2 GIUGNO - FESTA DELLA REPUBBLICA

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  1. gheagabry
     
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    Nuovo Corriere della Sera in un editoriale non firmato uscito il 2 giugno 1946.

    "Tutti alle urne! E tutti alle urne con serietà, con compostezza, con calma e con un gioioso senso d'orgoglio. Sì, siamo orgogliosi di aver finalmente ritrovato noi stessi; orgogliosi di essere ancora dei cittadini (...)".





    2 GIUGNO

    FESTA DELLA REPUBBLICA



    Il 2 Giugno, "de facto", l’Italia celebra la nascita della nazione, esattamente come succede il 14 luglio in Francia con l’anniversario della Presa della Bastiglia e il 4 luglio negli Stati Uniti, giorno che ricorda quando nel 1776 venne firmata la dichiarazione di indipendenza. In tutto il mondo il 2 Giugno le ambasciate italiane organizzano dei festeggiamenti a cui sono invitati i Capi di Stato del Paese che li ospita, i quali a loro volta inviano gli auguri al Presidente della Repubblica Italiana.
    In realtà, già prima della Festa della Repubblica, esisteva una festa nazionale italiana che si teneva la prima domenica di giugno ed era chiamata la Festa dello Statuto Albertino. Tuttavia la Festa della Repubblica ha subito nel corso del tempo una notevole oscillazione di data. Il 5 marzo 1977, la legge n. 54 spostò la festività alla prima domenica di giugno, a causa della crisi economica. Solo nel 2001 il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi reputò più corretta la ricollocazione nella data originale, con la legge n. 366 del 20 novembre 2000. Ed ecco che il 2 Giugno è tornato così ad essere un giorno festivo.
    Una delle tradizioni più contestate della Festa della Repubblica è senza dubbio la parata militare. Si tenne per la primissima volta nel giugno del 1948, nella Via dei Fori Imperiali di Roma. Poi l’anno successivo, l’Italia entrò nella NATO ed ecco che se ne tennero dieci in contemporanea in tutto il Paese. Ma solo nel 1950 la parata venne inserita ufficialmente nel protocollo delle celebrazioni ufficiali. Altra tradizione importantissima è la deposizione di una corona di allora presso la tomba del Milite Ignoto sull’Altare della Patria, mentre la parata viene eseguita davanti alle più alte cariche dello Stato.
    Alla parata militare ovviamente prendono parte tutte le Forze Armate, tutte le Forze di Polizia della Repubblica ed il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco e della Croce Rossa Italiana. Nel 2005, sempre Carlo Azeglio Ciampi, ordinò che sfilassero anche il Corpo di Polizia Municipale di Roma in rappresentanza di tutte le Polizie Locali d’Italia ed il personale civile della Protezione Civile. Inoltre sfilano anche alcune delegazioni militari dell’ONU, della NATO, dell’Unione Europea e rappresentanze di taluni reparti multinazionali che hanno una componente italiana.

    La nascita della Repubblica Italiana avvenne nel 1946, a seguito dei risultati del referendum istituzionale del 2 giugno dello stesso anno, indetto per determinare la forma di stato dopo il termine della seconda guerra mondiale.
    Si trattò di un passaggio di grande importanza per la storia dell'Italia contemporanea dopo il ventennio fascista, il coinvolgimento nella seconda guerra mondiale ed un periodo della storia nazionale assai ricco di eventi. La nascita della Repubblica fu accompagnata da polemiche circa la regolarità del referendum che la sancì. I presunti brogli elettorali ed altre supposte azioni "di disturbo" della consultazione popolare, tuttavia, non sono stati mai accertati dagli storici, pur avendo costituito un tema di rivendicazione da parte dei sostenitori della causa monarchica.



