IL NATALE....esplode la magia

festa, tradizioni e usanze...decoupage

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    I KRAMPUS

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    Il Krampus è un essere demoniaco che accompagna la figura folcloristica di San Nicola.
    E’ legata alla mitologia cristiana, Krampus, è un demonio sconfitto dal santo e perciò costretto a servirlo.
    Queste manifestazioni sono eventi tipici della giornata della vigilia di San Nicola, 5 dicembre, nate più di 500 anni fa e tuttora festeggiate in Austria, Germania meridionale (Baviera), in Slovacchia, Repubblica Ceca, Slovenia, Ungheria, in alcune parti della Croazia, in Trentino-Alto Adige ed in alcune parti del Friuli - Venezia Giulia
    I Krampus (dal bavarese krampn, ovvero "morto", "putrefatto", oppure dal termine kramp, che in lingua tedesca significa "artiglio") sono demoni dalle sembianze mostruose e animalesche, scatenati e molto inquietanti, che si aggirano per le strade alla ricerca dei bambini "cattivi". A mascherarsi secondo la tradizione, e a volte anche in abiti femminili (Krampa), sono esclusivamente gli uomini; i loro volti sono coperti da terrificanti maschere diaboliche, i loro abiti sono laceri, sporchi e consunti. La maschera da loro indossata non deve mai essere tolta in pubblico e gli spettatori non devono mai cercare di toglierla, pena il disonore per lo smascherato.I Krampus, vagando per le vie dei paesi, provocano rumori ottenuti da campanacci o corni, che li accompagnano nel tragitto che compiono, mentre colpiscono con frustate la gente.

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    La festa inizia con il vescovo San Nicola, solitamente trainato su un carro, che interroga i bambini e si mostra con una folta barba bianca. Con i bambini che nel corso dell'anno si sono comportati bene, egli sarà generoso con piccoli dolci, mentre per quelli che non si sono comportati bene, ci sarà un brutto rimprovero. Oltre a questo compito, San Nicola deve placare le ire dei Krampus nei confronti degli spettatori. I Krampus sono selvaggi, violenti e inferociti, e quindi in questa particolare serata danno sfogo a quelle forze che per tutto il resto dell'anno rimangono represse. Rincorrono, fra urla, mugugni e grida, i bambini, i ragazzi, ma anche gli adulti e i più anziani, spingono la gente, dando pesanti frustate e colpi di verga alle gambe di chiunque capiti tra i loro piedi.
    Appena il sole tramonta, San Nicola scompare dalla sfilata, lasciando incontrollati i demoni, che senza inibizioni rispondono colpo su colpo alle provocazioni dei ragazzi e degli adolescenti. Per i bambini, tradizionalmente, la grande prova di coraggio consiste nello sfidare un Krampus, tirandogli la coda, facendo in modo di essere notati, per poi scappare per non farsi prendere e infilare nella gerla, o, peggio, per non farsi colpire dal diavolo. Anche se oggi, più spesso, questi diavoli lanciano caramelle ai bambini. Le rincorse e gli inseguimenti da parte dei demoni possono durare anche ore, fino a quando le tenebre riavvolgono la parata di demoni e, lungo le vie, non è più possibile vederne alcuno.

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    L’arte di intagliare le maschere è antica e prevede due tipologie di maschere: quelle a bocca spalancata, con enormi e affilati denti aguzzi, gocciolanti sangue, che vengono chiamate “Larve” e maschere dalla mimica finemente cesellata, con bocche chiuse, senza colori, senza sangue, chiamate Maschere di Espressione. La maggior parte sono fatte di legno di pino cembro, e una singola maschera può richiedere all’intagliatore anche oltre cento ore di lavoro, per tagliare, piallare, spazzolare, dipingere e laccare il legno, inserirvi le corna e gli occhi di vetro, le barbe e i ciuffi di pelo per la capigliatura, i denti mostruosi, le lingue sporgenti e le orecchie giganti, affinché prenda un’espressione demoniaca e spaventosa. La maschera può pesare anche dieci chili.

    Esiste un vero e proprio regolamento per entrare a fare parte di questo gruppo: farne parte è un privilegio; a Vipiteno, per esempio, può diventare Krampus solo chi è vipitenese di nascita.
    E’ una regola imprescindibile, anche che chi entra all’interno del gruppo sia scapolo (chiunque si sposi smette di farne parte). Esiste inoltre un ordine gerarchico legato all’età, sono infatti i più giovani a preparare i vari carri per il corteo.
    I colori fondamentali di questa festa sono il rosso e il nero, con cui spesso anche i diavoli sono agghindati.

    L'origine di questa usanza, mantenuta con fiero orgoglio in molti comuni facenti parte dell'area ex-austro-ungarica, risale al periodo pre-cristiano ed è attestata almeno dal VI-VII secolo d.C. Le prime notizie sull’inizio della tradizione della visita nelle case e nelle fattorie di San Nicolò per augurare bene e proteggere i bambini risalgono al XVII secolo. Il Santo in questi giri era accompagnato dai diavoli che incutevano paura ai bambini “cattivi”.
    Durante il periodo dell’Inquisizione il rito dei Krampus era stato proibito proprio per questa sua vicinanza all’oscurità e alla sua natura diabolica, tuttavia è sopravvissuto in alcune vallate molto remote. Dalla metà del XIX secolo si hanno notizie del ritorno ufficiale dei cortei e delle corse dei “Krampus”.
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    La leggenda dei Krampus

    Si racconta che tanto tempo fa, nei periodi di carestia, i giovani dei piccoli paesi di montagna si travestissero usando pellicce formate da piume, pelli e corna di animali. Essendo così irriconoscibili, andavano in giro a terrorizzare gli abitanti dei villaggi vicini, derubandoli delle provviste necessarie per la stagione invernale. Dopo un po' di tempo, i giovani si accorsero, però, che tra di loro vi era un impostore: era un demone, che approfittando del suo reale volto diabolico si era inserito nel gruppo rimanendo riconoscibile solo grazie alle zampe a forma di zoccolo di capra.
    Venne chiamato il vescovo Nicola, per esorcizzare l'inquietante presenza. Sconfitto il demone, tutti gli anni i giovani, nel giorno della vigilia di San Nicola, travestiti da demoni, sfilavano lungo le strade dei paesi, non più a depredare ma a "punire i bambini cattivi", accompagnati dalla figura del vescovo che aveva sconfitto il male

     
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    [CENTER]Il Natale è una sera di dicembre,
    il silenzio che dilaga per le strade,
    una fiamma custodita tra le nostre mani,
    un fiume solitario che torna alla sua sorgente.
    la gioia di donare qualcosa e la gioia di ricevere.

