PIANETI DEL SISTEMA SOLARE

ASTRONOMIA

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    Scoperta una luna' di carbone' intorno a un pianeta nano.

    Orbita intorno a Makemake, ai confini del Sistema Solare. Scoperta una luna 'di carbone' attorno a Makemake, uno dei cinque pianeti nani del Sistema Solare. Le immagini scattate dal telescopio spaziale Hubble indicano che la piccola luna, chiamata Mk2, ha un diametro di 160 chilometri e appare scura come il carbone. L'ha scoperta Alex Parker, del Southwest Research Institute di Boulder in Colorado, e l'ha descritta sulla rivista Minor Planet Electronic Circular, pubblicata dall'Unione Astronomica Internazionale (Iau).

    Scoperto nel 2005, Makemake è un piccolo mondo ghiacciato che si trova nell'estrema periferia del Sistema Solare, in un'orbita ancora più lontana di quella di Plutone. Makemake, che deve il suo nome a quella che secondo la mitologia dell'Isola di Pasqua fu la divinità che creò l'umanità, è il terzo più grande dei pianeti nani. E' poco più piccolo di Plutone e Eris.

    Le recenti foto scattate da Hubble hanno permesso di vedere per la prima volta la presenza di un piccolo oggetto, finora sfuggito a tutte le osservazioni, in orbita attorno al mini pianeta. Secondo i primi dati, la luna avrebbe un diametro di 160 chilometri e un'orbita di 12 giorni e alla distanza di 21.000 chilometri da Makemake.

    La debole luminosità della luna, ben 1.300 volte più scura di Makemake, sarebbe dovuta alla sua scarsa forza di gravità, che non le permetterebbe di trattenere le particelle di ghiaccio. Di conseguenza queste ultime sublimano, passando dallo stato solido al gassoso, quando la luce solare è più intensa. Secondo gli astronomi Mk2 avrebbe quindi un aspetto molto simile alle comete scure che orbitano nelle cosiddetta fascia di Kuiper.
    (Ansa)
     
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  2. gheagabry
     
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    Un pianeta senza nome ai confini del Sistema Solare



    Ai confini del Sistema Solare esiste un pianeta nano ancora senza nome. Nonostante per dimensioni sia il terzo dopo Plutone ed Eris, 2007 OR10 ha ancora soltanto un sigla. La sua esistenza è stata confermata dal gruppo di astronomi guidati da András Pál, dell'Osservatorio Konkoly di Budapest, che per la prima volta descrive il pianetino nei dettagli sull'Astronomical Journal.

    Come Plutone, anche 2007 OR10 si trova oltre Nettuno e a causa della sua orbita molto ellittica, che lo porta lontano dal Sole due volte più di quanto faccia Plutone, il pianetino finora era stato difficilissimo da osservare nei dettagli. Per la prima volta i ricercatori ci sono riusciti combinando i dati di due telescopi spaziali: quelli di archivio di Herschel, dell'Agenzia Spaziale Europea (Esa), e quelli del 'cacciatore' di pianeti Kepler della Nasa, che lo ha osservato per 19 giorni consecutivi.



    In questo modo è stato possibile calcolare il diametro del pianeta nano, che è pari a 1.535 chilometri (circa 800 chilometri più piccolo di quello di Plutone) , e individuare le caratteristiche della sua superficie di colore rosso scuro. ''Sembra probabile che il pianeta sia coperto di ghiacci volatili di metano, monossido di carbonio e azoto'', ha detto Pál. ''E' entusiasmante - ha aggiunto - riuscire ad osservare i dettagli di questo nuovo mondo lontano''.

    Secondo gli astronomi saranno proprio le caratteristiche del piccolo pianeta a guidare la scelta del nome. Finora non si sapeva abbastanza di 2007 OR10 per dargli un nome in grado di raccontare anche un po' della sua storia, ha detto Meg Schwamb, che nel 2007 lo ha individuato con gli astronomi Mike Brown e David Rabinowitz grazie all'Osservatorio di Monte Palomar vicino a San Diego. ''Penso - ha concluso - che stiamo arrivando a un punto in cui possiamo dare un nome giusto a 2007 OR10''



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  3. gheagabry
     
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    Una 'mostruosa' nube di ghiaccio su Titano.

