ALBERI, PIANTE, FIORI e FRUTTI TROPICALI

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. gheagabry
     
    .

    User deleted


    Albero di CEIBA



    ceiba-e1500016396623




    Ceiba Mill., 1754 è un genere di piante della famiglia Bombacaceae (Malvaceae secondo la classificazione APG). Include parecchi grandi alberi distribuiti nelle zone tropicali

    Nei paesi di origine molti di questi alberi raggiungono dimensioni ragguardevoli, a volte anche più di 70 metri. Il tronco è spesso dritto e privo di ramificazioni fino in cima, dove si sviluppa una grande chioma. Alla base del fusto sono presenti delle radici di sostegno larghe ed alte (a volte anche più di 2 metri).
    Questi alberi facevano parte della Mitologia delle Civiltà precolombiane, in particolare dei Maya che dipingevano i loro alberi sacri come delle grandi Ceiba che con le loro radici e la loro chioma collegavano il cielo, la terra e lo Xibalba l'oltretomba.[senza fonte]
    In Honduras la città di La Ceiba ha preso il nome da uno di questi alberi che cresceva vicino ai vecchi moli. Inoltre sono gli alberi nazionali di Guatemala e Porto Rico.
    Nel 1525 il conquistador spagnolo Hernán Cortés dopo aver conquistato l'impero Azteco, ordinò che l'imperatore Cuauhtemoc fosse impiccato proprio ad uno di questi alberi.[senza fonte]
    Nel 1898 l'esercito spagnolo a Cuba si arrese agli Stati Uniti sotto la chioma di un albero di Ceiba alle porte di Santiago de Cuba, quest'albero fu chiamato per questo albero della pace (Arbol de la paz)


    albero-di-ceiba-gigante-28856381


    .

    Edited by gheagabry1 - 15/2/2020, 19:45
     
    Top
    .
  2. gheagabry
     
    .

    User deleted


    Il KARITE'


    8685399-albero-di-karite



    Il Karitè è un grande albero che può raggiungere i 15 metri d’altezza e cresce spontaneamente nella savana, sulle rive dei fiumi. I fiori sono profumati e i frutti, simili ad una prugna, contengono un nocciolo legnoso da cui si estrae il burro.Questo albero viene considerato sacro e, quindi, non viene mai tagliato o danneggiato. La sopravvivenza di molti villaggi nel Sahel è scandita dai suoi ritmi naturali; infatti le donne da luglio a dicembre sono impegnate nella raccolta e nella preparazione di questo burro vegetale che, mentre un tempo veniva prodotto solo a uso familiare, oggi è un’importante fonte di reddito. E solo le donne possono essere le custodi di questo albero sacro, perché solo loro sono in grado di rallegrare con canti e danze gli spiriti del Karitè. Per le sue numerose virtù, in Africa è chiamato “l’albero della giovinezza” e il suo prodotto viene destinato all’alimentazione, alla cosmesi ed all’impiego medico. Ricco di vitamina A,B, E, F rende la pelle morbidissima ed elastica anche grazie alla sua capacità di filtrare i raggi solari; in campo terapeutico viene impiegato contro i reumatismi, bruciature, eritemi e irritazioni della pelle. In campo alimentare, si usa come un qualsiasi altro tipo di grasso. Ha un odore piuttosto intenso ed un sapore gradevole. Secondo me trova il suo miglior utilizzo nella cottura di carni in pentole di terracotta e, in Italia, è reperibile nelle erboristerie o nei negozi etnici (l’importante è che sia puro).

    burro-di-karite



    Una leggenda racconta che per alcuni popoli, gli alberi contengono la forza e l’anima degli degli Dei. Per questo si rivolgono ad essi cantando e pregando; così fece una donna che non aveva figli e desiderava tanto averne uno. Seguì il consiglio di un’anziana signora che la sentì pregare e chiuse in una grossa zucca vuota sette palline di burro di karitè.
    Per sette sere dovette cantare una canzone davanti alla zucca; la settima sera alzò il coperchio e al posto del burro di karitè, vide una bellissima bambina bianca. Ma quella bambina, proprio perché era fatta di burro, non sarebbe mai dovuta uscire alla luce del sole e non avrebbe dovuto lavorare. Quando crebbe era così bella che molti principi la chiesero in sposa, ma solo uno di essi la sposò promettendo di non farla mai lavorare. Tutto andò bene finché il principe non dovette partire e la lasciò sola con le altre mogli che iniziarono ad insultarla, essendo stanche di lavorare anche per lei. La donna di burro perciò uscì a lavorare, il sole la fuse e tornò ad essere solo burro di Karitè. Si dice che la sua anima sia tornata a vivere nell’albero di Karitè, dove gli spiriti del burro possono essere utili agli uomini.
    (Federica Giuliani,ilreporter)

    iStock-503734128



    .

    Edited by gheagabry1 - 15/2/2020, 20:01
     
    Top
    .
  3. gheagabry
     
    .

    User deleted


    Le Hedychium

    kahili_ginger




    Il genere Hedychium appartenente alla famiglia delle Zingiberaceae, comprende piante esotiche originarie delle zone tropicali della Malesia, dell'India e dell'Himalaya.

    Sono piante rizomatose, vale a dire provviste di un rizoma carnoso dal quale si originano i fusti, molto simili alle canne, alti anche 2 m (ma nei loro luoghi di origine possono raggiungere delle dimensioni superiori) che portano foglie lanceolate e fiori che compaiono alla sommità dei fusti riuniti in infiorescenze a spiga, profumati e variamente colorati dal bianco, al giallo, al rosso a seconda della specie e della varietà. Il genere Hedychium comprende una cinquantina di specie.....HEDYCHIUM AURANTIACUM..Chiamato anche Hedychium coccineum è uno splendido esemplare molto imponente, raggiungendo anche i due metri di altezza caratterizzato da foglie di un bel colore verde intenso, lunghe fino a 50 cm con infiorescenze a spiga che portano numerosi fiori di colore aranciato ma in alcune varietà possono essere rossi o rosa.....HEDYCHIUM CORONARIUM..L'Hedychium coronarium è una specie molto bella, sicuramente la più bella del genere, originaria dell'India e di diverse zone dell'Himalaya. Nei suoi luoghi di origine si ritrova ad un'altezza di circa 1800 m s.l.m. e fiorisce durante il periodo estivo. I fiori sono di colore bianco candido, molto profumati e riuniti in spighe.
    E' una pianta che raggiunge il metro e mezzo di altezza per un diametro di circa un metro.

    74618198_2504438106337406_2355700907557291139_n



    .

    Edited by gheagabry1 - 15/2/2020, 20:08
     
    Top
    .
  4. gheagabry
     
    .

    User deleted



    Episcia - Episcia spp.



    Classificazione, provenienza e descrizione
    Nome comune: Episcia.
    Genere: Episcia.
    Famiglia: Gesneriaceae.
    Etimologia: dal greco episkios “ombroso”, che indica l’ambiente naturale del genere: sottobosco della foresta tropicale.
    Provenienza: foreste tropicale dell’America Centro-meridionale.
    Descrizione genere: comprende circa 40 specie di piante erbacee, perenni, stolonifere, a portamento strisciante o semidecombente, con foglie opposte, solitamente variegate e spesso ricoperte da una leggera peluria bianca. I fiori sono ascellari, solitari riuniti in piccoli gruppi, con corolla tubolare e colorata, di solito, sui toni del rosso.
    episcia

    Specie e varietà
    Episcia cupreata: questa specie, originaria della Colombia, presenta foglie di forma ovale, pubescenti, di colore verde ramato, con riflessi metallici e variegature argentee lungo le venature. I fiori, ascellari, sono solitari e di colore scarlatto. Agli apici degli stoloni produce nuove piantine, che possono essere utilizzate per la moltiplicazione, mettendole a radicare (meglio se in primavera) su un miscuglio di torba e sabbia, mantenuto appena umido (per evitare marciumi) alla temperatura di 20-21°C. Per ottenere piante dalle foglie molto grandi, coltivabili in altezza (appoggiate a sostegni) si dovranno eliminare tutti gli stoloni alla loro comparsa. In caso contrario la pianta può essere coltivata come ricadente con gli stoloni pendenti.
    episcia+noid+flower+(own)
    Dalla varietà ”Variegata” sono stati ottenuti molte cultivar come “Acajou” e ”Metallica” che presentano la lamina fogliare con forti sfumature ramate e la venatura centrale rosea.
    Episcia dianthiflora: originaria del Messico, questa specie presenta foglie ovali o crenate, verde scuro e fiori dai petali sfrangiati di colore bianco.
    Episcia-Pink-Brocade

    Episcia lilacina: presenta foglie verdi, ricoperte di una fitta peluria bianca. Sulla lamina fogliare spiccano le nervature argentee. I fiori sono tubolari e assumono tonalità che vanno dal lavanda all’azzurro.
    Episcia reptans: originari dell’America Meridionale, è caratterizzata dalle foglie grandi, pubescenti, di colore verde scuro, che presentano nervature argentee e dai fiori, dalla lunga corolla di colore rosso vivo.
    Esigenze ambientali, substrato, concimazioni ed accorgimenti particolari
    Temperatura: la temperatura minima invernale non dovrà scendere sotto i 16-18°C.
    Episcia-%27PinkSmoke%27

    Luce: preferiscono esposizioni con illuminazione buona e diffusa, al riparo dai raggi del sole. Con poca luce le piante si allungheranno a livello degli internodi e difficilmente riusciranno a fiorire.
    Annaffiature e umidità ambientale: regolari, ma non troppo frequenti (tanto da tenere il terreno leggermente umido) durante la buona stagione; ridotte, quasi sospese, nel periodo invernale. Fare molta attenzione ad evitare i ristagni d’acqua. L’umidità ambientale dovrebbe essere innalzata il più possibile, evitando di spruzzare le foglie ricoperte di peluria e preferendo il posizionamento dei vasi su terrine con ghiaia mantenuta costantemente umida (facendo attenzione che l’acqua non arrivi mai a livello del vaso).
    Substrato: miscuglio di torba e terriccio di foglie in parti uguali, con aggiunta di sabbia, al fine di migliorarne il drenaggio.
    Concimazioni ed accorgimenti particolari: sono consigliabili vasi più larghi che alti e non molto grandi.
    Moltiplicazione
    Si moltiplicano facilmente, in primavera, interrando pezzi di stoloni in un miscuglio di torba e sabbia, alla temperatura di 20-23°C. Solitamente il radicamento risulta piuttosto rapido.