    (Fabrizio Caramagna)

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    Film sul Natale

    A_Christmas_Carol

    Molte storie natalizie sono state adattate ai film e alle fiction televisive, e sono state trasmesse molte volte alla TV. L'esempio più classico di film natalizio è La vita è meravigliosa, il cui tema rispecchia il racconto Carole Natalizie.



    • Santa Claus, regia di George Albert Smith (1898)
    • Le rêve de Noël, regia di Georges Méliès (1900)
    • Scrooge, or, Marley's Ghost (1901)
    • A Little Girl Who Did Not Believe in Santa Claus, regia di J. Searle Dawley e Edwin S. Porter (1907)
    • The Christmas Burglars, regia di D. W. Griffith (1908) <perduto>
    • A Trap for Santa Claus, regia di D. W. Griffith (1909)
    • A Christmas Carol, regia di J. Searle Dawley, Charles Kent e Ashley Miller (1910)
    • A Christmas Accident, regia di Harold M. Shaw (1912)
    • Scrooge (anche Old Scrooge), regia di Leedham Bantock (1913)
    • The Insects' Christmas, regia di Wladyslaw Starewicz (1913)
    • The Adventure of the Wrong Santa Claus, regia di Charles M. Seay (1914)
    • The Right to Be Happy, regia di Rupert Julian (1916) <perduto>
    • Situazione imbarazzante (Bachelor Mother), regia di Garson Kanin (1939)
    • Ricorda quella notte (Remember the Night), regia di Mitchell Leisen (1940)
    • La taverna dell'allegria (Holiday Inn), regia di Mark Sandrich (1942)
    • Incontriamoci a Saint Louis (Meet Me in St. Louis), regia di Vincente Minnelli (1944)
    • Il sergente e la signora (Christmas in Connecticut), regia di Peter Godfrey (1945)
    • La vita è meravigliosa (It's a Wonderful Life), regia di Frank Capra (1946)
    • La moglie del vescovo (The Bishop's Wife), regia di Henry Koster (1947)
    • Il miracolo della 34ª strada (Miracle on 34th Street), regia di George Seaton (1947)
    • Tu partirai con me (Holiday Affair), regia di Don Hartman (1949)
    • Il ratto delle zitelle (The Lemon Drop Kid), regia di Sidney Lanfield (1951)
    • Lo schiavo dell'oro (Scrooge), regia di Brian Desmond Hurst (1951)
    • Bianco Natale (White Christmas), regia di Michael Curtiz (1954)
    • L'appartamento (The Apartment), regia di Billy Wilder (1960)
    • Christmas Evil, regia di Lewis Jackson (1980)
    • A Christmas Story - Una storia di Natale, regia di Bob Clark (1983)
    • S.O.S. fantasmi (Scrooged), regia di Richard Donner (1988)
    • Mamma, ho perso l'aereo (Home Alone), regia di Chris Columbus (1990)
    • Festa in casa Muppet (The Muppet Christmas Carol), regia di Brian Henson (1992)
    • Nightmare Before Christmas, regia di Henry Selick (1993)
    • Santa Clause (The Santa Clause), regia di John Pasquin (1994)
    • Uno sguardo dal cielo (The Preacher's Wife), regia di Penny Marshall (1996)
    • Una promessa è una promessa (Jingle All the Way), regia di Brian Levant (1996)
    • Babbo bastardo (Bad Santa), regia di Terry Zwigoff (2003)
    • Elf - Un elfo di nome Buddy (Elf), regia di Jon Favreau (2003)
    • Love Actually - L'amore davvero (Love Actually), regia di Richard Curtis (2003)
    • Joyeux Noël - Una verità dimenticata dalla storia (Joyeux Noël), regia di Christian Carion (2004)
    • Polar Express (The Polar Express), regia di Robert Zemeckis (2004) -- animazione
    • A Christmas Carol, regia di Robert Zemeckis (2009)
    • Il figlio di Babbo Natale (Arthur Christmas), regia di Sarah Smith (2011)
    • Almost Christmas - Vacanze in famiglia (Almost Christmas), regia di David E. Talbert (2016)
    • Dickens - L'uomo che inventò il Natale (The Man Who Invented Christmas), regia di Bharat Nalluri (2017)
    • Qualcuno salvi il Natale (The Christmas Chronicles), regia di Clay Kaytis (2018)

     
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    SOGNO DI NATALE

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    di PIRANDELLO

    "Sentivo da un pezzo sul capo inchinato tra le braccia come l'impressione d'una mano lieve, in atto tra di carezza e di protezione. Ma l'anima mia era lontana, errante pei luoghi veduti fin dalla fanciullezza, dei quali mi spirava ancor dentro il sentimento, non tanto però che bastasse al bisogno che provavo di rivivere, fors'anche per un minuto, la vita come immaginavo si dovesse in quel punto svolgere in essi.

    Era festa dovunque: in ogni chiesa, in ogni casa: intorno al ceppo, lassù; innanzi a un Presepe, laggiù; noti volti tra ignoti riuniti in lieta cena; eran canti sacri, suoni di zampogne, gridi di fanciulli esultanti, contese di giocatori... E le vie delle città grandi e piccole, dei villaggi, dei borghi alpestri o marini, eran deserte nella rigida notte. E mi pareva di andar frettoloso per quelle vie, da questa casa a quella, per godere della raccolta festa degli altri; mi trattenevo un poco in ognuna, poi auguravo:

    - Buon Natale - e sparivo...

