DESERTO

..un luogo misterioso

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  1. gheagabry
     
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    Il deserto di ATACAMA


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    Il deserto di Atacama, nell’America meridionale, è il deserto più secco del mondo e gli scienziati spesso lo confrontano con l’arida superficie di Marte. Questo posto è talmente secco che le stazioni meteorologiche rilevano in media solo 1 millimetro di pioggia all’anno in alcune zone e le montagne situate in queste zone non conservano nessun segno di ghiacciai preistorici….

    Un’altopiano, secco ed arido, ad oltre tremila metri di quota sopra il livello del mare, che si estende sotto lo sguardo vigile dei quasi seimila metri del Vulcano Licancabur sino alla Cordigliera Andina ai confini con Bolivia ed Argentina, Nord Grande del Cile, a cavallo del tropico del Capricorno. Un territorio, vasto ed aspro, quasi per nulla abitato e che rappresenta una vera e propria terra di frontiera...Anche se il deserto di Atacama non è geograficamente una terra “alla fine del mondo”, come la Patagonia, questi due territori hanno in comune almeno due aspetti, il primo è quello di essere terre assolutamente inospitali per l’uomo e il secondo, di conseguenza, è quello di essere praticamente desertiche e quasi inabitate. Va da sé, che bastano questi due fattori, per rendere tali luoghi assolutamente “mitici” e simbolici. Un luogo dove puoi perderti o ritrovarti. Un luogo che è esso stesso, per sua natura, meta e viaggio contemporaneamente.
    (Paolo Mattana)


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    Alcune zone non hanno mai conosciuto la pioggia e in altre il grado di umidità è quasi nullo; l’acqua, infatti, proviene da fiumi sotterranei e dallo scioglimento delle nevi della vicina cordigliera andina. Eppure l’Atacama è un deserto vivo, che sembra palpitare e non nasconde sorprese. La sabbia, modellata dal vento, assume ondulazioni perfette, le colline spoglie, prese di mira da un sole prepotente che crea mutevoli giochi di luci e di ombre, non sono mai monotone, mentre le rocce dalle forme schematiche e tortuose riflettono colori forti e pieni che esplodono in un chiarore soprannaturale, con una luce diafana dai riflessi argentati. E, in mezzo a questo paesaggio lunare, appare, come un miraggio, l'immenso Salar de Atacama, una distesa di acqua e di sale che sembra spalancare la voragine dell’infinito, mentre sullo sfondo le alte montagne della cordigliera andina e alcuni vulcani si presentano come un sogno.
    In passato quest'area non aveva attirato che un numero esiguo di persone, per lo più cacciatori nomadi che sostavano nelle oasi in attesa di prede. Allora c'erano grandi mandrie di vigogne, lama, volpi, ma anche di una specie di coniglio chiamato vizcacha, che fornivano carne e pellicce. Vestigia di antiche culture, come quella degli indigeni locali Aymaras, si possono osservare ancora oggi in alcune aree e nel museo archeologico di San Pedro de Atacama, dove figurano oggetti di terracotta, punte di frecce, tessuti e utensili. Per capire meglio la vita di quei tempi è stato persino restaurato un villaggio precolombiano, Tulor, seppellito dalla sabbia nel corso dei secoli. All’epoca era abitato da circa 200 abitanti, che avevano costruito case di fango impastato a forma circolare, addossate le une alle altre e comunicanti attraverso aperture nei recinti.
    Tra i villaggi più recenti, invece, c’è San Pedro, la capitale archeologica del Cile, situato nel centro della depressione prealtipianica, alla foce di un piccolo fiume prevalentemente secco, dall’omonimo nome. Conserva la sua antica struttura di spessi muri che nascondono basse abitazioni e, soprattutto, la bianca chiesetta del 1557, costruita con argilla, cuoio di lama, legno di cactus e da tempo dichiarata Monumento nazionale. A tener vivo il passato è anche il vicino paese di Toconao, con le sue vetuste case in liparita, una pietra bianca di origine vulcanica, coperte da un tetto di arbusti locali. È stato costruito nei pressi di un’oasi di acqua dolce e purissima che permette di coltivare un po' di frutta per il fabbisogno locale. D’interesse storico è il piccolo villaggio di Machuca, situato a 4.000 metri di altezza. Rimasto semidisabitato per qualche anno, in tempi recenti alcune famiglie di indios vi hanno fatto ritorno per dedicarsi all’agricoltura e alla pastorizia allevando lama e producendo formaggi apprezzati in tutta l’area. Sempre ad alta quota si trova Socaire, che conta meno di 400 abitanti, ai confini del deserto e ai piedi delle Ande. Non distante ci sono, poi, due tra le più straordinarie lagune del mondo: Miscanti e Miniques, a ridosso dei pendii di montagne altissime come il cerro Lausa e i vulcani di Chiliques e Miscanti. In questi spazi immensi si concentra una grande varietà di ecosistemi che va dalle alte vette della cordigliera ricoperte da nevi eterne alle aride lande desertiche dove le rocce, avvolte dal sale bianchissimo, sembrano riprodurre i panorami invernali. Come la sacrale Valle della Luna, che evoca mondi scomparsi, velati da una sorta di nebbia argentata, con una luce abbagliante che li proietta in un’altra realtà. Formazioni rocciose dai confini bizzarri si alternano a dune di sabbia dove l’esistenza diventa impossibile per qualunque essere vivente.
    Per trovare qualche animale si deve andare fino al Salar de Atacama, a 2.300 metri di altitudine, ma completamente spoglio. Si tratta di un’immensa laguna di sale che copre un territorio di 320.000 ettari, formata da cristalli prodotti dall’evaporazione delle acque sotterranee. Sulla superficie affiorano poi anche le acque provenienti dalle montagne della cordigliera che formano una serie di lagune dal fondale bassissimo e fangoso dove alghe unicellulari e microinvertebrati sono il cibo prediletto di una avifauna molto varia. Si possono osservare il gabbiano andino, il caiti, un piccolo trampoliere bianco e nero, il chorlo de la puna dal lungo becco, ma soprattutto tre specie di fenicotteri: il parina grande, quello chico e lo straordinario fenicottero cileno di color rosa intenso con sfumature di piume nere sulle ali. Di quest’ultima specie ne sono stati contati contemporaneamente oltre 1.000 esemplari, la maggior parte dei quali trascorre il tempo nelle pozze del Salar, smuovendo col forte becco le alghe in cerca di cibo.
    Anche alcuni mammiferi si sono adattati a questo habitat così difficile: tra questi la vigogna, il lama e una volpe di piccola taglia. Ancora oggi la gente è saldamente attaccata ai costumi aviti con un grande rispetto del passato. La popolazione di San Pedro di Atacama è costituita per la maggior parte dai discendenti dell'etnia Lican Antai o atacamena, a loro volta influenzati dagli avi Inca. E molte tradizioni sono ancora vive. Nel deserto di Atacama la vita non è facile e nessun essere può sopravvivere se non organizzandosi in comunità. Così è stato nel passato e così è anche oggi. Per questo qui sono rimasti quei pochissimi villaggi di un tempo che non segnano il declino di un’epoca che si spegne, ma, al contrario, la vogliono proiettare nel futuro.
    (Clelia Pirazzini)


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    ........le rose di Atacama...........


