FONTAMARA DI IGNAZIO SILONE, SCHEDA LIBRO

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.  
    .
    Avatar

    Millennium Member

    Group
    Administrator
    Posts
    112,793
    Location
    Milano

    Status
    Offline
    Fontamara di Ignazio Silone, scheda libro

    TIPOLOGIA: Testo narrativo

    ANNO DI PUBBLICAZIONE: 1933

    AUTORE

    Ignazio Silone (pseudonimo di Secondo Tranquilli) è nato a Pescina dei Marsi (L’Aquila) il 1° Maggio 1900, dalla tessitrice Marianna Delli Quadri e dal piccolo proprietario terriero Paolo Tranquilli.
    Ha frequentato il ginnasio nel seminario della diocesi dell'Aquila. A quindici anni, rimasto senza genitori e senza casa a causa del terremoto della Marsica, ha proseguito gli studi presso il Liceo di Reggio Calabria dove si è diplomato. Non si è mai laureato, perché, come egli stesso ha scritto, i medici gli avevano dato poco tempo di vita (era malato di tisi) e perché poi si è dedicato alla politica. Essendo rimasto senza famiglia, Silone è andato a vivere nel quartiere più povero del comune ed ha cominciato a frequentare la baracca, dove aveva sede la Lega dei contadini.
    Nel 1921 ha partecipato alla fondazione del Partito Comunista Italiano. L’anno seguente è diventato direttore del giornale romano “L’avanguardia” e redattore del giornale triestino "Il Lavoratore”.
    Membro della direzione del PCI, attivista clandestino accanto a Gramsci, ha lavorato per "L'Unità". Denunciato più volte e braccato dalla polizia è fuggito in Francia, Spagna, Unione Sovietica.
    Nel Maggio 1927 ha partecipato con Togliatti alle riunioni del Komintern che hanno portato alla condanna e all'espulsione di Trotzki dando tutto il potere a Stalin. Quelle drammatiche decisioni lo hanno mandato in crisi e lo hanno portato a lasciare il comunismo e il PCI nel 1930.
    Si è poi stabilito in Svizzera, dove è rimasto fino all'autunno 1944; è diventato scrittore e per dieci anni non si è occupato attivamente di politica.
    Ha pubblicato "Fontamara", "Pane e Vino", "Il seme sotto la neve", "La scuola dei Dittatori". Nel 1941 ha ricostituito a Zurigo, insieme a Modigliani, il Centro Estero Socialista, ha pubblicato "L'Avvenire dei Lavoratori" che ha introdotto clandestinamente in Italia con grande successo.
    Nell'Ottobre 1944, insieme a Modigliani, è rientrato in Italia ed è diventato direttore del quotidiano “L’Avanti!". E’ stato eletto all'Assemblea Costituente, ha rifiutato di candidarsi alle Politiche del 1948.
    Nel 1949 è stato tra i fondatori del PSU (Partito Socialista Unitario).
    Nel 1978, dopo una lunga malattia, Silone è morto in una clinica di Ginevra, fulminato da un attacco cerebrale. E’ stato sepolto a Pescina dei Marsi, "ai piedi del vecchio campanile di San Bernardo", senza epigrafe sulla tomba, come aveva voluto.

    NARRATORE

    Nella premessa, il narratore è lo stesso autore Silone. Le vicende, invece, sono raccontate all’autore da tre fontamaresi (Giuvà, Matalè e il loro figlio), fortunatamente scampati al massacro.

    I PERSONAGGI

    Silone fa innanzitutto una distinzione fra il bene e il male, identificati con i cafoni e i galantuomini. Tutti i cafoni non vanno considerati singolarmente, ma come un gruppo di persone sottoposte allo stesso triste destino, descritte spesso in un modo piuttosto comico, che riflette purtroppo la loro condizione: l’ignoranza, la povertà, la fiducia ingenua nelle autorità, la diffidenza nei confronti del governo. Con la cultura, i galantuomini possono ingannarli senza difficoltà; per fortuna i fontamaresi hanno anche la “furbizia contadina” che consiste nel trarre vantaggio anche da situazioni molto sfavorevoli, ad esempio quando si fanno pagare da don Circostanza per i voti dei morti.

    CARATT. CULTURALE Þ I cafoni sono ignoranti, sono per lo più analfabeti: sano fare solo la propria firma. La mancanza di istruzione impedisce loro di capire il discorso del cav. Pelino, e tale incomprensione è origine di molti mali.
    Anche la politica risulta estranea ad essi: non sanno, infatti, nulla del regime fascista allora al potere, e quando devono gridare “Viva chi?” non sanno cosa dire.

    CARATT. SOCIALE Þ Il vivere sociale per i cafoni si articola in tre ambiti:
    1) ambito religioso
    2) ambit politico
    3) ambito dei rapporti interpersonali
    1) I cafoni hanno una religiosità marcata che però viene vissuta in modo superstizioso e si esplica in una profonda devozione verso i santi.
    2) Nonostante siano fiduciosi nelle autorità, quando si rendono conto del carattere dittatoriale del governo fascista, nasce in loro una forte diffidenza verso quest’ultimo.
    3) I cafoni si sentono presi di mira dagli altri contadini: infatti, quando subiscono torti, pensano di essere vittima di scherzi organizzati dagli abitanti dei paesi limitrofi.