    Ero già entrato così, inavvertitamente, nel sonno e sognavo. E nel sogno, per quelle vie deserte, mi parve a un tratto d'incontrar Gesù errante in quella stessa notte, in cui il mondo per uso festeggia ancora il suo natale. Egli andava quasi furtivo, pallido, raccolto in sé, con una mano chiusa sul mento e gli occhi profondi e chiari intenti nel vuoto: pareva pieno d'un cordoglio intenso, in preda a una tristezza infinita.

    Mi misi per la stessa via; ma a poco a poco l'immagine di lui m'attrasse così, da assorbirmi in sé; e allora mi parve di far con lui una persona sola. A un certo punto però ebbi sgomento della leggerezza con cui erravo per quelle vie, quasi sorvolando, e istintivamente m'arrestai. Subito allora Gesù si sdoppiò da me, e proseguì da solo anche più leggero di prima, quasi una piuma spinta da un soffio; ed io, rimasto per terra come una macchia nera, divenni la sua ombra e lo seguii.

    Sparirono a un tratto le vie della città: Gesù, come un fantasma bianco splendente d'una luce interiore, sorvolava su un'alta siepe di rovi, che s'allungava dritta infinitamente, in mezzo a una nera, sterminata pianura. E dietro, su la siepe, egli si portava agevolmente me disteso per lungo quant'egli era alto, via via tra le spine che mi trapungevano tutto, pur senza darmi uno strappo.

    Dall'irta siepe saltai alla fine per poco su la morbida sabbia d'una stretta spiaggia: innanzi era il mare; e, su le nere acque palpitanti, una via luminosa, che correva restringendosi fino a un punto nell'immenso arco dell'orizzonte. Si mise Gesù per quella via tracciata dal riflesso lunare, e io dietro a lui, come un barchetto nero tra i guizzi di luce su le acque gelide.

    A un tratto, la luce interiore di Gesù si spense: traversavamo di nuovo le vie deserte d'una grande città. Egli adesso a quando a quando sostava a origliare alle porte delle case più umili, ove il Natale, non per sincera divozione, ma per manco di denari non dava pretesto a gozzoviglie.
    - Non dormono... - mormorava Gesù, e sorprendendo alcune rauche parole d'odio e d'invidia pronunziate nell'interno, si stringeva in sé come per acuto spasimo, e mentre l'impronta delle unghie restavagli sul dorso delle pure mani intrecciate, gemeva: - Anche per costoro io son morto...

    Andammo così, fermandoci di tanto in tanto, per un lungo tratto, finché Gesù innanzi a una chiesa, rivolto a me, ch'ero la sua ombra per terra, non mi disse:

    - Alzati, e accoglimi in te. Voglio entrare in questa chiesa e vedere.

    Era una chiesa magnifica, un'immensa basilica a tre navate, ricca di splendidi marmi e d'oro alla volta, piena d'una turba di fedeli intenti alla funzione, che si rappresentava su l'altar maggiore pomposamente parato, con gli officianti tra una nuvola d'incenso. Al caldo lume dei cento candelieri d'argento splendevano a ogni gesto le brusche d'oro delle pianete tra la spuma dei preziosi merletti del mensale.

    - E per costoro - disse Gesù entro di me - sarei contento, se per la prima volta io nascessi veramente questa notte.

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    Uscimmo dalla chiesa, e Gesù, ritornato innanzi a me come prima posandomi una mano sul petto riprese:

    - Cerco un'anima, in cui rivivere. Tu vedi ch'ìo son morto per questo mondo, che pure ha il coraggio di festeggiare ancora la notte della mia nascita. Non sarebbe forse troppo angusta per me l'anima tua, se non fosse ingombra di tante cose, che dovresti buttar via. Otterresti da me cento volte quel che perderai, seguendomi e abbandonando quel che falsamente stimi necessario a te e ai tuoi: questa città, i tuoi sogni, i comodi con cui invano cerchi allettare il tuo stolto soffrire per il mondo... Cerco un'anima, in cui rivivere: potrebbe esser la tua come quella d'ogn'altro di buona volontà.

    - La città, Gesù? - io risposi sgomento. - E la casa e i miei cari e i miei sogni?

    - Otterresti da me cento volte quel che perderai – ripeté Egli levando la mano dal mio petto e guardandomi fisso con quegli occhi profondi e chiari.
    - Ah! io non posso, Gesù... - feci, dopo un momento di perplessità, vergognoso e avvilito, lasciandomi cader le braccia sulla persona.
    Come se la mano, di cui sentivo in principio del sogno l'impressione sul mio capo inchinato, m'avesse dato una forte spinta contro il duro legno del tavolino, mi destai in quella di balzo, stropicciandomi la fronte indolenzita. E qui, è qui, Gesù, il mio tormento! Qui, senza requie e senza posa, debbo da mane a sera rompermi la testa."

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    Gli jólasveinar

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    Gli jólasveinar o Yule Lads (sing. jólasveinn, composto di isl. jól = “Natale” e sveinn = “amico”, “ragazzo”) sono dei personaggi di fantasia, tipici del folklore natalizio islandese: si tratta di 13 creature, simili a dei folletti o a dei piccoli orchi e vestiti con abiti da contadini, che scendono uno alla volta dalle montagne in paese.
    Per un'associazione di idee, la forma singolare jólasveinn è passata a significare in islandese anche “Babbo Natale”/ “Santa Claus”. Gli studiosi paragonano gli jólasveinar ad altre figure del folklore natalizio, come gli julenisser
    (Danimarca e Norvegia) le Perchten (Germania meridionale) e i Krampus (Tirolo).
    Le avventure degli jólasveinar sono descritte anche in un poema di Johannes úr Kötlum (1899 – 1972), contenuto nel libro di poesie Jólin koma (= "Arriva Natale"), pubblicato nel 1932.