    “ Alle dieci del mattino il deserto di Atacama si mostrava in tutto il suo spietato splendore, ed io capii definitivamente perché la pelle dei suoi abitanti appare vecchia prima del tempo, segnata dal sole e dai venti imprigionati di salnitro.
    Visitammo villaggi fantasma dalle case perfettamente conservate, le stanze in bell’ordine con tavoli e sedie che sembravano aspettare i commensali, e poi teatri operai, sedi sindacali bramose di rivendicazioni, e scuole con le loro lavagne nere pronte per scrivervi la lezione che avrebbe spiegato la morte improvvisa degli impianti di sfruttamento del salnitro.[...]Stendemmo i sacchi a pelo vicinissimo al cimitero e ci mettemmo a fumare e ad ascoltare il silenzio: il mormorio tellurico di milioni di sassi che, riscaldati dal sole, si schiantano all’infinito per il violento sbalzo di temperatura. Ricordo che mi addormentai stanco di osservare le migliaia e migliaia di stelle che illuminano la notte del deserto, e all’alba del 31 marzo il mio amico mi scosse per svegliarmi.
    I sacchi a pelo erano fradici. Gli chiesi se aveva piovuto e Fredy rispose di sì, che aveva piovuto come quasi ogni 31 marzo nell’Atacama. Quando mi tirai su, vidi che il deserto era rosso, intensamente rosso, coperto di minuscoli fiori color sangue.
    “Eccole. Sono le rose del deserto, le rose di Atacama. Le piante sono sempre lì, sotto la terra salata. Le hanno viste gli antichi indios atacama, e poi gli inca, i conquistatori spagnoli, i soldati della guerra del Pacifico, gli operai del salnitro. Sono sempre lì e fioriscono una volta l’anno. A mezzogiorno il sole le avrà già calcinate” spiegò Fredy annotando dati sul quaderno…"
    (Luis Sepulveda)


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    Edited by gheagabry1 - 1/3/2020, 17:46
     
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  2. gheagabry
     
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    Ho spostato un granello di sabbia.

    E ho modificato il Sahara.

    (J.L.Borges)



    Chergui-il-vento-del-deserto



    L'immagine di un deserto mutante, fatto di tanti minuscoli granelli di sabbia, ha la stessa sostanza del sogno: un disegno che cambia, un disegno fatto di enigmi, di tracce svelate e poi ricoperte, di orme smarrite e oasi ritrovate, di tempeste e silenzi, di notti abbaglianti in cui le stelle giacciono insieme alla luna fino al mattino e poi, come in una fugace danza onirica, svaniscono lasciando uno scintillio misterioso, una traccia diafana eppure persistente.

    Sono un po' come i sogni, i deserti.

    Conosci forse il punto in cui parti ma non sai dove arrivi, né dove sosti.

    Incontri arsure e piccoli capolavori di vita, come certe piantine.

    Non l'ho mai attraversato, un deserto. Non ancora.

    Ma lo penso così, apparentemente disordinato ma in realtà tessuto da trame precise, mutevole e denso di significati arcani, di guazzabugli e rivelazioni. Come un sogno.

    In fondo anche di notte, in mezzo al vuoto della ragione, il mondo si popola di tanti granelli di sabbia che compongono le montagne che attraversiamo: fragili, mutevoli, destinate a cambiare forma al primo soffio di vento, o al primo risveglio.

    E ogni risveglio è il ritorno da un viaggio.

    ( M.d.A.)

    (lapolis.it)



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    Edited by gheagabry1 - 1/10/2019, 20:08
     
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  3. gheagabry
     
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    ...è una interminabile distesa di sabbie bollenti,
    che ricopre un'area di circa 446.000 chilometri quadrati.


    Il DESERTO DI THAR



    Il Deserto di Thar tocca ben quattro Stati dell' India, anche se la maggior parte di esso si trova nel Rajasthan occidentale e nella regione pakistana del Sindh. Il nome del deserto deriva dalla parola Thul che, nelle parlate locali indica le dune di sabbia presenti nella regione. Con una media annuale di 100-500 millimetri di pioggia dovuta alla prevalenza di venti particolarmente secchi, il deserto è per gran parte una regione bruciata dal sole e battuta da venti fortissimi dove gli unici paesaggi sono le dune di sabbia, le pietre e la poca vegetazione erbosa e cespugliosa.
    Nello Stato del Rajasthan, il deserto si presenta come un'immensa distesa di sabbia e dune che si estende lungo la frontiera col Pakistan e fino alle catene montuose dell' Aravalli. Molti sono i villaggi - di fango, terra e sterco di vacca, decorati con motivi e colori affascinanti - che sorgono lungo le numerose oasi e, un tempo, era questa la strada battuta dalle carovane dei mercanti che trasportavano preziose merci dalla Cina e dall'India stessa verso la Persia e l'Asia Minore.

    Le caratteristiche estreme del luogo hanno fatto sì che questo sia ricchissimo di specie endemiche di animali, in particolare lucertole e serpenti. I pochi arbusti presenti forniscono inoltre sostentamento alla grande otarda indiana, in pericolo di estinzione, e alle gazzelle, qui chiamate chikara, oltre alla grande quantità di uccelli migratori in transito come il gallo cedrone, l'oca, la quaglia, l'anatra e il francolino.



    ....storia, miti e leggende....


    L'origine del Thar è un argomento controverso. Alcuni ritengono che ciò sia avvenuto tra i 4.000 e i 10.000 anni fa, mentre altri affermano che l’aridità sia iniziata in questa regione molto prima. Un'altra teoria afferma che il processo di desertificazione sia relativamente recente: forse tra il 2.000 e il 1.500 a.C. Intorno a questo periodo il Ghaggar cessò di essere un grande fiume. Ora il fiume termina nel deserto. È stato osservato attraverso tecniche di telerilevamento (su dei paleo-canali) che cambiamenti climatici nel tardo Quaternario hanno svolto un ruolo significativo nel modificare la disponibilità d’acqua e la conformazione dei bacini idrografici della regione.
    La maggior parte degli studi sostiene che il paleo-canale del Sarasvati coincida con il letto dell’odierno Ghaggar e si crede che il Sutlej assieme allo Yamuna una volta scorressero nel bacino del Ghaggar. Probabilmente il Sutlej costituiva il principale affluente del Ghaggar, e successivamente i movimenti tettonici potrebbero aver costretto il Sutlej a scorrere verso ovest, e lo Yamuna verso est, prosciugando di fatto il fiume Ghaggar.

    La leggenda vuole che il Signore Rama, protagonista dell'epica Ramayana, un giorno si preparò a scagliare una freccia contro Lanka, capitale del regno del demone Ravana, dove quest'ultimo teneva prigioniera Sita, la moglie del dio. Ma il potere distruttivo delle frecce di Rama era tale che gli dei lo supplicarono di desistere dal suo proposito di distruzione. Una volta teso l'arco era però impossibile non scoccare la freccia, così Rama indirizzò la sua freccia verso un mare lontano, che il calore generato dal colpo prosciugò, e al cui posto emerse un arido e bollente deserto.



    ....JAISALMER.....


    Questa fortezza circondata dalla sabbia, che attualmente conta 58.000 abitanti, sembra uscire direttamente dalle Mille e una notte invece che dall’arido Deserto di Thar, nella parte centro-occidentale dello stato del Rajasthan. La cittadina, semplicemente incantevole, intatta e romantica è stata soprannominata la “città d’oro” per via del colore che assumono i suoi edifici al tramonto, quando la fioca luce del sole disegna spettacolari giochi di ombre lungo le pareti e sulla sabbia. A conti fatti Jaisalmer è forse l’unica città di tutto il Rajasthan in cui sia ancora possibile gustare veramente lo spirito, le tradizioni e la cultura che caratterizzarono i secoli di maggior splendore di questa regione.
    Nei secoli la posizione strategica di Jaisalmer, posta sulla via dei cammelli che collegava l’India all’Asia centrale, fu fonte di grande ricchezza per la città. I mercanti e gli abitanti fecero costruire dimore e abitazioni magnifiche in legno e arenaria giallo oro, tutte squisitamente lavorate da artigiani di rara maestria. Haveli simili a quelli di Jaisalmer si trovano ovunque nel Rajasthan, ma in nessun altro luogo hanno una carica così esotica; persino i negozi più piccoli e le case più umili testimoniano degnamente la passione dei Rajput per l’arte nella sua forma più fantasiosa. A mettere in ginocchio la città ci volle lo sviluppo dei traffici mercantili e la conseguente ascesa in importanza del porto di Bombay, che segnò l’inizio del declino politico ed economico di Jaisalmer, la cui morte definitiva sarebbe potuta sopraggiungere per via della scarsità di risorse idriche, anche se le guerre indo-pakistane del 1965 e del 1971 evidenziarono nuovamente l’importanza strategica dell’abitato scongiurandone la fine.
    All’interno delle mura del forte si trova un gruppo di templi giainisti costruiti tra il XII ed il XV secolo splendidamente decorati e dedicati a Rikhabdev e Sambhavanth; nel complesso si trova anche la Gyan Bhandar, una biblioteca che ospita antichi manoscritti. Gli splendidi edifici in arenaria fatti edificare dai ricchi mercanti di Jaisalmer sono noti con il nome di haveli....A sud della mura cittadine si può vedere la zona del Gadi Sagar Tank, un lago artificiale un tempo riserva d’acqua circondato da svariati tempietti e santuari. Si narra che la bella porta ad arco che sovrasta la strada per il bacino sia stata fatta costruire da una famosa prostituta che, offertasi di coprire le spese per la sua realizzazione, si vide negare il permesso dal maharaja, in quanto non avrebbe potuto oltrepassare la porta senza che la sua dignità ne risentisse. Mentre questi si trovava fuori città, la donna fece comunque costruire la porta e ordinò che fosse aggiunto alla sommità un tempietto dedicato a Krishna cosicchè il re non avrebbe potuto distruggere nulla.



