Giorgio Gaber, cantautore, attore e commediografo italiano
Giorgio Gaber al secolo Giorgio Gaberscik (Milano, 25 gennaio 1939 – Montemagno di Camaiore, 1º gennaio 2003) è stato un cantautore, attore e commediografo italiano.
In realtà, qualsiasi definizione risulta inadeguata a un personaggio così eclettico, affettuosamente chiamato "il Signor G" dai suoi estimatori. È stato anche un chitarrista di vaglia, tra i primi interpreti del rock and roll in italiano (tra il 1958 e il 1960).
Molto apprezzate sono state anche le sue performance come autore ed attore teatrale; è stato iniziatore, assieme a Sandro Luporini, del 'genere' del teatro canzone.
A Giorgio Gaber è dedicato il rinnovato auditorium sotterraneo del Grattacielo Pirelli, a Milano.
Biografia
Gli esordi
Nasce a Milano da una famiglia veneta borghese, ma non agiata; i genitori si sono conosciuti e sposati in Veneto (madre veneta e padre istriano di origini slovene), successivamente si sono trasferiti in Lombardia in cerca di fortuna, dove è nato il piccolo Giorgio.
Inizia a suonare a causa di un infortunio al braccio sinistro (con rischio paralisi) che impone un'attività costante ai fini della rieducazione motoria: considerato che lo stato generale di salute del ragazzo non era tra i migliori e che il fratello maggiore Marcello suona la chitarra, si pensa di avviarlo allo stesso strumento.
L'idea dà buoni risultati, sia sotto il profilo medico che sotto quello artistico, e a 15 anni Gaber viene scritturato per un veglione di capodanno, riscuotendo il primo cachet di 1.000 lire.
La sua carriera artistica inizia come chitarrista nel gruppo Ghigo e gli arrabbiati, band che nasce all'Hot Club di Milano; l'esordio del gruppo arriva al festival jazz di Milano nel 1954. Dopo due anni di serate entra nei Rock Boys, il gruppo di Adriano Celentano, in cui al pianoforte suona Enzo Jannacci.
Comincia nel 1958 la carriera solista, incidendo il brano Ciao ti dirò (scritto da Giorgio Calabrese e Gianfranco Reverberi) per la neonata Dischi Ricordi; si tratta di uno dei primi brani rock in italiano e gli frutterà la prima apparizione televisiva alla trasmissione Il Musichiere.
Conosce in questo periodo Luigi Tenco, trasferitosi a Milano da Genova per incidere anche lui alla Dischi Ricordi, con cui compone alcuni brani sviluppando parallelamente anche un'intensa amicizia.
Nel 1958 Gaber e Tenco partecipano, insieme ad Enzo Jannacci, Paolo Tomelleri e Gianfranco Reverberi, ad una tournée di Adriano Celentano in Germania.
Forma poi con Enzo Jannacci un duo, I Due Corsari, debuttando nel 1959 con il 45 giri 24 ore/Ehi! Stella ed incidendo alcuni 45 giri; tutte queste canzoni sono state raccolte in un album pubblicato dalla Family, sottoetichetta della Ricordi, ed intitolato Giorgio Gaber - Enzo Jannacci (in nessuno dei 45 giri era invece riportato il loro nome), album pubblicato nel 1972.
Il successo
Dopo i primi 45 giri, raggiunge il successo nel 1960 con Non arrossire; sempre nello stesso anno incide la sua canzone più conosciuta tra quelle del primo periodo, La ballata del Cerutti, con il testo di Umberto Simonetta.
Altri successi del periodo Ricordi sono Trani a gogò, Goganga, Porta Romana, che gli fruttano molte apparizioni televisive.
Dopo un sodalizio sentimentale-artistico con la cantante e attrice Maria Monti, nel 1965 Gaber sposa Ombretta Colli, allora studentessa di lingue orientali (cinese e russo) all'Università Statale di Milano.
Nel 1966 nasce la loro unica figlia, Dalia.
Partecipa a quattro edizioni di Sanremo: nel 1961 con il brano "Benzina e cerini" (scritto tra gli altri da Enzo Jannacci), nel 1964 presenta Così felice; nel 1966 con uno dei suoi successi più grandi, Mai, mai, mai (Valentina), e infine nel 1967 con ...E allora dai!; questi ultimi due brani sono incisi per la Ri-Fi, etichetta a cui è passato dopo aver abbandonato la Ricordi e per cui pubblica nel 1965 un album insieme a Mina (con cui nel 1969 effettuerà anche un tour), Mina & Gaber: un'ora con loro.