    Un mese prima del referendum Vittorio Emanuele III abdicò in favore del figlio Umberto, che venne proclamato re e assunse il nome di Umberto II. L'atto di abdicazione fu redatto in forma privata, con data del 9 maggio 1946, e la firma del re fu certificata dal notaio Nicola Angrisani di Napoli.
    Gli esponenti dei partiti favorevoli alla Repubblica protestarono, ritenendo che l'assunzione dei poteri regali, da parte del luogotenente del Regno, contrastasse con l'art. 2 del decreto legislativo luogotenenziale 16 marzo 1946, n. 98, che prevedeva: "Qualora la maggioranza degli elettori votanti (nel referendum istituzionale, n.d.r.) si pronunci in favore della Monarchia, continuerà l'attuale regime luogotenenziale fino all'entrata in vigore delle deliberazioni dell'Assemblea sulla nuova Costituzione e sul Capo dello Stato".
    L'abdicazione di Vittorio Emanuele III e la conseguente cessazione del regime luogotenenziale era stata richiesta dai monarchici nella speranza che la successione a pieno titolo del principe ereditario, figura meno compromessa del padre, prima della consultazione referendaria, potesse attrarre maggior favore popolare.
    L'ex re partì immediatamente in esilio volontario ad Alessandria d'Egitto, ove due anni dopo morì e vi è tuttora sepolto.
    Umberto II confermò la promessa fatta di rispettare il volere liberamente espresso dei cittadini, circa la scelta della forma istituzionale, anche se poi non lo accetterà mai.



    Nella giornata del 2 giugno e la mattina del 3 giugno 1946 ebbe dunque luogo il referendum per scegliere fra monarchia o repubblica. I voti validi in favore della soluzione repubblicana furono circa due milioni più di quelli per la monarchia. I ricorsi della parte soccombente furono tutti respinti e le voci di presunti brogli non furono mai confermate.
    I votanti furono 24 947 187, pari all'89% degli aventi diritto al voto, che risultavano essere 28.005.449. I risultati ufficiali del referendum istituzionale furono: repubblica voti 12 718 641, pari al 54,3%; monarchia voti 10 718 502[27], pari al 45,7%; voti nulli 1 498 136[28]. Analizzando i dati regione per regione si nota come l'Italia si fosse praticamente divisa in due: il nord, dove la repubblica aveva vinto con il 66,2%, ed il sud, dove la monarchia aveva vinto con il 63,8%.
    Non poterono votare coloro che, prima della chiusura delle liste elettorali si trovavano ancora al di fuori del territorio nazionale, nei campi di prigionia o di internamento all'estero, né i cittadini dei territori delle province di Bolzano, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume, e Zara, in quanto oggetto di contesa internazionale e ancora soggette ai governi militari alleato o jugoslavo. Furono inoltre esclusi coloro che erano rientrati in Italia fra la data di chiusura delle liste (aprile 1945) e le votazioni.
    Da tutta Italia le schede elettorali e i verbali delle 31 circoscrizioni sono trasferite a Roma, nella Sala della Lupa di Montecitorio. Il conteggio avviene in presenza della Corte di Cassazione, seduti ad un tavolo a ferro di cavallo, degli ufficiali angloamericani della Commissione alleata e dei giornalisti. Due addetti assommano i dati dei verbali su due macchine calcolatrici, una per la monarchia e una per la repubblica, tenendo una seconda conta a mano
    Una curiosità.. Al seggio bisognava andare senza rossetto. Siccome la scheda doveva essere incollata con le labbra e non doveva avere alcun segno di riconoscimento, le donne non dovevano portare il rossetto per non lasciare segni e annullare il loro voto.



    Il 2 giugno 1946, insieme alla scelta sulla forma dello Stato, i cittadini italiani (comprese le donne, che votavano per la prima volta in una consultazione politica nazionale) elessero anche i componenti dell'Assemblea Costituente che doveva redigere la nuova carta costituzionale. risultarono votanti: 12.998.131 donne e 11.949.056 uomini.
    La notte fra il 12 e 13 giugno 1946 il Consiglio dei ministri conferì al presidente Alcide De Gasperi le funzioni di Capo provvisorio dello Stato repubblicano. Umberto II lasciò il paese il 13 giugno 1946.
    Alla sua prima seduta, il 28 giugno 1946, l'Assemblea Costituente elesse a Capo Provvisorio dello Stato Enrico De Nicola, con 396 voti su 501, al primo scrutinio. Con l'entrata in vigore della nuova Costituzione della Repubblica Italiana, De Nicola assunse per primo le funzioni di Presidente della Repubblica Italiana il 1º gennaio 1948.



     
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    Festa della Repubblica, tre poesie per i bambini

    Il 2 giugno si celebra la Festa della Repubblica e la nascita della nazione italiana nella data in cui si tenne nel 1946 il referendum tra Monarchia e Repubblica. La cerimonia prevede una parata militare e poi deposizione di una corona d’alloro sull’Altare della Patria a Roma.