    ......BIKANER.......


    Questa città del deserto fu fondata nel 1488 da Rao Bika, un discendente di Jodha, storico fondatore di un’altra città molto conosciuta all’interno dello scacchiere geopolitico indiano: Jodhpur. Come in molti altri centri del Rajasthan, la città vecchia è circondata da alte mura merlate, preziose testimonianze del ricco passato che ha contraddistinto un’area tra le più feconde dal punto di vista storico di tutto il paese. Al pari di Jaisalmer, in passato Bikaner fu un importante punto di sosta lungo i grandi itinerari delle carovane, mentre in epoca moderna, e per l’esattezza tra il 1925 ed il 1927, venne costruito il Ganga Canal, che ha permesso l’irrigazione e di conseguenza l’antropizzazione di un’ampia zona precedentemente arida nei dintorni di Bikaner.
    La città vecchia, costruita nel XVIII secolo, è circondata da mura lunghe 7 chilometri con cinque porte di accesso. Il forte ed il palazzo si trovano al di fuori delle mura del centro e sono costruiti con pietra arenaria di colore rossastro e rosa come i celebri edifici di Jaisalmer...il Forte di Junagarh... costruito tra il 1588 ed il 1593 dal raja Rai Singh, generale dell’esercito di Akbar, imperatore dei Moghul. Il forte è circondato da mura lunghe 986 metri dotate di ben 37 bastioni, con la Surajpol o Sun Gate che rappresenta l’entrata principale al complesso.... il Palazzo di Lalgarh.. un edificio in pietra rossa costruito dal maharaja Ganga Singh (1881-1942) in memoria di suo padre Lal Sing 3 chilometri a nord del centro città.
    Nel raggio di pochi chilometri da Bikaner si trovano i chhatri di molti sovrani della dinastia dei Bika, con il chhatri di marmo bianco del maharaja Surat Singh che è uno tra i più imponenti. Sempre nei dintorni non si possono perdere il Gajner Wildlife Sanctuary, una riserva immerse tra colline boscose e laghi distante appena 32 chilometri lungo la strada per Jaisalmer, e Deshnok..... il fantastico Tempio di Karni Mata, che nelle credenze indiane è una delle rincarnazioni di Durga, intorno al quale vivono migliaia di topi, alcuni dei quali risalgono in superficie zampettando senza paura alla luce del sole.




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  4. gheagabry
     
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    DESERTI AUSTRALIANI



    Quasi tutta l'Australia centrale, circa tre quarti dell'intero continente, è occupata da deserto e regioni semidesertiche per 3 400 000 Km2. L'altopiano occidentale, con un'altitudine media di 120 - 200 metri, è per lo più semidesertico e verso oriente lascia il posto al deserto vero e proprio dal caratteristico clima arido e continentale. Il deserto Simpson, a nord del lago Eyre, si trova quasi interamente ad un'altitudine inferiore ai 150 metri. I deserti costieri sono situati nelle parti meridionali e occidentali del continente, ove le condizioni sono di gran lunga meno rigide che nel Sahara.
    Il deserto australiano è la somma di cinque deserti: il Grande Deserto Sabbioso, il Deserto Victoria, il Deserto Simpson, il Deserto Tanami e il Deserto Gibson.
    La vegetazione del deserto australiano è molto ricca. E' dominata da zone di eucalipti nani o macchie di acacia australiana. Quest'ultima copre una zona estesa dell'Australia Occidentale, arrivando sino alla regione costiera a sud delle catene montuose; forma una fascia quasi continua attraverso il centro dell'Australia Meridionale fino al Nuovo Galles del Sud nordoccidentale e al Queensland sudoccidentale, dove ha un fortissimo sviluppo. Al margine dei deserti vi sono formazioni aride con erbe perenni nella zona settentrionale con precipitazioni estive e con numerosi cespugli specie verso sud dove la pioggia cade in inverno. A causa dell'aridità, gli incendi sono molto frequenti; anche se i semi di molte piante sono abbastanza resistenti al forte calore, in genere germinano soltanto se il fuoco non gli ha toccati. La relativa scarsità di animali vertebrati è una caratteristica dell'intera regione australiana che presenta comunque aspetti faunistici assai caratteristici. I mammiferi dominanti sono i Marsupiali. La fauna avicola comprende l'emù, pappagalli, gallinacei, uccelli predatori e altri. I rettili sono rappresentati dai serpenti.
    Prima dell'arrivo dell'uomo bianco, il deserto australiano era abitato solo da aborigeni che vivevano grazie alla loro conoscenza della zona e dei cicli della vita delle piante e degli animali che potavano servire alla loro alimentazione.

    La vegetazione è dominata da zone di eucalipti nani o macchie di acacia australiana. Al margine dei deserti vi sono formazioni aride con erbe perenni nella zona settentrionale con precipitazioni estive e con numerosi cespugli, specie verso sud dove la pioggia cade in inverno. Questo è il teatro de “Le Vie dei canti”, il libro di Bruce Chatwin che descrive come la loro terra, per gli aborigeni, sia tutta segnata da un intrecciarsi di queste Vie o “piste del Sogno”, un labirinto di percorsi visibili soltanto ai loro occhi. I Pintupi sono stati l’ultima “tribù selvaggia” a essere sloggiata dal deserto occidentale, niente più cacce ai canguri e agli emù, niente più ripari dietro i frangivento di spinifex: negli anni ’50 furono trasferiti a Popanji. Adesso l’arte astratta delle pitture di Stan Tjakamarra trova estimatori al Desert Bookstore.


    Il Gran Deserto Sabbioso è sostanzialmente pianeggiante compreso tra le catene montuose del Pilbara e di Kimberley. Confina a sud-est con il Deserto di Gibson e ad est con il Deserto Tanami. Il Rudall River National Park e il Lago Dora si trovano a sud-ovest, mentre il Lago Mackay è situato nel sud-est.
    Il Gran Deserto Sabbioso contiene grandi Erg spesso costituiti da dune longitudinali. Wolfe Creek un cratere creato dall’impatto di un meteorite è situato nel nord-est.
    Il Gran Deserto Victoria è un deserto arido ed un ecoregione scarsamente popolata del sud dell’Australia. Occupa un’area compresa tra gli Stati dell’Australia Meridionale e dell’Australia Occidentale e comprende un ambiente caratterizzato da piccole dune, praterie e laghi salati. Misura oltre 700 chilometri di larghezza da ovest ad est e si estende su una superficie di 424.400 chilometri quadrati. È circondato dal Piccolo Deserto Sabbioso a nord-ovest, dal Deserto di Gibson a nord, il deserto pietroso del Tirari-Sturt est, e dal Nullarbor Plain a sud che lo separa dalle acque dell’Oceano Indiano con la Gran Baia Australiana.
    Il Deserto di Gibson...L'area comprende colline sabbiose intervallate da prati secchi. Vi si trovano isolate colline e basse catene montuose, e fa parte del pianoro centrale dell’Australia Occidentale.
    Il deserto è stato così nominato in onore di Alfred Gibson. Gibson morì nel tentativo di attraversarlo nel 1874 durante una spedizione con Ernest Giles. Giles solo per poco evitò un destino simile.
    Le uniche popolazioni qui presenti sono di indigeni australiani. A causa di una grave siccità nel 1984, che aveva prosciugato tutte le sorgenti e esaurito le scorte alimentari, una tribù seminomade, i Pintupi, che tradizionalmente avevano per dimora il deserto Gibson si sono messi in contatto per la prima volta con la società occidentale australiana. Si ritiene fossero l'ultima tribù in Australia a non aver avuto ancora un contatto con l’uomo bianco.
    Il deserto Simpson, posto nel cuore arido del continente australiano, occupa una superficie di quasi 160.000 km² ed è caratterizzato da imponenti sistemi di dune, formatesi lungo un antico alveo fluviale circa 60 milioni di anni fa: alcune di questi sistemi si susseguono per estensioni notevoli, sino a 200 km.
    Nel deserto si trovano anche depressioni argillose poco profonde, linee serpentiformi di vegetazione che segnano alvei di fiumi in secca e la sconfinata piana salata, bianca e accecante, del Lago Eyre, posta nel settore meridionale