Inoltre si classifica al secondo posto al 14° Festival della Canzone Napoletana nel 1966 con il brano di Alberto Testa e Giordano Bruno Martelli 'A Pizza, eseguito in abbinamento con Aurelio Fierro; sempre in questo periodo contribuisce al lancio di Franco Battiato.
Nel 1967 partecipa alla quarta edizione del Festival delle Rose con il brano Suona chitarra, presentato in abbinamento con Pippo Franco.
L'anno successivo partecipa alla commedia musicale western per la televisione: Non cantare, spara, nei panni di un "cantastorie meticcio" che canta la "Ballata di Abilene" e riassume le puntate precedenti, all'inizio di ognuna delle 8 puntate.
Sempre nel 1968 passa alla Vedette, con cui incide altri successi come Torpedo blu (nello stesso anno), Come è bella la città, esempio di inserimento di tematiche sociali nella canzone e Il Riccardo (entrambe nel 1969) e Barbera e champagne (nel 1970).
Nei primi spettacoli teatrali riprenderà alcune di queste canzoni. La svolta teatrale: il Signor G
« La libertà non è star sopra un albero, / non è neanche il volo di un moscone... / la libertà non è uno spazio libero,/ libertà... è partecipazione. »
(Giorgio Gaber, La libertà, 1972)
Sul finire degli anni '60, Gaber comincia a maturare uno stile più aggressivo, impegnato politicamente, testimoniato dagli album L'asse di equilibrio del 1968 e Sexus et politica.
Nel 1970, al Piccolo teatro di Milano, si presenta con la prima felice edizione de "Il Signor G", un recital che avrebbe portato in molte piazze italiane nelle numerose ripetute edizioni.
Questo è il momento di svolta nella sua carriera: Gaber rinuncia all'enorme successo televisivo e porta la "canzone a teatro" (creando il genere del teatro canzone); passato alla Carosello, pubblica da questo momento in poi dischi con le registrazioni degli spettacoli teatrali alternati spesso con album registrati in studio..
In teatro, Gaber si sente più libero: i testi (quasi interamente scritti con il suo amico pittore Sandro Luporini) si caratterizzano per l'intelligenza dello sviluppo di molte tematiche sociali e politiche, spesso controcorrente; Gaber si fa più aggressivo e arrabbiato e, in nome di un personalissimo spessore artistico, si scaglia contro le ipocrisie della destra e della sinistra italiana.
Nel 1974 gli viene consegnato il Premio Tenco nella prima edizione della rassegna musicale; ha ricevuto anche la Targa Tenco nel 2001 per il brano La razza in estinzione e nel 2003 per l'album Io non mi sento italiano. Gli spettacoli del periodo 1970-1974
Il primo periodo del Teatro-canzone vede un Gaber in linea di massima entusiasta dei movimenti e delle istanze di rivoluzione che caratterizzano quegli anni.
Il primissimo approccio al palcoscenico, lo spettacolo Il signor G (da cui viene tratto disco omonimo), sebbene non abbia contenuti esplicitamente politici, già annuncia i temi fondamentali che caratterizzeranno l'intero lavoro del cantautore: il bisogno di individuare una coscienza collettiva che soddisfi in pieno le istanze individuali, la critica ai luoghi comuni e agli aspetti più vergognosi e censurati di quegli anni.
Dopo I borghesi, album in studio da ricordare per l'omonimo brano, per una cover da Jacques Brel, Che bella gente, per una reincisione di La chiesa si rinnova con un nuovo testo e per il brano originale L'amico, con Dialogo tra un impegnato e un non so, Gaber prosegue il proprio discorso, affrontando in maniera originale ed emozionante argomenti quali la disumanizzazione dell'individuo nel mondo capitalizzato (L'ingranaggio, Il pelo) e la presa di distanza da moralisti e intellettuali.
