FOTOGRAFIA

..QUANDO DIVENTA ARTE

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    Fotografia di Michelle Valberg

    Navigando al largo di Pond Inlet, Nunavut, in Canada, abbiamo incontrato questo iceberg incredibilmente bello e vecchio. La luce magica, la semplicità e la bellezza dell'iceberg è quello che mi è piaciuto di più.




     
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    scatto di Fabio Marchini, JUZA


    “Bisogna smettere di aver paura delle ombre, capire che il mondo non è bianco o nero, bensì grigio. Che c’è la luce e c’è il buio. Non esiste l’una senza l’altro.”
    (Tratto da ”La figlia dei ricordi” di Sarah McCoy)

     
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    LE CITTA' RIFLESSE

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    Groningen, Paesi Bassi, riflesse in un canale del fiume Hunze.
    Photo credit: Rayon Hoepel



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    Amsterdam
    Photo credit: Anna Gett, Flickr


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    Milwaukee, sul Lago Michigan (USA)
    Photo credit: Jacob Rostermundt



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    Dresda, in Germania, nella parte settentrionale del fiume Elba
    Photo credit: Manuel Irritier



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    Atlanta, USA
    Photo credit: Joiseyshowaa, Flickr




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    Seoul, Corea del Sud
    Photo credit: Saik Kim



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    Dokkum, Paesi Bassi
    Photo credit: Bas Meelker




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    Philadelphia (Pennsylvania, USA)
    Photo credit: Bill Dickinson





    austin_1154480

    Austin, Texas
    Photo credit: Jrcicolani, Flickr





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    Seattle sul Lago Union
    Photo credit: John G. Cramer




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    Singapore
    Photo credit: WK Cheoh



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    Indianapolis (USA)
    Photo credit: Ken Cave, Flickr



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    Melbourne, Australia
    Photo credit: WanderingintheWorld (LostManProject.com), Flickr

     
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  4. gheagabry
     
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    IAIN CRAWFORD



    Iain Crawford cattura la collisione tra un corpo e una spruzzata di vernice.
    Quando la vernice o la polvere è riversata sui corpi, è tutta una questione di un attimo, giusto un momento per cogliere la bellezza del fluido disegno in movimento. Crawford cerca un filo conduttore nel caos. La sua attesa è elettrica per l’impazienza di vedere ciò che può essere creato dal puro caso.



















     
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    MANIPOLAZIONE FOTOGRAFICA

    Michael Vincent Manalo



    Michael Vincent Manalo ha 26 anni ed è nato a Manila, Filippine. A 22 anni comincia a essere affascinato dalla fotografia. In poco tempo, da autodidatta, impara a realizzare montaggi, a manipolare immagini. I suoi lavori risentono chiaramente dell’influenza della pittura, altra passione di Manalo. Quello che colpisce, tra tutti i temi, delle sue creazioni quasi sempre surreali è l’espressione di un forte legame con la natura, una nostalgia di quel contatto – che l’umanità ha perso strada facendo – con l’essenza del pianeta.











     
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  6. gheagabry
     
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    scatto di Izidor Gasperlin

    L'uomo che non ha fantasia non ha ali per volare.

    (Muhammad Ali)

     
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    Angela Kelly, una fotografa residente a Washington, ha approfittato delle rigide temperature del periodo natalizio per realizzare questi incredibili scatti di bolle di sapone ghiacciate.













    Edited by gheagabry - 15/1/2018, 20:18
     
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  8. gheagabry
     
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    scatto dal web



    Ciò che davvero ci appartiene é solo ciò che
    non possiamo perdere in un naufragio.
    (Rumi)

     
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  9. gheagabry
     
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    scatto di Joel Sartore

    La fotografia trasforma degli attimi importanti della nostra vita in ricordi su carta, da sfogliare , guardare e riguardare.
    Ci sono quei momenti però in cui vorresti avere la capacità di scattare una foto di un ricordo, di una speranza, di un sogno, di un’illusione. Sarebbe magnifico! Quante foto non scattate, quanti momenti non vissuti! La mia vita ne è piena. La fortuna in tutto ciò è che la musica la fotografia e la letteratura si compensano. Perchè l’una vive dove l’altra non arriva. Ed è un circolo che completa e riempie di significato vita, immaginazione, attesa, desiderio, assenza, aspettativa, presente, passato, assurdo materializzato.