    Il deserto, come il mare, è un simbolo. Come tutti i simboli unisce: è male e bene allo stesso tempo: pericolo di perdersi e di morire ma, anche, occasione di ritrovarsi. Come ogni simbolo, rimanda un significato che muta con il mutare della percezione: allo sguardo nichilista di Bertolucci il deserto si presenta come il correlativo oggettivo del nulla. Nel deserto si rispecchia il nulla di cui è composta la vita, senza senso, dei protagonisti del suo Tè nel deserto. Per i Tuareg è l’occasione di ritrovare la propria anima ....da un antico detto Tuareg: “Dio ha creato paesi ricchi d’acqua perché gli uomini ci vivano, i deserti perché vi trovino la propria anima”.....





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  5. gheagabry
     
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    Lo «sguardo oltre le dune»: il viaggio di Fabio nel deserto
    Un non vedente e la sua guida attraversano l'Egitto per 250 chilometri. E l'esperienza finisce in un libro
    Fabio Pasinetti ha percorso, a piedi, 250km nel deserto bianco in Egitto. Ad accompagnarlo Carla Perrotti che è chiamata la Signora dei deserti per averne affrontati ben sette. Il LIBRO - “Lo sguardo oltre le dune” (Ed. Corbaccio, 254 pagg.17,50 euro) è scritto dai protagonisti che ripercorrono il viaggio. Un diario avvincente che si legge d’un fiato e che pare già una sceneggiatura. Il volume è presentato il 10 novembre all’Istituto dei ciechi di Milano, in via Vivaio 7, alle ore 18. La versione audio del libro è stata letta dagli stessi autori. Una sfida per Fabio Pasinetti. «Ho perso la vista a causa di una malattia degenerativa a 35 anni. Non sono quindi fluent braille, come chi impara a leggere e a scrivere con le dita -spiega Pasinetti-. Per realizzare l’audiolibro ho dovuto ideare un metodo di ascolto e ripetizione».
    «Il progetto vuole invitare tutti a trovare in se stessi nuovi orizzonti per spostare un po’ più avanti il proprio limite. Senza forzature». Il deserto come palestra. «Metto a disposizione la mia esperienza di sportiva e il mio grande amore per questi luoghi – dice la Perrotti-. Affrontare il deserto significa mettersi in gioco, non con una prova sportiva, bensì con un esercizio della mente. Dal deserto si torna cambiati. Per questo chiamiamo le nostre camminate desert therapy». La disabilità non impedisce di vivere tutto questo. «L’esperienza di Fabio lo dimostra. Il nostro viaggio è stato un esperimento per entrambi, che è riuscito e che può essere replicato. Se per le disabilità sensoriali siamo pronti, per quelle motorie stiamo studiando percorsi e modalità», spiega Carla Perrotti.
    «Qualcuno pensa ancora che nel deserto non ci sia niente. Non ci sia niente da vedere, a volte mi dicono con una pacca sulla spalla – racconta Pasinetti-. Da vedente ero stato nel deserto, in Marocco, il solito giro in cammello da turista. Viverlo è un’altra cosa. Giorni di cammino, senza agonismo, ma con costanza e rigore. Dovere dosare forze fisiche e mentali perché la sera c’è la tenda da montare e la cena da preparare. Impari ad ascoltare i tuoi pensieri. A metterli in ordine». Fabio e Carla hanno percorso 250 km in 15 giorni di cammino. In totale autonomia. Un servizio di supporto faceva trovare l’acqua, 4 litri a testa, lungo il loro cammino. Per orientarsi hanno utilizzato mappe e Gps. Fabio e Carla hanno camminato legati da un cordoncino elastico di circa un metro. Carla descriveva il terreno e Fabio calibrava il suo passo. Una buona intesa che ha superato insidiose pietraie, dune altissime, temperature estreme, venti accecanti.
    (Carmen Morrone, Corriere)



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    Edited by gheagabry1 - 1/10/2019, 20:17
     
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  6. gheagabry
     
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    Uno dei posti più infuocati della terra.
    Una terra tormentata da eruzioni vulcaniche e dal sole implacabile,
    una fornace, un inferno per molti, un paradiso per la fauna e la flora.


    Il deserto SONORA


    Il Deserto di Sonora, chiamato anche Deserto di Gila (in riferimento al fiume Gila) è un deserto situato nel Nord America, che attraversa parte del confine tra Stati Uniti e Messico, interessando una vasta zona che comprende gli stati dell'Arizona, della California e della regione messicana del Sonora. È uno dei deserti più estesi e più caldi del Nord America... il nome deriva da “Sonota”, termine papago che significa “luogo delle piante”.
    Il deserto di Sonora copre una vasta area di più di 1000.000 miglia quadrate.Il deserto si eleva dal livello del mare fino a raggiungere oltre 1500 metri dove gli aridi bassopiani di mesquite e cresoto sono tagliati da canyon montagnosi di quercia e sicomoro. E' una zona aspra in cui la temperatura può raggiungere i 60°C all'ombra e la piovosità tocca appena i 127 mm annui...... è, geologicamente parlando, relativamente giovane, essendosi formato da meno di 10.000 anni. Ha un clima molto caldo e secco, dove la pioggia cade con una certa "regolarità" circa due volte all'anno, in forma di violenti temporali che riempiono il cielo di elettricità.
    E' un deserto pieno di vita, niente a che vedere con l'immagine stereotipata di un mare di sabbia e qualche roccia. Certo, ci sono anche le dune, seppur in poche aree, ma ci sono soprattutto zone più o meno umide chiamate "bosque", che si formano nelle prossimità di sorgenti naturali. L'acqua nel deserto significa vita.
    E all'Arizona Sonora Desert Museum ciò che colpisce immediatamente è la immensa distesa di verde, anche se sui generis: si tratta di piante del deserto, adattatesi a sopravvivere e a fiorire (specialmente in inverno) in condizioni climatiche estreme. Le loro radici, grovigli sotterranei, come lunghe cannucce, assorbono dopo una occasionale pioggia, quanta più acqua possibile. Gli animali e gli insetti del deserto di Sonora sono molto particolari. Alcuni, come i mammiferi e i rettili, sono attivi solo dal tramonto all'alba, ed è quindi molto difficile per un essere umano incontrare una javelina, un jackrabbit, un mostro di Gila o un serpente a sonagli durante il giorno.
    Contrariamente a quello che si crede, in Arizona non ci sono tarantole velenose per l'uomo.
    Velenosissimo è invece, il mostro di Gila (Heloderma suspectum), un lucertolone colorato e dall'apparenza pacifica che ricorda un rettile preistorico. Ha un morso terribile dal quale è difficile liberarsi e il suo veleno provoca un dolore immediato ...Il deserto di Sonora custodisce un incredibile numero di tesori archeologici, molti dei quali riconducibili agli indiani Hohokam che vivevano in questa zona circa 1000 anni fa.

    Il deserto di Sonora possiede una vegetazione caratteristica, in grado di crescere in un suolo estremamente arido, assorbire e trattenere umidità e resistere alle forti escursioni termiche e all’erosione dei venti. Predominano nell’area i cactus – tra cui il saguaro o cactus gigante – e la vegetazione arbustiva; diffusa anche la yucca gigante e il mesquite.