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    Per festeggiare la nostra Repubblica, proponiamo tre poesie anche per i bambini, All’Italia di Giacomo Leopardi, Il mio paese è l’Italia di Salvatore Quasimodo, Fratelli d’Italia di Goffredo Mameli diventato l’inno d’Italia.


    All’Italia di Giacomo Leopardi



    O patria mia, vedo le mura e gli archi
    E le colonne e i simulacri e l’erme
    Torri degli avi nostri,
    Ma la la gloria non vedo,
    Non vedo il lauro e il ferro ond’eran carchi
    I nostri padri antichi. Or fatta inerme
    Nuda la fronte e nudo il petto mostri,
    Oimè quante ferite,
    Che lívidor, che sangue! oh qual ti veggio,
    Formesissima donna!
    Io chiedo al cielo e al mondo: dite dite;
    Chi la ridusse a tale? E questo è peggio,
    Che di catene ha carche ambe le braccia,
    Sì che sparte le chiome e senza velo
    Siede in terra negletta e sconsolata,
    Nascondendo la faccia
    Tra le ginocchia, e piange.
    Piangi, che ben hai donde, Italia mia,
    Le genti a vincer nata
    E nella fausta sorte e nella ria.

    Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive,
    Mai non potrebbe il pianto
    Adeguarsi al tuo danno ed allo scorno;
    Che fosti donna, or sei povera ancella.
    Chi di te parla o scrive,
    Che, rimembrando il tuo passato vanto,
    Non dica: già fu grande, or non è quella?
    Perchè, perchè? dov’è la forza antica?
    Dove l’armi e il valore e la costanza?
    Chi ti discinse il brando?
    Chi ti tradì? qual arte o qual fatica
    O qual tanta possanza,
    Valse a spogliarti il manto e l’auree bende?
    Come cadesti o quando
    Da tanta altezza in così basso loco?
    Nessun pugna per te? non ti difende
    Nessun de’ tuoi? L’armi, qua l’armi: ío solo
    Combatterà, procomberò sol io.
    Dammi, o ciel, che sia foco
    Agl’italici petti il sangue mio.
    Dove sono i tuoi figli?. Odo suon d’armi
    E di carri e di voci e di timballi
    In estranie contrade
    Pugnano i tuoi figliuoli.
    Attendi, Italia, attendi. Io veggio, o parmi,
    Un fluttuar di fanti e di cavalli,
    E fumo e polve, e luccicar di spade
    Come tra nebbia lampi.
    Nè ti conforti e i tremebondi lumi
    Piegar non soffri al dubitoso evento?
    A che pugna in quei campi
    L’itata gioventude? O numi, o numi
    Pugnan per altra terra itali acciari.
    Oh misero colui che in guerra è spento,
    Non per li patrii lidi e per la pia
    Consorte e i figli cari, Ma da nemici altrui
    Per altra gente, e non può dir morendo
    Alma terra natia,
    La vita che mi desti ecco ti rendo.
    Oh venturose e care e benedette
    L’antiche età, che a morte
    Per la patria correan le genti a squadre
    E voi sempre onorate e gloriose,
    O tessaliche strette,
    Dove la Persia e il fato assai men forte
    Fu di poch’alme franche e generose!
    lo credo che le piante e i sassi e l’onda
    E le montagne vostre al passeggere
    Con indistinta voce
    Narrin siccome tutta quella sponda
    Coprir le invitte schiere
    De’ corpi ch’alla Grecia eran devoti.
    Allor, vile e feroce,
    Serse per l’Ellesponto si fuggia,
    Fatto ludibrio agli ultimi nepoti;
    E sul colle d’Antela, ove morendo
    Si sottrasse da morte il santo stuolo,
    Simonide salia,
    Guardando l’etra e la marina e il suolo.
    E di lacrime sparso ambe le guance,
    E il petto ansante, e vacillante il piede,
    Toglicasi in man la lira:
    Beatissimi voi,
    Ch’offriste il petto alle nemiche lance
    Per amor di costei ch’al Sol vi diede;
    Voi che la Grecia cole, e il mondo ammira
    Nell’armi e ne’ perigli
    Qual tanto amor le giovanette menti,
    Qual nell’acerbo fato amor vi trasse?
    Come si lieta, o figli,
    L’ora estrema vi parve, onde ridenti
    Correste al passo lacrimoso e, duro?
    Parea ch’a danza e non a morte andasse
    Ciascun de’ vostri, o a splendido convito:
    Ma v’attendea lo scuro
    Tartaro, e l’ond’a morta;
    Nè le spose vi foro o i figli accanto
    Quando su l’aspro lito
    Senza baci moriste e senza pianto.
    Ma non senza de’ Persi orrida pena
    Ed immortale angoscia.
    Come lion di tori entro una mandra
    Or salta a quello in tergo e sì gli scava
    Con le zanne la schiena,
    Or questo fianco addenta or quella coscia;
    Tal fra le Perse torme infuriava
    L’ira de’ greci petti e la virtute.
    Ve’ cavalli supini e cavalieri;
    Vedi intralciare ai vinti
    La fuga i carri e le tende cadute,
    E correr fra’ primieri
    Pallido e scapigliato esso tiranno;
    ve’ come infusi e tintí
    Del barbarico sangue i greci eroi,
    Cagione ai Persi d’infinito affanno,
    A poco a poco vinti dalle piaghe,
    L’un sopra l’altro cade. Oh viva, oh viva:
    Beatissimi voi
    Mentre nel mondo si favelli o scriva.
    Prima divelte, in mar precipitando,
    Spente nell’imo strideran le stelle,
    Che la memoria e il vostro
    Amor trascorra o scemi.
    La vostra tomba è un’ara; e qua mostrando
    Verran le madri ai parvoli le belle
    Orme dei vostro sangue. Ecco io mi prostro,
    O benedetti, al suolo,
    E bacio questi sassi e queste zolle,
    Che fien lodate e chiare eternamente
    Dall’uno all’altro polo.
    Deh foss’io pur con voi qui sotto, e molle
    Fosse del sangue mio quest’alma terra.
    Che se il fato è diverso, e non consente
    Ch’io per la Grecia i mororibondi lumi
    Chiuda prostrato in guerra,
    Così la vereconda
    Fama del vostro vate appo i futuri
    Possa, volendo i numi,
    Tanto durar quanto la, vostra duri.