    (Anna Pianura)

     
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  10. gheagabry
     
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    scatto di Paul Souders



    Ho fatto delle foto.
    Ho fotografato invece di parlare.
    Ho fotografato per non dimenticare.
    Per non smettere di guardare.
    (Daniel Pennac)

     
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  11. gheagabry
     
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    scatto di Fabriziob, JUZAPHOTO

    "I paesaggi appartengono alle persone che li guardano"

    (Ralph Waldo Emerson)

     
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  12. gheagabry
     
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    «Mi piace il fatto che quando fai un ferrotipo stai facendo una cosa,
    un oggetto fotografico fisico,
    uno che puoi reggere e di cui puoi fare esperienza in un modo diverso.
    Ma amo anche la natura pignola della chimica.
    Ogni lastra è unica nel suo genere».
    (Victoria Hill)


    LA FERROTIPIA


    Maggie Gyllenhaal
    © Victoria Will, Borne Back


    A Park City, nello Utah, si svolge il Sundance Film Festival, il festival di cinema indipendente più famoso al mondo, durante il quale abbondano i ritratti degli attori e delle persone famose che passano di lì. Victoria Will è una dei tanti fotografi che per alcuni anni si è occupata di realizzarli, ma nel 2014 ha scelto di farlo in un modo più originale, cioè con la ferrotipia, una tecnica usata fino alla fine dell’Ottocento che consiste nell’impressione dell’immagine su lastre di metallo rivestite di emulsioni sensibili alla luce.


    Anne Hathaway
    © Victoria Will, Borne Back


    La ferrotipia è un procedimento di stampa fotografica finalizzato alla realizzazione di immagini su lastre di metallo, solitamente ferro, latta o alluminio.

    Il procedimento era molto simile a quello dell'ambrotipia, si stendeva uniformemente del collodio su di una lastra metallica precedentemente annerita, procedendo alla fotosensibilizzazione con del nitrato d'argento ed esposta ancora umida.

    Come prodotto di ampio consumo e utilizzato prevalentemente nelle fiere e da fotografi ambulanti nei paesi, le ferrotipie non erano abbellite da colori o vernici, come invece accadeva con l'ambrotipia o la dagherrotipia.




    La tecnica si basava sull'invenzione di Frederick Archer Scott del collodio umido e che utilizzava lastre di vetro come supporto. La variante della ferrotipia fu inventata nel 1852 dall'americano Adolphe Alexandre Martin, fu perfezionata da Hamilton Smith nel 1856, che utilizzò dell'acciaio smaltato al posto della latta del processo originale.

    La ferrotipia soffriva di problemi ereditati dal supporto metallico su cui l'immagine era impressa. Con il passar del tempo l'umidità arrugginiva il metallo compromettendo l'immagine, così come la flessibilità della lastra provocava distaccamenti del materiale sensibilizzato. La qualità generale dell'immagine era equiparabile a quella dell'ambrotipia.



    Perché la grande rivoluzione democratica della fotografia potesse dirsi completata, anche gli strati sociali più bassi dovevano essere in grado di farsi ritrarre. Uno degli strumenti privilegiati della divulgazione popolare si dimostrò essere la ferrotipia. Questa tecnica nacque in America e si diffuse, affermandosi rapidamente, anche in Europa. Il successo della ferrotipia fu l'economicità e la rapidità del processo, tanto da poter essere utilizzato da improvvisati fotografi di strada, specialmente in Gran Bretagna, che poterono confidare sul più resistente metallo rispetto al vetro dell'ambrotipia. Negli Stati Uniti, durante la guerra civile, il sistema ebbe successo perché i soldati che erano al fronte potevano spedire alle loro famiglie fotografie su supporti resistenti, senza correre il rischio che potessero rompersi nel tragitto (come invece poteva accadere per gli ambrotipi).
    La lastra di metallo poteva anche essere facilmente rifilata per adattarsi a ogni contenitore o album per la visione.
    Il processo fu utilizzato fino alla fine dell'Ottocento, sostituito dai processi fotografici alle emulsioni in gelatina.

     
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    Buon compleanno, mamma foto, fatti vedere...

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    louis-daguerre-dagherrotipo-di-boulevard-du-temple1938

    L'invenzione della fotografia, che oggi compie 180 anni, è la madre occulta della nostra epoca che vive e si sviluppa nella sembianza della realtà fotografica e da ciò che da essa deriva. Senza moralismi, è però necessario prenderne coscienza". Italo Zannier

    Arago-DaguerreHo chiesto al decano degli storici italiani della fotografia di scrivere per Fotocrazia cinque righe di buon compleanno mentre soffiamo sulle 180 candeline della fotografia. Lo ringrazio per la gentilezza.