    … Il deserto è una distesa di sabbia bruciata dal sole e tormentata dal vento. E’ un mare di onde dorate che si increspano all’infinito, oltre l’orizzonte, fino a dissolversi nell’aria tremula che ne riproduce il ritmo. E’ un’infinita varietà di colori, soggiogati da una luce instancabile, mai uguale a se stessa: tanto generosa di riflessi quanto avida di ombre, maestra di gradazioni e sfumature. Il deserto è la morsa del ghiaccio che rattrappisce un cuore ormai privo di impulsi. Il deserto è l’immersione nell’ignoto, il naufragio nell’immenso, l’estatico oblio delle certezze e l’inebriante annichilimento delle incertezze. E’ la calma dell’incedere senza tempo, verso un dove senza confini. Il deserto è la solitudine di un’anima tormentata che non vorrebbe arrendersi all’impero dell’aridità. E’ la forza di una passione irrefrenabile che non conosce ostacoli: un fuoco inestinguibile, un ardore imperituro. Il deserto è la nobiltà di un uomo il cui respiro si confonde con l’alito che modella le dune, il cui cammino segue tracce ancestrali fatte di voci, di canti, di narrazioni, i cui occhi incorniciati da drappeggi d’indaco si abbassano soltanto quando da oriente giunge il richiamo alla preghiera. Il deserto è un sinuoso felino dal manto fulgido: elegante, sensuale, ammaliante, feroce, brutale. Il deserto è l’illusione che esista qualcosa di deserto: un luogo deputato al nulla dove ogni forma di vita assume connotati leggendari; un silenzio assoluto dove lo sciabordio del sangue nelle vene diventa assordante; uno spazio sconfinato dove si assume la dimensione di un granello di sabbia e si diventa parte del tutto.


    (Valentina Gualandi)




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    Edited by gheagabry1 - 14/3/2020, 14:26
     
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    Il Mojave Desert



    Il deserto di Mojave è una regione desertica della California (USA), situata ad un centinaio di miglia nord-est di Los Angeles. Il termine Mojave è anche usato per indicare il deserto mentre Mohave è utilizzato per identificare i nativi. È ampio 38.000 chilometri quadrati ed è situato fra la Sierra Nevada e i monti che chiudono la regione di Los Angeles verso il Pacifico. Si tratta di un altopiano con numerosi bacini salati (Lago Rogers) e con precipitazioni scarse (meno di 100 mm di pioggia annui). Nel territorio vi sono molti giacimenti minerari (tungsteno, oro, argento, minerali di ferro, borace, potassio, salgemma, materiale da costruzione). Vi si trova la base aerea militare di Edwards AFB, luogo di atterraggio alternativo a Cape Canaveral per gli Shuttle al rientro dalle missioni spaziali (in orbita polare) e che al tempo dei primi voli supersonici del capitano Charles Elwood "Chuck" Yeager si chiamava "Muroc Army Air Force Base".

    "Non parlo per leggende metropolitane. Sono dove quasi nulla cresce. La sabbia attanaglia l’orizzonte, mutevole di colori ad ogni attimo che passa. Non riesco a distinguere la fauna che svolazza, striscia e scappa. Come una neo-Alice nel paese delle meraviglie mi avvio in questo mondo sub-terrestre dove la catene dei miei pensieri sgusciano perdendosi. Il Mojave Desert si presenta così. In tutto il suo crudo e selvaggio splendore. Regione desertica della California (posizionata a un circa cento miglia nord-est di Los Angeles), è una delle due aree che compongono il celeberrimo Parco Nazionale di Joshua Tree (l’altra è Colorado Desert, a est).
    Da qualche parte, in questi spazi che in Italia non saprei nemmeno immaginare, ci sono sparse miniere abbandonate. Dura la vita dei cercatori d’oro quando nell’800 giunsero qui carichi di speranze e sogni di ricchezza. Nomi molto suggestivi: Desert Queen Mine, Desert Queen Ranch” e “The lost horse Mine”. Trentottomila chilometri incastonati tra la Sierra Nevada e i monti che chiudono la regione di Los Angeles verso il Pacifico. il Mojave, rispetto all’altra parte, è più alta e fresca, e caratterizzata da una larga distesa dei caratteristici alberi di Josuè. Bacini salati e scarssima presenza di piogge completano il panorama.
    Una nuova notte in un’anonima camera di motel non mi fa impazzire. E questa immensità mi mette di un umore diverso. Mi tornano in menti le parole di un’amica, “il Joshua Tree è una meraviglia. Avrei una voglia matta di fare camping per quei parchi perchè l’emozione che ti danno insieme alla sensazione di libertà, miete poesia e reclama attenzione”. Penso sia doveroso realizzare questo suo desiderio. Così, dimenticando uova col bacon, caffè e succo d’arancia, lascio la macchina appena fuori dalla strada. Accendo la radio per avere un po’ di comopagnia. “Sbircio” di fuori in attesa che la notte faccia un sol boccone della mia sigaretta e quel poco che resta della mia voce solitaria. Incredibile il silenzio che regna. Decido di uscire, sfidando l’oscurità più totale. Mi sento mimetizzato nel buio che sovrasta. Guardate l’umanità, qui non ce n’è traccia. Mi affloscio in questo diario improvvisato di spiegazioni alle mie memorie. Sento poi un verso che non ritrovo nella conoscenza del mondo animale. Forse è un coyote, o magari una lince. Spero solo di non incontrare il sibilo di un serpente a sonagli. Sì, quella è un’esperienza che vorrei proprio evitare. Rientro in automobile lasciando uno scorcio di finestrino aperto. Emblema della mia porta di casa. Emblema del mia prossima partenza. Qui intanto, è solo deserto e oscurità.
    (Luca Ferrari, il reporter)


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    La neve nel deserto



    Incredibile ma vero, ieri (17 gennaio 2012) la neve ha baciato il deserto del Sahara... a portare nevicate in alcune zone del deserto è stata una goccia fredda proveniente dalla Groelandia che, passando per la Spagna si è spinta fino in Algeria occidentale.

    Il 18 Febbraio del 1979, per mezz' ora, fiocchi di neve si sono adagiati sulle calde sabbie del deserto del Sahara.
    Una particolarità del clima del Sahara sono i venti desertici, che prendono vari nomi.



    Anni prima (nel 1950) qualche fiocco di neve venne avvistato perfino ad Alessandria d'Egitto e tutto Cipro ed Israele vennero imbiancati, eccetto Eilat sul Mar Rosso; a Sharm El Sheik la temperatura massima del giorno 5 febbraio si fermò ad appena 12 gradi!

     
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  10. gheagabry
     
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    Le antiche Biblioteche nel deserto


    Il tempo sta scadendo per le antiche città-biblioteche nel deserto della Mauritania. In queste oasi antichissime, dichiarate dall’Unesco Patrimonio Mondiale dell’Umanità, giacciono migliaia di manoscritti antichissimi, minacciati dalle termiti e dalle sabbie del deserto che avanza.
    La Mauritania è stata, per molti secoli, un centro d’irradiamento culturale in cui la propagazione e l’acquisizione del sapere dominavano la vita degli uomini e costituivano un’attività di fondamentale importanza. Le vestigia storiche di città antiche come Chinguetti, Ouadane, Tichit e Oualata, classificate dall’Unesco Patrimonio Mondiale dell’Umanità, sono una delle espressioni visibili di questa enorme ricchezza culturale.
    Posizionate nel cuore del Sahara occidentale, queste antichissime oasi nacquero inizialmente per servire le rotte carovaniere legate al grande commercio trans-sahariano, ben presto divennero centri d’insegnamento religioso, dove fiorirono moschee e mederse, scuole coraniche, la cui fama indiscussa si diffuse sino alla lontana Arabia.
    In questo quadro particolare sorsero numerose biblioteche, le cui migliaia di manoscritti, riguardanti più campi del pensiero umano, dalla religione alla matematica, richiamarono per secoli intellettuali e studiosi da tutto il mondo arabo ed alimentarono la nascita di un’intensa attività editoriale. La generalizzazione della cultura consentì ai cittadini di ogni classe sociale l’accesso al mondo del sapere, tanto che intorno al XVI secolo, in ogni casa di queste città si trovava un erudito.
    Attualmente, l’abbandono degli antichi traffici trans-sahariani, unito ad una siccità senza precedenti nel Sahara, hanno causato il declino e l’abbandono progressivo di queste capitali nel deserto. Ormai, in questi luoghi, non restano che poche anime ad abitare quello che è solo il ricordo di questo glorioso passato mentre le dune avanzano inesorabilmente minacciando la vita stessa degli uomini.