    Avvolge la più grande luna di Saturno. Una "mostruosa" nube di ghiaccio avvolge il Polo Sud di Titano, la più grande delle lune di Saturno: a fotografarla è stata la sonda Cassini, che sta catturando i violenti cambi stagionali in atto. L'analisi delle immagini che rendono evidente la morsa dell'inverno su Titano è stata fatta da Carrie Anderson, del Centro Goddard della Nasa ed è stata presentata nell'incontro annuale della Società Astronomica Americana

    . L'arrivo dell'inverno nell'emisfero Sud di Titano era stato mostrato dalle immagini di Cassini scattate nel 2012, quando la sonda aveva visto una enorme nube di ghiaccio in formazione sopra il polo Sud. Secondo i ricercatori americani la gelida coltre fatta soprattutto di azoto e metano era però solamente la punta dell'iceberg.

    Ora nel pieno dell'inverno, che su Titano dura 7 anni e mezzo, il sistema nuvoloso si è allargato di molto raggiungendo temperature bassissime, sotto i -150 gradi centigradi. Grazie ai dati raccolti dallo strumento Cirs (Composite Infrared Spectrometer) si è scoperto che queste nubi somigliano molto alla nebbia terrestre e risultano quasi perfettamente piatte nella parte superiore, un vero gelido mantello.

    Frutto della collaborazione fra Nasa, Agenzia Spaziale Europea (Esa) e Agenzia Spaziale Italiana (Asi), la sonda Cassini 'passeggia' dal 2004 tra le lune di Saturno con periodici incontri che stanno svelando molti preziosissime informazioni. I numerosi sorvoli di Titano, che si concluderanno nel 2017 con la chiusura della missione, stanno infatti svelando i profondi cambiamenti che avvengono nei due emisferi durante i cambi stagionali.
    (Ansa)
     
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  4. gheagabry
     
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    Scoperte misteriose 'nuvole' su Marte.

    Potrebbero essere bizzarre aurore polari. Scoperte su Marte della misteriose 'nuvole', si tratta di strutture enigmatiche che raggiungono i 250 chilometri di altezza. Uno studio internazionale coordinato da Agustin Sánchez-Lavega, dell'Università dei Paesi Baschi, e pubblicato su Nature spiega che il fenomeno è probabilmente dovuto a particolari aurore polari.

    Negli strati più alti dell'atmosfera marziana si formano delle strane ed enormi 'nuvole' che svaniscono in poche ore, larghe più di 1.000 chilometri e che raggiungono un'altezza di 250. Ad averle osservate per primi sono stati degli astrofili, il 12 marzo 2012 e da allora sono state osservate più volte.

    Raccogliendo i dati relativi alle numerose osservazioni fatte da allora, i ricercatori stanno tentando di svelarel'origine di queste enigmatiche formazioni, osservate solo fra il tramonto e l'alba nell'emisfero Sud del pianeta rosso. Le possibili cause, secondo lo studio, possono essere di due tipi.
    La prima ipotesi è potrebbero essere vere nuvole di acqua e anidride carbonica ghiacciate in rapida evoluzione, anche se queste nuvole avrebbero caratteristiche che 'sfuggono' agli attuali modelli 'meteorologici' marziani. Dovrebbero infatti formarsi prevalentemente a altitudini minori e durante il giorno.
    La seconda possibilità, ritenuta più verosimile dai ricercatori, è che si tratti di aurore polari. La regione interessata da queste nubi 'misteriose' presenta infatti delle anomalie magnetiche che potrebbero deviare il vento solare e generare così enormi e rapide 'nubi' di luce dovute allo scontro del vento solare con l'atmosfera. Il fenomeno dovrebbe essere associato a picchi di intensità del Sole, ma lo studio non ha trovato finora nessuna correlazione diretta. In ogni caso, spiegano i ricercatori, si tratta di un fenomeno molto interessante che potrebbe svelare caratteristiche poco note del pianeta rosso. (Ansa)
     
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  5. gheagabry
     
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    C’è un oceano sotto Plutone?