In Far finta di essere sani (di cui non viene pubblicata la registrazione dello spettacolo, ma un doppio disco contenente solo le canzoni senza monologhi), infine, nonostante si sottolinei una certa incapacità di far collimare i propri ideali con il vivere quotidiano, è il forte slancio utopistico, che ha il suo culmine nel brano Chiedo scusa se parlo di Maria a dominare la scena.
È questo lo spettacolo che conclude il periodo più "ottimista" della discografia teatrale di Gaber: da qui in avanti, infatti, il cantattore prenderà gradualmente le distanze da un movimento ormai incapace di aggregare gli individui se non cedendo al processo di massificazione.
Gli spettacoli del periodo 1974-1980
È questo forse il periodo più critico e di rottura dell'intera produzione gaberiana: da qui in avanti sarà difficile, per i movimenti di sinistra, quelli cioè che si erano fatti portavoce delle istanze rivoluzionarie di quegli anni, monopolizzare il personaggio Giorgio Gaber.
Anche per oggi non si vola è il primo spettacolo ad insinuare il dubbio che il bisogno di cambiamento avvertito in quegli anni si stia dissolvendo in una sorta di moda o di atteggiamento di comodo: pezzi come Il coniglio, Angeleri Giuseppe, L'Analisi, La realtà è un uccello, smascherano con pungente ironia l'incapacità di proporre nel quotidiano dei veri e propri cambiamenti.
Libertà obbligatoria mette invece in maggiore rilievo il progressivo spegnersi ed allontanarsi del movimento nato dal 1968, attraverso canzoni come I reduci, Il delirio, Le elezioni e Si può; è questo l'ultimo spettacolo con gli arrangiamenti di Giorgio Casellato.
Polli d'allevamento è il recital della vera e propria svolta: in un vortice di critiche crescenti che hanno il loro culmine in La festa e Quando è moda è moda, le mezze misure vengono abbandonate per lasciare posto all'assoluto distacco da tutto ciò che è stato, come se si sentisse il bisogno di isolarsi da una società in caduta libera per recuperare frammenti di individualità, di vera rivoluzione: tale spettacolo scatenerà una grande ondata di sdegno da parte di quelle aree del mondo politico che avevano sempre tentato di tenere sotto controllo l'uragano mediatico scatenato dal Teatro-canzone.
Musicalmente gli arrangiamenti sono curati da Franco Battiato e Giusto Pio, e si staccano notevolmente da quelli precedenti.
Da questo spettacolo in poi Gaber pubblica tre dischi in studio, allontanandosi dalle scene teatrali: il primo è l'album Pressione bassa del 1980, il secondo è Io se fossi Dio, pubblicato nello stesso anno dalla F1 Team come disco mix inciso solo da un lato, per il rifiuto della Carosello, ed infine, nel 1981, Anni affollati.
Da ricordare in particolare Io se fossi Dio, con cui Gaber si consacra definitivamente come libero pensatore, in lotta con qualsiasi parte politica: la canzone è uno sfogo che incarna i disagi di molti italiani, disillusi ma arrabbiati, ed esplica la sfiducia nei confronti dell'uomo che Gaber, sui modelli letterari di Louis-Ferdinand Céline e Giacomo Leopardi, applica al teatro canzone.
Questo gusto per le invettive intelligenti e dissacranti non lo abbandonerà più, consegnando al pubblico canzoni come "Io non mi sento italiano" o "Il potere dei più buoni".
Gli spettacoli degli anni '80
Lo spettacolo Anni affollati, del 1982 (pubblicato però su disco con il titolo Il teatro di Giorgio Gaber) è un recital più conciso e colto, ma non per questo meno tagliente.
Già dal pezzo di apertura, Anni affollati, appunto, si riesce a percepire il distacco che ormai si è creato fra il fervore degli anni Settanta e l'attuale condizione sociale; quasi tutti i monologhi prendono spunto da particolari estremamente divertenti ed irriverenti (La masturbazione, L'anarchico) per giungere a conclusioni terribili e disperate (Il porcellino).
Ed infine, quando l'insostenibile peso dell'ipocrisia pare aver fatto traboccare il vaso, tutto l'astio verso le idiozie e le bassezze del mondo viene riversato nella spietata ed apocalittica invettiva della già citata Io se fossi Dio.
