GLI STRUMENTI MUSICALI...PIU' STRANI DEL MONDO..

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  1. gheagabry
     
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    STRUMENTI MUSICALI



    LAUNEDDAS



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    Le launeddas sono uno strumento musicale policalamo ad ancia battente, originario della Sardegna. È uno strumento di origini antichissime in grado di produrre polifonia, è suonato con la tecnica della respirazione circolare ed è costruito utilizzando diversi tipi di canne.
    È indubbiamente lo strumento più antico e originale della tradizione musicale sarda, uno strumento che nel corso dei millenni ha raggiunto un notevole grado di perfezione costruttiva. È composto essenzialmente di tre tubi di canna comune di differente diametro, spessore e lunghezza, due legati ed uno sciolto. Le due canne legate prendono il nome di “tumbu” e “mancosa” (o mancosa manna), quella sciolta è chiamata “mancosedda”. Su ciascuna di esse si innesta “sa launedda” o “cabizzinu”, una canna sottile su cui viene escissa l’ancia (linguazza). “Su tumbu” è la canna del bordone, senza fori per le dita e dal canneggio lievemente conico.

    Può avere una lunghezza variabile dai 40 ai 150 centimetri circa e per poterlo riporre nella custodia (straccasciu) può essere smontato in due o anche tre pezzi. Per rinforzare la giuntura femminile, assottigliata all’interno, si riveste il bordo con alcune spire di spago impeciato. La canna viene perfettamente pulita all’interno sfondando tutti i nodi, i quali esternamente vengono invece accuratamente lisciati o asportati facendo attenzione a non rovinare la superficie lucida e resistente della canna.

    pag3Nell’estremità superiore di ciascuna canna si innesta “su cabizzinu” con l’ancia. Questo deve essere di dimensioni proporzionate alla lunghezza e alle dimensioni del tubo. Si sigilla l’innesto del cabizzinu con cera vergine per garantirne la perfetta tenuta e si rinforza esternamente con alcune spire di spago. Il tumbu, non avendo fori per le dita, produce ovviamente un unico suono che rappresenta la tonica, o nota fondamentale dello strumento. Una volta costruito, l’intonazione può essere modificata unicamente appesantendo l’ancia con un grumo di cera o eventualmente accorciando la lunghezza della canna. La canna del tumbu deve essere dritta e sottile. Per la mancosedda, e soprattutto per la mancosa, si ricerca invece una canna di spessore molto grosso con una luce interna estremamente ridotta che cresce in una zona ben circoscritta dell’Isola, grosso modo tra Barumini, Sanluri e Samatzai. Questa canna è estremamente resistente ma allo stesso tempo presenta un canneggio molto stretto che conferisce un particolare timbro allo strumento.

    La “mancosa” è la seconda canna, costruita in un unico pezzo con cinque fori rettangolari nella parete anteriore. I primi quattro partendo dall’alto sono i fori per le dita (crais), l’ultimo in basso, più lungo degli altri (s’arrefinu o bentiadori), serve per accordare lo strumento. Aggiungendo o togliendo della cera vergine nella parte superiore di questo foro si può infatti allungare o accorciare la colonna d’aria vibrante nel tubo con il conseguente abbassamento o innalzamento dell’intonazione. L’estremità superiore della mancosa, dove si innesta la cannuccia dell’ancia, è simile a quella del tumbu con il bordo rinforzato dallo spago impeciato. La posizione e la distanza dei fori per le dita è proporzionale al taglio dello strumento: più è grave, più sono distanziati e viceversa. La coppia “tumbu-mancosa” forma la “croba”. La prima legatura si effettua con lo spago in prossimità dell’innesto dei cabizzinus, e viene rinforzata con della cera; la seconda in prossimità del nodo della mancosa e oltre allo spago prevede l’utilizzo di un pezzetto di canna per distanziare i due tubi.

    La “mancosedda”, la canna sciolta suonata con la destra, è del tutto simile alla mancosa; l’unica differenza costruttiva può essere data in certi strumenti dalla presenza di un quinto foro per le dita. Ordinariamente questo foro è chiuso con la cera. Volendo suonare lo strumento nel modo cosiddetto a pipia, guadagnando cioè una nota verso l’acuto, si toglie la cera. È evidente che in questo caso il primo foro dal basso non può essere diteggiato. Per ultimo la descrizione del “cabizzinu”, o “launedda”, l’elemento comune alle tre canne e sicuramente la parte più importante dello strumento. Come si è detto è costituito da un cannello di lunghezza, spessore e diametro variabile a seconda del taglio delle launeddas in cui viene escissa un’ancia battente a tegola con l’estremità libera verso il basso. Il cabizzinu viene accuratamente pulito all’interno e si rinforza l’estremità superiore, chiusa dal nodo naturale, con le solite spire di spago impeciato. La superficie esterna dell’ancia presenta talvolta delle piccolissime incisioni trasversali che servono anzitutto per ammorbidire le ance troppo “dure” intaccando la fibra del legno e in secondo luogo favoriscono l’aderenza della cera, che come si è detto serve per modificare l’intonazione delle singole canne.

    Dosando il peso di un grumo di cera disposto sull’ancia si può infatti aumentare o diminuire la frequenza delle vibrazioni e quindi abbassare o innalzare l’intonazione. Le tre canne insieme formano un giogu de launeddas, o cunzertu. Esistono diversi tipi di “cunzertus”, ciascuno caratterizzato da una differente gamma di suoni e da una precisa successione degli intervalli (scala) mentre ogni cunzertu a sua volta può essere tagliato in diverse tonalità. I cunzertus principali sono la mediana, il punt’e órganu, il fiorássiu, s’ispinellu, s’ispinellu a pipia, la fiuda bagadia, ciascuno dei quali può essere intonato secondo tutte le note della scala cromatica. Le launeddas, quando non vengono utilizzate, vengono disposte dal suonatore nello “straccasciu”, una custodia di pelle a sezione circolare o quadrangolare con coperchio e tracolla per il trasporto.





    lussy60
     
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82 replies since 2/1/2011, 14:38   75280 views
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