    La grande area pianeggiante a forma di cuore su Plutone potrebbe nascondere un oceano sotterraneo, che spiegherebbe tra le altre cose perché il pianeta nano mostra sempre la stessa faccia alla sua luna Caronte. Almeno questa è l’ipotesi di due ricerche scientifiche pubblicate sull’ultimo numero di Nature, realizzate utilizzando i dati forniti dalla sonda spaziale New Horizons della NASA, che l’anno scorso ha compiuto un volo ravvicinato di Plutone, consentendoci di osservarne la superficie come mai era stato possibile prima. Le prove dell’esistenza dell’oceano sono indirette, ma sembrano confermare le ipotesi formulate negli ultimi decenni dagli astronomi sulla presenza di uno strato liquido all’interno del pianeta nano, e dimostrerebbero che gli oceani sotterranei sono comuni anche nei corpi celesti che si trovano nella parte più esterna e remota del nostro Sistema Solare.

    Le prove sull’esistenza dell’oceano sotterraneo di Plutone sono state raccolte analizzando il lobo occidentale della pianura a forma di cuore sul pianeta nano, chiamato informalmente Sputnik Planitia, che ha una larghezza massima intorno ai 1.000 chilometri. Questa regione è particolare: invece di essere grinzosa e con crateri come il resto della superficie di Plutone, è ricoperta da uno strato di azoto ghiacciato più chiaro e sostanzialmente liscio, con pochissimi crateri e asperità. Secondo i ricercatori, la Sputnik Planitia è fatta così perché è il luogo in cui anticamente avvenne un impatto con un altro corpo celeste, che causò la formazione di una grande depressione nella quale in seguito si stratificarono nuovi banchi di ghiaccio più giovane. Finora nessuno aveva però formulato una spiegazione convincente sulla posizione di questa regione, nei pressi dell’equatore del pianeta nano e in allineamento quasi perfetto con Caronte.

    Caronte è la luna più massiccia ed evidente di Plutone e ha la caratteristica di essere in rotazione sincrona con il pianeta nano: il tempo impiegato da Caronte per fare un giro intorno a Plutone (periodo di rivoluzione) è uguale a quello impiegato per fare un giro su se stessa (periodo di rotazione). L’orbita di Caronte è inoltre in sincronia con la rotazione di Plutone, quindi l’uno mostra all’altro sempre la stessa faccia e viceversa: a un osservatore su Plutone, Caronte appare fisso sempre nello stesso punto, che è quasi perfettamente opposto a quello in cui si trova la Sputnik Planitia dall’altra parte del pianeta nano. Semplificando, immaginate di tracciare una linea dritta che parta dal centro di Caronte, raggiunga la superficie di Plutone e prosegua fino al centro del pianeta per poi riemergere dall’altra parte: la linea salterebbe fuori in prossimità della Sputnik Planitia.

    Le probabilità che un grande impatto abbia anticamente colpito Plutone creando un cratere in un’area in così perfetto allineamento con Caronte sono davvero poche, per questo i ricercatori hanno provato a indagare meglio le caratteristiche della Sputnik Planitia. Insieme ai suoi colleghi, James Tuttle Keane della University of Arizona di Tucson (Stati Uniti) ha analizzato i dati forniti da New Horizons, confrontandoli con quelli ottenuti da altri telescopi terrestri, ottenendo infine un modello matematico per valutare come la formazione della Sputnik Planitia abbia condizionato l’evoluzione interna e orbitale di Plutone. Con criteri diversi, le medesime analisi sono state condotte dagli autori dell’altra ricerca pubblicata sempre su Nature, e firmata da Francis Nimmo della University of California di Santa Cruz (Stati Uniti).

