove senza confini. Il deserto è la solitudine di un’anima tormentata che non vorrebbe arrendersi all’impero dell’aridità. E’ la forza di una passione irrefrenabile che non conosce ostacoli: un fuoco inestinguibile, un ardore imperituro. Il deserto è la nobiltà di un uomo il cui respiro si confonde con l’alito che modella le dune, il cui cammino segue tracce ancestrali fatte di voci, di canti, di narrazioni, i cui occhi incorniciati da drappeggi d’indaco si abbassano soltanto quando da oriente giunge il richiamo alla preghiera. Il deserto è un sinuoso felino dal manto fulgido: elegante, sensuale, ammaliante, feroce, brutale. Il deserto è l’illusione che esista qualcosa di deserto: un luogo deputato al nulla dove ogni forma di vita
    assume connotati leggendari; un silenzio assoluto dove lo sciabordio del sangue nelle vene diventa assordante; uno spazio sconfinato dove si assume la dimensione di un granello di sabbia e si diventa parte del tutto.

    - Valentina Gualandi -



    Edited by gheagabry1 - 1/10/2019, 20:03
     
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  4. gheagabry
     
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    Il deserto più antico del mondo


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    Dietro a questi colori inusuali si nasconde la distesa di sabbia più antica della terra: è il deserto del Namib, sulla costa sudoccidentale dell’Africa.
    Questo territorio, arido da più di 50 milioni di anni, si pensa che sia il deserto più antico del mondo. Ma non è l'unico record: una delle sue due dune soprannominata "big daddy" con i suoi 380 metri di altezza è tra le più alte mai viste.
    Nonostante non piova molto (ma spesso c'è la nebbia) e i suoi corsi d'acqua siano praticamente asciutti, alcuni animali - e vegetali - riescono a sopravvivere utilizzando alcune strategie.
    Gli sciacalli per esempio leccano l'umidità dalle pietre, mentre le antilopi da queste parti hanno un sistema di termoregolazione interna che permette loro di sopravvivere nelle ore più calde della giornata.





    focus.it

    Edited by gheagabry1 - 1/3/2020, 17:01
     
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  5. gheagabry
     
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    Il segreto degli anelli
    di Daniel Stone

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    I deserti dell'Africa meridionale sono punteggiati da migliaia di "anelli delle fate", chiazze spoglie circondate da un cerchio erboso che la tradizione attribuiva a cause soprannaturali. Ma a quanto pare la loro origine è molto più terrena.

    L'ecologo Norbert Juergens ha analizzato 2.000 cerchi, scoprendo che sotto quasi tutti si nascondono nidi di termiti Psammotermes allocerus. «Le termiti danneggiano le radici delle piante che germinerebbero nella chiazza brulla», spiega lo studioso.

    L'ecosistema generato dalle termiti ha i suoi benefici: la chiazza spoglia sopra il nido assorbe più acqua per il consumo degli insetti, e le piante vicine traggono acqua dal deposito e crescono più fitte e alte, formando il cerchio erboso. Il suolo umido e la vegetazione portano vita nel deserto, fornendo rifugio a formiche, api e persino mammiferi.

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    Le rubriche Visions | Now | Next di National Geographic settembre 2013