    1900_Episcia%20%27Suomi%27%20aggs04_myhr_unknown



    .
     
    Top
    .
  5. gheagabry
     
    .

    User deleted



    Gloriosa superba "rothschildiana"


    Al genere gloriosa diverse specie e la più coltivata è la gloriosa superba, ed in particolare la varietà Rothschildiana, una pianta esotica originaria delle zone tropicali dell’Africa e dell’Asia appartenente alla famiglia delle Liliaceae. La pianta presenta un apparato radicale formato da radici bulbose simili a cilindri di 1 cm di diametro. Dai bulbi allungati si originano lunghi fusti sottili e ramificati che raggiungono anche altezze superiori ai 2 metri.
    I fusti sono ricoperti da un fitto fogliame composto da foglie lanceolate di colore verde chiaro.
    Le foglie della gloriosa sono molto particolari in quanto presentano alla punta una specie di viticcio che consente alla pianta di aggrapparsi solidamente a qualsiasi supporto come graticci, pergole e tutori.
    I fiori della gloriosa che sbocciano in abbondanza e continuamente per tutto il periodo della fioritura, sono simili a gigli ma molto più grandi, più decorativi e caratteristici: quando sono in boccio sono simili a campanule di colore verde mentre quando sono completamente aperti sembrano tanti gigli di colore rosso – arancio composti da sei petali gialli, arancio o rossi con bordo esterno arricciato. Tutta la pianta è tossica.
    (casa.atuttonet.it)
     
    Top
    .
  6. gheagabry
     
    .

    User deleted


    L'ALBERO DEL DRAGO

    socotra-115155

    L’albero del drago (Dracaena draco) è un albero sempreverde di origine subtropicale appartenente alla famiglia delle Dracaenaceae nativo delle isole Canarie, Madeira, Capo Verde (Macaronesia) ed alcune località del Marocco occidentale; in quest’ultima area geografica vive in particolare una sottospecie di dracena, nota come Dracaena draco subsp. ajgal. Sull’isola di Gran Canaria vive una specie molto simile, la Dracaena tamaranae, che è ritenuta affine a quella continentale. La dracena è stata introdotta anche nelle isole Azzorre, dove si è perfettamente naturalizzata tanto da essere considerata (erroneamente) originaria dell’arcipelago.

    Il nome del genere deriva dal termine greco antico drakaina, che nella mitologia identifica la femmina del drago. Lo sviluppo di questa pianta è piuttosto lento, tanto che per raggiungere un metro di altezza spesso sono necessari anche 10 anni; solitamente l’albero del drago è in grado di crescere sino a 12-15 metri di altezza, talvolta anche 20. Gli esemplari più giovani di albero del drago presentano un tronco singolo, che rimane tale finché la pianta non inizia a fiorire; quando la pianta entra nell’età riproduttiva, alla base del fiore si forma una biforcazione e il tronco inizia ad assumere una forma di crescita ramificata. Affinchè una pianta inizi a fiorire, solitamente devono passare una trentina di anni.

    L’albero del drago è una pianta che appartiene alle monocotiledoni e, come tutte le specie appartenenti a questo gruppo, durante il suo sviluppo annuale non forma i classici anelli di crescita che, nelle altre piante, consentono di determinare l’età della pianta. Per avere una stima dell’età di un esemplare di albero del drago bisogna rifarsi al numero di ramificazioni presenti sul fusto, ciascuna delle quali indica un episodio di fioritura. Considerando una frequenza media di fioriture pari a circa una all’anno, si può grossomodo calcolare l’età dell’esemplare. Si stima che gli alberi del drago più vecchi tuttora viventi abbiano un’età di circa 650-700 anni.

    2004649525_5_371951

    Dal punto di vista ornamentale l’albero del drago è una pianta molto apprezzata, dal momento che cresce con una forma slanciata e colonnare dove il tronco eretto è sovrastato da folte rosette di foglie disposte in ciuffi. Il tronco presenta una colorazione grigiastra ed è caratterizzato da una corteccia spessa e solcata da incisioni orizzontali, mentre le foglie sono di colore verde scuro, dalla forma lanceolata e dalla consistenza coriacea. I fiori sono portati in racemi (infiorescenze simili a pannocchie) sulle estremità dei rami e presentano un colore bianco verdastro; in seguito alla fioritura, si formano grappoli di bacche tondeggianti e carnose di colore arancione. L’albero del drago è una pianta piuttosto resistente nei confronti dell’aridità, che viene impiegata in zone dove altre specie non riuscirebbero a sopravvivere.

    L’albero del drago non è solo una specie apprezzata a livello ornamentale, ma un albero che in passato era molto utile per l’uomo e ritenuto addirittura dalle proprietà magiche. Dall’incisione delle foglie e della corteccia l’albero essuda una densa resina che in seguito all’ossidazione causata dal contatto con l’aria assume un colore rosso intenso. Conosciuta come sangue di drago, questa resina per molto tempo è stata utilizzata come colorante e laccante per il legno. Molti eccellenti violini, compresi quelli del grande Stradivari, venivano trattati proprio con questa sostanza. Il sangue di drago non è un prodotto esclusivo della specie Dracaena draco, ma veniva ricavato anche da altre piante simili di origine asiatica. Già all’epoca dei Romani questa sostanza era conosciuta e molto ricercata anche come prodotto medicinale in grado di curare e rimarginare le ferite, ed anche le culture asiatiche ed africane conoscevano le numerose qualità di questo prodotto che veniva oltretutto impiegato per l’imbalsamazione dei defunti.

    foto20

    ... storia, miti e leggende....

    La Dracaena Draco è una pianta conosciuta in passato con un nome straordinario, che allude subito a magie e portenti antichi. Essa era l’Albero del Drago, un essere vivente ritenuto misterioso e prodigioso, che poteva essere inciso e liberare una delle sostanze più preziose dell’antichità: il “Sangue del Drago”.
    I sapienti romani e greci conoscevano infatti un reagente chimico che utilizzavano in medicina e tintura, il cui colore e la cui densità, unite alle portentose caratteristiche, faceva loro pensare a qualcosa di preternaturale e magico, come appunto il sangue di un drago. In realtà, quello che mercanti, carovanieri e speziali vendevano nelle grandi città del bacino mediterraneo come sangue del drago erano sostanze di diversa origine e natura. C’era sicuramente il cinabro, minerale da cui si estraeva il mercurio, attraverso la forma cristallina del solfuro di mercurio. Una mistura contraffatta che vendeva smerciata poi ai clienti meno accorti o a quelli che volevano risparmiare era composta da sangue di bue, sorbo secco e polvere di terracotta.
    La maggior parte dei carichi di sangue di drago “originale” (in questi casi chiamati anche “vero sangue di drago” o “cinabro vegetale”) erano invece composti dalle resine essiccate o semiliquide estratte dalle differenti specie di quattro distinti generi botanici: Pterocarpus, Croton, Daemonorops e, appunto la Dracaena. Tra tutte queste modalità, l’incisione del tronco della Dracaena Draco delle isole Canarie e della Dracaena Cinnabari di Socotra (isola a sud dello Yemen) era senz’altro la più celebrata e diffusa fonte di sangue del drago dell’antichità.
    Il sangue del drago viene nominato da alcuni testi naturalistici, come il Periplus maris erythraei, scritto probabilmente in greco da un mercante egiziano del I sec. d.C., il De Materia Medica del medico, farmacista e botanico Dioscoride Pedanio e la Naturalis Historia di Plinio il Vecchio. Proprio quest’ultimo ne racconta anche l’origine, narrando lo scontro letale tra un elefante e un drago e la nascita della pianta dal mescolarsi del sangue dei due animali.
    Al di là delle leggende più pittoresche, la resina della Dracena era certamente utilizzata come colorante e sostanza medicamentosa dai misteriosi Guanches, la popolazione indigena (in età storica) delle Isole Canarie. Ad Orotava, nell’isola di Tenerife, cresceva nel ‘700 un esemplare di
    Dracaena Draco, che il botanico tedesco Von Humboldt descrive nei suoi “Quadri della Natura”.
    Studiando le dinamiche di accrescimento di queste piante e misurando in quell’esemplare delle dimensioni ragguardevolissime, Humboldt stimò che esso doveva avere approssimativamente 6000 anni di vita, qualificandolo come l’essere più antico in quel momento sul pianeta. Seppure questa
    ipotesi non sia stata mai confermata, i draghi delle Canarie, anche se vegetali concreti e non animali fantastici, sono tra gli esseri più interessanti e misteriosi dell’occidente europeo. Essi sarebbero stati tenuti in grande rispetto e considerazione dai Guanches, che amministravano alcune cerimonie pubbliche e religiose intorno alla base di questi giganti grigi.
    Anche gli abitanti di Socotra avevano una predilizione per le Dracene, che dicevano essere alberi benefici, in grado di scacciare i Djinn (geni, spiriti) malefici e che connettevano alle molte leggende sui draghi riportate su quell’esotica isola sperduta. Il nome stesso dell’isola, Suqatrah, pare sia una
    traslitterazione del toponimo arabo che sta per “mercato (suq) delle dracene (qatir)” ovvero l’isola era conosciuta come un grande porto-mercato frequentato principalmente per le Dracene e la loro resina.