Nella stagione teatrale 1982-1983 Gaber per la prima volta abbandona il teatro-canzone, e scrive ed allestisce una commedia in due atti, Il caso di Alessandro e Maria, che verrà messo in scena insieme a Mariangela Melato: il tema è quello del rapporto di coppia, anche se non mancano accenni alla realtà sociale degli anni '80.
Nel 2009 la commedia verrà ripresentata da Luca Barbareschi insieme a Chiara Noschese.
Lo stesso tema, il rapporto di coppia, verrà affrontato anche in Parlami d'amore Mariù, lo spettacolo del 1987; prima, però, Gaber trova il tempo per un'estemporanea reunion con Enzo Jannacci in cui, rievocando I Due Corsari con un look rivisto e corretto in stile Blues Brothers, realizzano un Q Disc intitolato Ja-Ga Brothers.
Riprende quindi l'alternanza tra dischi in studio e dischi tratti dagli spettacoli: a Gaber del 1984, album da ricordare almeno per Benvenuto il luogo dove, segue lo spettacolo Io se fossi Gaber con il relativo doppio album nel 1985, con caratteristiche antologiche (alle canzoni nuove e ai nuovi monologhi si alterna materiale degli spettacoli precedenti come le elezioni, Il dilemma o La pistola); viene pubblicato poi l'anno successivo Piccoli spostamenti del cuore e, nel 1987, il già citato Parlami d'amore Mariù.
Durante il suo fertile periodo di attività teatrale, rare sono state le volte in cui il signor G si è presentato sul piccolo schermo: ricomparirà in televisione solo negli anni ottanta e novanta, con molte partecipazioni a spettacoli di intrattenimento di massa.
Ricordiamo le tre puntate di Blitz, condotto da Gianni Minà, due nel 1983, in cui esegue Le elezioni e Quello che perde i pezzi) ed una nel 1984, in cui presenta Benvenuto il luogo dove; Fantastico 5, presentato da Pippo Baudo ed Heather Parisi, in cui esegue Oh mamma e Pressione bassa; Taormina Arte nel 1987, in cui canta I soli.
Il decennio si conclude con il ritorno di Gaber ad uno spettacolo in prosa, il secondo dopo Il caso di Alessandro e Maria: si tratta di Il Grigio, lungo monologo pubblicato anche su disco.
Gli anni '90
Il nuovo decennio si apre con uno spettacolo antologico, intitolato Il teatro canzone, che ripercorre tutta la storia dei vent'anni precedenti di Gaber, non disdegnando anche di ripescare nei bis alcune canzoni degli anni '60 come Barbera e champagne (accompagnata nel ritornello dai cori del pubblico) e Non arrossire.
Giorgio Gaber è il primo album di Giorgio Gaber, pubblicato nel 1961.
Il disco
Il disco racchiude cinque canzoni già pubblicate su 45 giri nel biennio precedente (salvo Le strade di notte, uscita quasi in contemporanea all'album), quattro inediti (Una lettera, Il girasole rosso, Il borsellino e la valigia e La cartolina colorata) e nuove versioni di Una fetta di limone (già incisa da Gaber insieme ad Enzo Jannacci nel duo i Due Corsari), Buonanotte tesoro e Benzina e cerini.
La copertina raffigura un primo piano dell'artista, ed è curata da Daniele Usellini; all'interno, impaginato come un libro, vi sono una presentazione del disco curata da Franco Belli e un breve scritto di Gaber stesso, oltre a diverse fotografie. Trattandosi del primo long playing in assoluto, esso doveva costituire, secondo i criteri della Casa discografica, una sorta di panoramica generale dell'artista, anche con registrazioni in diretta appositamente effettuate. Sulla copertina è riportata la dicitura "Special", caratteristica comune ad altri LP della Ricordi di quel periodo (come ad esempio il primo album di Gino Paoli, anch'esso diviso tra recenti successi da singolo e brani rifatti).
Il titolo è stato ristampato nel 1965 nella serie economica della Ricordi, con numero di catalogo MRP 9016, e con copertina diversa, non più apribile. Nel 2004 è uscita la prima (e a tutt'oggi unica) ristampa su CD, che riprende fronte e retro della prima edizione.