    Edited by gheagabry1 - 1/3/2020, 16:59
     
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  6. gheagabry
     
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    Ryszard Kapuscinski in “Lapidarium” scrive così: “Amo il deserto, ha qualcosa di metafisico. Nel deserto tutto il cosmo si riduce a pochi elementi. Il deserto rappresenta l’universo ridotto all’essenziale: la sabbia, il sole, le stelle di notte, il silenzio, il calore del giorno. Si hanno con sé una camicia, dei sandali, cibo frugale, un po’ d’acqua da bere, tutto nella massima semplicità. Niente si frappone tra te e Dio, fra te e l’universo.”
    Ma cos’è di per sé il deserto? Un’ampia regione emersa con scarse precipitazioni e quindi vegetazione effimera e vita animale ridotta; in condizioni naturali scarsamente utilizzabile da parte dell’uomo. La parola “deserto” deriva dal latino deserere (abbandonare). Così i dizionari o le enciclopedie. Ma questo dice tutto e non dice niente. Perché i deserti, quelli dell’immaginario classico, sono sabbiosi, a dune (erg) o pietraie (hammada o serir). Ma si incontrano anche deserti costieri (Atacama o Kalahari), deserti interni continentali (Gobi) e deserti freddi (tundra). E il pack polare è anch’esso deserto. E desertiche sono le zone dove l’uomo non si è ancora fermato. Per traslato lo sono anche le giungle impenetrabili e le foreste pluviali. Deserti come luoghi dell’assenza, la contrapposizione alla stanzialità, alle coltivazioni. Eppure civiltà sono cresciute in ambienti inospitali, in deserti veri e propri.
    Ma iniziamo dal deserto per antonomasia il Sahara. Si estende attraverso tutta l´Africa del Nord, dal Mar Rosso all´Oceano Atlantico, con un’ampiezza di 4.000 chilometri e una superficie totale di 8.600.000 kmq (quasi quanto gli Stati Uniti). Oltretutto, giorno dopo giorno, si allarga sempre più. Dal punto di vista geologico è uno scudo, la cui altitudine è compresa tra i 300 e gli 800 metri. Dici Sahara, che in lingua araba significa “grande vuoto”, e pensi ad una distesa di sabbia, ma in realtà il Sahara è coperto da sabbia solo per un quarto della sua estensione. Il resto è roccia. La sabbia si accumula a formare dune, che possono arrivare a toccare anche i 300 metri in altezza, nelle conche o vicino ai rilievi grazie ai fortissimi venti (harmattan). Questi venti originano talvolta dei campi molto estesi (erg) nei quali le dune sono allineate in lunghe catene dalle dorsali appuntite, separate da stretti canaloni. I più importanti erg si trovano nel Sahara algerino (Grande Erg Occidentale e Grande Erg Orientale), nel Sahara centrale (Erg Chech ed Erg di Libia) e nel Sahara meridionale (Ouarane). Sono dieci le nazioni toccate e nelle zone più calde si registrano temperature che normalmente superano i 50 °C e raggiungono, a volte, anche i 70 °C sulla sabbia. Il clima è naturalmente arido: la piovosità, pur variando da luogo a luogo, non supera normalmente il valore medio annuo di 100 mm. L’escursione termica è un fenomeno conosciuto, di notte durante l´inverno, nella parte settentrionale e centrale, possono anche verificarsi delle gelate.
    Ciò che più colpisce l´immaginario collettivo sono le dune di sabbia ma il deserto non è mai uguale a se stesso: il paesaggio è assai vario e tutt’altro che monotono. Gli orizzonti si succedono, alle dune si contrappongono le piatte distese di ghiaia del reg, le barcane, le dune mobili dalle parabole sinuose a mezza luna disegnate dal vento, lasciano il posto alle rocce dai profili erosi, a pinnacoli e guglie, a rocce tondeggianti levigate dai granelli di sabbia, a pertugi e fenditure scavate dalla natura. Per non parlare dei massicci montuosi di origine vulcanica, alcuni dei quali molto elevati come il Tibesti nel Ciad (3415 m) e l´Hoggar in Algeria (2918 m), le cui rocce scure contrastano la linea dell’orizzonte. E poi i colori sempre mutevoli e diversi che dipingono il territorio.
    Ma la vita nel deserto dipende in maniera assoluta dalle oasi e dalla possibilità di recuperare dell´acqua. Quando piove, soprattutto d´inverno, il deserto cambia immediatamente aspetto: si formano dei grossi corsi d´acqua che, nella maggioranza dei casi, si esauriscono in bacini interni chiusi (chot) senza arrivare al mare. L´acqua scorre nei letti prosciugati di fiumi (uadian), testimonianza di una idrografia pregressa e soltanto alcuni millenni fa qui vi era una vegetazione rigogliosa, con fiumi e foreste. Ne sono prova conchiglie fossili e ossa di animali e soprattutto migliaia di pitture rupestri che offrono un quadro vivido della vita preistorica nel Sahara. La riproduzione di scene di caccia al bufalo, all´elefante, alla giraffa, testimonia di come fosse un tempo la regione. La maggior concentrazione si ha nelle aree del Tassili algerino, dove si possono osservare anche gli ultimi esemplari di cipresso, ormai pochi e probabilmente destinati a scomparire (e fino agli inizi del ‘900 sembra accertata addirittura la presenza di coccodrilli) e dell’Akakus libico, tanto che l’UNESCO ha dichiarato quest’area, già parco naturale dal 1973, patrimonio culturale dell’umanità. Le acque piovane, quelle che non evaporano rapidamente a causa delle temperature elevate, si infiltrano nel terreno andando ad alimentare le falde acquifere di cui il Sahara è molto ricco. La stessa acqua, affiorando per vie naturali o tramite pozzi, consente agli abitanti del deserto di vivere. E poi ci sono le oasi, quando il terreno si abbassa fino ad incontrare la falda acquifera, gli unici punti del Sahara dove è possibile praticare attività agricole e creare insediamenti fissi che a volte arrivano ad ospitare 40-50 mila persone; sono anche delle stazioni importanti per gli spostamenti lungo le piste che attraversano il deserto.
    Ma il Sahara è fatto anche di uomini, di nomadi. “Forse dovremmo concedere alla natura umana una istintiva voglia di spostarsi, un impulso al movimento nel senso più ampio”. Così Bruce Chatwin. E storicamente i popoli hanno trovato un impulso a muoversi quando le condizioni ambientali erano difficili, quando il permanere era problematico e incognito. E quale migliore esempio degli abitanti dei deserti?
    Nel Sahara tutti conoscono i tuareg, gli uomini blu, per via del colore del telo con cui si avvolgono la testa ed il viso, per ripararsi dal vento e dalla sabbia, che lascia solo una stretta fessura per gli occhi. Furono molto riluttanti nel convertirsi all´Islam e, proprio per questo, gli Arabi li definirono toureg, che vuol dire abbandonati, nel senso di infedeli. Sono una popolazione gelosa della propria autonomia e, pur essendo islamici, sono strettamente monogamici ed affidano alla donna un ruolo importante. Le donne tuareg non portano il velo e viene affidato loro il compito di insegnare a leggere ed a scrivere e il tuareg, tra le lingue berbere, è l´unico ad avere una propria scrittura. Al giorno d’oggi sono 400mila, organizzati in confederazioni e sono stanziati nel sud dell´Algeria, nel Niger e nel Mali. Solo 50mila vivono nei limiti climatici del Sahara.