    Dagli studi è emerso che la spiegazione più logica per l’allineamento con Caronte è che l’area in cui si trova la Sputnik Planitia abbia una densità maggiore rispetto al resto di Plutone. Nel corso di milioni di anni, questa condizione avrebbe portato l’intero pianeta a inclinarsi fino ad allineare la regione con Caronte. Per rendere l’idea, è l’effetto che si ottiene incollando un piccolo peso su un pallone da calcio: il peso lo farà ruotare verso il basso orientandolo diversamente (ci sono naturalmente differenze dovute alla forza di gravità e al fatto che in questo esempio aggiungiamo una massa, invece di trasferire parte del materiale del pallone come avvenuto su Plutone).
    La simulazione elaborata da Keane e colleghi ipotizza che la Sputnik Planitia si sia formata più a nord-ovest di dove si trova adesso, e che acquisendo progressivamente una densità maggiore abbia sbilanciato e fatto inclinare l’intero pianeta nano spingendosi fino alla posizione attuale. I ricercatori hanno confrontato gli esiti del loro processo ipotetico con quanto osservato di recente da New Horizons, trovando numerose corrispondenze tra le fratture e i canyon sulla superficie di Plutone e la formazione di asperità analoghe previste dalla loro simulazione.

    Oceano. Il gruppo di ricerca guidato da Nimmo si è spinto oltre, ipotizzando che sia un oceano sotto la superficie ghiacciata della Sputnik Planitia a rendere quest’area di Plutone più pesante rispetto al resto del pianeta nano. Come abbiamo visto, questa regione nacque in seguito a un impatto con un altro corpo celeste, che scavò e rimosse enormi quantità di ghiaccio formando una profonda depressione. Secondo Nimmo e colleghi, la parte liquida sottostante riuscì ad attraversare lo strato di ghiaccio assottigliatosi dopo l’impatto, raggiungendo la superficie, dove formò una sorta di grande cicatrice ghiacciata. Le successive stratificazioni sulla superficie resero la regione più liscia e al tempo stesso con una densità maggiore rispetto al resto del pianeta, a tal punto da riorientare Plutone e la sua rotazione.
    Secondo la ricerca di Nimmo, l’oceano sotterraneo di Plutone sarebbe profondo almeno 100 chilometri e avrebbe un’età di diversi miliardi di anni. Nonostante la temperatura media del pianeta nano sia di -235 °C, questo oceano si mantiene allo stato liquido grazie a grandi quantità di ammoniaca, un elemento che si ritrova spesso nei corpi celesti ghiacciati nelle aree più esterne e remote del nostro Sistema solare; l’oceano sarebbe inoltre protetto da una crosta di ghiaccio spessa 200 chilometri. Condizioni di questo tipo rendono improbabile la formazione della vita, per lo meno per come la conosciamo, e Plutone è troppo remoto per essere oggetto di studi di astrobiologia con gli attuali strumenti. Il team di Keane è invece più cauto e non esclude la possibilità che sotto la Sputnik Planitia ci sia semplicemente una grande massa ormai completamente ghiacciata.
    Saranno necessari nuovi studi e analisi dei dati forniti da New Horizons per comprendere meglio la storia e l’evoluzione di Plutone. Anche se non danno risposte definitive, le due ricerche sono molto importanti perché dimostrano per la prima volta con efficacia come singoli eventi, che interessano porzioni limitate di un corpo celeste, possono avere ripercussioni su scala globale e sui suoi movimenti.