    La Mauritania, estrema propaggine occidentale del Sahara a sud del Marocco, è una meta praticamente ancora sconosciuta anche ai grandi viaggiatori e agli appassionati di deserto. A colpire i rari visitatori sono in particolare la diversità ambientale tra la fascia costiera atlantica e l’interno desertico, le tribù maure che ancora popolano numerose il deserto con le loro mandrie di capre e di dromedari, il dualismo tra pastori nomadi e agricoltori sedentari, presenti soprattutto al sud fino alle rive del fiume Senegal, gli abbondanti insediamenti preistorici risalenti fino al Paleolitico, i numerosi villaggi di epoca medievale, un tempo importanti nodi carovanieri e rilevanti centri culturali, oggi purtroppo in procinto di essere inghiottiti e cancellati dalla sabbia del deserto che avanza implacabile e inarrestabile. La repubblica islamica di Mauritania è grande tre volte l’Italia ma conta appena un milione e mezzo di abitanti, gran parte nomadi, occupando il deserto ben quattro quinti del territorio; solo il sud rientra nella fascia saheliana e l’effetto dell’oceano termina alle prime dune. Domina una struttura feudale divisa rigidamente in caste, dove i mauri di origine arabo-berbera stanno al vertice e i neri autoctoni alla base; in pratica vige ancora la schiavitù, abolita solo a parole nel 1980, ma in compenso le donne, non velate, godono di relativa libertà e dignità.

    Il deserto è deserto: dall’aggettivo, il nome. Tautologico ma chiaro. Il suo significato deriva dal latino “deserere”, cioè abbandonare, e indica un luogo privo o comunque povero di vita. Se anche nell’oscurità della notte qualche insetto o qualche piccolo mammifero lascia sulla sabbia le impronte del suo passaggio, il vento presto le cancella e il calore del giorno immobilizza il paesaggio in una dimensione minerale senza quasi traccia umana o animale. Forse è per questo che nel deserto, lontano dalla frenesia e dall’affollamento, il viaggiatore ritrova calma e tranquillità.
    Il deserto è silenzio, un silenzio interrotto solo dal rumore dei granelli di sabbia spostati dal vento. Qui si è davvero lontani dalla cacofonia del mondo.
    Il deserto è essenzialità. La natura è messa a nudo perché priva di vegetazione, non nascosta dal cemento e non ricoperta da orpelli e artifici. E anche noi riscopriamo il piacere del vuoto, della leggerezza, del distacco da quel superfluo che soffoca le nostre vite.
    Il deserto è vastità. E’ così smisurato che è impossibile abbracciarlo tutto, anche se si cerca di allargare lo sguardo come fosse il grandangolo di un apparecchio fotografico. I granelli di sabbia sono come tanti minuscoli pixel di un’immagine digitale che ha bisogno della distanza per ricomporsi in un’incredibile fantasia di forme e di sfumature di colori. Nel deserto possiamo finalmente ritrovare la vastità degli spazi e dei larghi orizzonti dove lo sguardo annega.
    Il deserto è luce, una luce mai uguale a se stessa. Quella dell’alba che accende le cime delle dune, quella del tramonto che colora la sabbia, quella della notte illuminata dal fuoco del bivacco e dalle infinite stelle che si muovono lungo l’intero arco del cielo. Ma è anche la luce opprimente del giorno che avvicina gli orizzonti e crea lontani miraggi. Un luogo, il deserto, capace di restituire la luce al giorno e il buio alla notte.

    Il deserto è immobilità, anche se in realtà il vento cambia costantemente, ma insensibilmente, i connotati del paesaggio. Lo spazio sembra rimanere uguale a se stesso, il tempo trascorre senza lasciare tracce apparenti. Nel deserto più che il desiderio di camminare, si ha voglia di fermarsi a contemplare.
    Il deserto è bellezza. Certo, ci sono anche paesaggi monotoni e desolate distese di pietre, ma sono un prezzo da pagare per la sensualità di una duna, le sfumature di colore della sabbia, le forme fantastiche delle rocce.
    Il deserto è inutilità, è una terra sterile e ostile. Ma ci è necessario, perché, come scriveva Doris Lessing proprio a proposito dei deserti, “l’uomo ha bisogno di uno spazio vuoto da qualche parte per farvi riposare il suo spirito”.
    Spazio, silenzio, vuoto, luce, leggerezza, bellezza… forse un’illusione, ma si sa, nel deserto i miraggi sono reali.
    (Anna Maspero)
     
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    VERMILION CLIFFS



    Un tesoro geologico, il punto focale di 294 mila ettari di Monument Vermilion Cliffs National è l'altopiano di Paria vasto e maestoso. Lungo il suo bordo meridionale, le scogliere mozzafiato Vermilion salire 3000 metri in strati multicolori di scisto e arenaria. A est, la spettacolare Paria River Canyon rivela un 2500 di profonda meraviglia geologica anfiteatri, archi e massicce pareti di arenaria. Coyote Buttes nell'angolo nord-ovest presenta colorata bande in onde di colore giallo, arancione, rosa e rosso.

    Per capire come si è formato il Grand Canyon, e con esso le altre spettacolari formazioni geologiche della regione, da Bryce Canyon a Zion, per citare solo i parchi più famosi, bisogna risalire alle origini della terra, al Precambriano, circa 2 miliardi e mezzo di anni fa. Allora lo Utah e l'Arizona settentrionale erano sommersi da un mare primordiale. Sabbie e residui provenienti da altopiani circostanti si accumularono sul fondo per un periodo lunghissimo, che si può far terminare circa 225 milioni di anni fa. L'enorme pressione data dall'acqua e dal peso stesso dei sedimenti cementarono gli strati più bassi in rocce sedimentarie : argilla e arenaria. Queste sono le rocce di cui è formato il Grand Canyon. Alla sua base si trovano dunque rocce vecchie di circa due miliardi e mezzo di anni, mentre lo strato superiore risale a 225 milioni di anni fa e prende il nome di Kaibab Limestone.
    225 milioni di anni fa la crosta terrestre si mosse e quest'area si elevò sopra il livello del mare primordiale, diventando una pina paludosa su cui scorrevano fiumi lenti, che tracciavano meandri e depositavano melma e ghiaia. Le acque continuarono ad innalzarsi e a recedere nel corso di milioni di anni, in un ambiente paludoso abitato da dinosauri. I depositi dei fiumi e dei mari poco profondi si accumularono in strati sempre più alti fino a raggiungere uno spessore di 550 m. Questi depositi (chiamati dai geologi Moenkopi) costituiscono il secondo grande strato sovrapposto a quello in cui è stato scavato il Grand Canyon e che forma le Chocolate Cliffs, ossia la scarpata color cioccolato, per il colore scuro dei suoi componenti. La composizione minerale dei sedimenti mutò successivamente, e altri 300 m di roccia, questa volta color rosso mattone, formarono quello che oggi è noto come Vermilion Cliff, la scapata vermiglia, evidentissima negli strati inferiori di Zion.
    Circa 150 milioni di anni fa ci fu un mutamento climatico e le piane verdeggianti e paludose furono invase da dune di sabbia di provenienza inspiegabile : forse il risultato dell'erosione di una grande catena montuosa. I fiumi resistettero per un po' e poi scomparvero, soffocati dalle dune. Per 10 milioni di anni la sabbia si accumulò fino a raggiungere uno spessore di 670 m e si cementò a formare pietra arenaria, una roccia chiara che forma le White Cliffs, la scarapata bianca, visibile nello Zion Canyon, modellata ed erosa dall'azione plurimillenaria del vento. Questo tipo di arenaria è stato chiamato dai geologi Navajo Sandstone. 140 milioni di anni fa il mare invase ancora questa regione. Si trattava nuovamente di un mare poco profondo, ma questa volta pullulante di vita : rettili, molluschi, crostacei vissero e morirono lì per così tanti milioni di anni che i loro corpi si mescolarono alla sabbia formando uno strato di arenaria spesso 100 m. E' il Carmel Limestone e lo si può osservare sulla cima di diverse alture nel parco Zion. Per altre decine di milioni di anni il mare e la terra si alternarono qui, accumulando incessantemente depositi lasciati da lenti fiumi e da acque marine, fino a raggiungere uno spessore di 1000 m. Si tratta di depositi di colore indefinito a cui è stato dato il nome di Grey Cliffs (scarpata grigia).