    Edited by gheagabry1 - 1/10/2019, 20:00
     
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  7. gheagabry
     
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    IL DESERTO DEL
    GRANDE LAGO SALATO


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    Il Deserto del Gran Lago Salato è un deserto di sale che si estende nello Utah settentrionale, tra il Gran Lago Salato e il confine con il Nevada, negli Stati Uniti. E' quanto oggi resta del lago Bonneville, un vasto bacino preistorico che si è in gran parte prosciugato. Il lago si trova ad un'altitudine media di 1.280 m. Ha una lunghezza di circa 120 km e una larghezza che varia tra 48 km e 80 km. La superficie media del lago è di 4.400 km² (che ne fa il secondo lago per dimensioni fra quelli interamente all'interno dei confini degli Stati Uniti, dopo il Lago Michigan), ed è soggetta a forti variazioni stagionali. Il lago è mediamente poco profondo (4,5 m). Le acque del Gran Lago Salato hanno una composizione chimica molto simile a quella delle acque oceaniche. La concentrazione salina varia tra 50 g/l (50 grammi di sale per litro) e 270 g/l (la salinità media del mare è di circa 35 g/l).

    Il deserto salato di Bonneville è ricoperto in gran parte da cloruro di sodio con presenza di molti altri minerali in particolare il potassio. Questi depositi di sali minerali sono sfruttati nella parte sud del deserto, di proprietà privata. In inverno, la minore evaporazione permette all'acqua meteorica di ricoprire in parte lo strato di sale. L'acqua evapora in primavera, mentre i venti estivi lisciano la distesa di sale rendendola dura come roccia, impedendo la crescita di qualsiasi vegetale. Le precipitazioni estive cancellano tutte le tracce lasciate dall'attività umana o animale. Questo rende la superficie salata perfettamente piatta e molto riflettente. Il riscaldamento dell'aria sopra la superficie provoca una variazione della sua densità per alcuni metri, ciò provoca un effetto ottico di rifrazione detto miraggio, che fa sembrare le montagne circostanti come fluttuanti sopra la distesa salina.

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    Tra il 1960 e 1988, si è constatata una certa diminuzione nella concentrazione salina della zona, forse dovuta allo sfruttamento delle saline. Le autorità decisero una risalinazione della pianura. Tra il 1997 e 1999, con il progetto Salt-Laydown si dimostrò la possibilità di aumentare la concentrazione salina pompando acqua salmastra presente nel sottosuolo.

    A causa dell'elevata salinità, poche specie viventi sono in grado di abitarlo a parte piccoli crostacei della specie Artemia salina.



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    …la storia…


    Due milioni e mezzo di anni prima di Cristo, quest'area, insieme al Great Salt Lake, era un'immesa distesa d'acqua dolce alimentata da un fiume. Sprofondamenti successivi la isolarono dal suo emissario. Il livello diminuì, i sali minerali si concentrarono e l'evaporazione ripeté il fenomeno che si manifesta nel Mar Morto.
    Il lago Bonneville era un lago del Pleistocene, che occupava oltre 50.000 km2 nella regione del Gran Bacino, nell'America Settentrionale: era compreso per la maggior parte nell'odierno Utah, oltre che nell'Idaho e in Nevada. Si formò circa 32.000 anni fa, esistette fin circa a 14.000 anni fa; in seguito a cambiamenti climatici, il lago iniziò a prosciugarsi, lasciando come resti il Gran Lago Salato, il lago Utah, il lago Sevier, il lago Rush, il Piccolo Lago Salato ed il Bonneville Salt Flats. Era profondo oltre 300 metri.
    Attorno a 15.000 anni fa, il fiume Bear iniziò a trasportare le sue acque nel lago, alzando il suo livello oltre il Red Rock Pass; di conseguenza il lago debordò oltre questo, distruggendo una diga naturale e diminuendo il suo livello di oltre 100 metri, nel corso alcuni lo straripamento durò più di anno. Man mano che le temperature si innalzavano e che i ghiacciai sparivano, l'evaporazione iniziò a superare l'apporto di acqua, facendo scendere il livello del lago e aumentandone la sua concentrazione salina, diventando un mare interno. In seguito, in molte regioni il mare interno lascio posto a deserti di sale.
    Prende il nome da Benjamin Louis Eulalie de Bonneville, un ufficiale di origine francese dell'esercito degli Stati Uniti che esplorò la regione.

    La regione è stata abitata fin da ca. 12'000 anni. Quando gli europei raggiunsero la regione essa era abitata da molte tribù indiane, che vennero indicate come le tribù del Grande Bacino. Tra queste i Shoshoni, i Ute e i Paiute. Gli europei ad esplorare la regione furono gli spagnoli che giunsero da sud-ovest, alla fine del XVIII secolo. In seguito cacciatori di pellicce della Compagnia della Baia di Hudson ne sfruttarono i territori di caccia settentrionali nel XIX secolo. Gli USA ottennero il controllo sull'intera regione con il trattato dell'Oregon del 1846 e con il Trattato di Guadalupe Hidalgo del 1848. I primi coloni ad abitare permanentemente la regione furono i coloni di fede mormone, stabilitisi a partire al 1840 nei dintorni di Salt Lake City e della vallata di Cache.