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    L’emisfero nord del pianeta Saturno fotografato dalla sonda Cassini: oltre agli anelli, è chiaramente visibile il cosiddetto “esagono”, la gigantesca formazione nuvolosa esagonale con un’estensione massima di 30mila chilometri (il diametro della Terra è di circa 12.700 chilometri). Saturno è praticamente una grande palla di gas: i ricercatori sospettano che questo possa avere condizionato il comportamento dell’esagono, che dura come minimo da decenni, ma che non si può escludere si sia originato secoli fa.
    (NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute)





    La divisione di Cassini è l’ampia separazione nel sistema di anelli di Saturno, tra i due più brillanti del pianeta, e ha un’ampiezza di circa 4.800 chilometri: a inizio anno è stata fotografata dalla sonda Cassini della NASA, a una distanza di circa 1,2 milioni di chilometri da Saturno, l’ampiezza di un pixel della fotografia equivale quindi a 7 chilometri circa.
    (NASA)





    Un'aurora al polo nord di Giove: l'immagine è stata realizzata fondendo insieme una fotografia del 2014 scattata nello spettro del visibile dal telescopio spaziale Hubble, con un'immagine delle aurore realizzata nell'ultravioletto.
    (NASA/ESA)

     
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    Marte,
    dopo 130 anni riemerge la mappa inedita di Schiaparelli

    Dopo 130 anni torna alla luce una mappa inedita di Marte disegnata da Giovanni Schiaparelli: frutto degli studi fatti all'Osservatorio Astronomico di Brera, descrive la topografia del pianeta evidenziando l'enigmatico sdoppiamento dei 'canali' che fece sognare l'esistenza di civiltà aliene.

    L'opera, riemersa dall'archivio storico del Politecnico di Milano, è stata realizzata dall'astronomo nel 1888 per i 25 anni dell'ateneo ed è dedicata al fondatore e direttore dell'istituto, Francesco Brioschi. "Fu lui a chiamare Schiaparelli nel 1863 per insegnare geodesia al neonato Politecnico", ricorda Federico Bucci, delegato del Rettore per le Politiche culturali dell'ateneo. "Nella nostra biblioteca storica appena inaugurata abbiamo ritrovato anche una dispensa per gli studenti in cui Schiaparelli spiega l'uso delle osservazioni astronomiche per determinare la posizione geografica dei luoghi. Un docente davvero geniale che voleva trasmettere le sue conoscenze". Come quelle su Marte, riportate nella mappa donata a Brioschi.

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    "Il disegno mostra lo sdoppiamento di quei canali che in precedenza aveva osservato come singoli", spiega Stefano Sandrelli, dell'Osservatorio Astronomico di Brera dell'Istituto Nazionale di Astrofisca (Inaf). "Schiaparelli reputava una 'temerarietà senza pari' cercare una spiegazione al fenomeno: solo in un articolo divulgativo del 1895 si abbandonò a congetture sugli esseri intelligenti che sarebbero stati in grado di costruire i canali", poi rivelatisi semplici illusioni ottiche.



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    Goblin, il corpo celeste ai confini del Sistema solare.
    "Possibile traccia del Pianeta 9"


    roberto-molar-candanosa-and-

    SI TROVA agli estremi confini del Sistema solare, ben oltre Plutone, si chiama 2015 TG387, è probabilmente un pianeta nano con un diametro di circa 300 km e suggerisce che qualcosa di grosso si muova da quelle parti. La sola presenza di 2015 TG387, questo oggetto misterioso lontanissimo, suggerisce infatti che lo sfuggente Pianeta 9, dopo tutto esista. Ad annunciare la scoperta, all'International Astronomical Union's Minor Planet Center, sono stati gli astronomi Chad Trujillo e Scott Sheppardh, rispettivamente della Northern Arizona University e della Carnegie Institution for Science, insieme a David Tholen della Univerisity of Hawaii e Natan Kaib della University of Oklahoma. Il loro lavoro è in via di pubblicazione sulla rivista Astronomical Journal.