    In questo 7 gennaio, ma del 1839, il fisico François Jean Dominique Arago, di fronte all'Accademia francese delle scienze, di cui era l'illustre presidente, svelò al mondo l'esistenza concreta e praticabile del primo sistema di produzione di immagini che nella storia dell'umanità facesse a meno del virtuosismo grafico della mano.

    La fotografia in realtà esisteva già da almeno un decennio, e forse qualcuno l'aveva inventata ancora prima: di sicuro esisteva da molto tempo il "bruciante desiderio" di uno strumento nuovo di riproduzione della realtà, adeguato all'era delle macchine.

    Non si può parlare di invenzione, nel caso della fotografia (ma vale per tante altre). Piuttosto di una "nuvola" di invenzioni, ciascuno carente da qualche lato, ciascuna imperfetta, ciascuna in attesa di perfezionamento.

    Se consideriamo inventata la fotografia quando un oggetto lasciò per la prima volta attraverso la luce la sua impronta su una superficie, creando una immagine riconoscibile, allora forse fu inventata da Thomas Wedgwood e Humphrey Davy nei primissimi anni dell'Ottocento: ma quell'immagine di foglie svanì in pochi secondi, annerendosi tutta alla luce.

    Se invece consideriamo inventata la fotografia quando quella impronta cominciò a restare stabile, allora l'inventore della fotografia fu il celebre chimico John Herschel, a cui nessuno incredibilmente aveva chiesto mai nulla, e che reinventò il procedimento, completo di fissaggio, in un pomeriggio.

    Insomma quello che festeggiamo il 7 gennaio è solo l'anniversario di uno svelamento, di una ufficializzazione, sostanzialmente una cerimonia di Stato. Il momento in cui, dopo che alcune decine di inventori più o meno all'insaputa uno dell'altro si erano arrabattati in quella ricerca, uno di loro vinse alla lotteria della storia.

    In realtà festeggiamo una nazionalizzazione, non un'invenzione. Pochi mesi dopo, infatti, lo stato francese perfezionò quel che Arago aveva già in testa: acquistò i diritti di quella invenzione meravigliosa (pagando una pensione a Daguerre e una al figlio dello sfortunato Joseph Nicéphore Niépce, suo socio, morto prima di vedersi riconosiuti gli sforzi) e la regalò al mondo.

    Con la non marginale eccezione dell'Inghilterra, dove zitto zitto Jean-François Mandé Daguerre si procurò un brevetto di esclusiva, forse per ripicca contro il suo rivale pretendente inventore William Henry Fox Talbot (eh ma se non avevi almeno quattro nomi non ti lasciavano entrare, nella storia della fotografia?).

    Ma anche questo litigioso parto genellare fu un pro bono malum, visto che i fotografi d'oltremanica furono così spinti a scegliere il procedimento del loro compatriota, il procedimento negativo-positivo che non solo ha tenuto banco per un secolo e mezzo almeno, ma ha aperto alla fotografia lo sterminato campo della riproducibilità tecnica, senza la quale il dagherrotipo sarebbe rimasto un prezioso gioiellino privato.

    Fu una rivoluzione antropologica, storica, sociale, economica. Mi piace molto "madre occulta", bravo professor Zannier, non ci delude mai.

    Madre sì, madre della proliferazione nucleare delle immagini, della pervasività delle immagini che, a prescindere da quel che crede qualche ottuso ansioso tecnofobo, non è certo nata con "il digitale".

    HiddenMotherMadre occulta perché sembra essere scomparsa sullo sfondo, come scomparendo nella tappezzeria; vediamo fotografie come se ppartenessero all'ambiente naturale, come se non fossero un prodotto culturale, storico, che non è sempre esistito e verosimilmente non sempre esisterà.

    Mamma foto sembra essersi obliterata, nella sua identità storica, per offrire agli sguardi solo sua figlia legittima, la civiltà o inciviltà delle immagini. Mi ricorda una figura creata dalla fotografia stessa, la Hidden Mother, la "madre velata" di migliaia di curiosi ritratti dell'Ottocento, indagati tempo fa da una brava studiosa-artista, Linda Fregni Nagler.

    Da centottant'anni, insomma, vediamo attraverso la fotografia, ma ci dimentichiamo di vedere la fotografia. E questa irruenza che abbiamo, questa foga di gettarci attraverso il rettangolo dell'immagine dentro la realtà che ci sembra sia al di là, è l'origine di tutti i fraintendimenti, le menzogne, le manipolazioni, le strumentalizzazioni ideologiche, politiche, propagandistiche a cui la fotografia si è prestata in questi quasi due secoli, sfruttando appunto la nostra ingenuità di figli inconsapevoli di madre ormai ignota.