    A5012087

    Leggendo i resoconti di leggende locali, scopriamo che esso veniva chiamato anche
    l’“albero dei due fratelli”, perché si diceva nato sulla tomba di Abele, ucciso da Caino. Il sangue che ne trasuda ricorderebbe proprio quel mitico episodio biblico. La sua linfa avrebbe per questo il potere di togliere la vita oppure di ridarla.
    In maniera più concreta, gli indigeni delle Canarie e di Socotra usavano la resina dell’Albero del Drago come un rimedio per ogni problema della pelle e del sangue, per ferite che tardavano a coagulare, piaghe e febbri, diarrea e dissenteria, ulcere a bocca, stomaco, gola e intestino, perfino per traumi interni ed esso veniva raccomandato per abortire ma anche per ricostituente dopo una gravidanza.
    Per gli stessi usi e per gli innumerevoli esperimenti di fisici classici, scienziati arabi, maghi bizantini e alchimisti rinascimentali essa fu importata dall’estremo occidente europeo o dall’isola yemenita spersa nell’Oceano Indiano. Il primo e più comune impiego del sangue di drago era comunque molto prosastico. Esso serviva come colorante negli opifici che producevano stoffe, tessuti e abiti. Il Sangue di Drago forniva un rosso più forte di quello prodotto dalle radici della robbia (Rubia Tinctorum: la più antica fonte conosciuta per il rosso) ma meno brillante del vermiglio estratto dagli insetti della famiglia Kermesidae e meno cupo e vivido della porpora estratta dai murici.
    Con questi ultimi due coloranti il sangue di drago riusciva a competere anche per preziosità, prestigio e difficoltà di reperimento. La resina della Dracena aveva una tonalità forte e stabile, resistente al lavaggio e all’esposizione della luce.
    La tintura avveniva in grossi recipienti di argilla o in vasche di conglomerato, nei quali il tessuto veniva immerso in una soluzione di acqua e colorante e agitato diverse volte, mentre il liquido veniva riscaldato fino ad un potenziale punto di ebollizione. Il sangue del drago era una delle
    cosiddette “grandi tinte”, ovvero dei reagenti più preziosi e difficili da reperire, trattati dai mercanti e dai tintori più importanti. Esso veniva dapprima macerato nelle vasche e cotto fino a rilasciare una densa colorazione uniforme e poi attendeva i tessuti o le matasse di filato. La sua natura “mordente” non necessitava nemmeno di utilizzare altre sostanze fissanti durante la “mordenzatura” e ne faceva un prodotto a tutto tondo.

    dragon-blood

    La resina veniva utilizzata anche per lacche, tinture per legno, pigmenti per cosmetici, tinte, ombretti e rossetti, coloranti per il vetro, il marmo e le pietre dure e tutti gli altri usi analoghi che l’ingegno degli artigiani antichi riusciva ad ideare.
    L’erboristeria e la medicina erano la seconda applicazione. Abbiamo già detto i mille usi e applicazioni che ne riportava la tradizione dei guaritori, degli speziali e dei medici antichi e medievali. Nei banchi e nei ricettari del passato il “sangue di drago” era sempre presente accanto a tutti gli altri rimedi conosciuti: estratti vegetali, polveri minerali, parti innominabili di animali e altri componenti più o meno magici: olio di mummia, bezoar e veleno di scorpioni. La tradizione di queste portentose funzioni rimane ancora oggi, nelle ricette wicca, nelle candele e negli incensi proprie della sensibilità new age e perfino nel vudu haitiano e americano.
    L’alchimia utilizzava il sangue del drago come uno dei tanti simboli esoterici che si incontrano nel percorso iniziatico che conduce alla realizzazione della Grande Opera. Il rosso della resina di Dracena alludeva alla Rubedo dei filosofi e degli occultisti, quell’itinerario chimico e spirituale che doveva portare l’uomo a superare i conflitti in una sintesi superiore ascendendo a nuovi fasti.
    Nel tipico linguaggio ermetico che è proprio dell’alchimia occidentale, il francese Nicolas Flamel così descrive questi passaggi, nella sua Explication des figures hiéroglyphiques:

    "Il rosso lacca del leone volante, simile al puro e chiaro scarlatto che ha
    il seme della rossa melagrana, dimostra che in tutto la Pietra si è
    realizzata, rettamente e genuinamente. Perché essa è quel leone che
    divora ogni pura natura metallica, e la trasforma in vera sostanza, in
    vero e puro oro, più fine di quello delle migliori miniere. Così
    trascina l'uomo fuori da questa valle di lacrime.."


    La Grande Opera si conclude proprio con il rosso acceso della Pietra Filosofale, lo stesso rosso acceso dei fuochi viventi che ardono nell’Atanor, il crogiolo degli alchimisti, e dell’oro rosso a cui
    spesso gli occultisti alludono come sostanza simbolica dei processi alchemici.

    Ultima nota di colore (rosso) è quella che pone una misteriosa e inquietante correlazione tra i draghi delle Canarie e i miti più antichi del mondo greco.
    Nel Giardino delle Esperidi, luogo immaginario, ma identificato proprio con le Isole Canarie, era un misterioso Drago a custodire il giardino dei meravigliosi pomi dorati di Atlante, una sorta di paradiso mediterraneo posto ai confini occidentali del mondo.
    Se questi indizi alludano proprio alla nostra Dracaena Draco non è in questa sede dato saperlo, ma segnaliamo infine un ultimo accenno a questo mitologema situato a Roma, nella celebre Porta Alchemica di Piazza Vittorio. Su questo incredibile concentrato di simboli e geroglifici alchemici e filosofali, spicca ai nostri occhi una parte dell’epigrafe dell’architrave:

    HORTI MAGICI INGRESSUM HESPERIUS CUSTODIT DRACO

    “Il Drago delle Esperidi custodisce l’ingresso del giardino magico”
    .

    (Pubblicato da Mauro Longo dal web)




    Edited by gheagabry - 5/6/2012, 00:44
     
    Top
    .
  7. gheagabry
     
    .

    User deleted


    .

    IL COCO DE MER



    Seychelles_COCO_DE_MER_89880b588c8a4d08bcf31c925e86c0ed
    Nell'isola di Praslin, alle Seychelles, c'è una vallata, chiamata la Vallée de Mai. Questo è l'unico posto al mondo dove cresce il coco de mer. Si tratta di una pianta altissima, che vanta vari record nel mondo della botanica. E' una delle piante più alte esistenti, è quella che ha le foglie più lunghe. è una di quelle che vivono più a lungo ed è senza ombra di dubbio quella che produce il seme più grande in assoluto. Questo seme è appunto la noce di cocco gigante, che può arrivare a pesare anche 30 kg. Le dimensioni di questa noce, che cresce solo sull'esemplare femminile della pianta, hanno impedito nel corso degli anni che il coco de mer si propagasse per altre regioni della terra. Un seme così grosso e pesante, non può essere trasportato dal vento, né ingerito da qualche uccello e depositato in un altro luogo, come avviene per moltissime altre specie vegetali. Il coco de mer è anche pesantissimo e al contrario degli altri cocchi non può migrare da un’isola all’altra galleggiando sulla superficie del mare. Risultato, questo seme può solo germogliare sul terreno dove cade. I primi viaggiatori che arrivarono alle Seychelles, si limitarono a esplorarne le coste. Alle volte sulla riva si trovava un guscio vecchio di coco de mer, ormai svuotato dal tempo e trascinato a valle dalle piogge stagionali

    Lodoicea Maldivica, è il nome scientifico della palma che produce un frutto (seme) lungo fino a mezzo metro e che può pesare anche 20 Kg, simbolo delle Seychelles, visibile allo stato naturale solo nella Vallèe de Mai, nell'isola di Praslin e nell'isola di Curieuse. Le piante sono enormi: raggiungono i 40 metri di altezza e più di 800 anni di età. E' il seme più grande del mondo. La sua particolarità è di avere una strabiliante somiglianza all'anatomia del bacino di una donna (infatti viene anche chiamato Coco d'Amour), per questo in antichità gli venivano conferiti poteri soprannaturali (e terrestri: era usato come Viagra nel Medioevo), anche perché la provenienza dei pochi esemplari trovati in mare lungo le coste (per esempio nello Sri Lanka, in 'Arabia o alle Maldive) era sconosciuta. Si pensava che giungessero dagli abissi marini ed erano commerciati a cifre esorbitanti, status simbol per alcuni ricchissimi sultani...Con un diametro di 50 cm e un peso di 15-22 kg, i suoi frutti contengono il seme più grande del regno vegetale.