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    …i mormoni…


    Solo un popolo perseguitato come quello dei Mormoni poteva considerare la pianura intorno al Grande Lago Salato dell'Utah una «terra promessa». Brigham Young la scoprì nel 1847. Era completamente deserta. Con lui c'era la sua gente, i seguaci della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi dell'Ultimo Giorno, che da vent'anni cercava una patria. «This is the place», questo è il luogo, proclamò. E l'odissea dei Mormoni ebbe fine. Il luogo era inospitale, con poca vegetazione e pochissima fauna.L'acqua del lago era salata. Largo chilometri, il bagnasciuga era di un bianco accecante. Il bianco del sale. «Con l'aiuto di Dio realizzeremo una nuova società», aggiunse Young. E i Mormoni si posero al lavoro. Canalizzarono l'acqua che proveniva dai monti, sottrassero spazio al deserto, elevarono dighe per far giungere l'acqua a tutti gli appezzamenti di terra, e invece della paga le famiglie ricevettero il diritto di usare l'acqua in rapporto all'opera svolta. I Mormoni trasformarono buona parte del Grande Deserto Salato in una zona fertile.



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    Edited by gheagabry1 - 1/3/2020, 16:54
     
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  8. gheagabry
     
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    «Io divenivo, senza enfasi alcuna,
    il centro stesso dell'universo..
    ...l'albero della vita...
    Una rivelazione che non poteva rivelare nulla che già non sapessi,
    e tuttavia rivelazione».
    (Cesare Brandi)



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    I VENTI DEL SAHARA


    Il ghibli è un vento caldo e secco tipico della Libia, che soffia da sud o sudest. Proviene dal deserto del Sahara, traspor-
    tando polvere e sabbia, soffiando dall'entro-
    terra verso le coste della Libia. Il ghibli può soffiare in ogni periodo dell'anno, ma è più frequente in primavera e ad inizio estate. Ghibli è il nome locale del vento di scirocco. Localmente il termine ghibli assume numerosi varianti, quali gebli, gibleh, gibli, kibli.
    Lo Scirocco (dall'arabo shurhùq, vento di mezzogiorno) è un vento caldo proveniente da Sud-Est. Tale direzione è indicata simbolicamente nella rosa dei venti. Lo Scirocco prende il nome dalla Siria, la direzione da cui spira il vento, prendendo come punto di riferimento l'Isola di Zante nel Mar Ionio. Lo stesso vento assume il nome di Jugo in Croazia e Ghibli in Libia. Lo Scirocco che giunge sulle coste francesi contiene più umidità ed assume il nome di Marin.

    Il Simun o Simùn è un vento forte, secco e polveroso che soffia nel Sahara, in Algeria, in Palestina, in Giordania, in Siria e nel deserto arabo. È anche conosciuto come Samiel, Simoun, Simoon o Simum (più raramente come 'Samun, dall'arcaico Samün, passando per il termine francese Simoun).
    La sua temperatura è molto elevata (generalmente al di sopra di 40 °C, ma può superare anche i 54 °C) e la sua umidità può scendere sotto il 10%. Il vento si muove in cicloni in forma circolare sollevando nuvole di polvere e sabbia e modificando la forma delle dune; per questo motivo il Simun produce su uomini e animali un senso di soffocamento. Questa particolarità gli è valsa l'appellativo di "vento velenoso", che è appunto il significato della parola Simun. L'elevata temperatura di questo vento lo rende estremamente pericoloso, in quanto può facilmente provocare colpi di calore. Generalmente il Simun soffia da metà giugno a metà agosto, anche se il mese di picco è solitamente luglio. Il Simun venne descritto da Erodoto come un vento rosso che soffia nel Sahara, e che uccide e seppellisce ogni cosa che incontra.

    L'Harmattan è un vento secco e polveroso che soffia a nordest e ovest, dal Sahara al Golfo di Guinea, tra novembre e marzo. È considerato un disastro naturale. Passando sul deserto, raccoglie fini particelle di polvere. Quando soffia forte, può spingere la polvere e la sabbia addirittura fino al Sud America. In alcuni paesi dell'Africa Occidentale, il grande quantitativo di polveri nell'aria può limitare severamente la visibilità e oscurare il sole per diversi giorni, risultando paragonabile alla nebbia fitta. L'effetto delle polveri e delle sabbie rimescolate da questi venti è noto come Harmattan haze. Nel Niger, la gente attribuisce all'Harmattan la capacità di rendere uomini e animali sempre più irritabili, ma oltre a questa brutta reputazione, l'Harmattan può talvolta risultare fresco, portando sollievo dal calore opprimente. A motivo di ciò, l'Harmattan si è guadagnato anche il soprannome di Il Dottore.

    Il khamsin, o camsin, è uno dei venti caratteristici del deserto del Sahara. Soffia da sud-sudest portando caldo e sabbia in tutta la zona orientale del Nordafrica e sulla penisola araba; pur non essendo un vento ciclico (stagionale come ad esempio i monsoni), compare per lunghi periodi di tempo tra il tardo inverno e l'inizio estate (tra aprile e giugno la frequenza più alta). Il nome khamsin deriva dall'arabo خمسين (khamsīn) e significa 50 (cinquanta), che è il numero di giorni consecutivi in cui il vento, secondo la tradizione, spirerebbe con una certa costanza.