    Gli Jólasveinar appartengono a quello che gli islandesi chiamano " hiden people ", (popolo nascosto o invisibile). Gli Elfi islandesi non sono propriamente degli Elfi; hanno le orecchie a punta ma diversamente da questi, non sono belli, non sono alti, non indossano particolari vesti sgargianti e soprattutto non sono ne buoni ne nobili d' animo.
    La loro natura è decisamente diversa da come viene oggi descritta dagli islandesi, che se da una parte sono orgogliosi del fatto che i loro Bimbi ricevano la vista di ben tredici " Babbi Natale ", dall'altra ci tengono a sottolineare che gli Jólasveinar non hanno nulla a che fare con Babbo Natale, ne per discendenza (San Nicola), ne per la loro tradizionale funzione. I Jólasveinar discendo dai Troll e precisamente da due dei Troll più orrendi conosciuti in Islanda: Gryla e Leppalúði. Sono 13 fratelli che vivono sui monti vicini al lago Mývatn, nei pressi di Ludentsborgir. Gryla è un personaggio appartenente alle antiche credenze, è menzionato anche nell’Edda, ed ha fama di mangia-bambini, Leppalúði è il suo sottomesso marito.
    La funzione dei Jólasveinar, alle origini, non era affatto quella di portare doni ai bambini. In Islanda, i genitori usavano i Jólasveinar come una vera è propria minaccia nei confronti dei propri figli. Le autorità nel 1746, emisero un decreto pubblico che vietava ai genitori di utilizzare Troll, Demoni, Mostri e anche i Jólasveinar, come metodo di persuasione per indurre i propri figli a comportarsi bene. Così, per effetto del decreto i " ragazzi di Natale " persero il loro aspetto maligno e terrificante, ed anche se erano sempre dei furfanti mascalzoni, cessarono di essere una minaccia per i bambini islandesi.

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    Nel XX secolo iniziò una vera e propria contaminazione, gli Jólasveinar iniziarono ad indossare abiti rossi, come gli gnomi di Natale danesi e ad avere un comportamento gentile, lasciando ai bambini dei doni.
    I nomi, con i quali i ragazzi di Natale sono oggi conosciuti dalla maggioranza degli islandesi, sono quelli che vengono citati in una poesia di Johannes Kotlum, che si trova nel libro Jolin Koma ( Natale si avvicina ) del 1932.
    Dal 12 dicembre, vigilia di Santa Lucia, fino al 24 dicembre, vigilia di Natale, scendono dalle montagne uno alla volta per fare scherzi agli islandesi. Secondo la tradizione, durante le tredici notti pre-natalizie proprio i bambini lasciano le proprie scarpe fuori dalla porta di casa e, se sono stati buoni, vi ritroveranno all’interno dei dolcetti. Se sono stati cattivi, gli Jólasveinar lasceranno delle patate bruciacchiate e marce.

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    La storia narra di una gigantesca troll di nome Gryla, simile alla strega di Hansel e Gretel, mangerebbe i bambini cattivi senza nemmeno curarsi di riempirli prima di dolci. Grýla è chiamata troll, ma viene descritta in diversi modi a seconda delle storie: a volte è composta da varie parti di animali, a volte ha quindici code e ognuna di esse può portare fino a venti sacchi pieni di bambini cattivi, in altre ha tre teste o tre occhi, mentre in altre appare come un troll dei più classici. Leppalúði è il suo terzo marito. I due precedenti sono stati uccisi da Grýla stessa perché troppo noiosi. Ogni anno, in occasione di Natale, Gryla scendeva dalla sua remota grotta sulle montagne, e rapisce i bambini cattivi per bollirli vivi. Il mito narra che anche i figli di Gryla, anticamente come la madre, scendvano uno ad uno, a partire dal 12 dicembre.

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    Le festività natalizie sono contornate poi dalla storia di un’altra creatura fantastica: un gigantesco gatto nero di nome Jólakötturinn. E’ un enorme gattone nero, dal temperamento famelico e dai lucidi baffi bianchi, i cui occhi brillano come carboni ardenti e la cui lunga coda gli permette salti spaventosi, che si aggira tra i paesi d’Islanda durante la notte della Vigilia. È una figura cattiva, perché va a caccia non di topi ma di uomini. Le sue vittime sono variate nel corso dei secoli, ma hanno tutte quante una qualità in comune: non sono riuscite a procurarsi, in regalo o producendolo con le proprie mani, un capo di abbigliamento nuovo da indossare a Natale, nemmeno una singola calza. Si accanirebbe in particolare sui bambini più pigri e disobbedienti, che non hanno aiutato a sufficienza i loro genitori nel lavoro di tessitura… o sui più poveri, sprovvisti della possibilità di cucire il proprio capo o di riceverne uno in regalo. È legato, come figura, alla mostruosa capra di Yule, che vigila sulla preparazione al Natale e si premura di punire chi non la organizza adeguatamente.
    Questo micione famelico esiste già dal Medioevo e storie raccapriccianti su di lui circolano già nel ‘700. Nell’800 il Jólakötturinn venne “utilizzato” come stratagemma per spingere gli operai a concludere la lavorazione della lana raccolta nel periodo autunnale prima della fine dell’anno: chi avesse lavorato alacremente, veniva ricompensato con un capo di vestiario. In altre parole, quindi, con la salvezza dalle grinfie del Jólakötturinn.
    La cantautrice e compositrice Björk (Björk Guðmundsdóttir) che nel 1987 registrò una canzone tradizionale su Jólakötturinn – nella quale, tra l’altro, la creatura è identificata sia al maschile sia al femminile.
    Le strofe finali recitano:

    “Se lei esista ancora io non lo so
    ma il suo viaggio sarebbe inutile
    se tutti per il prossimo Natale
    avessero qualche abito nuovo.
    Potresti voler tenere in mente
    di dare aiuto ove ve ne sia bisogno
    perché da qualche parte possono esserci bimbi
    che non ricevono nulla del tutto.
    Forse il curarsi di coloro che soffrono
    per mancanza di luci copiose
    ti darà una stagione felice
    e un allegro Natale.”