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    • LE IPOTESI SUL PIANETA 9
    Nella saga infinita della caccia al Pianeta 9 Trujillo e Sheppardh sono nomi noti (protagonisti loro malgrado anche della bufala su Nibiru, un fantomatico pianeta che avrebbe dovuto aver distrutto, più volte, la Terra). Nel 2014, infatti, i due astronomi sulle pagine di Nature avanzavano l'ipotesi sull'esistenza di un nono pianeta ai confini del Sistema solare e l'idea di un gigante che sfuggiva ai telescopi venne rilanciata di lì a poco anche da Mike Brown e Konstantin Batygin. Un gigante a centinaia di unità astronomiche dal Sole (un'unità astronomica è la distanza che separa la Terra dalla nostra stella) che però, pur sfuggendo ai telescopi, faceva sentire la propria presenza. Come? Tramite i suoi effetti gravitazionali, tali da influenzare le orbite di alcuni oggetti transnettuniani, oltre l'orbita di Nettuno, in modo non casuale. Questi oggetti possono essere utilizzati per sondare le caratteristiche del Sistema solare oltre la Fascia di Kuiper.

    Tra i più famosi ed estremi oggetti transnettuniani si ricordano 2012 VP113 e Sedna, appartenenti alla Nube di Oort Interna, cui oggi si aggiunge 2015 TG387, ribattezzato The Goblin (il folletto: è stato scoperto in prossimità di Halloween). Questi oggetti sono abbastanza lontani dai giganti del Sistema solare da non sentirne le forti influenze gravitazionali, ricordano gli astronomi, ma al tempo stessi rimangono legati al Sole tanto che le forze esterne sono praticamente trascurabili. Il neoarrivato folletto – rincorso in realtà da quasi tre anni, con le osservazioni di telescopi sparsi tra le Hawaii, il Cile e l'Arizona – è stato scoperto a 80 unità astronomiche dalla nostra stella, a circa due volte e mezzo la distanza che separa Plutone dal Sole e ha un'orbita estremamente allungata. Impiega qualcosa come 40 mila anni a compiere un solo giro. Anche se il suo perielio (il punto più vicino al Sole) è inferiore a quello di 2012 VP113 e Sedna (rispettivamente sono 65, 80 e 76 unità astronomiche) the goblin è quello che viaggia più lontano dal Sole, raggiungendo distanze di oltre 2000 unità astronomiche. Oggetti celesti simili potrebbero esisterne a migliaia, spiegano i ricercatori, il problema è vederli: la stessa osservazione di 2015 TG387 è stata difficile, complicata dal suo lento movimento e lungo periodo orbitale.

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    • QUALCOSA DI GRANDE
    Alcune caratteristiche dell'orbita del folletto (come la longitudine di perielio) potrebbero effettivamente essere dovute all'influenza del misterioso Pianeta 9, una super Terra lontanissima, come suggerito da alcune simulazioni. “Ciò che rende questi risultati davvero interessanti – ha spiegato Trujillo – è il fatto che il Pianeta 9 sembra influenzare 2015 TG387 allo stesso modo degli altri oggetti estremamente distanti nel Sistema solare. Queste simulazioni non provano che c'è un altro massiccio pianeta nel nostro Sistema solare, ma forniscono ulteriori evidenze che qualcosa di grande possa esistere da quelle parti”. Questi oggetti, ha aggiunto Sheppard, sono come briciole di pane che ci guidano fino al Pianeta 9: “Più ne troviamo, meglio possiamo comprendere il Sistema solare esterno e il presunto pianeta che pensiamo plasmi le loro orbite, una scoperta che ridefinirebbe le nostre conoscenze sull'evoluzione del Sistema solare”.
    (di ANNA LISA BONFRANCESCHI, www.repubblica.it)


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    Il Pianeta 9 potrebbe essere una superTerra

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    Il misterioso Pianeta 9 potrebbe essere una superTerra con una massa di cinque volte quella della Terra ed essere un po' meno lontano di quanto si pensi, distante dal Sole circa 60 miliardi di chilometri. Lo descrivono così, sulla base di nuove simulazioni, Konstantin Batygin e Mike Brown, entrambi del California Institute of Technology (Caltech), che nel 2016 avevano pubblicato il primo articolo a favore dell'ipotesi dell'esistenza di questo possibile abitante dei confini del Sistema Solare. Da allora il Pianeta 9 è tornato più volte a far parlare di sè: c'è chi ha suggerito che fosse noto fin dal Medioevo e chi ritiene che non sia affatto solo.