Tracce
LATO A
* Non arrossire (testo di Mogol e Maria Monti; musica di Giorgio Gaber e Davide Pennati) * Una fetta di limone (testo di Umberto Simonetta; musica di Giorgio Gaber) * Una lettera (testo di Maria Monti; musica di Giorgio Gaber) * Buonanotte tesoro (testo e musica di Giorgio Gaber) * Il girasole rosso (testo di Maria Monti; musica di Giorgio Gaber) * Genevieve (testo e musica di Giorgio Gaber)
LATO B
* Le strade di notte (testo di Calibi; musica di Giorgio Gaber e Renato Angiolini) * La ballata del Cerutti (testo di Umberto Simonetta; musica di Giorgio Gaber e Renato Angiolini) * Il borsellino e la valigia (testo di Franco Belli; musica di Giorgio Gaber) * Benzina e cerini (testo di Calibi; musica di Giorgio Gaber e Enzo Jannacci) * La cartolina colorata (Il coscritto) (testo di Maria Monti; musica di Giorgio Gaber e Renato Angiolini) * La conchiglia (testo di Giorgio Calabrese; musica di Giorgio Gaber)
da Wikipedia foto:courtesy of vitodallatorre.blogspot.com
Le strade di notte mi sembrano più grandi e anche un poco più tristi è perchè non c'è in giro nessuno. Anche i miei pensieri di notte mi sembrano più grandi e forse un poco più tristi è perchè non c'è in giro nessuno. Voglio correre a casa voglio correre da te e dirti che ti amo che ho bisogno di te. Speriamo che tu non dorma già, mi spiacerebbe svegliarti. è perchè non c'è in giro nessuno. Voglio correre a casa voglio correre da te e dirti che ti amo che ho bisogno di te. Speriamo che tu non dorma già, mi spiacerebbe svegliarti.
Buonanotte tesoro dormi e fa sogni d'oro buonanotte tesoro qui con me amor. Già riposi amore gli occhi hai chiuso già ed il tempo vola nell'oscurità. Io non dormo penso a te so che sogni forse sogni me. Buonanotte tesoro dormi e fa sogni d'oro buonanotte tesoro qui con me amor. Buonanotte tesoro dormi e fa sogni d'oro buonanotte tesoro qui con me amor.
La Ballata del Cerutti (Io ho sentito molte ballate, quella di Tom Dooley, quella di Davy Crocket, e sarebbe piaciuto anche a me scriverne una così. Invece, invece niente, ho fatto una ballata per uno che sta a Milano, al Giambellino. Il Cerutti, Cerutti Gino.) Il suo nome era Cerutti Gino ma lo chiamavan Drago. Gli amici al bar del Giambellino dicevan che era un mago. Vent'anni, biondo, mai una lira. Per non passare guai fiutava intorno che aria tira e non sgobbava mai. Il suo nome era Cerutti Gino ma lo chiamavan Drago. Gli amici al bar del Giambellino dicevan che era un mago. Una sera, in una strada scura, "occhio, c'e' una lambretta". Fingendo di non aver paura il Cerutti monta in fretta. Ma che rogna nera quella sera. Qualcuno vede e chiama. Veloce arriva la pantera e lo vede, la madama. Il suo nome era Cerutti Gino ma lo chiamavan Drago. Gli amici al bar del Giambellino dicevan che era un mago. Ora è triste e un poco manomesso, si trova al terzo raggio. È lì che attende il suo processo, forse vien fuori a Maggio. S'è beccato un bel tre mesi il Gino, ma il giudice è stato buono. Gli ha fatto un lungo fervorino, è uscito col condono. Il suo nome era Cerutti Gino ma lo chiamavan Drago. Gli amici al bar del Giambellino dicevan che era un mago. È tornato al bar Cerutti Gino e gli amici nel futuro, quando parleran del Gino, diran che è un tipo duro.