    "Sono appena tornato da un viaggio fantastico in una delle parti più belle di quello che resta ancora il più bel pianeta che conosciamo. Mi riferisco ovviamente alla nostra Terra ed in particolare ad una zona geologicamente eccezionale: il Plateau del Colorado, una regione che copre parte degli stati americani dell’Arizona, dello Utah, del Colorado e del New Mexico. Ma è tra il Nord dell’Arizona ed il sud dello Utah che si può ammirare quanto di meglio abbia potuto fare la natura nel corso di centinaia di milioni di anni. Una zona molto stabile, in cui il susseguirsi di inondazioni e di prosciugamenti ha creato un deposito continuo di strati sabbiosi, identificati da un’incredibile varietà di colori. Il drastico sollevamento (più di 3000 metri) di questo enorme altopiano (circa 350000 kmq) a partire da qualche decina di milioni di anni fa, ha poi permesso agli agenti atmosferici ed ai fiumi di modellare, scavare e scolpire le rocce nelle forme più strane ed entusiasmanti.
    Una natura ancora incontaminata, preservata spesso in modo severissimo, ci da la possibilità ancora oggi di scoprire un mondo di silenzio e di solitudine. Un vero giardino di sabbia e cespugli, costellato di fiori, in cui l’uomo si sente un intruso. Anche se popolato da animali dai nomi terribili (scorpioni, tarantole, serpenti a sonagli, ecc.) vi posso assicurare che dopo ore ed ore di cammino tutto ciò che potrete vedere saranno solo scoiattoli, lepri, uccelli variopinti e molte lucertole inoffensive. Al massimo un povero e timido serpentone innocuo che attraversa la strada con grande circospezione. Non vedrete di giorno nessuno dei terribili “mostri” che sicuramente esistono, ma che si tengono ben nascosti in attesa di uscire nelle ore più fredde. Soprattutto è fuori dei circuiti turistici che si può ammirare la vera meraviglia geologica rappresentata dall’altopiano, lontani dal chiasso, scoprendo prospettive e formazioni che hanno dell’incredibile. Dirò un’eresia, ma il Grand Canyon ed il Bryce Canyon (i più famosi e frequentati) spariscono di fronte ad altre formazioni quasi del tutto sconosciute. Per gustarle in pieno basta aver voglia di camminare, senza timore, su abbozzi di sentiero il più delle volte segnati solo dalle tracce di animali, di avere un buon orientamento e di utilizzare se possibile una 4×4 per giungere il più vicino possibile alle zone da visitare, attraverso strade sterrate e sabbiose. Le zone più adatte a ciò sono il nuovo Escalante National Monument e la zona selvaggia dei Vermillion Cliffs. Proprio in quest’ultima troverete quelle che quasi sicuramente sono le rocce più belle della Terra e potrete dire (ricordando il replicante di Blade Runner) “ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare …” Camminerete tra onde pietrificate, dai colori che vanno dall’azzurro al verde, dal giallo ed al rosso, vi infilerete in canyon talmente stretti da dovere tenere il fiato per proseguire, sarete sovrastati da archi naturali che inquadrano un cielo quasi sempre di un blu intenso. Scoprirete orme di dinosauri, forse viste la prima volta, e vi sentirete in perfetta armonia con la natura.
    (vincenzo Zappalà)


    .........le WAWE.........



    Sembrano ritratti disegnati dal pittore più esperto, che associano concezioni futuriste a quelle semplicemente bucoliche e paesaggistiche. In realtà tutto ciò non è il frutto contorto di un’artista nel fiore della sua immaginazione virtuosa. E’ tutto assolutamente reale, risultato millenario di una Natura che non manca mai di stupire e di affascinare. Si chiama The Wave, l’Onda.
    E proprio di questo si tratta: onde, flussi, movimenti rocciosi che lasciano la scia impressa nella piccole montagne di pietra. Per l’esattezza l’Onda è una formazione rocciosa arenaria situata negli Stati Uniti d’America vicino all’Arizona e alla frontiera dello Utah, sulle pendici del Coyote Buttes, nel Vermilion Cliffs-Canyon Wilderness Paria, il Colorado Plateau. Meta preferita di contemplatori di autentiche meraviglie naturali e di tanti fotografi che raggiungono la zona per immortalare il territorio risalente all’era giurassica, circa 190 milioni di anni fa. Secondo gli scienziati queste composizioni artistico-rocciose sono ex dune di sabbia sottoposte prima a calcificazione in strati orizzontali e verticali, tramutandole in roccia, poi all’erosione degli agenti temporali che hanno reso il tutto magicamente liscio come oggi appare. E bisogna fare molta attenzione se ci si vuole avventurare sin qui: le rocce sono molto fragili e occorre estrema delicatezza per sfiorare e non rovinare le creste di piccole dimensioni. Leggermente più a ovest di The Wave c’è la "Second Wave", dai colori più deboli, ma per certi versi anche molto più interessante per il gioco di gradazioni e luci cui si può assistere durante le calde ore del mezzogiorno, quando il sole contribuisce a creare maggiori contrasti ed ombre. (dal web)
     
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  12. gheagabry
     
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    Il deserto di FEZZAN

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    Il Fezzan (in arabo فزان‎ Fizzān, berbero: Fezzan, in turco: Fizan, in latino: Phasania, italianizzato in Fasánia) è una regione della Libia nel cuore del deserto del Sahara. Il Fezzan ha una superficie di circa 550.000 km² e confina a nord con la Tripolitania, ad ovest con l'Algeria, a sud col Niger e il Ciad e ad est con la Cirenaica. La maggior parte del territorio è costituita da un deserto di sabbia, ciottoli o rocce. Al suo interno vi sono delle oasi abitate perlopiù da berberi (imazighen).
    Fin dall'Antichità il territorio è abitato da popolazioni berbere. Già nel V secolo a.C. i Greci (grazie a Erodoto) conoscevano la popolazione dei Garamanti che vi era stanziata. I Romani non conquistarono mai il Fezzan, anche se intrattennero intensi scambi commerciali con i Garamanti e intrapresero alcune spedizioni come quella di un certo Iulius Maternus che intorno alla fine del I secolo a.C. attraversò il deserto arrivando fino ai territori degli "Etiopi" (cioè popolazioni di pelle nera, il Sudan). Con l'avanzata dell'Islam e la diffusione dell'allevamento del dromedario vi fu un incremento del commercio transsahariano, con Murzuk che assunse un ruolo significativo come centro commerciale del Fezzan. Dopo l'invasione del Nordafrica da parte delle tribù arabe nomadi dei Banu Sulaym vi fu una certa commistione tra popolazioni arabe e berbere. Dopo essere stato per qualche tempo sotto la signoria dell'Impero di Kanem-Bornu (XIII secolo), il Fezzan passò, nel XVI secolo, sotto il controllo dell'Impero ottomano, e della dinastia dei Karamanli, anche se spesso questo controllo era solo nominale e per lunghi periodi la regione fu sostanzialmente indipendente.
    L'Italia conquistò le regioni costiere della Libia nel 1911, ma fu solo intorno al 1930 che poté considerare sottomesse anche le popolazioni del Fezzan, con capoluogo Murzuk. Nel 1937 venne istituito il Territorio Militare del Sud, che comprendeva anche il Fezzan e non faceva parte della Libia italiana. Occupato dai francesi dal 1943 al 1951. Dal 1951 il Fezzan costituisce, insieme alla Tripolitania e alla Cirenaica lo stato indipendente della Libia.

    ....L'antico regno dei Garamanti.....