    CARATT. ANTROPOLOGICA Þ I cafoni si comportano in modo molto impulsivo senza pensare alle conseguenze delle proprie azioni, agendo, però, sempre in buona fede.
    Tra i cafoni spesso nascono tafferugli e liti anche in momenti molto delicati; nonostante questo, però, essi rimangono molto uniti perché le loro azioni frequentemente avvengono di comune accordo.
    Non si può dire, però, che i cafoni abbiano autonomia d’azione, essi si fanno anche trascinare molto dalle decisioni altrui, per esempio quando il primo cafone firma il foglio al cav. Pelino tutti, uno dopo l’altro, lo seguono.
    Sono inoltre piuttosto ingenui, infatti si fidano di tutti fino a quando capiscono di essere stati ingannati e allora diventano molto diffidenti.

    Solo Berardo Viola si distingue tra i cafoni per la sua dinamicità: prima è presentato come un ribelle, poi comincia a pensare solo ai fatti suoi, quando ha intenzione di rifarsi la terra per sposare Elvira; ed infine, alla morte di Elvira, sarà il primo cafone a sacrificarsi per gli altri.
    Berardo appare come l’eroe dei fontamaresi, in particolare dei giovani.
    La storia della sua famiglia sembra riservargli una vita piena di difficoltà che egli supera come un lottatore.
    Berardo ha un forte attaccamento alla terra e un ancora più grande amore nei confronti di Elvira.
    Berardo pensa che un cafone senza terra non sia tale, infatti vede la proprietà come il segno della dignità di un uomo, per questo motivo cerca a tutti i costi di guadagnare qualcosa per comprarsi la terra e in seguito sposare Elvira.
    Questo amore è un sentimento ardente, e il giovane diventa violento nei confronti di chi osa mettere gli occhi sulla sua donna.
    Quindi anche il personaggio di Elvira è molto importante, perché è il motore delle azioni di Berardo. Questa donna ha un carattere molto forte, si arrenderà solo dopo l’assalto dei fascisti al paese, questo avvenimento la porterà a consacrare la propria vita alla Madonna.
    Berardo cambia modo di comportarsi a seconda del luogo in cui si trova, ma una caratteristica accomuna tutti i suoi modi di agire: quella di essere ribelle.
    Nella prima parte del libro questo suo spirito è inconsapevole (cioè la sua ribellione è dettata solo dal suo carattere) ma, dopo aver conosciuto il Solito Sconosciuto, Berardo diventa un ribelle consapevole e questo suo modo di comportarsi si trasforma in una vera e propria cultura politica, che lo porterà alla decisione di sacrificarsi per la causa dei cafoni.
    Sua madre appare come una donna rassegnata al destino di suo figlio che, se non avesse conosciuto Elvira, avrebbe potuto seguire una brutta strada.
    Tra i galantuomini, spiccano anche altri personaggi dai nomi molto allusivi: il ricco proprietario don Carlo Magna, l’Impresario, l’avvocato ed ex sindaco don Circostanza, il cav. Pelino, rappresentante del governo fascista, Innocenzo La Legge e don Abbacchio, che gode della fiducia dei cafoni, ma è sempre dalla parte dei galantuomini.
    Don Circostanza appare come un personaggio che vuole aiutare i fontamaresi ma in realtà anche lui come tutti gli altri, cerca di ingannarli. Sa sfruttare le circostanze a suo vantaggio, cosa che si può intuire anche dal nome.
    I cafoni sono molto legati a lui, che però li imbroglia senza che i fontamaresi se ne accorgano.
    Don Abbacchio è l’unico prete, che talvolta andava a celebrare la messa a Fontamara.
    E’ più interessato a mantenere buoni i rapporti con i nobili che ad aiutare i poveri come un prete , dovrebbe fare.

    AMBIENTAZIONE STORICA

    La vicenda si svolge nel corso di un’estate all’epoca della dittatura fascista negli anni ’30. In un primo momento i fatti si svolgono a Fontamara, nelle campagne e nei paesi vicini. Nell’ultima parte del romanzo l’azione si sposta a Roma.
    Il regime fascista viene criticato dall’autore.
    I fascisti vengono presentati come personaggi negativi che fanno di tutto per imbrogliare e beffeggiare i fontamaresi.
    Nel romanzo si possono trovare tutti i modi di agire dei fascisti verso i contadini e gli oppositori al regime: soprusi, imbrogli, violenze.