    Il frutto, che richiede 6-7 anni per giungere a maturazione, è comunemente denominata cocco di mare o noce delle Seychelles.
    I frutti della Lodoicea maldivica PERS. (i più grandi del mondo: 10-25 kg), 500 anni fa, alimentarono storie meravigliose. Ogni tanto giungevano, galleggiando, alle isole Maldive o in India, per effetto delle correnti. Ma questi frutti non potevano fornire informazioni sull’albero che li produceva, germinando e producendo altri alberi, visto che arrivavano tutti morti. Secondo la convinzione più diffusa, dovevano essere prodotti da un albero che cresceva al di sotto della superficie del mare. Così questo frutto fu chiamato “coco de mer”.
    Poiché, a differenza delle noci di cocco, i frutti della lodoicea sono completamente pieni di polpa dura, non galleggiano alti in mare e di conseguenza, l’acqua salata li uccide.
    Solo nel 1744 si scoprirono le Seychelles e la palma che li produceva, originaria delle isole Praslin e Curieuse.

    I 4000 alberi di Coco de Mer sono ora protetti, il governo permette di raccogliere 3000 noci all'anno, che vengono vendute, pulite e lucidate, a prezzi elevati. La palma è dicoica, cioè i fiori maschili si trovano su piante diverse da quelle femminili...una curiosità: le infiorescenze maschili assomigliano ad un enorme pene.
    Queste palme sferzate (e talvolta rovinate) dagli uragani rappresentano l'ultimo pezzo dell'antico continente Gondwana (formato da Africa, Madagascar ed India) che si scisse in varie terre 65 milioni di anni fa lasciando isolate le Seychelles.
    Si dice che di notte le piante femminili si uniscano sessualmente con quelle maschili. I Seychellesi credevano che chi avesse assistito all'atto sarebbe stato trasformato in un pappagallo nero (una specie endemica della Seychelles) e avrebbe vissuto per sempre nella foresta della Valle.
     
    Top
    .
  8. gheagabry
     
    .

    User deleted


    I PANDANUS



    Pandanus Parkinson è un genere di piante della famiglia Pandanaceae che comprende oltre 600 specie distribuite nella fascia tropicale di Africa, Asia e Oceania. Le diverse specie di Pandanus costituiscono un'importante risorsa ecologica per molte forme di vita animale, e trovano ampia utilizzazione nell'artigianato, nella gastronomia e nella medicina popolare di molte popolazioni.
    Il fusto è cilindrico, liscio, ramificato dicotomicamente, caratterizzato dalla presenza di cicatrici anulari che si formano in corrispondenza della zona di inserzione dalle foglie caduche. Le foglie sono coriacee, ensiformi, in genere disposte a spirale all'apice del fusto, lunghe da 30 centimetri fino ad un paio di metri, con margini seghettati nella maggior parte delle specie, di colore variabile dal verde pallido al verde galuco, con striature longitudinali bianche o gialle, raramente rossastre, più o meno larghe a seconda delle specie.
    Sono piante dioiche, cioè con fiori maschili e femminili portati su piante distinte. I fiori maschili sono larghi 2–3 cm e circondati da brattee biancastre, mentre quelli femminili sono leggermente più grandi. I frutti sono drupe globose, aromatiche, oleaginose, di 10–20 cm di diametro, che ricordano vagamente l'ananas; sono di colore verde nelle prime fasi e arancione-rosso a maturazione avvenuta. Alcune specie (p.es. Pandanus edulis) hanno frutti commestibili per l'uomo.Molte specie sviluppano radici aeree colonnari, che dipartendosi dal fusto e dai rami si dirigono verso il terreno formando caratteristici fasci piramidali con funzione di sostegno.

    ..il Pandanus e la fauna..


    Le piante di Pandanus sono una risorsa ecologica per molte e diverse forme di vita animale. Numerosi piccoli mammiferi, come per esempio il piccolo marsupiale insettivoro Sminthopsis virginiae, prediligono i boschetti di Pandanus come rifugio contro i predatori. Alcuni di essi, come per esempio il pipistrello frugivoro Pteropus mariannus, si nutrono dei frutti della pianta e giocano un ruolo attivo nella dispersione dei semi. La stretta interrelazione tra i Pandanus ed alcune specie di uccelli è testimoniata già dal loro nome vernacolare: il mangiamiele faccia azzurra (Entomyzon cyanotis) è conosciuto in Australia come "Pandanus Bird" mentre il nome comune della tortora spalle barrate (Geopelia humeralis) è "Pandanus Pigeon". Le ragioni di un così stretto rapporto uccello-pianta possono essere diverse. Per molte specie il Pandanus è fonte di nutrimento, che può essere rappresentato dai frutti della pianta, come nel caso del grande cacatua ciuffogiallo (Cacatua galerita), o da piccoli invertebrati ospitati dalle foglie e dal tronco, come nel caso del diamante rosso (Neochmia phaeton), dello scricciolo splendente coronato (Malurus coronatus) o della coracina ventrebianco (Coracina papuensis); nel caso invece della cornacchia di Torres (Corvus orru) la preda è rappresentata dalle piccole rane Litoria bicolor, una specie che ha il suo micro-habitat proprio tra le foglie del Pandanus. Altri uccelli infine, come il diamante rosso (Neochmia phaeton) o il diamante codalunga (Poephila acuticauda) usano i Pandanus per costruirvi, tra le foglie secche, i loro nidi. Le raccolte di acqua che spesso si formano nel fusto o alle ascelle delle foglie degli alberi di Pandanus (fitotelmi) sono una risorsa per molte specie di anfibi e rettili. Il serpente acquatico Acrochordus arafurae staziona frequentemente tra le radici di Pandanus aquaticus. In Madagascar sono note diverse specie di rane che completano il loro sviluppo larvale nei fitotelmi dei Pandanus; tra di esse i mantellidi Guibemantis bicalcaratus e Guibemantis punctatus. Anche il cofilino dalle quattro macchie (Platypelis tetra) alberga quasi esclusivamente sulle piante di Pandanus, utilizzando le foglie come piattaforma da cui diffondere il suo canto notturno. Altre rane arboricole come Litoria rothi, Litoria bicolor e Litoria rubella si trovano quasi esclusivamente su Pandanus aquaticus. Tra i crostacei, il granchio Cardisoma carnifex si nutre dei frutti di Pandanus tectorius favorendone la dispersione dei semi; analoghe abitudini hanno anche il granchio del cocco Birgus latro ed altre specie. I fitotelmi dei Pandanus sono inoltre il micro-habitat specializzato di molte specie di insetti. La biologia delle larve di alcuni ditteri Neurochaetidae, come Neurochaeta magnifica, è intrinsecamente legata ai fitotelmi dei Pandanus, così come quella di numerose specie di Culicidae e Halimococcidae. Esiste infine una stretta relazione tra P. tectorius e l'insetto stecco Megacrania batesii che si nutre solo delle foglie delle sue piante.

    In Madagascar e nelle isole Mascarene le fibre ricavate dalle foglie e dalle radici aeree di Pandanus utilis sono utilizzate per la produzione artigianale di cordami e legature, nonché di cesti, stuoie, cappelli, pennelli, tovagliette e reti. Possono anche essere utilizzate per produrre carta. Anche presso le popolazioni aborigene australiane si usano le fibre di diverse specie di Pandanus per realizzare dei lavori di intreccio molto elaborati, in particolare delle stuoie e delle borse dette dilly bags. Il nome deriva dal termine dili, parola con cui gli Jagera indicano l'albero da cui si ricava la fibra.

    La storia di Hemoana e Fenu


    C'era una volta, tanti anni fa, il fantasma di Nukunonu chiamato Hemoana. Un bel giorno veniva il fantasma di Fakaofo chiamata Fenu a Nukunonu a rubare l'acqua fresca per Fakaofo. Quando Fenu -il fantasma di Fakaofo- stava arrivando, Hemoana lo sapeva già perché aveva grandissime potenze spirituali. Lei sapeva che Fenu veniva per portare via l'acqua fresca da Nukunonu. Allora andava vicino al pozzo e si trasformò in un sasso, così Fenu non poteva vederla. Fenu arrivò, nella mano afferrò una conchiglia della vongola per portare con se l'acqua. Quando Fenu si avvicinò al pozzo, stava sempre guardando intorno se vedeva Hemoana, perché Fenu sapeva molto bene che Hemoana era un potente e intelligente spirito. Fenu aveva molta paura per queste ragioni. Fenu si avvicinò al pozzo, si appoggia per raccogliere l'acqua fresca nella conchiglia e nello stesso tempo si guardava intorno. Hemoana all'improvviso compare sul pozzo. Al momento che Fenu si voleva alzare e correre via con l'acqua fresca nella conchiglia a Fakaofo, saltava fuori Hemoana e urlava: "Ti ho preso imbrogliona."
    Immediatamente comincia una caccia scatenata, e la conchiglia gocciolava sulle isole del sud. Fenu arrivò a Motu Akea ed era sorpresa di vedere li Hemoana. Hemoana si allungò la mano e toccò la conchiglia piena di acqua fresca nella mano di Fenu, e di nuovo usciva l'acqua dalla conchiglia. Per questa ragione, dicono, c'è un pozzo a Motu Akea. Poi Hemoana correva con grande velocità a Fakaofo e portava via un albero Pandanus e lo piantò a Nukunonu. La storia dice che Fakaofo è donata da acqua fresca rubata da Nukunonu; ma anche Nukunonu ha un pozzo, che è merito delle previsioni di Hemoana. Anche gli alberi di Panadanus che crescono a Nukunonu è la responsabilità sua.
    (leggenda di Tokelau)
     
    Top
    .
  9. gheagabry
     
    .