    Fratelli d’Italia di Goffredo Mameli

    Fratelli d’Italia,
    l’Italia s’è desta,
    dell’elmo di Scipio
    s’è cinta la testa.
    dov’è la vittoria?
    Le porga la chioma,
    che schiava di Roma
    Iddio la creò.
    Stringiamoci a corte,
    siam pronti alla morte;

    l’Italia chiamò.
    Uniamoci, uniamoci,
    l’unione e l’amore
    rivelano ai popoli
    le vie del Signore.
    Giuriamo far libero
    il suolo natio:
    uniti, per Dio,
    chi vincer ci può?
    Stringiamoci a coorte,
    siam pronti alla morte.

    l’Italia chiamò,
    Noi siamo da secoli
    calpesti, derisi,
    perché non siam popolo,
    perché siam divisi.
    raccolgaci un’unica
    bandiera, una speme:
    di fonderci insieme
    già l’ora suonò.
    Stringiamoci a coorte,
    siam pronti alla morte.
    Italia chiamò,

    Dall’Alpe a Sicilia
    dovunque è Legnano;
    ogn’uom di Ferruccio
    ha il core, ha la mano;
    i bimbi d’Italia
    si chiaman Balilla;
    il suon d’ogni squilla
    i vespri suonò.
    Stringiamci a coorte,
    siam pronti alla morte:
    Italia chiamò.

    Il mio paese è l’Italia di Salvatore Quasimodo

    Più i giorni s’allontanano dispersi
    e più ritornano nel cuore dei poeti.
    Là i campi di Polonia, la piana dì Kutno
    con le colline di cadaveri che bruciano
    in nuvole di nafta, là i reticolati
    per la quarantena d’Israele,
    il sangue tra i rifiuti, l’esantema torrido,
    le catene di poveri già morti da gran tempo
    e fulminati sulle fosse aperte dalle loro mani,
    là Buchenwald, la mite selva di faggi,
    i suoi forni maledetti; là Stalingrado,
    e Minsk sugli acquitrini e la neve putrefatta.
    I poeti non dimenticano. Oh la folla dei vili,
    dei vinti, dei perdonati dalla misericordia!

    Tutto si travolge, ma i morti non si vendono.
    Il mio paese è l’Italia, o nemico più straniero,
    e io canto il suo popolo, e anche il pianto
    coperto dal rumore del suo mare,
    il limpido lutto delle madri, canto la sua vita.


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