ARCHITETTURA

dagli albori .... al futuro

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  1. gheagabry
     
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    La torre Eiffel di Londra

    --- The ORBIT ---


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    Abbiamo bisogno di simboli: mai come ora. Ne sono consapevoli Anish Kapoor e Cecil Balmond, i quali, in occasione dei prossimi Giochi olimpici di Londra, hanno realizzato una maestosa opera pubblica, intitolata The Orbit (l’inaugurazione è fissata per il 27 luglio). Per capire di cosa si tratti, basta collegarsi a uno dei tanti siti che in questi giorni presentano l’evento. Dapprima, una fitta ramificazione di elementi. Poi, la stratificazione di un continuo e aggrovigliato reticolo di tubi di acciaio rosso. Un totem di 115 metri, che ha richiesto ingenti investimenti (in larga parte finanziato dalla società ArcelorMittal) e che ha già suscitato molte polemiche. Più alto della Statua della Libertà, solenne, si staglierà sullo skyline londinese, rivaleggiando con il London Eye e con il Big Ben.

    Un’ardita costruzione, pensata da uno tra i maggiori scultori contemporanei (Kapoor) e da uno tra i più prestigiosi strutturisti del mondo (Balmond), che alimenterà subito infinite corrispondenze iconografiche. Non solo un’orbita imperscrutabile. Ma anche un parafulmine mascherato. Un serpente avvolto su se stesso. Una «massa contorta di interiora» (nelle intenzioni degli autori). Un imponente Golia infuocato (secondo il sindaco di Londra, Boris Johnson).

    The Eye-full Tower è un tessuto di linee impazzite, che sembra uscito dalle visionarie pagine dei romanzi di Ballard. È geometria spinta fino ai suoi confini estremi. Un barlume di irrazionalità, che determina dissonanze nel paesaggio urbano. Una spirale, che sembra invitare a un viaggio infernale. Come spesso accade nelle opere di Kapoor, i visitatori non devono limitarsi a osservare. Possono entrare in The Orbit da un ingresso oppressivo e minaccioso, come una porta che conduce verso l’Ade. E raggiungere la vetta grazie a un grande ascensore. Per, poi, riscendere da una scalinata di 1.150 metri (con 455 gradini).

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    In alcuni, c’è il timore che, al termine dell’Olimpiade, questo ambizioso sforzo progettuale possa diventare un reperto di archeologia postmoderna: un destino analogo è toccato, sempre a Londra, al Millennium Dome di Richard Rogers, edificato per celebrare il nuovo millennio.

    Dietro The Orbit, c’è un preciso modello: la Tour Eiffel. A proposito della quale, Roland Barthes, in un bel libriccino (edito in Italia da Abscondita), osservava: è «sguardo, oggetto, è tutto quello che l’uomo pone in essa»; è «spettacolo guardato e guardante, inutile e insostituibile, mondo familiare e eroico, testimone di un secolo e monumento sempre nuovo, oggetto inimitabile e incessantemente riprodotto, è il segno puro, aperto a tutti i tempi e a tutte le immagini e a tutti i sensi, metafora senza freno». Ma, innanzitutto, è simbolo.

    The Orbit aspira a possedere le medesime qualità: e le medesime ambiguità. Richiamandosi a Eiffel, Kapoor e Balmond mirano a saldare solidità ed evanescenza: la pesantezza del materiale utilizzato e la leggerezza degli effetti. Sulle orme di importanti riferimenti storico-artistici (la Torre di Babele di Bruegel e i progetti per la torre costruttivista di Tatlin), recuperano e rimodulano uno tra gli archetipimaggiormente frequentati dai pittori e dagli architetti nel corso dei secoli: la torre, appunto. Che è figura cosmica e biblica, motivo di elevazione, struttura composta e stabile che indica un moto ascensionale, in antitesi con l’orizzontalità del suolo. Disponendosi tra terra e aria, la torre si protende verso la volta del cielo, per trafiggerla con slancio prometeico. Allude a «una forma di lotta contro lo spazio», che spinge tra le braccia del tempo puro, per perdersi «chissà dove tra le nuvole», potremmo dire con le parole di Brodskij.