    CONTENUTO

    La vicenda è ambientata in un paese della Marsica, nell’Appennino abruzzese, a cui l’autore dà il nome di Fontamara.
    La scala sociale del paese conosce solo due condizioni: quella dei “cafoni”, i contadini a cui spesso vengono espropriate le terre e spesso oggetto di torti e ingiustizie, e quella dei “galantuomini”, i piccoli proprietari.
    Il fascismo è giunto al potere, ma i fontamaresi non ne sono informati finché, un giorno, arriva al villaggio il cav. Pelino, un graduato della Milizia che con un raggiro convince i cafoni a firmare un foglio bianco. Quel foglio diventerà in seguito un documento che permetterà al podestà di appropriarsi del ruscello di Fontamara, privando i contadini dell’acqua necessaria alla coltivazione. Troppo tardi i cafoni comprenderanno il tranello e potranno solo rassegnarsi al proprio misero destino. Di fronte agl’inganni i cafoni non sano come reagire: vorrebbero ribellarsi, ma ne temono le conseguenze e soprattutto non si uniscono in un’azione comune, perché ciascuno pensa ai propri interessi e non vuole compromettersi. Solo Berardo Viola, il cafone più forte, lotta contro le istituzioni per il bene di tutti, ma i fontamaresi non lo seguono. Una sera giungono a Fontamara i fascisti e compiono ogni sorta di violenze, senza che nessuno si ribelli. Un giorno i cafoni vengono convocati ad Avezzano, insieme ai cittadini dei paesi vicini, solo per osannare le autorità al loro passaggio, invece che, come promesso, per discutere dei problemi riguardanti la spartizione delle terre del Fucino. In questo modo sono nuovamente truffati dal podestà che si appropria delle terre. Dopo questa ed altre beffe, l’atteggiamento dei Fontamaresi nei confronti degli inganni, che avevano sempre accettato passivamente, sembra cambiare. Tuttavia, mentre Scarpone, il cafone che caratterialmente si avvicina di più a Berardo, incita alla rivolta i compaesani, viene meno proprio l’adesione di Berardo, il quale, nonostante le suppliche di Scarpone, decide di partire per Roma insieme al figlio di Giuvà, (il cafone che racconta le vicende a Silone). Berardo adesso ha i propri interessi da difendere: si è innamorato di Elvira, desidera sposarla, ma per farlo deve prima trovare un lavoro. A Roma però, nonostante la sua buona volontà, parecchi ostacoli burocratici gli impediscono di trovare un’occupazione. Berardo viene arrestato insieme all’Avezzanese, un oppositore del regime. Giunta la notizia della morte di Elvira, proprio quando la vita di Berardo pare un fallimento, egli imprime una svolta al corso degli eventi: si sacrifica perché le vicende dei cafoni siano rese note a tutti dai giornali clandestini, diretti appunto dall’Avezzanese. Berardo si presenta come il Solito Sconosciuto, un misterioso partigiano che va in giro per l’Italia ad incitare cittadini e cafoni alla rivolta contro il Governo, proprio per far scarcerare il Solito Sconosciuto. All’Avezzanese Berardo illustra il genere di soprusi di cui erano state vittime i fontamaresi, e che erano stati pubblicati su di un giornale clandestino. Nel frattempo Berardo, torturato perché riveli i nomi dei suoi complici, muore atrocemente in carcere diventando il simbolo dei fontamaresi. La notizia del suo presunto suicidio arriva a Fontamara. I cafoni prendono un impegno politico denunciando le prepotenze del regime fascista, sotto forma di un giornale, intitolato da Scarpone “Che Fare?”. La protesta si risolve nell’intervento armato dei fascisti che uccidono gli abitanti di Fontamara e ne provocano la dispersione , questi però sono ora più consapevoli della loro condizione e della necessità di cambiare le cose. Tutta una famiglia si salva e, dopo un lungo pellegrinaggio, raggiunge Silone per raccontargli la triste avventura dei cafoni di Fontamara.

    GIUDIZIO

    Il romanzo, essendo una verità storica, esprime una denuncia contro ogni torto subito ingiustamente. Inoltre Silone, confinato in Svizzera, esprime il suo disprezzo personale nei confronti della dittatura fascista. Silone invita tutti gli oppressi (in primo luogo, ovviamente, i suoi contemporanei) a ribellarsi contro ogni ingiustizia, o almeno a provarci, visto che ciò è riuscito anche ai poveri cafoni di Fontamara, da secoli abituati a patire passivamente i torti altrui. Lo stile della narrazione è molto coinvolgente e realistico e colpisce l’ironia dell’autore nel raccontare le tristi vicende dei cafoni di Fontamara.
    Devo dire che questo libro mi è piaciuto, anche se in alcuni casi l’autore vede la vita in modo troppo pessimistico infatti nel romanzo tutte gli avvenimenti e tutte le persone sono contro i cafoni , questi non trovano nessuno, a parte l’Avezzanese , che è disposto ad aiutarli.
    Le cose che ho apprezzato di più sono il modo di scrivere di Silone chiaro e lineare e il fatto che l’autore ha avuto il coraggio di comporre un’opera contro l’atroce e ingiusta dittatura fascista.