    "il vento del deserto ha odore d'eternità"


    Un nomade del deserto mi ha insegnato il linguaggio del ghibli



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    Adhou, il vento, è il primo compagno del nomade. Porta nelle mani invisibili le nubi e l’acqua che cade, sottile, sottile. La sua vita disperata e raminga ha come sola compagna la sua voce. Tutti i tuareg fin da piccoli imparano a conoscerlo e a chiamarlo con molti nomi; e il vento risponde e questo è il loro primo gioco. È bello impararne il linguaggio e imitarne il sibilo soffiando nelle mani tenute a conchiglia. La sabbia, la prima cosa che il tuareg tocca, su cui impara a scrivere perché nessun tuareg è analfabeta. La madre e la nonna gli insegnano a scrivere i caratteri tifinar , simili a quelli scolpiti nel lontano Nord nei tofet cartaginesi. E il vento li cancella e la loro lavagna immensa è pronta per ricominciare.[..]
    Un tuareg a Nord di Agadez mi ha insegnato a leggere il linguaggio il vento: su un pianoro a strane chiazze bianche e screpolate, fondo salino di un antico mare, si alzava una collina tronca dove secondo le leggende vivono gli avvoltoi dal collare bianco. La sabbia impalpabile tra le pietre nere, un tempo globi incandescenti di lava, volteggiava come piccoli pianeti persi nello spazio. Quello era il vento del mattino: ne basta un soffio leggero per creare tra i sassi cascate di sabbia e dissolvere in un turbine le creste delle dune. Restavano piccole onde simmetriche: la firma del vento del mattino. Più tardi, il sole già alto, lievi folate a zig-zag creavano invece lunghe file ondulate. A sera tra le falesie diventa impetuosa corrente, piega le rocce come alberi. E la notte, la notte «il mormorio lo senti?», mi ha chiesto il tuareg, «si confonde con il respiro degli spiriti giovani addormentati. Ma attento, ci sono anche i venti dei vecchi geni malvagi, escono dai crepacci con gli scorpioni e le vipere e tutto il deserto ne vive». Lasciano i segni sulla sabbia ma solo fino all’alba, quando un altro vento dispettoso li cancellerà.[..]
    Il vento del deserto è forte, capace di inghiottire eserciti interi: quello di Cambise, il re dei re persiano in marcia verso l’oasi del dio Amon; e quello di Rommel con i carri di ferro e gli aerei, accecato come gli antichi guerrieri e i loro cavalli.
    [..]Non conosci il deserto fino a quando non hai provato il khamsin : in arabo vuol dire cinquanta. Perché soffia ininterrottamente per cinquanta giorni. Corre e si sbriglia per i mille chilometri di dune del gran Teneré, lo fermano a Nord i picchi azzurri dell’Air, rifugio di briganti e di folli di Allah.[..] la difficile «gioia della solitudine», suggerisce i segreti del sublime. Piacevano a Lamartine «le colline deserte di sabbia senza fine che si tingono d’oro ai raggi del sole la sera, dove il vento solleva nuvole di polvere infuocata… il luogo dei miei sogni e io vi verrei ogni giorno». Piaceva a Loti che il vento lo ascoltò nel deserto di Tih, il deserto degli amaleciti abitato dai più selvaggi e intrattabili tra i beduini: dalle solitudini immense e piatte come il mare, popolato di miraggi.[..]
    A Tamanrasset, nel Sud dell’Algeria, su una montagna c’è ancora l’ultimo rifugio del marabutto bianco che parlava ai tuareg di un dio misterioso, crocifisso e risorto. Raccontano una leggenda che parla degli spiriti che vivono nel vento e di una donna che cercava legna in un greto di Itharentidjarnin e vide nascere un turbine violento, fatto di cerchi quasi perfetti di polvere, sempre più alti e veloci. Si mosse dapprima dolcemente esitando sulla direzione da prendere, poi si diresse verso mezzogiorno sibilando allegramente. La donna, incantata, lanciò sonori you-you di gioia. Il vento le si avvicinò e la ricoprì di polvere d’oro per ringraziarla di essere felice. Perché i kel es souf , gli spiriti del vento, stavano sposandosi tra loro. Ma poco dopo nello stesso luogo il fenomeno si ripetè e la donna di nuovo lanciò grida di gioia sperando nella ricompensa. Ma stavolta il vento la afferrò sollevandola a grande altezza e poi la lasciò cadere sfracellandola. «Era il corteo funebre di un vento, ti puniamo per esserti presa gioco di noi». La donna raccontò la sua sventura e morì.
    (20/07/2012, Domenico Quirico)


    Edited by gheagabry1 - 1/10/2019, 19:59
     
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  9. gheagabry
     
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    "Ognuno di noi ha un luogo dove rifugiarsi, può essere il mare,
    le cime delle montagne o le colline con gli infiniti filari di viti.
    Luoghi di silenzio,
    luoghi dove il tuo sguardo si perde nell'anima,
    luoghi dove l'assenza...è il principio di vita,
    senza fronzoli.. senza chiasso.
    Il deserto racchiude tutte l'essenze del silenzio,della pace, dell'interiore.
    Ogni granello è la miniaturizzazione di tempi arcani.
    E' l'estremo della nostra anima,
    e come ogni estremo è estremamente affascinante, misterioso,
    ma nello stesso tempo insidioso!
    Il deserto non può essere dominato..è lui che detta i tempi.
    Tempi dilatati..lenti,
    che la nostra cognizione non percepisce,
    ma estremamente reali."