    La prima ricerca, pubblicata sull'Astronomical Journal, ha stimato in 1 probabilità su 500 il fatto che lo strano comportamento dei corpi celesti della zona oltre l'orbita di Nettuno nota per essere popolata da asteroidi e pianeti nani, chiamata fascia di Kuiper, sia dovuto alla nostra distorta prospettiva di osservazione invece che all'influenza gravitazionale del fantomatico Pianeta 9. “Anche se l’analisi non dice niente sull’esistenza o meno del pianeta - commenta Brown - indica però che la nostra ipotesi giace su solide fondamenta”.

    Il secondo studio, che in via di pubblicazione sulla rivista Physics Reports, fornisce migliaia di modelli al computer sull’evoluzione della parte più esterna del Sistema Solare, insieme a nuove stime che riducono le dimensioni del pianeta e lo collocano più vicino al Sole di quanto prima ipotizzato. “Penso - rileva Batygin - che entro il prossimo decennio riusciremo a provare o meno la sua esistenza”. (Ansa)




    Un per il momento ancora misterioso "Pianeta Nove" potrebbe in un futuro non troppo lontanto prendere il posto del declassato Plutone nel conteggio dei pianeti che compongono il nostro Sistema Solare. Se le cose andranno effettivamente così e quanto tempo sarà necessario perché ciò avvenga dipende dalla velocità con cui procederanno le nuove ricerche che dovranno confermare (o eventualmente smentire) le conclusioni, pubblicate in un articolo comparso su Phyics Reports, a cui sono arrivati gli scienziati K. Batygin, F.C. Adams, M.E. Brown, J.C. Becker.

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    Il gruppo di studio ha analizzato i dati osservativi sugli oggetti della fascia di Kuiper degli ultimi 20 anni, arrivando alla conclusione che vi sono buone probabilità che il cosiddetto "Pianeta Nove" esista davvero. L'ipotesi di base da cui sono partiti è che l'insieme degli oggetti che orbitano nella cosiddetta fascia di Kuiper, un nutrito numero di corpi ghiacciati che ruotano intorno al Sole su un'orbita più grande di quella di Nettuno, possa rappresentare la chiave di volta per stabilire l'esistenza del "Pianeta Nove". Infatti, oltre a una serie di comportamenti prevedibili, questi oggetti mostrano fenomeni dinamici che non possono essere spiegati per mezzo delle interazioni con il sistema solare di otto pianeti e che invece, con l'ipotesi dell'esistenza del "Pianeta Nove", trovano spiegazione.

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    Gli autori ne elencano fondamentalmente quattro:
    1) le orbite di molti di questi oggetti hanno un periodo di rotazione intorno al sole superiore a 4.000 anni e sono raggruppate insieme nello spazio. L'influenza gravitazionale del "Pianeta Nove" può render conto pienamente della creazione dell'allineamento osservato, e, contemporaneamente, contribuisce a mantenere le orbite stabili;

    2) gli stessi oggetti dotati di un lungo periodo di rotazione, possiedono anche un perielio (distanza minima oggetto-Sole) molto elevato, superiore a 40 Unità Astronomiche (una Unità Astronomica è la distanza media Terra-Sole, cioè circa 149,6 milioni di chilometri). Anche in questo caso l'influenza gravitazionale del "Pianeta Nove", che determina l'allineamento delle orbite, riesce a rendere conto degli elevati valori di perielio;

    3) molti oggetti transnettuniani presentano un'elevata inclinazione delle orbite (superiore a 50°). Mentre queste elevate inclinazioni non sono un prodotto naturale del processo di formazione del sistema solare, esse si verificano facilmente con l'influenza di un nono pianeta;

    4) questi oggetti, infine, presentano moti retrogradi nel cielo (moti apparenti che si svolgono sulla sfera celeste che tornano indietro formando un cappio). In questo caso diverse simulazioni numeriche hanno evidenziato la possibilità che l'influenza del nono pianeta possa generare tali moti.