    OSSERVAZIONI

    Nel libro si possono individuare caratteristiche simili a quelle dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni.
    Nel nostro testo i personaggi sono i cafoni, nei Promessi Sposi gli umili.
    Come Manzoni, Silone entra nella narrazione, la sua presenza è chiara. La storia dei cafoni è la sua storia, non perché è figlio di cafoni, ma perché quella è la parte sociale alla quale idealmente si riallaccia, e quelle terre sono le sue terre, quelle dalle quali è dovuto emigrare per ragioni politiche. Però i suoi cafoni non somigliano agli umili di Manzoni. La cultura, in entrambi i testi, viene usata come sopruso, i cafonisubiscono raggiri dai galantuomini , gli umili daglin acculturati come Azecca –Garbugli..
    Molti personaggi di Fontamara hanno caratteristiche simili a quelle dei protagonisti dei Promessi Sposi.
    Uno di questi è Berardo che in alcuni tratti assomiglia a Fra Cristoforo, perché non sopporta i soprusi da parte dei ricchi e si ribella. Queste ingiustizie sono compiute dall’Impresario che, quindi, svolge il ruolo di Don Rodrigo.
    Berardo, inoltre ha alcune caratteristiche simili a quelle di Renzo, infatti quando conosce Elvira vuole a tutti i costi sposarla e cerca di superare tutti gli ostacoli che gli impediscono di farlo.
    La sua fidanzata, Elvira, ha lo stesso carattere di Lucia, infatti tutte e due arrossiscono spesso e hanno una grande fede, il personaggio di Fontamara però in molti casi appare più deciso di quello dei Promessi Sposi infatti anche lei come tutte le donne del paese cerca di ribellarsi ai sopprusi.
    Lo Stato Fascista assomiglia molto al villaggio di Don Rodrigo, per esempio due caratteristiche simili sono le ingiustizie che avvengono all’interno di entrambi e il mantenimento del potere attraverso la violenza; di conseguenza le squadre fasciste che attaccano Fontamara hanno lo stesso ruolo dei bravi al servizio di Don Rodrigo.
    Don Abbacchio, come Don Abbondio, è interessato ad avere un buon rapporto con i nobili a costo di venir meno al suo dovere di aiutare i poveri.
    Infine, ho trovato una certa somiglianza tra Don Circostanza e Azzecca-Garbugli: entrambi sono avvocati e hanno la capacità di sfruttare qualsiasi circostanza a proprio vantaggio.



    TITOLO: Fontamara

    PRIMA PUBLICAZIONE: 1933 Zurigo

    GENRE LETTERARIO: Romanzo

    AUTORE: Ignazio Silone

    Ignazio Silone (pseudonimo di Secondo Tranquilli), nasce a Pescina dei Marsi, in provincia dell’Aquila, il 1° Maggio del 1900. Figlio di un piccolo proprietario terriero e d’una tessitrice, compì i primi studi nel paese nativo e si trasferì successivamente a Roma per frequentarvi i corsi liceali. Rimasto orfano a quindici anni in seguito al terremoto della Marsica, dovette interrompere gli studi per guadagnarsi da vivere. Fu allora che nacque quel legame di solidarietà con la povera gente della terra d’Abruzzo che fin da quegli anni spinse Silone verso il movimento socialista, da lui sempre inteso come fedeltà all’uomo, come liberazione della persona da ogni alienante asservimento. Fu un precoce ribelle e la sua rivolta contro la vecchia società e i “poteri costituiti” assunse presto la forma di una contestazione globale. Prese parte attiva alla propaganda contro la guerra, fu il redattore dell’“Avanguardia” divenne amico personale e collaboratore di Antonio Gramsci, accanto al quale si trovò a Livorno nel 1921, quando venne fondato il partito comunista italiano. Dopo l’avvento del fascismo e le leggi eccezionali del 1925, divenne attivista clandestino del medesimo partito ridotto all’illegalità. Denunciato e ricercato fu costretto a fuggire all’estero, pur continuando a ricoprire cariche di grande responsabilità politica per cui, ad esempio si trovò a Mosca nel Maggio del 1927, al fianco di Palmiro Togliatti, nella riunione del Comintern che preparò l’espulsione e anche l’eliminazione fisica di Trotskij a di Zinoviev. Un momento particolarmente drammatico nella storia del movimento operaio internazionale, il momento della reale presa del potere da parte di Stalin. Per Silone fu il momento della rottura con il partito comunista: una rottura che si compì a distanza di tre anni, ma che si consumò in quei giorni moscoviti. Nel 1930, dimessosi dal partito e stabilitosi a Davos, un centro montano della Svizzera Silone scrisse il suo primo romanzo, Fontamara, storia dell’arrivo del fascismo in uno sperduto villaggio della Marsica. Dopo Fontamara pubblicò, sempre all’estero, Pane e vino (1937), La scuola dei dittatori (1938), Il seme sotto la neve (1940). Dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale accettò l’incarico di costituire in Svizzera, con la collaborazione di Modigliani, il Centro estero socialista, tornando così all’attività politica organizzativa. Questa ebbe un prolungamento in Italia, con il rientro dall’esilio avvenuto nell’Ottobre del 1944. Silone fu cooptato nella direzione del partito socialista e venne nominato direttore dell’“Avanti!”, che vantò in quel periodo la più alta tiratura tra i quotidiani italiani. Fu anche eletto deputato alla Costituente. Nel ’48 rifiutò di presentarsi candidato alle elezioni e decise di dedicarsi interamente al suo lavoro di scrittore. Morì a Ginevra nel 1978.