    User deleted


    Puya Berteroniana



    Fa parte della famiglia delle Bromeliacee, la quale conta circa cinquanta generi, e più di duemila specie, diffuse nelle zone tropicali e subtropicali di Asia e America, con una sola specie originaria dell’Africa. Originaria del Cile, che produce una splendida spiga floreale alta due metri, coperta da centinaia di fiori verde-blu metallico con vistosi stami arancioni. La pianta ha foglie argentate, strette e con i margini coperti di spine taglienti. Si tratta di piante erbacee perenni, sempreverdi; esistono alcune specie succulente.



    In genere sono epifite, ma esistono molte specie litofite e terricole; hanno fusto corto o assente; le foglie sono allungate, rigide e spesse, in tutte le tonalità del verde, anche variegate, striate o fasciate; sono riunite in rosette compatte, che formano un vaso, adatto a contenere l’acqua piovana, di cui si servono le piante durante i periodi siccitosi. In genere i fiori sono riuniti in racemi o in spighe, sempre portati da appariscenti brattee molto colorate. Hanno un apparato radicale abbastanza contenuto o addirittura assente.



    La particolarità di questa puya è la tonalità di turchese del suo fiore (molto raro nella flora), che in altre qualità tende ad essere più scuro e tendente al blu, come nella puya alpestris, mentre qui è invece brillante. L’ infiorescenza consiste in una spiga verticale alta due metri coperta da brattee floreali lanuginose da cui si aprono i fiori turchesi con un occhio centrale arancione. L’apertura del fiore avviene in giugno. E’ un esemplare che esige spazio, poichè produce grandi cespi da stoloni sotterranei.



    Agata Giovanna, botanica bravissima e creò un piccolo giardino botanico.
    Si interessò allo studio della Puya berteroniana e ne fece arrivare una pianta dal Sud America per capire se la si poteva coltivare in Europa.
    Fu la prima europea a coltivarla e sucessivamente ne mando alcune piante all'orto botanico di Palermo perche lei riuscì nell'intendo di coltivarla.
    La si trova quasi esclusivamente nei giardini botanici.





     
    Top
    .
  10. gheagabry
     
    .

    User deleted


    LA PIANTA DEL CAFFE'



    La pianta da caffè è una sempreverde che può raggiungere i 10 m di altezza; è originaria dell'Africa tropicale (Abissinia). Il frutto, di colore rosso scuro, viene prodotto a partire dai tre ai cinque anni di vita della pianta; racchiude due noccioli all'interno dei quali si trova un seme (chicco di caffè).
    La pianta da caffè vive fra i 600 e i 2.000 m d'altezza in terreni umidi con temperature fra i 15 e i 25 °C; vi sono però alcune piante da caffè che vegetano anche in pianura. Tale pianta appartiene alla famiglia delle Rubiacee della quale esistono varie specie (più di 6000).
    Attualmente i Paesi maggiori produttori di caffè sono il Brasile, il Vietnam, la Colombia, il Guatemala, il Messico, il Costa Rica e l'Honduras. I Paesi maggiori consumatori di caffè sono la Finlandia (10,58 kg di caffè pro capite l'anno), la Danimarca, l'Olanda, la Norvegia e la Svezia; curiosamente l'Italia, Paese nel quale il caffè è considerato come bevanda nazionale, si trova soltanto al dodicesimo posto di questa particolare classifica (5,69 kg pro capite l'anno), superato persino dalla Francia.
    La coffea arabica è un arbusto o piccolo albero originario dell’Etiopia e dello Yemen; l’altra specie più nota di caffè è coffea robusta, diffusa in natura in molte zone tropicali dell’Africa. Da queste due specie hanno avuto origine svariate varietà cultivar e ibride, diffuse in coltivazione in gran parte delle regioni tropicali del globo, dall4asia al sud America.
    Produce un fusto slanciato, dall’aspetto irsuto, con chioma ampia, tondeggiate, che può raggiungere i 6-8 m di altezza; le foglie sono ovali, o lanceolate, lucide, di colore verde scuro. I fiori sbocciano sul legno vecchio, direttamente sul fusto e sui rami, sono di colore bianco, e ricordano vagamente le zagare. ai fiori seguono i frutti, delle drupe di colore verde, che ricordano delle olive, che a maturazione divengono rosso vivo. All’interno dei frutti sono presenti due piccoli semi verdi, che tostati e lavorati divengono il caffè che molti di noi usano bere ogni mattina. Il caffè è una delle piante più coltivate al mondo, e tale coltivazione ha naturalizzato la pianta anche in luoghi ben lontani dalle zone di origine.

    ... storia ....


    La sua storia comincia nelle zone tropicali dove si sviluppò in forma spontanea, una pianta detta "CAFFA" o "XAFFA", la cui successiva derivazione latina "Coffea" non può che richiamare l'odierno termine "Caffè".
    Inizialmente le bacche rosse venivano mangiate intere o spappolate, mischiate con grasso animale; successivamente si passò agli infusi. E' possibile ipotizzare che le prime persone che bevvero il caffè furono molto probabilmente degli Etiopi, infatti in alcuni scritti arabi risalenti al 1000 a.C. si parla già di una bevanda detta "BUN CHAM" in cui emerge un interesse scientifico per tale pianta.
    Fra il XIII e il XIV sec. la bevanda si diffuse in tutto l'oriente islamico. Il caffè arrivò a Venezia (1615) con navi turche e già con Clemente VIII si hanno le prime richieste di bandire la cosiddetta bevanda del diavolo. Nel 1637 a Oxford si aprì la prima Coffee House. Dal XVIII sec. gli olandesi a Giava e i francesi nei Caraibi iniziarono la coltivazione, facendo nascere l'industria del caffè.

    ...il Caffé....