    Edited by gheagabry1 - 1/10/2019, 19:36
     
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  10. gheagabry
     
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    " ..oceano sterminato di dune rosse intercalate da bacini salati di un
    bianco abbacinante … inoltrarsi nel vuoto … i tramonti …
    ... le notti sotto le stelle
    i paesaggi che non sembrano di questo mondo...
    Così appare al viaggiatore il deserto di Rub al-Khali,
    nel bel mezzo del Nulla."



    Il deserto Rubʿ al-Khālī



    rub-al-khali-oman

    Il Rubʿ al-Khālī (الربع الخالي), ossia "Il quarto vuoto", inteso come "quarta parte", è il secondo più grande deserto di sabbia del mondo. Ricopre il terzo più meridionale della Penisola araba, «la regione vuota» di circa 650.000 km2, di cui occupa gran parte della sezione sud-orientale. Delimitata a Nord dagli Emirati Arabi Uniti, a Est dai rilievi litorali del Oman, a SudOvest dalle catene montuose dello Yemen e del Hadramaut, a Ovet dal Gebel Tuwayq, è un vastissimo bacino dal fondo piatto, tabulare, leggermente inclinato verso Nord dove si affaccia alla Costa dei Pirati. Il paesaggio predominante è quello del deserto sabbioso. E' chiamato anche ad-Dahnā’ «deserto» e ar-Rimāl «deserto sabbioso». Le oasi sono molto poche ed ancora ampiamente inesplorato e praticamente disabitato. Persino i Beduini ne sfiorano solo le zone marginali.Vi vivono rare tribù di beduini; la flora è rappresentata da cespugli sparsi e ha una fauna capace di affrontare condizioni climatiche fra le più spietate della terra, con escursioni termiche da -10 a +55/60 gradi centigradi. Possono passare anni senza che cada una goccia di pioggia. Mentre le tempeste di sabbia sono frequenti.Vi si trovano aracnidi, roditori e piante appartenenti alla famiglia delle succulente.

    Il primo esploratore occidentale di cui si ha notizia che abbia attraversato il Rub' al-Khālī fu Bertram Thomas. Nel 1931 si è avventurato nel “Quarto vuoto”. Successivamente fu esplorata da St John Philby e da Wilfred Thesiger che descrisse le innumerevoli peripezie dell'attraversamento nel libro Sabbie arabe. L'unico esploratore che sia realmente stato in grado di attraversalo in solitaria è l'italiano Max Calderan.

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    Ha dune più alte della Torre Eiffel, oltre 330 metri. La desertificazione è progredita nel corso dei millenni. Prima che questa rendesse così difficoltose le rotte che lo attraversavano, le carovane del commercio dell'incenso passavano in età preislamica attraverso distese oggi impercorribili, fino alla fine del III secolo d. C. circa. La città perduta di Ubar , in arabo Wabar, dipendeva da questo commercio.
    In età più recenti, le due rotte carovaniere erano quelle "del Hijāz", parallela al Mar Rosso, e quella più impervia "dell'Iraq". La prima metteva in collegamento lo Yemen al Mar Mediterraneo mentre la seconda l'Oman alla Mesopotamia.

    Ubar raggiunta e descritta anche da Thesinger, è stata identificata come la città leggendaria, esistita sin dal 3000 a. C,. soprannomina da Lawrence d’Arabia "Atlantide del deserto". Il Corano racconta che fu costruita da un re come specchio del Paradiso, ma presto cadde nella corruzione. Per questo Dio la annullò coprendola di sabbia. Per secoli molti la cercarono, la città vantava ricchezze di ogni genere, ma di cui è scomparsa ogni traccia, tranne alcuni indizi accanto al pozzo Ash Shisa e tracce di vie carovaniere identificare tramite foto satellitari.

    L’orice araba (oryx leucoryx).è un’antilope bianca, che è un simbolo del Rub’ al-Khali e è un’immagine ricorrente della poesia araba classica, si è estinta da tempo nel suo ambiente di origine sotto le fucilate dei cacciatori e la concorrenza sleale di cammelli e capre, distruttori bulimici della vegetazione desertica. Quarant’anni fa, i sauditi hanno permesso che gli ultimi esemplari di orice bianca fossero trasferiti in California nel tentativo di evitarne l’estinzione. Adesso si tenterà il rimpatrio delle orici di decima generazione dall’esilio dorato di San Diego al Rub’ al-Khali degli avi.