    RIASSUNTO:

    Per molto tempo a Fontamara si pensò che non l’avrebbero mai fatto, ma dato che da molto tempo nessuno pagava più le bollette la corrente elettrica fu staccata. Nei primi giorni ciò creò grande scompiglio, ma dopo poco i fontamaresi si abituarono a questa nuova condizione e tutto tornò come prima.
    La sera in cui la luce venne tagliata arrivò a Fontamara un forestiero che fece firmare agli abitanti un foglio di carta, bianco. Il giorno seguente arrivarono alcuni cantonieri con pale e picconi per deviare il corso d’acqua che riforniva la riserva idrica del paese e convogliarne le acque sulle terre dell’Impresario.
    Le donne partirono allora alla volta del capoluogo per protestare contro questo sopruso. I cantonieri, vedendo arrivare verso di oro una fitta schiera di persone che sollevavano un gran polverone, scapparono e si rifugiarono nelle vigne. Giunte al capoluogo le donne andarono al comune e chiesero di parlare col sindaco. Dopo essere state a lungo derise, senza che esse ne conoscessero il motivo, furono informate che il sindaco non esisteva più e che al suo posto c’era il podestà, l’Impresario.
    Le fontamaresi si recarono allora all’abitazione dell’Impresario ma non lo trovarono. All’interno si stava però svolgendo una festa per la nomina dell’Impresario a podestà. Più tardi arrivò anche l’Impresario ma non prestò attenzione alle donne di Fontamara, che tentavano invano di far valere le loro ragioni, perché era troppo occupato a inveire con gli operai che erano vicino a lui.
    Intervenne allora don Circostanza che cercò di operare una mediazione. Alle fontamaresi venne spiegato che i fogli da loro firmati il giorno precedente erano una petizione per la deviazione del ruscello e con un giro di parole vennero convinte ad accettare la seguente proposta: tre quarti dell’acqua del ruscello al podestà ed ai fontamaresi i tre quarti dell’acqua che restava.
    Nei giorni seguenti i cantonieri sotto la protezione di due guardie armate ripresero a scavare il nuovo percorso del fiume. A Fontamara si discusse a lungo su come fosse possibile dividere il ruscello in quello strano modo, ma nessuno aveva l’istruzione necessaria per sciogliere quell’imbroglio.
    Una mattina arrivò a Fontamara un camion e il conducente invitò i contadini a salire, dicendo che quel giorno le autorità avrebbero preso delle decisioni riguardo alla questione del Fucino e che loro, insieme a molti altri, avrebbero assistito. Il camion giunse ad Avezzano e i Fontamaresi, assieme agli altri cafoni vennero fatti sedere nella piazza. Ogni volta che passava qualche autorità i carabinieri li facevano alzare ed essi dovevano emettere grida di gioia. Più tardi tutti i contadini vennero invitati a tornare ai camion che li avrebbero riportati ai paesi di provenienza.
    I fontamaresi però decisero di scoprire come fosse stata risolta la questione del Fucino, ma soprattutto se a loro fosse stata assegnata della terra. Con loro grande delusione scoprirono che, non solo non gli era stata assegnata la terra, ma che questa era stata data ai contadini ricchi e tolta a tutti i piccoli fittavoli. Ad Avezzano essi furono anche avvicinati da un uomo, il quale li intimava alla ribellione contro il governo e disse loro di aspettalo in quel luogo se la sua proposta fosse loro interessata. Un giovane che aveva sentito il discorso li mise in guardia avvisandoli che quello era un poliziotto e disse loro di allontanarsi da lì.
    Una sera arrivarono a Fontamara moltissimi camion carichi di uomini armati, vestiti con camicie nere. Essi perquisirono tutte le case e radunarono tutti gli uomini nella piazza. Dopo averli radunati e circondati un uomo con la fascia tricolore chiese loro, ad uno ad uno: - Chi evviva?
    I fontamaresi non avevano la più pallida idea di cosa rispondere e andarono per tentativi. Nessuna delle loro risposte soddisfaceva però quell’uomo il che, in base alle risposte date li definiva: refrattari, anarchici, socialisti, comunisti, costituzionali, liberali. La situazione venne salvata dal degenero grazie all’astuzia di due donne che sfruttando un abito bianco ed il suono di una campana inscenarono una visione biblica, spaventando le camice nere.
    Arrivò alla fine il giorno della spartizione delle acque, in cui i fontamaresi impararono finalmente la soluzione della complessa formula ideata da don Circostanza; l’acqua destinata ai campi di Fontamara era i tre quarti del quarto non deviato verso le terre dell’Impresario. Di fronte a quest’ennesimo sopruso i contadini protestarono, ma un nuovo intervento di don Circostanza li sedò; si stabilì che il dominio dell’Impresario sulle acque di Fontamara sarebbe durato dieci lustri, una misura temporale equivalente a cinquanta anni, visto che la dicitura in termini annuali era parsa così sgradevole per i cafoni… che tanto per cambiare non capirono nulla.
    Berardo Viola, un robusto giovane di Fontamara, restato senza terra e lavoro si diresse a Roma per trovare il denaro necessario a sposare la ragazza amata, Elvira. Giunto alla capitale con un ragazzo del paese riesce soltanto a farsi arrestare quando la polizia si informa sulla sua provenienza e lo scova in una latteria a bere con il solito sconosciuto che ad Avezzano mise in guardia i fontamaresi contro la retata.
    Nel buio di una cella, Berardo e lo sconosciuto si accordarono per includere Fontamara nelle stazioni di stampa dell’antifascismo. Purtroppo però Berardo ed il compaesano restarono i cella, mentre lo sconosciuto venne liberato. Gli interrogatori della polizia si susseguirono, mentre dall’esterno la continua produzione di volantini sul caso di Berardo attirarono velocemente su Fontamara una violenta repressione, che incluse anche i due carcerati. Berardo venne ucciso ed il ragazzo, pur di salvarsi la vita, depose di averlo trovato impiccato.
    Tornato a Fontamara il ragazzo vide l’attuarsi dell’accordo che era costato la vita a Berardo; Fontamara venne arricchita di apparecchi per la stampa dei volantini abusivi. Recatisi a portare uno dei primi prodotti della stampa a dei familiari, il ragazzo e la sua famiglia, i narratori di tutti questi soprusi, furono gli unici superstiti alla violenta repressione che le camicie nere attuarono al paese. I sobillatori antifascisti permisero la fuga della famiglia all’estero.