    Antiche leggende arabe raccontano degli effetti corroboranti di questi frutti; i beduini, infatti, prima delle battaglie e in situazioni particolarmente critiche ne facevano largo uso, dopo averlo macinato ed impastato; anche il poeta epico per eccellenza, Omero, nei suoi versi parla di una bevanda nera ed amara capace di eccitare e fortificare gli animi mentre il filosofo Avicenna utilizzava, nel Medio Evo, il caffè come farmaco. Furono gli Arabi, però, ad adottare il sistema della tostatura dei chicchi, della macinazione e dell’irrorazione degli stessi con l’acqua calda, dando origine al caffè come lo intendiamo noi, non è un caso che tale bevanda inizialmente venne denominata il vino degli Arabi o dell’Islam. Il primo italiano a parlare del caffè in termini scientifici fu un medico padovano Prospero Alpini che su tale argomento scrisse un libro nel 1592 mentre negli stessi anni Francesco Morosini, ambasciatore della Serenissima, in una relazione da Costantinopoli accennava ai locali, affollatissimi, nei quali i Turchi consumavano questa bevanda. Non meraviglia, quindi, che a Venezia, emporio dell’Oriente ed attivissimo porto commerciale, ben presto mercanti scaltri e previdenti fecero arrivare sacchi di questi semi abbrustoliti. Dapprima il caffè fu venduto, a carissimo prezzo, nelle farmacie, e successivamente in locali simili a quelli frequentati in oriente; illuminante a tal proposito La bottega del caffè di C. Goldoni. Il primo locale pubblico di tal genere fu aperto nel 1683 in Piazza San Marco sotto le Procuratie e ad esso fecero seguito moltissimi altri locali a Venezia e in altre città italiane, locali che divennero luoghi di aggregazione, ritrovi, polmoni culturali e tribune politiche e letterarie, soprattutto nel Settecento e nell’Ottocento, basti pensare a Il Caffè, dei fratelli Verri, una rivista di respiro europeo, ideata ed organizzata sulla falsariga del locale gestito a Milano da un greco di nome Demetrio, dove non solo si consumavano caffè molto aromatici ma si potevano leggere riviste provenienti da ogni parte d’Europa che accendevano la fantasia e stimolavano le discussioni. Sarebbe lungo e forse impossibile un elenco di tutti i caffè che hanno avuto un ruolo centrale nella vita culturale e politica del nostro paese (vale la pena ricordare il caffè Pedrocchi a Padova, il Cova a Milano, il Greco a Roma e Le giubbe Rosse e il Michelangelo a Firenze, il Gambrinus a Napoli, i caffè Tommaseo e Tergesteo a Trieste, il Di Simo a Lucca, il Renzelli a Cosenza etc. etc.) è certo, tuttavia, come disse lo storico fiorentino Piero Bargellini, che “non si potrebbe scrivere una pagina di politica né di storia letteraria o artistica dell’ottocento senza citare il nome di un Caffè“.
    Se è vero che il caffè dalla natia Arabia (non è un caso che la migliore qualità di caffè è proprio l’Arabica) si è diffuso in tutto il mondo è altrettanto vero che il luogo deputato per la sua rappresentazione celebrativa è Napoli; nella città campana il caffè è diventato una consuetudine irrinunciabile, un fatto di costume, meglio ancora un rito che tutti, dai giovanissimi agli anziani, a prescindere dal sesso, officiano più volte durante il giorno consapevoli delle virtù benefiche del prodotto e della sacralità dell’atto. Del resto Napoli è la città che più e meglio di ogni altra ha conservato immutata la propria identità, in cui il presente è veramente un ponte tra il passato e il futuro, in cui “le dinamiche sociali e politiche si sposano perfettamente alle diacronie linguistiche e culturali, in un amalgama forse fragile ma distintivo e duraturo“. Non è un caso che P.P. Pasolini, inaugurando negli anni settanta, in un periodo di profonda disgregazione sociale e culturale, una rubrica di carattere pedagogico, sul Tempo Illustrato, abbia scelto come ipotetico discepolo ed interlocutore privilegiato Gennariello, uno scugnizzo napoletano, in quanto nei tratti somatici, nei gesti, nella lingua, oserei dire nel DNA, conserva qualcosa di antico e di nobile, la forza della tradizione. È una forza che viene dal passato e che consente ai Napoletani di analizzare con chiarezza il presente, e di proiettarsi con convinzione ma senza ingenuità verso il futuro, meno fatalisti e più orgogliosi e fiduciosi in una storia che li vorrebbe, come in un passato non molto remoto, protagonisti consapevoli e qualificati. Tutto ciò si nota proprio nei caffè, luoghi di aggregazione, in cui il tempo talvolta sembra fermarsi nelle atmosfere riposate dei dehors o delle sale interne, dove si svolgono conversazioni discrete, colte, amichevoli o amorose che siano, e talvolta, invece, sembra accelerare nella velocità del servizio e nella frettolosa consumazione al banco. In entrambi i casi si manifestano la generosità e la solidarietà dei Napoletani che perpetuano un’antica usanza, quella del caffè sospeso: chi è meno abbiente può trovare al bar un caffè pagato per lui da un’altra persona, così come in panetteria chi ha veramente fame può trovare a sua disposizione, già pagato, un chilo di pane. Il caffè non ha un valore energetico e nutrizionale particolarmente significativo ma favorisce alcune importanti attività metaboliche e digestive e soprattutto esercita un’efficace funzione psicologica, infondendo, a seconda dei casi, la necessaria carica e, sebbene possa sembrare paradossale, un senso di serenità e di calma interiore; non è un caso che litigi, controversie ed accese discussioni si siano ricomposte al bar, seduti o in piedi, dinanzi ad una fumante tazza di caffè nero e bollente. A voler essere precisi il colore del caffè è nocciola con sfumature e riflessi che vanno dal moro al rossiccio, il profumo è intenso e penetrante e volge al fruttato, al floreale e al cioccolato ed è capace di sedurre anche i palati più distratti ed insensibili, avvolgendoli ed inebriandoli con quel mix inimitabile di aromi e sapori. Il caffè si beve per acquisire maggiore lucidità mentale, per ingannare l’attesa, per darsi coraggio, per concedersi una pausa, per socializzare, per assecondare un’abitudine, per soddisfare un desiderio, per celebrare un rito, per riconciliarsi con la vita, per accendersi un’altra sigaretta e, soprattutto, per regalarsi un piacere in più, come recitava un famoso spot pubblicitario. Non meraviglia, quindi, che il caffè sia entrato a vele spiegate nella letteratura colta e popolare, napoletana e non, si pensi alla mirabile descrizione che ne fa Eduardo in Questi fantasmi, alla canzone di Capaldo e Fassone ‘A tazza ‘e cafè (1918) o alle più recenti canzoni di Pino Daniele e di Fabrizio D’Andrè, mentre risale all’anno 2002 l’iniziativa del sacerdote napoletano Antonio Maione che per avvicinare i giovani alla parola di Dio, nella Galleria Principe di Napoli, li invitava a bere una tazza di caffè e a parlare di problemi spirituali, offrendo loro un duplice conforto morale e materiale ed un’occasione di riflessione.(Francesco Improta)

    ...miti e leggende...


    In questo mito sull’origine del caffè e del suo uso, proveniente dall’etnia degli Oromo dell’Etiopia orientale, la pianta del caffè viene fatta originare dalle lacrime della divinità suprema, Waqa. Un giorno, tanto tempo fa, all’epoca in cui Waqa camminava ancora per la terra, egli chiamò un uomo e gli disse: “Vieni: ti dirò il giorno che morirai”. Ma l’uomo rispose: “Io non morirò mai. Perché dovrei morire? Voglio restare vivo per sempre come te.” “Come potresti – disse Waqa – restare vivo e non morire? Vieni, ascolta da me il giorno della tua morte. Ti farò morire dopo che avrai visto i tuoi nipoti fino alla quinta generazione. Vivrai per trecento anni. Però, quando avrai visto cinque generazioni di nipoti, dovrai morire. Come vedi, rimanderò la tuia morte per molto tempo.” Rispose l’uomo: “no, non voglio per nulla morire. Io sono tuo figlio. Voglio rimanere vivo insieme a te.” Così si oppose a Waqa e si rifiutò di ascoltarlo. Allora Waqa disse: “Poiché ti rifiuti di accettare la mia decisione, scompari dalla mia vista. Morrai oggi”. A queste parole l’uomo montò sul suo cavallo e corse via. Correva veloce quanto poteva. Andò dal luogo dove sorge il sole fino a quello dove tramonta. A sera, verso il tramonto, raggiunse un luogo dove alcune persone avevano scavato una tomba, presso la quale sedevano. Quando videro il cavaliere in arrivo, si dissero: “Guardate, eccolo”. L’uomo arrestò il suo cavallo. Chiese loro: “Per chi avete scavato questa tomba?”
    “Non sappiamo – dissero – ma pensiamo che sia per te. Stamane Waqa è venuto qui e ci ha detto: “Scavate una tomba per qualcuno, per un uomo che si è rifiutato di accettare la mia decisione.” E’ questo ciò che Waqa ci ha detto di fare.”.. “Oh Waqa! – escalmò l’uomo – Allora è vero quel che si dice: ‘anche se parti la mattina presto, non puoi sfuggire a Waqa’”. Smontò da cavallo, e morì subito, ed essi lo seppellirono.
    Dopo cinque giorni, Waqa si ricordò di nuovo di quell’uomo. Andò nel luogo in cui viveva quella gente. Gli dissero: “Oh Waqa, è accaduto tutto come hai detto. L’uomo è passato di qui ed è morto immediatamente. L’abbiamo seppellito come ci avevi detto di fare.” “Portatemi alla tomba”, disse Waqa. Quando Waqa vide l’uomo giacere nella tomba, sgorgarono lacrime dai suoi occhi. Esse caddero sul cadavere di quell’uomo. E, meraviglia: nello stesso istante una pianta di caffè germogliò nel punto in cui erano cadute le lacrime.
    E’ così che il caffè precede tutte le altre cose. E’ così che viene preparato per primo in tutti i rituali. Il caffè è la nostra grande medicina. Fu benedetto da Waqa fra tutti gli alberi, benedetto dalle sue lacrime. Tutte le piante crescono per la pioggia, ma la pianta del caffè è germogliata dalle lacrime di Waqa.
    (L. BARTELS, 1983)
     
    Top
    .
  11. gheagabry
     
    .

    User deleted


    L'ALBERO KILLER DEI PESCI



    La Barringtonia racemosa (L.) Spreng. 1826, comunemente chiamata Pesce Killer tree, è una mangrovie d'acqua dolce con una di fioritura spettacolare. E' originaria dell'Africa orientale, Sud Est asiatico e le isole del Pacifico.



    Raggiungere un'altezza fino a circa 8 metri, a volte se si ha le condizioni perfette fino a 20 metri. Prende il nome in onore all'avvocato inglese, antiquario e naturalista Daines Barrington (1728-1800). I semi, la corteccia, il legno e le radici contengono veleno (la saponina) che sciogliendosi nell'acqua uccidono qualunque pesce si avvicini. I fiori sono spettacolari, nascono in sospeso, su rami cadenti lunghi fino a 1 metro di lunghezza. I fiori sono bianco-rosati con un intenso profumo dolce e leggermente piccante che attira farfalle e pipistrelli
    L'albero tropicale è ampiamente coltivato come pianta ornamentale per la sua bellezza.







     
    Top
    .
  12. gheagabry
     
    .