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    Edited by gheagabry1 - 1/3/2020, 16:36
     
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  11. gheagabry
     
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    Mi è sempre piaciuto il deserto.
    Ci si siede su una duna di sabbia. Non si vede nulla.
    Non si sente nulla. E tuttavia qualche cosa risplende nel silenzio.
    (Antoine-Marie-Roger de Saint-Exupéry)



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    Edited by gheagabry1 - 1/10/2019, 19:36
     
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  12. gheagabry
     
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    PERCHE' NACQUE IL DESERTO?



    Molti secoli fa la terra era verde e fresca. Era percorsa da migliaia di ruscelli, gli alberi erano ricchi d’ogni genere di frutta e gli uomini, che ignoravano il male e non conoscevano la guerra, vivevano felici. Allah aveva detto agli uomini: “Questo bel giardino è vostro e vostri sono i suoi frutti. Dovete però agire sempre con giustizia, altrimenti lascerò cadere un granello di sabbia sulla terra per ogni vostra azione malvagia e un giorno questo verde potrebbe anche sparire”.
    Per molto tempo gli uomini si ricordarono di questo monito. Ma un brutto giorno due uomini, che si contendevano il possesso di un cammello, litigarono. Appena fu pronunciata la prima parolaccia, Allah fece cadere sulla terra un granello di sabbia così minuscolo che nessuno se ne accorse.
    Ben presto i due litiganti vennero alle mani; allora gli uomini si accorsero che si stava lentamente accumulando un mucchietto di sabbia.
    Chiesero perciò ad Allah di cosa si trattasse e Allah rispose che era il risultato della loro cattiveria e ricordò loro il suo monito: ogni volta che un uomo commetteva una cattiva azione, un granello di sabbia scendeva ad aggiungersi agli altri e forse un giorno la sabbia avrebbe coperto la terra.
    Gli uomini si misero a ridere e pensarono: “Anche se fossimo estremamente cattivi, ci vorrebbero milioni di anni prima che questa polvere leggera copra la nostra terra e ci possa danneggiare”.
    Così iniziarono a combattere gli uni contro gli altri, tribù contro tribù, finché la sabbia seppellì campi e pascoli, cancellò i ruscelli e spinse le bestie lontano in cerca di cibo. In questo modo nacque il deserto e da allora le tribù vagarono tra le dune, vivendo in tende, aiutate solo dai cammelli per i lunghi spostamenti, e si portarono nel cuore l’immagine della terra perduta.
    Anzi, perché non dimenticassero Allah volle che ogni tanto si presentasse ai loro occhi l’immagine delle piante e delle acque scomparse. Per questo chi cammina nel deserto, vede talvolta cose che non ci sono ma, quando tende le braccia per toccarle, la visione svanisce. Sono come i sogni ad occhi ad aperti e la gente li chiama miraggi.
    Solo dove gli uomini hanno osservato le leggi di Allah ci sono ancora ruscelli e palmeti, e la sabbia non può cancellarli ma li circonda come il mare circonda l’isola. Questi luoghi si chiamano oasi e là gli uomini si fermano per trovare acqua, cibo, riposo ricordando le parole di Allah: “Non trasformate il mio mondo verde in un deserto infinito”.
    (leggenda araba)

     
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    Il Sahara è molto più vecchio del previsto:
    ha sette milioni di anni


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    Il Sahara, che in arabo significa “deserto”, è tra i più grandi deserti al mondo e con i suoi 9 milioni di chilometri quadrati di estensione è il più grande tra quelli caldi e secchi del nostro Pianeta. Si estende dall’Oceano Atlantico al Mar Rosso e al suo interno ci stanno 30 penisole italiane. Una domanda che i geografi si sono sempre chiesti è: “Quando ha iniziato a formarsi?”
    Spiega Daniel Muhs, geologo al Geological Survey degli Stati Uniti a Denver: “Sono diversi decenni che si cerca di dare un’età al deserto. Secondo studi recenti sembrava che si fosse formato circa 2,6 milioni di anni fa, secondo altre ricerche invece, dovrebbe essere molto più recente e stando a queste non dovrebbe avere che qualche migliaio di anni”. La ricerca vera e propria non è ancora stata pubblicata su una rivista scientifica, ma è stata presentata all’incontro annuale della Geological Society of America a Phoenix. Ora però un nuovo modello che ricostruisce la storia del Deserto sostiene che iniziò a formarsi almeno 7 milioni di anni fa. Stando a questa ricerca vi sarebbero prove che il Sahara ha comunque visto momenti durante i quali il clima è stato più umido e quindi l’ambiente più verde. Conoscere la storia di quel deserto non è un semplice sfizio dei climatologi, in quanto un’area così vasta con quelle caratteristiche ha un’influenza non indifferenze sul clima della Terra.
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    Alla nuova età del Sahara, Muhs e colleghi sono giunti studiando strati di suolo alle Isole Canarie, in particolari concentrandosi su strati di terreno bruno-rossastro trovato tra strati di rocce vulcaniche sulle Isole di Fuerteventura e Gran Canaria. Poiché le Isole si trovano ad ovest del Deserto, in Oceano Atlantico, su di esse sono arrivate da sempre le sabbie che i venti del Sahara soffiano verso occidente. Il materiale così arrivato ha originato degli antichi suoli, oggi chiamati dai geologi “paleosuoli”, la cui composizione è del tutto diversa da quella dei suoli prodotti dal materiale vulcanico di cui sono composte le isole stesse, ma simile al materiale quarzoso del deserto del Sahara. Grazie alla relativa facilità con la quale è possibile datare le rocce vulcaniche si è potuto anche stabilire l’età dei paleosuoli presenti tra le diverse colate laviche. Stando a tali studi si è riusciti a stabilire che i primi paleosuoli formatisi con materiale proveniente dal Sahara si depositarono circa 4,6 milioni di anni fa. E questo sta ad indicare che per avere un’area vasta al punto tale da far sì che il vento potesse trasportare polvere in quantità tali da creare accumuli di paleosuoli come quelli osservati alla Canarie, il deserto si sia dovuto formare almeno 2-3 milioni di anni prima. Altri paleosuoli sono stati datati ad avere un’età di 4,8 milioni di anni, 3 milioni di anni e 400.000 anni.