    Quanto al destino di Grýla, risulta diverso a seconda delle storie.
    Alcune raccontano della sua morte (così da liberare i bambini della loro paura), in altre si dice sia diventata buona ed è lei stessa che manda i suoi tredici figli a portare la gioia e lo spirito natalizio in città, mentre in altre ancora, invece di mangiare i bambini, la troll mangia le cose brutte che questi dicono. In alcune favole Grýla riveste ancora il ruolo di antagonista, ma alla fine viene sempre sconfitta dal protagonista buono, a volte aiutato dagli stessi Yule Lads, che fanno rimanere la madre a bocca asciutta.




    I figli di Grýla sono famosi perché ognuno di loro ha particolari caratteristiche e monellerie.

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    Stekkjarstaur: Palo di recinto, STECCONE DISTURBAPECORE
    Arriva il 12 Dicembre e parte il 25 dicembre

    Si diverte a disturbare le pecore nel recinto, sino a che non arriva l’ariete che si avventa sull’intruso per scacciarlo via
    e lo spinge dentro il letame. I suoi movimenti sono ostacolati dalle sue gambe rigide.


    giljagaur



    Gilijagaur: RUBALATTE
    Arriva il 13 Dicembre e parte il 26 dicembre

    Questo folletto si nasconde e aspetta un’occasione per introdursi nella stalla e rubare la schiuma di latte senza essere visto dal toro. Prende una mammella per la cima e il latte sgorga sulla sua mano, ma il più delle volte la mucca si arrabbia e gli tira un calcio.


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    Stúfur: Tozzo, Omiciattolo, IL CORTO
    (Arriva il 14 Dicembre e parte il 27 dicembre)

    E’ il folletto con le gambette corte e tozze e concentra tutta la sua attenzione ai fornelli, perché cerca di acchiappare qualche leccornia, un arrosto o un pezzo di carne succosa.

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    Þvörusleikir: Colui che lecca il cucchiaio, LECCAMESTOLI
    Arriva il 15 Dicembre e parte il 28 dicembre

    E’ alto e sottile e sembra il bastone di una bandiera. Lecca i mestoli che le famiglie usano per cucinare è la sua passione, ma spesso il mestolo gli brucia la lingua


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    Pottasleikir: RASCHIAPENTOLE
    Arriva il 16 Dicembre e parte il 29 dicembre

    Dopo aver rubato le pentole dalle fattorie, mangia le scrosta con tutta la sua forza e con alcune ci mette tanto impegno che a volte le buca.

    Askasleikir



    Askasleikir: Colui che lecca le scodelle, LECCACIOTOLE
    Arriva il 17 Dicembre e parte il 30 dicembre

    Si nasconde sotto il letto e aspetta che i bambini avanzino il loro cibo per tirare fuori la sua brutta testa e leccare il piatto. Sempre pronto a rubare l’askur, tipica scodella, non appena qualcuno la getti per terra.



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    Hurðaskellir: SBATTIPORTE
    Arriva il 18 Dicembre e parte il 31 dicembre

    Si diverte, a notte fonda, a disturbare il sonno della gente. Sbatte le porte abbastanza forte da spaventare i cani.

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    Skyrgámur: Goloso di formaggi, TRANGUGIASKYR
    Arriva il 19 Dicembre e parte il 1 gennaio

    Gli piace il buon cibo e spesso siede su una trave del tetto della cucina e quando la porta è chiusa scivola giù e ruba lo skyr (una crema di yogurt), che regolarmente cade sui suoi vestiti e la sua barba.

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    Bjúgnakrækir: Colui che ruba le salsicce, ACCHIAPPASALSICCE
    Arriva il 20 Dicembre e parte il 2 gennaio

    Sempre affamato, l’Acchiappasalsicce non perde occasione per rubare le intere collane di salsicce appese ai ganci nelle fattorie.

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    Gluggagaægir: Colui che spia dalle finestre, CURIOSONE
    Arriva il 21 Dicembre e parte il 3 gennaio

    Tipetto molto curioso che ficca il naso dappertutto. Appare alle finestre, fa le smorfie e se qualcuno lo vede si mette a ridere. I bambini scappano in fretta per sfuggire alla vista perchè ha davvero una brutta faccia.



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    Gáttaþefur: colui che annusa le fessure delle porte, ANNUSAPORTE
    Arriva il 22 Dicembre e parte il 4 gennaio

    Il naso dell’Annusaporte è un ottimo strumento che usa per trovare ogni tipo di cosa. Mentre è ancora in montagna può sentire la via più veloce per trovare il cibo e salta fuori dai mucchi di neve per annusare davanti ad ogni porta socchiusa. Ruba il “laufabrauð”, un dolce natalizio tipico islandese


    Ketkrokur



    Ketkrókur: UNCINACARNE
    Arriva il 23 Dicembre e parte il 5 gennaio

    Ha una vera passione per il montone ben affumicato. Siede sulla cima del camino e quando cala la notte se vede della carne appesa, cala giù l’uncino per accaparrarsi la preda. I padroni di casa gridano e si disperano vedendo volatilizzarsi il loro pranzo di Natale


    kertasnikir



    Kertasníkir: Colui che porta le candele, SCROCCACANDELE
    Arriva il 24 Dicembre e parte il 6 gennaio.