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    Un popolo ribelle nel cuore del Sahara. Ventimila soldati romani in marcia nel deserto del Fezzan. E la conquista a sorpresa di Garama, mitica capitale dei Garamanti, padroni assoluti del commercio transahariano. Un’impresa dimenticata nei libri di storia che riaffiora camminando fra i siti archeologici di Germa, punto di partenza per esplorare uno degli angoli più remoti e affascinanti della Libia. Fra laghi azzurri che emergono dalle dune, rocce dalle forme bizzarre, carovane di dromedari e antichissime gallerie d’arte rupestre. Protette dall’Unesco, studiate dall’italiano Fabrizio Mori, le incisioni e le pitture su roccia ci raccontano di un tempo lontano durante il quale nell’Acacus vivevano struzzi, elefanti, bufali, giraffe e un popolo che si spostava usando bighe trainate da cavalli. Erano i Garamanti, gli antenati dei Tuareg.

    Terra inospitale ed assolata il Fezzan occupa la parte sud-occidentale del territorio libico. Ghadames è la prima tappa. Antico centro carovaniero del commercio sahariano era il punto di arrivo per i mercanti di quel tempo. L'oasi, ancora oggi ha conservato quasi intatto l'antico fascino, con le tipiche viuzze strette e gli stretti corridoi intonacati con la calce bianca che danno un fresco riparo dalla calura del giorno. Ancora oggi è possibile incontrare gli anziani che nella penombra dei vicoli chiacchierano e concludono affari. A Ottobre si svolge il Festival della cultura Tuaregh. Sono tre giorni di feste, danze, musiche in cui i Tuaregh sfoggiano i vestiti tradizionali. L'ultimo giorno l'evento si celebra sulla grande duna con i caroselli sui mehari (i cammelli bianchi usati per le feste), mentre le donne cantano e suonano l'imzad (violino con archetto). Ci vorranno due giorni interi prima di raggiungere l'altra oasi di Ghat, alle porte del deserto dove le grandi dune sembrano una minaccia per la città. Ghat è sempre stata una roccaforte dei Tuaregh come gli Oraghen e gli Ifogas e, nonostante abbia subito molte rappresaglie da parte dei turchi, degli italiani e dei francesi, ancora oggi la sua popolazione è a maggioranza Tuaregh.


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    Alla fine di ogni anno si tiene un festival di arti e tradizioni popolari, i Tuaregh per l'occasione sfoggiano i costumi più belli e sfilano sui mehari riccamente bardati. Dall'alto della città vecchia il forte italiano è ancora un ottimo punto di osservazione sull'Akakus.....le alte dune dell' Idhan Ubari, il mare di sabbia che al suo interno racchiude incastonati come gemme, i laghi Gabroun, Mandara, Oum el Ma e Mahfou. I laghi si raggiungono dopo un tratto di svariati chilometri in assoluto fuori pista, galleggiando sopra le alte dune, alternando stretti canaloni ad ampi vallate e, al sopraggiungere del tramonto, montiamo il campo sulla sommità di una duna che termina in un lago azzurro circondato dalle palme. Uno spettacolo unico dovuto alle bizzarre condizioni geologiche degli strati impermeabili del terreno che in queste zone portano ad affiorare la falda acquifera. A pochi chilometri, le rovine di Germa l'antica Garama, ci riportano indietro nel tempo ai mitici Garamanti, i signori del deserto le cui gesta avventurose furono scritte da Erodoto. Tutte le piste che collegavano il sahara al mediterraneo erano sotto il loro controllo; questi indomiti cavalieri le percorrevano con carri e cavalli fornendo guide e scorte armate alle carovane di passaggio. Tutto ciò è conservato dalle rovine di Germa antica capitale del loro regno oggi, il loro spirito libero e combattivo rivive in parte nei Tuaregh, accomunati storicamente dallo stesso destino.

    (dal web)

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    Edited by gheagabry1 - 14/3/2020, 15:16
     
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  13. gheagabry
     
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    Candida e inaspettata visione! Un paesaggio surreale creato da dune di sabbia finissima e piccole lagune di acqua piovana. Un miraggio di 155.000 ettari...Immaginate di fondere le dune del Sahara e gli specchi d’acqua della Scandinavia:
    il risultato è l’incredibile paesaggio de....


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    Lençóis Maranhenses


    Non esiste al mondo scenario simile a quello del Parco Nazionale del Lençóis Maranhenses - costituito nel 1981 nello stato brasiliano del Maranhao - il Parco si trova sulla costa orientale dello stato del Maranhao con il comune di Barreirinhas, affacciato sulle rive del Rio Preguiças, che ne rappresenta la porta d’ingresso principale.. E’ un’ area protetta, con 155 mila ettari di dune, fiumi, lagune e mangrovie. La parte più caratteristica del parco é un’area di 270 Kmq (il vero e proprio “Lençóis” che in portoghese significa lenzuolo) ricoperta di dune di sabbia bianca mosse dal vento, fenomeno geologico questo che si ripete da più di 2000 anni. L’ aspetto è simile al deserto, ma le caratteristiche biologiche sono diverse. Il Lençois Maranhese è infatti ricco d’acqua, grazie ai fiumi che l’attraversano e alle azzurre lagune di acqua dolce portata dalle copiose piogge estive. Le dune, di sabbia finissima, si trovano soprattutto sul litorale Atlantico e, avanzando verso l’entroterra, si spingono fino a 50 chilometri dalla costa e possono raggiungere un’ altezza di decine di metri. L'ultimo tratto del lento e tranquillo Rio Preguicas (in lingua portoghese preguiça significa bradipo) demarca quelli che a ovest sono i Grandi Lencois (Grandes Lencois) e a est i Piccoli Lencois (Pequenos Lencois).

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    Pressoché sconosciuto sino agli anni 80, questo paradiso naturale, oggi diventato Parco Nazionale, è stato scoperto casualmente: i piloti che con i loro aerei coprivano la rotta Belém-Fortaleza, si accorsero di un paesaggio che improvvisamente mutava, andando dal verde della selva a un bianco e luminoso territorio lunare. Dall’alto sembrava una distesa infinita di lenzuola, impressione a cui questo parco deve il suo nome. Vista dall'alto la morfologia del territorio lascia pensare a dei velluti appoggiati sull'acqua (da qui il nome lençois, lenzuola, appunto).

    La Lagoa Azul è la duna con l’acqua cristallina più famosa per la sua bellezza. All’interno del Parco ci sono anche due oasi, il Queimada dos Britos e il Baixa Grande. Sulle spiagge si possono vedere i caranguejos (granchi) e le tartarughe marine. Le lagune a loro volta ricevano la visita di uccelli migratori come il Maçarico, la Marreca-de-asa-azul e il Trinta-réis. Il parco del Lençois è suddiviso nel “Grande Lençois” e nel “Pequeno Lençois”.
    Il Parco si trova sulla costa orientale dello stato del Maranhao con il comune di Barreirinhas, affacciato sulle rive del Rio Preguiças, che ne rappresenta la porta d’ingresso principale.

    Dice la leggenda che la regione era abitata dagli índios caetés, che un giorno si ritrovarono il loro villaggio sotterrato dalla sabbia. Si dice che in questi luoghi viva un popolo nomade, che nella stagione delle piogge, costruisce le sue capanne per vivere della pesca e, nella stagione secca, abbandona tutto in cerca di lavoro nelle campagne delle cittadine vicine.


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    Edited by gheagabry1 - 14/3/2020, 14:40
     
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  14. gheagabry
     
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    scatto di George Steinmetz, National Geographic

    A limite orientale del deserto salato Salar de Uyuni in Bolivia le autovetture della spedizione cercano di attraversare il pianoro dopo un'alluvione dovuta alle forti piogge di marzo.

     
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  15. gheagabry
     
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    Il deserto di Namaqualand in fiore

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    Una volta l'anno, per circa un mese, da settembre a fine ottobre, il deserto del Namqualand prende vita e si tinge di centinaia di fiori colorati.

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    Il Namaqualand è una regione arida del Sudafrica e della Namibia che si estende sulla costa occidentale dell'oceano Atlantico. Il tratto inferiore del fiume Orange la divide in due parti: Little Namaqualand a sud e Great Namaqualand a nord.

    Una parte della Little Namaqualand, Richtersveld, è stato dichiarato Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO. Nel breve periodo in cui questa zona, normalmente arida, è ricoperta dal caleidoscopio di colori della fioritura, diventa una meta popolare sia per il turismo locale che internazionale.

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    (national geografic, Barbara Dall'Angelo)

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