    (Luigi Bignami, https://it.businessinsider.com/ )
     
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    Nato da remote montagne, un fiume solcò molte regioni per raggiungere finalmente le sabbie del deserto. Provò a superare questo ostacolo così come aveva fatto con gli altri, ma si accorse che, man mano che scorreva nella sabbia, le sue acque sparivano.
    Era convinto, tuttavia, che era suo destino attraversare quel deserto, eppure non ci riusciva ... Fu allora che una voce nascosta, proveniente dal deserto stesso, mormorò: "II vento attraversa il deserto; il fiume può fare altrettanto".
    Il fiume obiettò che, sebbene si lanciasse contro la sabbia, l'unico risultato era di essere assorbito, mentre il vento poteva volare e, quindi, attraversare il deserto.
    "Lanciandoti nel tuo solito modo, il deserto non ti permetterà di attraversarlo. Potrai solo sparire o diventare una palude. Devi permettere al vento di trasportarti fino a destinazione". "Ma com'è possibile?".
    "Lasciandoti assorbire dal vento".
    Era un'idea inaccettabile per il fiume. In fin dei conti, non era mai stato assorbito prima d'ora. Non voleva perdere la sua individualità: una volta persa, come essere sicuri di poterla ritrovare?
    La sabbia rispose: "II vento svolge questa funzione: assorbe l'acqua, la trasporta al di sopra del deserto, poi la lascia ricadere. Cadendo sotto forma di pioggia, l'acqua ridiventa fiume".
    "Come posso sapere che è la verità?".
    "È così. Se non ci credi, potrai solo diventare una palude, e anche per questo ci vorranno anni e anni; e, comunque, non sarai più un fiume".
    "Ma non posso rimanere lo stesso fiume?".
    "In entrambi i casi non puoi rimanere lo stesso fiume", rispose il mormorio, "la parte essenziale di tè viene portata via e forma di nuovo un fiume. Oggi porti questo nome perché non sai quale parte di tè è quella essenziale".
    Queste parole risvegliarono certi echi nella memoria del fiume. Si ricordò vagamente di uno stato in cui egli - o forse una parte di sé? - era stato tra le braccia del vento. Si ricordò anche - ma era veramente un ricordo? - che questa era la cosa giusta, e non necessariamente la cosa più ovvia, da fare. Allora il fiume innalzò i suoi vapori verso le braccia accoglienti del vento. Questi, dolcemente e senza sforzo, li sollevò e li portò lontano, lasciandoli ricadere delicatamente non appena raggiunsero la cima di una montagna molto, molto lontana. Ed è proprio perché aveva dubitato, che il fiume poté ricordare e imprimere con più forza nella sua mente i dettagli della sua esperienza. "Sì, ora conosco la mia vera identità", si disse. Il fiume stava imparando. Ma le sabbie mormoravano: "Noi sappiamo, perché lo vediamo accadere giorno dopo giorno e perché noi, le sabbie, ci estendiamo dal fiume alla montagna".
    Ecco perché si dice che la via che permette al fiume della vita di proseguire il suo viaggio è scritta nelle sabbie.


    Questa storia si ritrova in molte lingue nella tradizione orale. Circola quasi sempre fra i dervisci e i loro allievi. È stata usata nella Rosa mistica del giardino del rè, di Sir fairfax Cartwright (pubblicato in Inghilterra nel 1899). Questa versione proviene da Awad Afifi il tunisino, morto nel 1870.
     
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    Le abbondanti piogge cadute nelle settimane scorse nel deserto del Namib, in Africa, hanno provocato uno dei fenomeni più spettacolari della natura, la fioritura di milioni di bulbi che per decine di chilometri hanno ricoperto il terreno sabbioso completamente inaridito da tre anni.

    I gigli del deserto appartengono alla famiglia degli Hesperocallis, un genere di piante da fiore che comprende una singola specie l’Hesperocallis undulata, noto anche come giglio ajo. I fiori di questa specie sono grandi, bianchi con sfumature rosa o verde e sono molto profumati, specialmente di notte. Ci vogliono buone piogge per risvegliare i gigli del deserto, meglio conosciuti in questa zona dell’Africa come gigli Sandhof. La più alta concentrazione di gigli Sandhof fiorisce in situazioni particolari nel sud della Namibia e in alcune parti del Botswana.
    L'ultima volta che questa fioritura si è verificata è stato nell'estate 2016/2017.

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44 replies since 27/1/2011, 01:36   13456 views
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