    Il ladro di candele, ama la luce delle candele e le ruba nelle fattorie. Quando i bambini portano le candele da una parte all’altra della fattoria lui si nasconde in un angolo dove nessuno può vederlo e poi tende un agguato per sgraffignare una candela per sè, che nel periodo natalizio sono commestibili in quanto realizzate con il lardo
     
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    Natale da non credenti

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    di Torie Bosch – Slate

    Lamentarsi dell‘”annacquamento” del Natale sta diventando una tradizione nella tradizione. Nelle lettere e nei commenti dei lettori pubblicati dai giornali e su alcuni blog i puristi spiegano che la festa ruota attorno a Gesù Cristo, del quale dovrebbe essere festeggiato il compleanno, e non rappresentare una scusa per fare shopping e mandare in onda puntate speciali delle sitcom e vecchi film. Rick Warren, un noto pastore e scrittore evangelico, ha scritto in un suo libro: «se rallentate un secondo e vi soffermate sul vero scopo del Natale, riceverete il miglior regalo di Natale al mondo». Non ho dubbi che per i cristiani questo sia un buon consiglio. Personalmente, però, non voglio rallentare e soffermarmi sullo scopo del Natale. Le cose che apprezzo di questa festa sono quelle che Warren e altri come lui considerano probabilmente delle distrazioni: gli alberi, le luci, Babbo Natale e lo speciale dei Muppets.
    Per me il Natale è sempre stato una ricorrenza laica. Sono cresciuta in una famiglia sostanzialmente non religiosa. Mia madre è cattolica ma non è stata osservante per quasi tutta la mia infanzia. Mio padre è cresciuto in una famiglia ebrea ma anche lui festeggiava il Natale. Mia nonna mi ha raccontato, a metà strada fra la tristezza e il ricordo affettuoso, che quando aveva sei anni mio padre chiese se avesse potuto diventare cristiano, così che potesse essere tenuto in considerazione da Babbo Natale. In seguito smise di essere un ebreo praticante, ma il suo amore per il Natale non scomparve mai.
    Quando ero una bambina mio padre passava ore a decorare l’albero, la casa e il giardino in una maniera che ricordava quella di Un Natale esplosivo: molti maglioni, lucine colorate e un sacco di orgoglio a lavoro concluso. Ogni anno io o uno dei miei fratelli lo accompagnavamo a scegliere un nuovo schiaccianoci da aggiungere alla collezione di famiglia; il giullare, il mago dello “Schiaccianoci”, il soldato della Guerra civile, potrebbero non fare parte della storia della Natività, ma per me hanno sempre significato il Natale. Non abbiamo mai festeggiato lo Hanukkah, semplicemente perché non piaceva a mio padre: il Natale era l’unica festività invernale per cui valesse la pena festeggiare. Dopo la morte di mio padre, arrivata quando ancora ero una ragazza, la festa viene celebrata più o meno allo stesso modo. Ci concentriamo sul piacere dello stare insieme e in qualche modo ricordiamo mio padre celebrando la sua festa preferita. Il miracolo della nascita di Gesù non ci interessa.
    Per gran parte della mia vita mi sono sentita in colpa per festeggiare felicemente un Natale senza credere in Dio. Temevo che mi stessi appropriando di una festa che non era la mia. Quando il commentatore conservatore Bill O’Reilly si lamentò del fatto che il Natale era «sotto assedio», mi sentii complice di quell’assedio. Dato che mi piaceva ascoltare canzoni pop a tema natalizio, aprire i regali al posto di andare in chiesa e godermi le abbuffate al posto di dire un Padre nostro, stavo annacquando la sacralità osservata da altri?
    Non c’è stato un momento preciso in cui ho cambiato idea. Piuttosto è stato merito di una serie di considerazioni. La maggior parte delle canzoni e dei film che celebrano il Natale non li citano nemmeno, Dio o Gesù. Babbo Natale non controlla le assenze o le presenze di un bambino per capire se merita o meno un regalo. È un giudice dalla fibra morale assolutamente laica. Dire che i laici offendono lo spirito del Natale è come dire che due uomini che si sposano infangano l’istituzione del matrimonio. Perché il modo in cui io celebro il Natale dovrebbe offendere qualcuno? I cristiani offesi dalla mia festività laica diranno di sicuro che mi sto privando di una gioia più grande, che viene dall’accettare Gesù nel proprio cuore. Ma io non sto togliendo a nessuno il diritto di andare in Chiesa o fare il Presepe. Tutto quello di cui ho bisogno per celebrare il Natale è un albero, calze di lana, dolcini e persone a cui voglio bene, e qualche regalo da consegnare e da ricevere.
    La mia famiglia non è l’unica a celebrare un Natale senza Gesù. Secondo un sondaggio del febbraio del 2008 circa il 16,1 per cento degli americani non aderisce a nessuna credenza religiosa. Per tutti quelli come noi che non credono, il Natale è semplicemente la festa più godibile. Ci sono prove, fra l’altro, che il Natale sia semplicemente una riappropriazione cristiana dei Saturnalia, una festa pagana celebrata nell’antica Roma. Nel caso fosse vero, il mio Natale senza Dio sarebbe più un insulto verso gli antichi romani che verso i cristiani. Dato che non ne sono rimasti molti, mi concederò di non preoccuparmene.
    La cosa migliore che noi non credenti possiamo fare, in effetti, è essere onesti riguardo la nostra decisione di non celebrare il lato religioso del Natale. A ogni Natale e Pasqua, la maggior parte delle chiese deve adattarsi ad accogliere un numero di fedeli superiore a quelli che si presentano la domenica. Mentre le panche possono restare semivuote o addirittura deserte durante le domeniche d’estate, per le feste c’è un enorme aumento dei fedeli occasionali che vanno a messa solo a Natale e Pasqua.
    Invece di prendere posto in chiesa sentendosi vagamente fuori posto, io ho scelto di passare la giornata con la mia famiglia e dormire fino a tardi, aprire i regali, preparare e servire il pranzo di Natale, sorseggiare una birra, spararmi l’inevitabile maratona natalizia di Law & Order. Potrei fare queste cose durante un altro giorno qualsiasi dell’anno? Certo – Law & Order è un piccolo piacere disponibile tutto l’anno – ma solo a Natale la maggior parte dei miei amici e parenti ha del tempo libero, e solo a Natale posso vedere i miei familiari e amici sparsi per tutto il paese. Che tu creda o meno in Dio, Natale è quel periodo durante il quale torni a casa o ospiti i tuoi cari: una rara occasione che può farti impazzire, riempirti di affetto, o entrambe le cose.
    ©Slate

     
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    Dov’è la pace

    Quando sento cantare:
    “Gloria a Dio e Pace sulla terra”
    mi domando dove oggi
    sia resa gloria a Dio
    e dove sia pace sulla terra.
    Finchè la pace
    sarà una fame insaziata
    a finchè non avremo sradicato
    dalla nostra civiltà la violenza,
    il Cristo non sarà nato.