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    “Vista dalla finestra a Le Gras”, Nicéphore Niépce, esposta all’Harry Ransom Center dell’Università del Texas di Austin.

    Ha ragione Zannier, la cosa migliore che possiamo fare per togliere dall'ombra la vecchia signora, per levarle quel velo che la confonde con lo sfondo della storia, non è fare qualche discorsetto commemorativo, qualche rievocazione storiografica, qualche bel quadretto cerunavolta.

    Si tratta di prendere coscienza, senza moralismi, che la realtà, come la pensiamo da un secolo e ottant'anni, è una realtà fotografata; anzi una realtà fotografica, di fatto, stante la ovvia constatazione che gran parte delle cose del mondo che riteniamo di avere visto, le abbiamo viste e conosciute solo in fotografia. E tuttavia, pensiamo di averle davvero viste, quelle cose lì. Anche se razionalmente lo sappiamo, finiamo per dimenticare di aver visto solo una "sembianza della realtà" e non una prova, o addirittura la realtà stessa.

    Dunque Fotocrazia non farà, oggi, discorsi commemorativi. Continuerà invece ad aggiungere i suoi centesimi di divulgazione di buone letture affinché, almeno questa è l'intenzione, mettano in moto la consapevolezza che quando guardiamo la fotografia di un fiore, la prima cosa che vediamo è una fotografia, non un fiore.

    Tuttavia, se proprio vi sentite orfani di celebrazioni, potrebbe piacervi tornare a quel discorso solenne che il 7 gennaio del 1939 lo Stato francese affidò, per il centenario dell'invenzione, non a un fotogafo, non a un fotologo, ma a un poeta: Paul Valéry, che lo lesse da una cattedra della Sorbona. In quella ventina di pagine ci sono già, e restano ancora, molte cose preziose e trascurate.

    Ve ne ricordo solo una. Riguarda il rapporto così problematico tra fotografia e realtà. Che Valéry risolve in una domanda ingenua e inattaccabile: "Quel fatto che mi hai raccontato, poteva essere fotografato? Tutto il resto è letteratura".

    Michele Smargiassi, www.repubblica.it - 7 gennaio 2019


    Come tutte le grandi invenzioni, la fotografia ha tanti compleanni: il 1827, quando Joseph Nicéphore Niépce scatta un’immagine dalla veduta dalla sua finestra a Le Gras, utilizzando una lastra di rame ricoperta di una soluzione fotosensibile, oppure il 1841 quando l’inglese William Fox Talbot adoperò per la prima volta un negativo di carta, avviando l’era della riproducibilità tecnica. O ancora il 7 gennaio del 1839, quando lo studioso Francois Arago presentò all’Accademia francese di Scienze il lavoro di Louis Daguerre: oggi dunque, la fotografia, compirebbe 180 anni.
    (www.lastampa)

     
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    Il bacio della vita

    Questa premiata foto del 1967, scattata da Rocco Morabito, è stata intitolata "il bacio della vita". mostra due operatori elettrici, Champion Randall e JD Thompson, in cima a un palo di elettricità. Hanno fatto la manutenzione di routine quando champion ha sfiorato una delle linee a bassa tensione nella parte superiore del palo di elettricità. Più di 4.000 volt sono entrati nel corpo di Champion e istantaneamente si è fermato il cuore (una sedia elettrica utilizza circa 2.000 volt).

    La sua imbracatura di sicurezza ha evitato una caduta, e Thompson, che stava salendo sotto di lui, rapidamente lo ha raggiunto e si è realizzato il respiro bocca a bocca. Non è stato in grado di effettuare la rianimazione cardiopolmonare, date le circostanze, ma ha continuato la respirazione bocca a bocca, mantenendo attivi i polmoni di Champion fino a quando non ha sentito un leggero battito, poi si è sbottonato l'imbracatura ed è scesa con lui sulla sua spalla.

    Thompson e altri lavoratori hanno realizzato rcp per terra a Champion, il cui respiro e il battito cardiaco sono stati gradualmente ripristinati. Poi sono arrivati i paramedici e il recupero di Champion è stato completo. Il suo compagno gli aveva salvato la vita con quello che nella foto sembra un bacio. Champion è sopravvissuto e ha vissuto fino al 2002, quando è morto di insufficienza cardiaca all'età di 64. Thompson continua a vivere.

    La fotografia è stata pubblicata sui giornali di tutto il mondo e ha vinto il premio Pulitzer nel 1968.

    "Ci sono amici che non sono amici,
    E ci sono amici che sono più che fratelli."

     
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193 replies since 23/11/2010, 01:57   3997 views
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