    CARATTERIZZAZIONE DEI PERSONAGGI:

    INNOCENZO LA LEGGE: cursore del comune, rischia la vita ogni volta che deve portare qualche foglio delle tasse a Fontamara.

    GENERALE BALDISSERA: è “il saggio” del paese. Quasi sempre ha una spiegazione, più o meno razionale, ai fatti che accadono al paese.

    MARIETTA: proprietaria della taverna del paese e vedova di un eroe di guerra. Non si risposa perché così perderebbe la pensione di vedova di eroe.

    Cav. PELINO: incaricato dall’Impresario, fa firmare ai fontamaresi dei fogli bianchi che si riveleranno poi una petizione per la deviazione del loro ruscello sulle terre dell’Impresario.

    BERARDO VIOLA: uomo di imponente stazza fisica, autore di molte azioni di vendette contro i soprusi e grande lavoratore. É innamorato di Elvira ma il suo orgoglio gli impedisce di sposarla perché, anche se fa di tutto per ottenerne, egli non possiede terra.

    ELVIRA: promessa di Berardo, offrirà la sua vita alla madonna per la salvezza di Berardo.

    don CIRCOSTANZA: detto l’amico del popolo, finge di essere amico dei fontamaresi per convenienza, ma ad ogni occasione li raggira per fare i propri interessi o quelli altrui.

    l’IMPRESARIO: uomo arrivato nella zona del Fucino che, grazie all’appoggio di una banca e delle autorità, si impossessa di tutto quanto possibile, con mezzi più o meno leciti.

    ROSALIA: moglie dell’impresario, vestita alla cittadina, con una testa da uccello da preda, con un corpo lungo e secco.

    Don CARLO MAGNA: proprietario terriero decaduto, noto buontempone, donnaiolo, giocatore, bevitore, mangione, uomo pauroso e fiacco, scialacquatore.

    CLORINDA: moglie di don Carlo Magna, vestita di nero, era soprannominata il Corvo.

    don ABBACCHIO: canonico grasso e sbuffante, col collo gonfio di vene, il viso paonazzo.

    TEOFILO: timoroso sacrestano, morirà suicida impiccandosi alla corda di una campana.

    FILIPPO IL BELLO: cantoniere, fa parte del gruppo di camicie nere che assalgono Fontamara.

    AMBIENTE:

    I fatti narrati si svolgono a Fontamara, nome dato ad un antico e oscuro paesino di contadini poveri situato nella Marsica, a settentrione del prosciugato lago di Fucino, nell’interno di una valle, a mezza costa tra le colline e la montagna. Fontamara somiglia per molti aspetti ad un piccolo villaggio meridionale, un po’ fuori mano, tra il piano e la montagna, fuori dalle vie del traffico e quindi un po’ più arretrato, misero e abbandonato degli altri. A chi sale a Fontamara dal piano del Fucino, appare disposto sul fianco della montagna grigia brulla e arida come una gradinata. Dal piano sono ben visibili le porte e le finestre della maggior parte delle case: un centinaio di casucce quasi tutte a un piano, irregolari, informi, annerite dal tempo e sgretolate dal vento, dalla pioggia, dagli incendi, coi tetti mal coperti da tegole e rottami d’ogni sorta. La maggior parte di quelle catapecchie non hanno che un’apertura che serve da porta, da finestra e da camino. Nell’interno, per lo più senza pavimento, con i muri a secco, abitano, dormono, mangiano, procreano, talvolta nello stesso vano, gli uomini, le donne, i loro figli e gli animali. La parte superiore di Fontamara è dominata dalla chiesa (dedicata a San Rocco) col campanile ed una piazzetta a terrazzo alla quale si arriva per una ripida via che attraversa l’intero abitato, e che è l’unica via da dove posano transitare i carri. Ai fianchi di questa vi sono stretti vicoli laterali, per lo più a scale, scoscesi, brevi, coi tetti delle case che quasi si toccano e lasciano appena scorgere il cielo. A chi guarda Fontamara da lontano, l’abitato sembra un gregge di pecore scure e il campanile il pastore. Un villaggio insomma come tanti altri.