    (Mahatma Gandhi)

     
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    LUCE, PACE, AMORE

    di L. Housman


    La pace guardò in basso
    e vide la guerra,
    "Là voglio andare" disse la pace.

    L'amore guardò in basso
    e vide l'odio,
    "Là voglio andare" disse l'amore.

    La luce guardò in basso
    e vide il buio,
    "Là voglio andare" disse la luce.

    Così apparve la luce
    e risplendette.

    Così apparve la pace
    e offrì riposo.

    Così apparve l'amore
    e portò vita.

     
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    ... Casa: quanto la ami a Natale!
    Ricordo quando, sempre bambina, persi la mia, abbattuta anche quella: allora c’erano le bombe, ci rifugiammo chi nelle risaie e chi nei paesi limitrofi, dove tutti eravamo un po’ degli stranieri. Nei granai la sera recitavamo il rosario su dei pagliericci di fortuna, poi di giorno si andava nelle cascine in cerca di pane, in breve… si mendicava dai contadini abbienti. Oggi, invece, che abbiamo una casa non abbiamo più quella cortesia e quell’amore dei contadini. Io dormivo con una vecchia che ogni notte pregava la morte che la venisse a prendere, e avevo paura.
    Ma come bambina ho dovuto accontentarmi.
    Adesso che sono un’anziana poetessa… continuo ad accontentarmi.
    Ma ripenso con nostalgia a quei Natali solenni, quando la mamma faceva enormi presepi, metteva le figurine dei pastori e i laghetti di specchio.
    Ci facevano trovare il carbone, alle volte, ma eravamo contenti lo stesso: poi, dietro il carbone, c’erano sempre tre caramelle. Però era arrivato Gesù, era questo che importava, vedere che sulla paglia del presepe qualcuno aveva deposto il bambino. E si pregava, si pregava insieme davanti a quella statuina, ignorando che il piede lieve della mamma era andato lì di notte per deporlo…
    Allora ignoravamo tutto della vita, anche il mistero della nascita, un evento che per noi cadeva dal cielo.
    La Madonna non appariva sorpresa, neanche San Giuseppe, e noi piccoli eravamo in un regno di favola bello che abbiamo perduto. Ci dimenticavamo dei doni e stavamo piuttosto a guardare quel bambino appena nato domandandoci se aveva freddo, ma la mamma ci diceva che aveva l’amore della Madre…
    Ecco, forse anche in tarda età chi mi scalda ancora nelle notti di solitudine è “l’amore della mamma, che io amavo tanto e che credevo che, come Maria, non sarebbe mai morta.
    Sì, si può morire d’amore per un uomo, ma quello che mi fece impazzire, forse, fu quella porta chiusa di mia madre dolcissima, che io credevo eterna, come tutti i figli.
    E mi sono resa conto, a un tratto, che non avevo mai ascoltato i suoi lamenti tanto ero giovane.
    Ma quanto si paga la giovinezza! Anch’io, come le mie figlie, quando andavo a casa sua le portavo via gli oggetti più preziosi perché… nella mia casa sarebbero stati bene, e una madre si fa sempre derubare.
    A lungo andare morì, senza chiedere mai niente, ma era così felice della nostra gioia che forse non morì veramente mai. L’abbiamo derubata, ma soprattutto – e sembra un eufemismo – avremmo voluto (che Dio mi perdoni) portarle via quegli occhi, così verdi, così dolci, così innamorati di noi. Sono passati decenni da quei Natali e ancora cerco l’odore dei mandarini o del bollito, che si mangiava solo quel giorno. Erano i nostri doni.
    Oggi invece si tende a saltare il Natale, si va direttamente all’arrivo dei Magi, ai doni, la nascita quasi non esiste più, forse perché le nostre donne non sanno essere madri.
    E i bambini, tra televisione e futili regali, sono i più grandi emarginati del nostro tempo: abbiamo rubato loro l’infanzia e la religiosità della vita.
    Mi si chiede cosa vorrei trovare questa notte sotto il presepe: la mia Barbara, la mia Flavia, le mie figlie che mi furono tolte quando una maestra, assistente sociale, trovando che la casa non era ordinata me le portò via.
    Sono sempre stata una disordinata perenne, ma avevo quattro bambine felici alle quali suonavo le “nenie” di Natale.
    Andando in solaio ho trovato le mie vecchie famose poesie tutte imbrattate delle loro figurine: giocavano con le mie grandi poesie! Io non ho pianto su queste, ma su quelle figurine sì.
    Loro non sapevano cosa vuol dire genio, conoscevano solo due parole: mamma e bambino. Il mio presepe privato".



    Alda Merini

    Pubblicato su "Avvenire" il 21/12/2006
     
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    "Cena della vigilia di Natale nella sala da pranzo privata di un ottimo ristorante.
    1893 Parigi".
    Ludovico MARCHETTI
    10 maggio 1853, Roma 20 giugno 1909, Parigi

     
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    pare_noel_charis_tsevis

    "La vigilia di Natale era una notte di canzoni, che si avvolgevano intorno a te come uno scialle.
    Ma scaldavano più del tuo corpo.
    Scaldavano il tuo cuore... riempiendolo di una melodia che sarebbe durata per sempre"

    (Bess Streeter Aldrich)

     
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    "Della mia terra d’Abruzzi io avevo freschissimamente serbato nell’anima l’eco delle zampogne natalizie e il miracolo dei ciliegi in fiore e dei ciliegi in frutto, il gran miracolo bicolore, il bianco e il vermiglio, ch’era sempre stato la grande incantagione annuale della mia fanciullezza"

    Il Natale di Gabriele D'Annunzio

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    "Mi sci mannate scta purchette d’óre che certe te l’ha cotte San Ciatté"



    Per Natale, Gabriele d’Annunzio aveva serbato tanti ricordi. Nel giugno del 1904, ospite a Pescara della mamma, le aveva detto:

    "E per Natale poi torneremo al croccante di mandorle, al capitone è vero mamma?"