    I dati principali di questo ipotetico pianeta sono stati individuati, sia per quanto riguarda la sua massa, che può variare tra 5 e 10 masse terrestri, sia per quanto concerne i dati della sua orbita. Tuttavia finché il "Nono Pianeta" non sarà confermato dalle osservazioni, vi sarà sempre la possibilità che l'ipotesi sia sbagliata e che molti conti possano tornare anche con ipotesi alternative.

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    Ipotesi alternative
    Gli autori infatti elencano diverse ipotesi presentate nel corso di questi ultimi anni, divise in due grandi filoni di ricerca e che non fanno riferimento all'esistenza del pianeta aggiuntivo.

    1) Ipotesi delle distorsioni osservative. Forse la spiegazione più probabile è che non vi sia alcuna spiegazione. Cioè si può immaginare uno scenario in cui le strategie di osservazione e la casualità combinate insieme riescono a produrre un modello uguale a quello dei dati osservati, come è stato proposto recentemente da alcuni astrofisici.

    2) Ipotesi della gravità propria degli oggetti della fascia di Kuiper. Una classe di modelli presuppone che le osservazioni siano corrette e che non siano causate dall'esistenza di un pianeta ancora non osservato, ma che vengano prodotte dalla gravità collettiva degli stessi oggetti della lontana cintura di Kuiper.

    Scoperte sul Sistema Solare
    La storia dell'esistenza di un pianeta oltre Nettuno è molto lunga. Una delle prime proposte risale addirittura al 1848, da parte di Jacques Babinet, poi vi furono le previsioni di David Todd nel 1877 su un pianeta alla distanza di 52 Unità Astronomiche. Camille Flammarion ipotizzò un pianeta a 48 UA nel 1884 e George Forbes due a 100 e 300 UA. Probabilmente, la previsione planetaria più emblematica può essere attribuita a Percival Lowell, che ha sostenuto, anche economicamente, la ricerca di un fantomatico "Pianeta X", arrivando persino a fondare l'Osservatorio Lowell in Arizona nella speranza di trovarlo.

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    In realtà, dall'introduzione del telescopio come strumento privilegiato di osservazione da parte di Galileo, sono stati classificati come pianeti solo Urano e Nettuno. Mentre innumerevoli osservazioni hanno permesso di aumentare la vasta collezione di corpi minori. Tra questi va considerato anche Plutone, inizialmene considerato pianeta, con notevoli difficoltà ad individuarne la massa (intorno al 1920 era stata fissata in circa 7 masse terrestri, poi diminuita nel 1931 ad una massa comparabile con quella della Terra e poi giù, giù, fino al valore più recente del 2006 di circa 2 millesimi della massa terrestre), fino al recente declassamento a pianeta nano nel 2006.

    Come si vede, la partita è ancora aperta e il suo svolgimento è abbastanza in linea con quello delle scoperte sul Sistema Solare avvenute in precedenza, fatto di ipotesi apparentemente molto verosimili, ma rapidamente poi abbandonate.

    Questa volta però vi sono alcuni dati osservativi che trovano risposta tutti insieme solo per mezzo del "Pianeta Nove", anche se non tutti concordano.

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    L'astrofilo Andrew McCarthy:
    "Ho quasi sciolto il mio telescopio per portarvi questa foto di Venere retroilluminata dal Sole. Catturato a mezzogiorno, questo è lo scatto più pericoloso che abbia mai provato. Venere era così vicina al Sole che mi sono posizionato davanti al mio telescopio, durante la ripresa, per usare l'ombra del mio corpo per proteggere l'entrata della luce solare. Se avessi cercato di osservarlo in visuale, mi sarei accecato. Sembra quasi un anello perché la luce del Sole si disperde nell'atmosfera rendendo visibile la superficie del pianeta in ombra".

     
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