    User deleted


    LA PARMETIERA CRESCENTIA



    La Parmetiera crescentia è originaria del Messico e America Centrale sud a Costa Rica. Il genere Parmentiera appartenente alla famiglia delle Bignoniaceae, è oggi classificato come Crescentia, nome che è stato attribuito in onore dell’italiano Petrus de Crescentis (1230-1320) autore bolognese di antichi testi di agricoltura; ne fanno parte solo sei specie originarie di paesi presenti nella fascia equatoriale del nuovo mondo, sino alla Florida. Tutte le specie appartenenti al genere sono cauliflore cioè caratterizzate dal fiorire e fruttificare non sui germogli ma direttamente sul tronco e sulle branche principali; i frutti di Crescentia alata e Crescentia cujete (a foglie lanceolate) sono sferici e di grosse dimensioni tanto da raggiungere in alcune varietà coltivate i 40 cm di diametro; per questa particolarità vengono chiamati, nei paesi d’origine, alberi dei bicchieri o alberi zucca.
    E' un albero di medie dimensioni alto sino a quindici metri, dal tronco esile e spesso contorto adatto ad ospitare con successo piante epifite come orchidee e felci; ha foglie trilobate, digitate e con un picciolo alato a cui è dovuto il nome specifico; la disposizione crociata delle foglie colpì molto i conquistatori spagnoli che lo considerarono un segno propiziatorio per la spedizione di conquista intrapresa. I fiori sono grandi, campanulati e si aprono di notte per attirare gli impollinatori che, nei territori d’origine, sono piccoli pipistrelli. I frutti, di forma sferica sono grossi come palle di cannone ed hanno un epicarpo che una volta secco acquisisce consistenza legnosa; da verdi, i frutti rimangono attaccati molti mesi sulla pianta, che ne può produrre anche un centinaio, prima di virare di colore e cadere. Per le popolazione indie che chiamano la specie "Morrito" o "Tecomate", la parmentiera aveva, nel passato, una notevole utilità in quanto il duro epicarpo dei frutti una volta svuotato forniva recipienti di vario genere; frutti ancora verdi venivano anche incisi con disegni e decori che rimanevano indelebilmente impressi quando la scorza si induriva. Oggi, oltre che a scopo ornamentale e turistico, i frutti di crescentia sono utilizzati per la produzione di strumenti musicali come le maracas. Tra le curiosità ritrovate sul web: sino al 1800 la moneta ufficiale delle isole Hawai erano le zucche non solo derivanti da cucurbitacee ma anche da alberi del genere Parmentiera. Ancor oggi la moneta nazionale di Haiti è chiamata “Gourde”: zucca vuota (.verdeinsiemeweb.com)


    Il frutto ha la forma di una palla di cannone con un diametro cm 7-10, con un guscio molto difficile da penetrare. Si ritiene che queste caratteristiche siano state l'evoluzione come un meccanismo di difesa contro la predazione di semi . Sembra essere una strategia controproducente, in quanto i semi all'interno dei frutti non germinano a meno che i frutti siano aperti, e con l'eccezione di cavalli e gli esseri umani, altri animali non riescono a rompere i frutti.
    Anche se è stato osservato che i cavalli domestici possono distruggere la frutta con i loro zoccoli e mangiare la polpa e semi (il che suggerisce che essi possono servire come vettori di distribuzione di sementi), si sa che la loro presenza nel Nuovo Mondo risale solo dal XVI secolo, un periodo di tempo troppo corto nella scala evolutiva. La C. alata deve essersi evoluta migliaia di anni prima.
    Daniel Janzen ha suggerito che i "Gomphotheres" (animali estinti simili ad elefante) possono essere stati precedentemente responsabili della dispersione dei semi della C. alata. Con la loro estinzione, l'albero rischiava di essere minacciato dall'estinzione a causa della poca capacità di migrare. Solo l'introduzione di un nuovo vettore, sotto forma di cavalli domestici, ha permesso alla specie di sopravvivere. C'è solo da chiedersi come abbia fatto a sopravvivere nel periodo intercorso tra l'estinzione dei Gomphotheres e l'introduzione del cavallo in America avvenuta molto tempo dopo.
     
    Top
    .
  13. gheagabry
     
    .

    User deleted


    L'ACAI


    L’açaì (Euterpe oleracea) è una palma che cresce nell’Amazzonia. E’ chiamata dagli indigeni con il nome di icá-cai, che significa “il frutto che piange”. Il frutto è una bacca color porpora. La palma acai può arrivare a circa 25 m di altezza; si caratterizza per la presenza di più tronchi che si uniscono fra loro e tutta la palma può arrivare a coprire svariati metri quadri di superficie, cresce soprattutto nelle paludi e pianure alluvionali. Questa grande palma tropicale produce due volte all'anno enormi infruttescenze, contenenti numerosissime bacche blu-viola, che ricordano delle olive o dei grossi mirtilli, o dei chicchi d'uva.
    La polpa è sottile ed aromatica, e il frutto contiene due semi molto grossi.

    L'açaì è stata "scoperta" recentemente quando la ricerca etno-botanica ha riscontrato essere uno tra i frutti più nutrienti della foresta amazzonica. Da allora l'açaì è passata dall'essere un segreto dell'Amazzonia ad essere la base della dieta dei top team atletici Brasiliani e di tutto il mondo. Gli indigeni lo utilizzano tradizionalmente per trattare le disfunzioni digestive o le malattie della pelle. La bacca açaì viene da una palma che ha un tronco lungo e fino a 25 mt di altezza con un gruppo di rami nella parte superiore dai quali pendono foglie a forma di nastro.
    Le bacche di açaì pendono da questi rami. Tradizionalmente le bacche del Acai si raccolgono a mano: gli uomini della tribù si arrampicano sull’albero e tagliano i rami nella parte superiore della pianta. Dopo le recenti scoperte relative alle numerose proprietà dell’açaì, la sua raccolta è cresciuta esponenzialmente. Ma le proprietà naturali dell’acai restano attive solo per 24 ore dopo la raccolta: le bacche di açaì devono dunque essere caricate in ceste e trasportate subito dopo il loro raccolto,durante la notte, in maniera che i mercati di Belem abbiano i prodotti la mattina seguente. Ogni palma di açaì produce circa 20 kg di frutti all’anno. A parte l'uso del suo frutto, la palma Acai ha altri usi commerciali. Le foglie possono essere effettuate in cappelli, stuoie, cesti, scope e tetto di paglia per le case, e il legno del tronco, resistente ai parassiti, per la costruzione di edifici. Il cuore di palma è ampiamente sfruttati come una prelibatezza.


    La leggenda vuole che nel cuore della foresta amazzonica vi fosse una tribù afflitta da un grave problema, l’essere una tribù troppo numerosa. Per questo motivo il capo tribù Itaka decise di far uccidere tutti i neonati e non ebbe pietà neppure di suo nipote, il bambino nato da sua figlia Iaça. Distrutta dal dolore Iaça si ritirò nella sua tenda a piangere e a implorare gli dei che non avevano impedito a Itaka di uccidere il bambino, fino a quanto sentì il pianto del suo bambino. Corse fuori dalla tenda, ma vide al posto del bambino, una pianta alta carica di frutti a forma di bacche. Il giorno dopo trovarono Iaça ai piedi della palma morta che indicava le bacche dell’albero. Il capo tribù chiamò i frutti commestibili della palma Açai, in memoria della figlia e non uccise più neonati perché la sua gente poteva sfamarsi con l’açai.
     
    Top
    .
  14.  
    .
    Avatar

    Millennium Member

    Group
    Administrator
    Posts
    112,793
    Location
    Milano

    Status
    Offline

    Fortunella margarita, albero da frutto

    fortunella-margarita

    La Fortunella margarita, meglio conosciuta come Mandarino cinese, è una pianta arborea perenne appartenente alla famiglia delle Rutacee ed originaria del continente asiatico. Si tratta di una pianta con fusti che possono raggiungere i cinque metri di altezza e rami molto fitti, a volte ricoperti di piccole spine.


    Le foglie della Fortunella margarita (da non confondere con la Fortunella japonica) sono ovali ed appuntite, di colore verde scuro sulla pagine superiore e verde chiaro su quella inferiore. I fiori sono di colore bianco, solitari o raggruppati, e fanno la propria comparsa nel corso della stagione primaverile. I frutti sono costituiti da drupe gialle o arancioni, simili all’arancio, ma di dimensioni inferiori. La coltivazione della Fortunella margarita è abbastanza semplice, sia in vaso che in piena terra.

    Photo Credits: gardensonline.com.au


    Fortunella margarita
    Fioritura: nel corso della stagione primaverile
    Impianto: in primavera o in autunno, a seconda del metodo di propagazione
    Tipo di pianta: arborea perenne
    Altezza max: cinque metri
    Esposizione
    La Fortunella margarita deve essere collocata in posizione luminosa, in modo che i raggi diretti del sole possano raggiungerla per diverse ore nel corso della giornata. Non teme il caldo né le temperature minime della stagione invernale, purché non inferiori ai -5°C.
    Terreno
    Si adatta a qualunque tipo di terreno, purché sia ben drenato.
    Innaffiatura
    In primavera e nel corso della stagione estiva occorre intervenire con regolarità, facendo in modo che il terreno si mantenga costantemente umido. In inverno le irrigazioni andranno sensibilmente diminuite, ma mai completamente sospese.
    Malattie e avversità
    La Cocciniglia può creare danni alla salute della pianta. In caso di attacco è necessario intervenire tempestivamente con prodotti specifici.
    Concimazione
    Prima della ripresa vegetativa si può arricchire il terreno con del letame maturo. In primavera e nel corso della stagione estiva si può utilizzare un fertilizzante liquido mescolato all'acqua delle irrigazioni.
    Moltiplicazione
    La propagazione avviene per semina o per innesto, ma è molto difficile ottenere esemplari uguali alla pianta madre.

    www.pollicegreen.com/

     
    Top
    .
  15. gheagabry
     
    .