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    Siamo dinanzi a un esercizio lontano dalle semplificazioni estreme sperimentate da Kapoor in precedenza. Un esercizio anti-minimalista, addirittura barbarico. Che vuole riaffermare con forza il bisogno del «fare in grande». In sintonia con quanto stanno facendo personalità quali, tra gli altri, Oldenburg, Christo, Eliasson, Kiefer, Paladino e AiWeiwei, i creatori di The Orbit propongono un monumentalismo anti-classico, problematico, aperto a inquietudini e turbamenti, consegnato a un’icona potente, eppure non risolta in se stessa, dinamica, quasi in divenire. Si affidano alla «bigness», intesa non come «espansione infinita del potere tecnologico e della competizione», né come vuoto slogan pubblicitario, «opposto a ogni intenzionalità critica» (Gregotti). Ma come strumento per superare il transitorio. Reazione a un’epoca dominata dall’effimero e dal desiderio di ridurre tutto a maceria. Utopia della durevolezza. Ripresa dell’antica idea di «monumento più duraturo del bronzo». Infine, luogo nel quale si compie l’incontro tra linguaggi diversi come scultura e architettura.

    E, tuttavia, prima di ogni altra cosa, The Orbit è un simbolo: proprio come la Tour Eiffel. Ovvero, è un evento plastico che custodisce affioramenti improvvisi, significati lontani ma sempre attuali, suggestioni ancestrali emetafore ossessive, echi culturali e sogni collettivi. Del resto, come ha sottolineato Gillo Dorfles, soprattutto in un tempo dominato dai media, i simboli hanno un rilievo cruciale. Perché evocano il nostro originario bisogno di comunicare «a un livello e con un mezzo che non è quello scientifico, logico, razionalissimo della scienza, ma che è un mezzo assai più plastico, più duttile e più adatto alla trasmissione di esperienze e magari di concetti che non siano ancora necessariamente istituzionalizzati».

    Vincenzo Trione, corriere

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    foto dal post.it
     
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  2. gheagabry
     
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    PROGETTI - I più strani musei di design

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    Cercando di creare una struttura iconica che definisce l'identità corrente culturale della città, la proposta utilizza una spirale, a forma di cavatappi dotato di una passerella continua, che invita i visitatori di sperimentare l'arte così come il paesaggio circostante del parco


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    PASS MUSEUM, AUSTRIA
    Disegnato dall'architetto italiano Werner Tscholl, questo museo è una delle tante sculture architettoniche che fanno parte del Timmelsjoch Experience nelle montagne dell'Austria





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  3. gheagabry
     
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    'Seed Cathedral'



    La chiamano cattedrale ma con chiese e basiliche non ha molto a che fare. La Seed Cathedral - una struttura alta 20 metri a forma di "riccio" che rappresenterà l'Inghilterra al World Expo 2010 di Shanghai, Cina - non contiene reliquie religiose, ma... naturali. Ciascuno dei 60 mila filamenti a fibre ottiche di cui è ricoperta infatti, custodisce nella punta uno o più semi di rare specie vegetali protette, selezionati da un istituto botanico cinese. Nelle intenzioni del suo ideatore, l'architetto inglese Thomas Heatherwick, il monumento dovrebbe simboleggiare la complessità della natura e insieme della cultura britannica contemporanea. Ma è stato da alcuni criticato per lo "spreco" di preziose sementi che si sarebbero forse potute destinare alla coltivazione.
    (E. I., focus)














     
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    Villetta circolare a Blaise Amleto, Bristol, Regno Unito.
    Questa casa è stata costruita nel 1811 dallo stesso architetto che ha progettato Buckingham Palace.

     
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