E io che ancora mi innamoro come uno scemo perché l’innamorarsi è uno specifico dell’uomo spudorato mi accosto all’incerto dei tuoi richiami sono io che deliro e tu che ami. Non so dove ora tu sia giunta cara indimenticabile Maria che all’inizio degli anni Settanta conoscesti la rabbia e l’ironia. Avevi il dono assai inconsueto di ridere persino del tuo mito e l’intuizione di una strana fede per cui una cosa è vera soltanto quando non ci si crede. Perché per credere davvero bisogna spesso andarsene lontano e ridere di noi come da un aeroplano. Se tu fossi davvero esistita cara indimenticabile Maria fin da allora potevo imparare a congiungere il vero e la bugia. E nelle notti massacranti riempite di parole intelligenti e nell’angoscia della vita ho in mente ancore l’eco della tua risata. Perché per vivere davvero bisogna spesso andarsene lontano e ridere di noi come da un aeroplano. Forse sei solo un’ipotesi di donna forse sono esagerati i sentimenti e i mille spunti che mi dài se è vero che si tratta di una Maria che non conobbi mai. Ma so che a me piace pensarti cara indimenticabile Maria come fossi davvero esistita col tuo gusto di amare e andare via. Perché persino nell’amore nell’eccellenza del soffrire nella violenza di una litigata eri così coinvolta e così distaccata. Perché per credere all’amore davvero bisogna spesso andarsene lontano e ridere di noi come da un aeroplano. E che la logica assurda del tempo questo tempo che tutto porta via riesca almeno a salvare il tuo nome Maria.
Chiedo scusa se parlo di Maria
Chiedo scusa se parlo di Maria non del senso di un discorso, quello che mi viene non vorrei si trattasse di una cosa mia e nemmeno di un amore, non conviene. Quando dico "parlare di Maria" voglio dire di una cosa che conosco bene certamente non è un tema appassionante in un mondo così pieno di tensione certamente siam vicini alla pazzia ma è più giusto che io parli di Maria la libertà Maria la rivoluzione Maria il Vietnam, la Cambogia Maria la realtà. Non è facile parlare di Maria ci son troppe cose che sembrano più importanti mi interesso di politica e sociologia per trovare gli strumenti e andare avanti mi interesso di qualsiasi ideologia ma mi è difficile parlare di Maria la libertà Maria la rivoluzione Maria il Vietnam, la Cambogia Maria la realtà. Se sapessi parlare di Maria se sapessi davvero capire la sua esistenza avrei capito esattamente la realtà la paura, la tensione, la violenza avrei capito il capitale, la borghesia ma la mia rabbia è che non so parlare di Maria la libertà Maria la rivoluzione Maria il Vietnam, la Cambogia Maria la realtà. Maria la libertà Maria la rivoluzione Maria il Vietnam, la Cambogia Maria la realtà Maria la realtà Maria la realtà.
Questa è la storia di uno di noi anche lui nato per caso in via Gluck in una casa fuori città gente tranquilla che lavorava. Là dove c'era l'erba ora c'è una città e quella casa in mezzo al verde ormai dove sarà Questo ragazzo della via Gluck si divertiva a giocare con me ma un giorno disse: "vado in città" e lo diceva mentre piangeva io gli domando: "amico non sei contento? vai finalmente a stare in città là troverai le cose che non hai avuto qui. Potrai lavarti in casa senza andar giù nel cortil". "Mio caro amico" disse "qui sono nato e in questa strada ora lascio il mio cuore ma come fai a non capire che è una fortuna per voi che restate a piedi nudi a giocare nei prati mentre là in centro io respiro il cemento ma verrà un giorno che ritornerò ancora qui e sentirò l'amico treno che fischia così....". Passano gli anni ma otto son lunghi però quel ragazzo ne ha fatta di strada ma non si scorda la sua prima casa ora coi soldi lui può comperarla torna e non trova gli amici che aveva solo case su case catrame e cemento Là dove c'era l'erba ora c'è una città e quella casa in mezzo al verde ormai dove sarà Là dove c'era l'erba ora c'è una città e quella casa in mezzo al verde ormai dove sarà
Il secolo che sta morendo è un secolo piuttosto avaro nel senso della produzione di pensiero. Dovunque c'è, un grande sfoggio di opinioni, piene di svariate affermazioni che ci fanno bene e siam contenti un mare di parole un mare di parole ma parlan più che altro i deficienti. Il secolo che sta morendo diventa sempre più allarmante a causa della gran pigrizia della mente. E l'uomo che non ha più il gusto del mistero, che non ha passione per il vero, che non ha coscienza del suo stato un mare di parole un mare di parole è, come un animale ben pasciuto. E pensare che c'era il pensiero che riempiva anche nostro malgrado le teste un po' vuote. Ora inerti e assopiti aspettiamo un qualsiasi futuro con quel tenero e vago sapore di cose oramai perdute. Va' pensiero su l'ali dorate va' pensiero su l'ali dorate. Nel secolo che sta morendo si inventano demagogie e questa confusione è il mondo delle idee. A questo punto si può anche immaginare che potrebbe dire o rinventare un Cartesio nuovo e un po' ribelle un mare di parole un mare di parole io penso dunque sono un imbecille. Il secolo che sta morendo che sembra a chi non guarda bene il secolo del gran trionfo dell'azione nel senso di una situazione molto urgente, dove non succede proprio niente, dove si rimanda ogni problema un mare di parole un mare di parole e anch'io sono più stupido di prima. E pensare che c'era il pensiero era un po' che sembrava malato, ma ormai sta morendo. In un tempo che tutto rovescia si parte da zero e si senton le noti dolenti di un coro che sta cantando. Vieni azione coi piedi di piombo vieni azione coi piedi di piombo.