    User deleted


    IL BANANO



    La pianta di banana è la più grande pianta erbacea dotata di fiore. Le piante sono generalmente alte e robuste e spesso sono scambiate per alberi, ma il loro fusto principale è in effetti uno pseudofusto che cresce fino a 6-7 metri, e che nasce da un bulbo-tubero. Ogni pseudofusto può produrre un singolo casco di banane. Dopo la fruttificazione lo pseudofusto muore ma polloni laterali possono svilupparsi. Molte varietà di banane sono perenni.
    Da un corposo cormo, un bulbo-tubero, che si sviluppa spesso soltanto semi sommerso dalla terra, spuntano lunghe foglie con picciolo, di dimensioni enormi, riunite in ciuffi; in pratica i piccioli delle foglie, accorpati, danno origine ad un fusto alla cui sommità sventolano le enormi fronde. Le foglie di banano possono essere lunghe fino a 4-5 metri, e larghe nella porzione massima fino a 50-60 cm; sono di colore verde chiaro brillante, leggermente coriacee, sono anche caratterizzate da nervature secondarie parallele molto facili a lacerarsi in frange
    I banani producono grandissime infiorescenze, costituite da un falso fiore simile ad una enorme cipolla, costituito da brattee appressate, di colore vivace, spesso rosso, alla cui base spuntano i fiori, sia quelli femminili, sia quelli maschili color bianco-giallognoli, che sbocciano in giugno-luglio, In seguito appaiono i frutti (capsule verdi), le cosiddette banane, che crescono in gruppi detti “mani”, disposti a grappolo reclinato, detto “casco”. Il casco può superare il metro di lunghezza e può contenere anche più di 200 frutti e pesare oltre 25 chili; il casco di banane deperisce dopo aver fruttificato, ma, dal rizoma sotterraneo perenne, ne nascerà successivamente un altro.

    Il banano viene coltivato in gran parte del mondo, sia le varietà che producono banane, le lunghe bacche dolci e polpose, sia le varietà che producono platani, ovvero banane molto grandi, ricche di amido, che vengono raccolte acerbe ed utilizzate come fossero enormi patate.
    Le specie di banana non ibridate dall’uomo sono piccole bacche allungate, riunite in piccoli caschi compatti, che contengono una polpa poco zuccherina, ricca di semi scuri; le specie di banana coltivate per venire mangiate hanno perso completamente i semi, di cui rimangono solo piccoli puntini scuri all’interno della polpa, sono quindi completamente sterili.

    In Ruanda, Burundi, Uganda, Tanzania e Congo si usa far fermentare le banane per ottenere una bevanda alcolica, detta kasiksi...Le foglie di banana, grandi, flessibili e impermeabili, sono come ombrelli e sono usate per avvolgere cibi.
    La superficie interna della buccia di banana, infine, può essere strofinata sull'irritazione provocata dall'edera del Canada per abbatterne i sintomi. Inoltre, la pelle della banana veniva utilizzata come medicinale per il trattamento della psoriasi. È possibile utilizzare la buccia di banana come lucido per scarpe ecologico.

    ...la storia...


    Nel mondo le banane vengono coltivate in tutta l’area tropicale, in Asia, in Africa e in sud America; ne esistono decine di varietà, tutte originate da due specie, Musa balbisiana e Musa acuminata. Si tratta di una delle prime piante che l’uomo abbia mai coltivato. La diffusione del banano avvenne nell'Asia sud-orientale in epoca preistorica. Ancora nei primi anni 2000 si trovano molte specie di banane selvatiche in Nuova Guinea, Malesia, Indonesia e Filippine. Recenti prove archeologiche e paleoambientali nelle paludi del Kuk, nella Western Highlands Province della Papua Nuova Guinea suggeriscono che la coltivazione della banana risalga almeno al 5000 a.C. e forse anche all'8000 a.C. Ciò farebbe degli altopiani della Nuova Guinea il luogo in cui il banano fu domesticato. È probabile che altre specie di banani selvatici siano stati domesticati successivamente in altre zone dell'Asia sud-orientale.
    La banana è menzionata per la prima volta nella storia scritta in testi buddhisti del 600 a.C.... Alessandro Magno scoprì il sapore della banana nelle valli dell'India nel 327 a.C. L'esistenza di una coltivazione organizzata di banane è stata riscontrata in Cina almeno dal 200 d.C. Nel 650, i conquistatori islamici portarono la banana fino alla Palestina. I mercanti arabi diffusero successivamente le banane in quasi tutta l'Africa. Da allora hanno fatto molta strada, visto che dall’Asia sono stati portati in Africa, poi sulle coste del Mediterraneo e poi, intorno al 1516 la pianta di banana fu introdotta dai portoghesi in America. In Europa si diffuse solo nel Rinascimento, a seguito delle esportazioni dalle terre natie ad opera dei grandi viaggiatori, veniva descritta nel 1601 come il frutto che profuma di rosa.
    Alcune fonti affermano che il genere delle banane, Musa, deve il suo nome ad Antonio Musa, medico dell'imperatore Augusto. Altri dicono che Linneo, che istituì il genere nel 1750, semplicemente adattò la parola araba per banana, mauz. La stessa parola banana potrebbe venire dall'arabo banan, che significa "dito", o forse dalla parola wolof banaana.

    « Non penso molto di un uomo che getta la buccia di banana sul marciapiede. E non penso molto nemmeno di una banana che getta un uomo sul marciapiede... il mio piede ha colpito la buccia di banana e sono volato in aria, e ricaduto a terra violentemente, e per circa un minuto ho visto tutte le stelle dell'astronomia e addirittura qualcuna che non è stata ancora scoperta. Mentre mi stavo rialzando, un ragazzino è arrivato attraversando la strada e dicendo: — Oh signore, non lo farebbe ancora? La mia mamma non vi ha visto — »
    (Cal Stewart, Edison Records)


    LA LEGGENDA DEL BANANO


    Nei primi giorni della creazione del mondo la leggenda vuole che spiriti e fantasmi (buoni e cattivi) si dispersero ovunque. Vivevano in caverne oscure, si nascondevano nei tronchi di albero e negli angoli delle case. Nel buio, le loro piccole voci si potevano fiocamente sentire e la loro presenza in qualche modo si percepiva nell’aria. Ma solo pochi eletti avevano la fortuna di vederli.
    Era proprio in quest’epoca così misteriosa che visse una bellissima ragazza, il suo nome era Raya, una ragazza sveglia e coraggiosa, lei non aveva paura degli spiriti, camminava nelle foreste ombrose con la sola luce fioca della candela. Era talmente incuriosita da queste misteriose presenze che s’incamminava in punta di piedi nelle caverne buie e in tutti quegli angoli in cui avrebbe potuto incontrarli. Con il passare del tempo Raya cominciò a sentire in particolar modo la presenza di uno spirito gentile che aveva cominciato ad accompagnarla ogni qualvolta s’inoltrava nella foresta. Un giorno lei udì qualcuno chiamare il suo nome, e guardando vide un bellissimo uomo, a quel punto gli chiese chi fosse e lui rispose che il suo nome era Sag e le rivelò essere lo spirito che l’aveva accompagnata e protetta per tutti quei giorni. Le confessò il suo amore per lei e in onore di questo forte e sincero sentimento gli era stato concesso per un breve periodo di potersi trasformare in essere mortale. S’innamorarono e successivamente ebbero un bambino. Vissero felicemente, ma Sag sapeva che il suo tempo sulla terra stava per terminare e che sarebbe dovuto tornare presto nel mondo degli spiriti. Quando seppe che il suo tempo era giunto, chiamò Raya e le spiegò perché doveva andare via. Mentre la sua immagine lentamente svaniva le disse che le avrebbe lasciato una parte di lui. Raya guardò in giù e vide un cuore insanguinato sulla terra. Lei prese il cuore e lo sotterrò sorvegliandolo notte e giorno. Lentamente una pianta con foglie verdi e lunghe germogliò. L’albero una volta cresciuto produsse un frutto a forma di cuore (il casco di banane). Lei toccò la frutta, la accarezzò e decise di assaporarne il gusto, il sapore dolce e avvolgente le ricordò l’amore di Sag e comprese che quella frutta proveniva dal cuore del suo amato. In quel momento sentì la voce di Sag: "Sì, Raya, non temere è il mio cuore. E’ un segno che ho voluto dimostrarti per farti capire che non ti abbandonerò mai. Sii premurosa verso questa pianta e prenditi cura di lei finché un giorno io tornerò. Il tronco e le foglie ti proteggeranno vestendoti e il frutto sarà il tuo cibo, sarà come avermi sempre con te. E quando tu di notte dormirai, io starò in piedi e veglierò su di te. Io starò al tuo fianco per sempre…" (antica leggenda creola Venezuelana)
     
    Top
    .
56 replies since 6/12/2010, 22:21   62927 views
  Share  
.