    Il poeta, in realtà, non tornò più a mangiare il capitone e il croccante, ma i cibi della festa furono sempre per lui occasione di ricordo. Nelle sue prose, l’Abruzzo della memoria non prescinde mai dalla rievocazione dei sapori schietti e genuini, tipici dei prodotti della terra.

    Al Natale del 1927 risale uno dei componimenti dialettali più celebri. Il giorno di Santo Stefano, d’Annunzio aveva incontrato al teatro alla Scala, a Milano, il ministro Giacomo Acerbo. I due avevano parlato del tradizionale cenone di fine anno, tanto diverso da quello di Gardone.

    Nella conversazione, fece capolino la porchetta: bastò poco a d’Annunzio per abbandonarsi ai ricordi di quando la domenica mattina, tra le vie a lui care percorse negli anni dell’adolescenza, quel profumo si levava dai banchi della vendita.

    Il giorno seguente, rientrato a Roma, Acerbo diede ordine al suo fattore di acquistare un maialino da latte, di farne una porchetta ben farcita di rosmarino, salvia, aglio e pepe, e di recarsi a Gardone per la consegna.

    Fu questo il ringraziamento:

    "Mi sci mannate scta purchette d’óre
    che certe te l’ha cotte San Ciatté
    che s’arrecorde, Giàcume, de me
    che jéve a ffa’ a pretàte e a ffa’ l’amore.

    Ma, dimme, chi ci’ à mésse sctu sapore
    de «Córse Gabbriele Manthoné»?

    Ah, Giacumìne, nen sacce pecché
    mentre che magne, me piagne lu córe.
    Sunéve, la duméneche, la bbande.
    Li Piscarise, ’nghe lu piatte ’n mane,
    currévene a cumpràrsene ’na fette.

    Che è e che nen è? ’Na cósa grande!
    ’Nu bbéne che lucéve da lundane!
    S’avé ’ffacciate Donna Luisette."

    28 dicembre 1927, Gabriele de l’Annunzie



    Durante gli anni del Vittoriale, altri amici cercarono di lenire la solitudine dello scrittore inviandogli alcuni prodotti abruzzesi: tra costoro c’erano Amedeo Pomilio, mago distillatore dei liquori Aurum, Cerasella e Mentuccia di San Silvestro, e Luigi D’Amico, creatore dei dolci Parrozzo e Senza Nome.

    E proprio al Parrozzo è legato uno degli ultimi ricordi di Natale:

    "È finita la vigilia. Forse a quest’ora tutta la gente è in gozzoviglia. Le Réveillon. Io sono digiuno da 48 ore. Vado a cercare un parrozzetto. Lo apro, lo mangio. Assaporo in esso – sotto la specie dell’amarezza – sub specie amaritudinis – il Natale d’Infanzia".

     
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    Federico Barocci


    Si racconta che la notte di Natale, quando Gesù è nato, nella stalla insieme a Maria, a Giuseppe e all’ asino e il bue,
    ci fosse anche una gatta tigrata.

    Come gli tutti gli altri animali, anche la micetta si è avvicinata alla mangiatoia dove riposava il Bambin Gesù
    per riscaldarlo e addormentarlo facendogli le fusa
    La gattina era gravida si racconta che partorì i suoi cuccioli anche lei quella stessa notte.
    La Vergine Maria fu intenerita dalla sua dolcezza e la accarezzò sulla fronte.
    Da quel giorno tutti i gatti tigrati come lei, hanno stampata sulla loro fronte la emme (M) di Maria.

    Si narra anche che fu proprio questo segno divino, a salvare il gatto soriano europeo, risparmiandolo dagli inquisitori che lo reputavano sacro.

    In realtà si dice che Maria lo avesse segnato già in casa sua, perché cresciuta proprio con un gatto soriano.

    Se si osservano quadri e affreschi, sia della Nascita di Gesù e dell’Annunciazione a Maria,
    si può notare, a volte, la presenza di un gatto.

    Questo avviene perché la gatta rappresenta un importante simbolo fin dall’antichità, di forza e fertilità.

     
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    Walking With the Snowman, Londra 2023

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    Una dozzina di sculture di pupazzi di neve alti 1,6 metri, che saranno esposte fino al 5 gennaio, renderanno omaggio all'animazione e al libro illustrato originale del compianto Raymond Briggs. "The Snowman", la commovente storia di un pupazzo di neve grassoccio che prende vita per fare amicizia con un ragazzino in una nevosa notte di dicembre. "Walking With the Snowman", sarà caratterizzato da una dozzina di sculture decorate di pupazzi di neve sparse per il quartiere di Fleet Street.

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    Quest'anno, l'arte sulle sculture è ispirata a "I dodici giorni di Natale". Potrai vedere un pupazzo di neve di pan di zenzero con 12 topi che suonano il tamburo sulla schiena (che rappresentano, naturalmente, "12 batteristi che suonano il tamburo"), ma in mostra ci sarà anche il dipinto dell'artista di Manchester Jenny Leonard. affronta "Four Calling Birds", un'illustrazione ironica di uccelli al telefono di fronte allo skyline di Londra.

    Situate intorno a Chancery Lane, New Street Square, Fleet Street e Ludgate Hill, le sculture alte 1,6 metri poggeranno su piedistalli riciclabili realizzati con rifiuti di plastica. Le cose migliori della vita sono congelate: il percorso è tutto aperto al pubblico gratuitamente dal 21 novembre per dieci settimane fino a gennaio 2024 ed è una collaborazione tra Wild in Art e Penguin's Random House.

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    ...altri pupazzi di neve delle mostre precedenti

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