    COMMENTO:

    L’opera, di chiaro stampo antifascista, cerca di ricostruire e di evidenziare i soprusi cui erano costretti i poveri sotto il regime. Quello che ne emerge come prodotto è un libro impostato sullo schema del racconto popolare, basato sull’accostamento di diversi aneddoti e dicerie in tipico stile verista.
    Personalmente, vista la quasi totale mancanza nell’opera di suspense o stimoli alla lettura, non l’ho decisamente apprezzata… anche e soprattutto perché oggigiorno determinati aspetti della nostra storia patria possono essere approfonditi molto meglio con letture specifiche e consulte ad archivi giornalistici o statali. Un libro come questo risulta fondamentalmente noioso, spesso anche irritante per la totale inazione letteraria che ne forma le fondamenta.


    RACCONTO :

    Fontamara, pubblicata a Zurigo, in tedesco, nel 1933, è una delle più clamorose opere di questo secolo. Il romanzo di Ignazio Silone, conosciuto in tutto il mondo, è ignorato in patria per vent’anni.
    Narra la storia di un paese della Marsica, scelto come simbolo dell’universo contadino.
    Nel libro vi è la lotta di Silone contro l’ingiustizia e gli abusi del potere istituzionale, fra i "cafoni" e i borghesi e la sua funzione è sia di denuncia per l’oppressione e i soprusi subiti dai contadini abruzzesi, sia di auspicio per la formazione di una coscienza sociale senza rassegnazioni.
    Nel racconto, le catastrofi naturali e le ingiustizie diventano così antiche da sembrare un’eredità dei padri e della terra.
    Ogni trasformazione tecnologica e sociale del mondo, oltre il confine di quei monti, viene vista dai "cafoni" di Silone come uno spettacolo da osservare.
    Fontamara diventa la storia corale degli emarginati, visti nel momento in cui rifiutano la fissità della loro condizione ed entrano in conflitto con la "società degli integrati", ossia quella fascista.
    Il portavoce di questa nuova coscienza è il "cafone" Berardo Viola, trascinato nella lotta, per raggiungere la fratellanza evangelica.
    La sua morte è il sacrificio necessario per propagare la fede e la giustizia che i Fontamaresi raccolgono per chiedersi insieme "che fare?".
    Silone nell’introdurre il romanzo dice che racconterà strani fatti che si svolsero nel corso di un’estate a Fontamara.
    Fontamara somiglia a ogni villaggio meridionale,che sia un po’ fuori mano, fuori dalle vie del traffico, quindi un po’ più arretrato e misero degli altri.
    Silone ha però dato questo nome a un antico luogo di contadini poveri situato nella Marsica, a settentrione del lago di Fucino, nell’interno di una valle.
    Allo stesso modo, i contadini poveri, i cafoni, si somigliano in tutti i paesi del mondo, eppure non si sono ancora visti due poveri in tutto identici.
    A Fontamara prima veniva la semina, poi l’insolfatura, poi la mietitura e poi la vendemmia e nessuno avrebbe mai pensato che quell’antico modo di vivere potesse cambiare.
    La scala sociale non conosce a Fontamara che due pioli: la condizione dei cafoni e, un pochino più su, quella dei piccoli proprietari.
    I più fortunati tra i cafoni di Fontamara possiedono un asino o a volte un mulo.
    Arrivati all’autunno, dopo aver pagato i debiti dell’anno precedente, essi devono cercare in prestito cibo per non morire di fame nell’inverno.
    L’opera racconta che, nel giugno dell’anno precedente a quello della pubblicazione del libro, Fontamara rimase per la prima volta senza illuminazione elettrica, così avvenne nei mesi seguenti, finchè il paese si riabituò al regime del chiaro di luna.
    I vecchi di Fontamara sapevano che la luce elettrica e le sigarette erano novità che erano state portate dai piemontesi, e che, poco dopo, gli stessi piemontesi si erano riprese.
    La luce elettrica nessuno infatti la pagava, poiché mancava il denaro e il cursore comunale non si era neppure presentato, come ogni anno, con le fatture e gli arretrati, fogli che i Fontamaresi usavano per usi domestici.
    L’ultima volta, che il cursore era andato a Fontamara, per poco non vi lasciava la pelle.
    La luce quindi in giugno venne tolta e tutto il paese si sconvolse, poiché la miseria stava per diventare sempre più nera.
    Intanto gli uomini si radunarono davanti alla cantina del paese e videro arrivare verso di loro un forestiero, il Cav. Pelino, con una bicicletta e pensarono che si trattasse di una nuova tassa.
    L’uomo spiegò che non si trattava di nuove tasse, ma servivano solo delle firme da mandare al Governo.
    Il Cav. Pelino cercò pretesti per discutere, ma i Fontamaresi non risposero e si burlarono di lui.
    Lo straniero partì con la sua bicicletta, urlando che il Governo si sarebbe occupato di loro e che presto avrebbero avuto sue notizie.
    I Fontamaresi, però, non fecero caso alle parole del Cav. Pelino, si diedero la buona notte e si avviarono verso casa, mentre Berardo, uno degli amici, continuò il giro del paese.
    Il giorno dopo, all’alba, tutta Fontamara fu in subbuglio per un malinteso. All’entrata del paese, sotto una macera di sassi, sgorgava una polla d’acqua, simile a una pozzanghera, dove i Fontamaresi avevano sempre tratto l’acqua per irrigare i campi che erano la magra ricchezza del villaggio.