Questa mattina mi sono alzato, o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao! Questa mattina mi sono alzato ed ho trovato l'invasor. O partigiano, portami via, o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao! Bel partigiano, portami via, che mi sento di morir. E se io muoio da partigiano, o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao! E se io muoio da partigiano, tu mi devi seppellir. E seppellire lassù in montagna, o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao! E seppellire lassù in montagna sotto l'ombra di un bel fior. E le genti che passeranno o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao! E le genti che passeranno Mi diranno «Che bel fior!» «È questo il fiore del partigiano», o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao! «È questo il fiore del partigiano morto per la libertà!»
Disco rimasterizzato in CD da BMG Ricordi nel 2004. Raccolta dei singoli 1961/64.
Tracce:
1. Così felice 2. Un bacio a metà 3. Amore mio 4. Una stazione in riva al mare 5. Noi due stupidi 6. Quei capelli spettinati 7. Porta Romana 8. Le nostre serate 9. Trani a gogo 10. Ferma gli occhi nel vuoto 11. Gli amici 12. E la città non lo sa
Video
Così felice
da placidomin6
Con questo brano Giorgio Gaber partecipò per la seconda volta al Festival di Sanremo in coppia con la cantante Patricia Carli: era il 1964 e la canzone, tanto per cambiare, venne subito eliminata. La canzone descrive un sano innamoramento, cioè conoscenza poco alla volta, senza fretta, anche se tutto può cominciare solo per gioco.
Dieci anni senza il Signor G Nannini: «Rivoglio il tuo profumo» Nel gennaio 2003, se ne andava Giorgio Gaber. Oggi, in tributo alla sua memoria, 50 artisti interpretano le sue canzoni. E Renato Zero gli scrive una poesia
Ci sono due sedie su un palco Rai, in televisione, immagini di repertorio di fine 2001. Adriano Celentano fa a Giorgio Gaber, con il sorriso suo divertito: «Guarda che Giorgio Gaber... Giorgio Gaber, tra nove anni, non se lo ricorda più nessuno». Il Signor G allora allarga le braccia: «Facciamo almeno dieci, dai».
Qualche mese dopo, all'inizio del 2003, Giorgio Gaber sarebbe morto come la storia ha raccontato: a 63 anni, nella sua casa di Montemagno di Camaiore, provincia di Lucca, dopo una lunga malattia a cui aveva dedicato anche una canzone che già dal titolo non ne nascondeva il nome, Il cancro.
Questi dieci anni sono passati. E più di qualcuno si ricorda chi è Giorgio Gaber. Gli altri che, per ragioni anagrafiche, hanno perso l'occasione di averci a che fare, oggi possono recuperare, grazie al lavoro della Fondazione Gaber che nei «dieci anni senza lui» ha preparato e prodotto un triplo cd tributo, Io ci sono. Cinquanta artisti che l'hanno amato, ascoltato, festeggiato al Festival teatro canzone Giorgio Gaber a Viareggio, o anche solo rimpianto senza conoscerlo - da Mina a Emma, da Gianni Morandi a Ivano Fossati - interpretano le sue canzoni.
L'album (in uscita il 13 novembre) si apre con Ciao ti dirò, la prima incisa da Gaber nel 1958 e (destino ha voluto) l'ultima cantata dal vivo prima della scomparsa, e si chiude con Non insegnate ai bambini, interpretata da Laura Pausini.
Gianna Nannini dice che «Giorgio era un vero godimento in tutti i sensi: sentivi l'odore, di Gaber». Cesare Cremonini regala agli amici la musica che ci ha lasciato: «Mi sono accorto che mi mancava, nell'educazione, un insegnamento, un riferimento culturale così profondo». Nel cofanetto Deluxe, Renato Zero gli dedica una poesia: «Grazie ancora all'attore al regista/al talento dell'illusionista/a quell'uomo col naso dovunque/e la testa poggiata sul mondo/per averci fornito l'esempio/per averci incantato vivendo/all'amore con cui ti sei dato/al pudore col quale sei andato». E c'è un pezzo inedito di Lucio Dalla, che canta Torpedo blu.
Grande assente, Eros Ramazzotti, che non se l'è sentita perché non aveva connessioni con lui, se non d'affetto per la figlia del maestro, Dalia Gaberscik, che condivide con noi la memoria più privata, il dietro le quinte di uno scatto in cui sono loro due, padre e bambina, spalle a un cancello, le mani dietro la nuca. «Mio papà (lo chiama solo così, ndr) quel giorno mi ha presa per mano e mi ha portata in via Frescobaldi, vicino casa nostra, a Milano. Mi ha messa lì. E non faceva che dirmi: "Dai, dai, mettiti come me, mettiti come me, così"».
Gaber l'ho incrociato tardi. Però lui è riuscito lo stesso a farmi innamorare: della sua forza incontenibile, del suo acume, di quel talento difficilmente eguagliabile. E della sua capacità di parlarci dell'oggi. Motivo per cui credo che bisognerebbe comunque provarci, a riportare in scena quanto ha scritto. Anche se non è facile. Ma penso a quanto è importante ascoltare, ad esempio, un monologo come «La paura». Un testo che parla di noi, di questo nostro momento in cui viviamo nella paura. E non mi riferisco soltanto ai fatti di cronaca, come del resto non lo faceva Gaber. È una questione più legata a come è fatta la nostra società: a come viviamo, a come riusciamo o non riusciamo più a stare insieme agli altri.
Nel monologo lui sembra raccontare null'altro che un momento banale, in cui sta per incrociare un uomo per la strada. Ed invece gli si scatenano dentro tutte le sue paure, da quella dell'estraneo a mille altre… Eppure la prima volta che l'ho sentito, l'unica congettura che non avevo considerato tra le tante che feci sul possibile finale della vicenda, è che Gaber in conclusione potesse incontrare semplicemente una persona. Un uomo.
Ma proprio questo disarmante finale del brano è la sua preoccupante attualità. Perché Gaber si riferiva già allora (era il 1978, ndr) alla nostra paura del prossimo, all'odierno timore di socializzare, di gestire rapporti normali. All'incapacità di fidarsi degli altri.
Un altro brano che esemplifica quanto mi abbia dato Gaber è «Il dilemma». Anche se è un testo un po' disincantato, direi un po' troppo… al maschile. Sicuramente la stessa storia io la racconterei in modo diverso, forse più romantico, perché sono una donna.
Ma il punto è la verità del contenuto della canzone. Una canzone meravigliosa, una canzone d'amore, anch'essa però capace di chiudersi spiazzando: con una decisione dura figlia di un'analisi profonda, per quanto estrema, del rapporto uomo-donna. E pure dal punto di vista femminile, nel «Dilemma» ci si trova tantissimo, di vero. Anche il vero di cui non vorremmo mai parlare.
Io continuo a pensare che l'impatto che Gaber era capace di dare a queste sue riflessioni semplici solo in apparenza resti ineguagliabile. Ci vorrebbero il talento e la forza comunicativa che aveva lui.
Però ascoltandolo si impara.
E chissà che nel tempo noi artisti che lo prendiamo a modello non riusciamo, crescendo, a fare cose simili alle sue. A catturare il pubblico per comunicargli temi profondi legati alla quotidianità in un modo almeno un poco vicino a quello di cui era capace Giorgio Gaber. (Paola Cortellesi)
Tratto da «Gaber, Giorgio, il Signor G. Raccontato da intellettuali, amici, artisti» Kowalsky, 2008