    La mattina del 2 giugno, i cafoni scesero la collina per andare al lavoro e s’incontrarono con un gruppo di cantonieri, arrivati a Fontamara con pale e picconi per deviare l’acqua nei campi del ricco don Carlo Magna.
    Subito i cafoni pensarono a una burla, poiché gli abitanti del capoluogo non lasciavano mai passare le occasioni per beffarsi dei Fontamaresi.
    Un ragazzo tornò allora in paese ad avvertire gli altri, ma gli uomini erano al lavoro e quindi dovette chiamare le donne.
    Queste si radunarono e quando arrivarono dai cantonieri, questi si spaventarono e scapparono.
    Le donne proseguirono, poi, verso il capoluogo, dove arrivarono a metà giornata, stanche e impolverate. Intanto, davanti al municipio, le guardie cominciarono a gridare di non farle entrare, poiché avrebbero solo portato pidocchi. Queste affermazioni fecero scoppiare risate generali e burla verso le povere donne, addirittura anche la fontana del paese si burlò di loro e appena si avvicinavano questa smetteva di far scorrere acqua.
    I carabinieri le accompagnarono poi a casa del Podestà appena eletto: era l’impresario che era arrivato nel paese da poco e si era impadronito di ogni affare importante.
    Arrivati alla villa, la moglie del podestà disse che suo marito era sul cantiere con gli operai e quindi le donne si diressero là.
    Ma, arrivate al cantiere, non lo trovarono e allora decisero di andare da Don Carlo Magna, ma seppero che le sue terre erano anche state acquistate dall’impresario. Camminarono molto e giunsero di nuovo davanti alla casa dell’impresario, dove vi era in corso un ricevimento per la nuova nomina a Podestà e chiesero di essere ascoltate circa l’acqua del ruscello.
    Dopo varie discussioni il segretario del comune decise che tre quarti dell’acqua dovessero andare ai Fontamaresi e i rimanenti tre quarti all’impresario.
    Nei giorni seguenti i cantonieri ripresero i lavori, mentre nessuno riusciva a capire che proporzione potesse essere quella dei tre quarti e tre quarti.
    Questa disputa valse l’onore della visita di Don Abbacchio, il canonico di Fontamara.
    Arrivò su una biga tirata da un bel cavallo, che apparteneva all’impresario, e quindi i Fontamaresi capirono che anche il canonico si stava burlando di loro.
    Al tempo dell’irrigazione mancavano ancora molte settimane, ma le zuffe e le discussioni per l’acqua erano già iniziate.
    Intanto arrivò la decisione di Berardo Viola, cafone rimasto senza terra, di partire e far fortuna in America, poiché ormai si riteneva tradito da tutti.
    L’unico a incoraggiarlo a partire era Don Circostanza, antico curato del paese, che pensava che se l’uomo fosse rimasto a Fontamara, sarebbe stato arrestato.
    Il giorno della partenza arrivò, ma, a causa di una nuova legge, fu sospesa tutta l’emigrazione e così Berardo rimase a Fontamara come un cane sciolto e sofferente.
    Berardo voleva la terra a tutti i costi, gli spettava di diritto come cafone, ma fu destinato a non averne mai.
    L’uomo doveva anche sposarsi, ma, non potendo partire, non osava presentarsi alla fidanzata.
    Trovò lavoro da bracciante fuori da Fontamara e faticava parecchio, ma un bel giorno Berardo dovette tornare a Fontamara poiché era stata istituita una nuova tessera per andare a Roma, di cui era sprovvisto, poiché era a pagamento.
    L’amarezza di Fontamara aumentò con l’arrivo di Innocenzo La Legge che assicurò che non si trattava di una nuova tassa, ma era lì per parlare del Cav. Pelino, che aveva riferito al Governo ogni discorso fatto a Fontamara la sera della sua visita.
    Parlò anche dei vari provvedimenti che il governo aveva assunto contro i Fontamaresi e che venivano messi in pratica dal giorno stesso.
    Nel paese, intanto, cominciavano le discussioni con Innocenzo La Legge da parte di Berardo e il vecchio Baldissera.
    Verso la fine di giugno, si sparse la voce che i rappresentanti dei cafoni della Marsica stavano per essere convocati ad Avezzano per ascoltare le decisioni del nuovo Governo di Roma sulla questione del Fucino, in quell'occasione si doveva discutere sul problema del lago nella Marsica.
    Una domenica mattina arrivò a Fontamara un camion che, gratis, portava i cafoni ad Avezzano ed era proprio questa mancata richiesta di pagamento che non piaceva ai Fontamaresi, sotto doveva esserci l’inganno.
    Salirono tutti sul camion, portando con sè lo stendardo di San Rocco, ma, a causa di questo, dovettero discutere all’entrata di Avezzano con un gruppo di giovanotti, che volevano fosse loro consegnato lo stendardo.
    Consegnarono la bandiera ai carabinieri e furono condotti in una grande piazza e fatti sedere in terra.
    Dopo un’ora di attesa, dovettero alzarsi in piedi e gridare inni ai podestà, mentre la piazza fu attraversata da un’automobile, seguita da quattro uomini in bicicletta.
    Poi furono fatti risedere, ma poco dopo i carabinieri annunciarono che i cafoni potevano andarsene.
    Berardo, non persuaso, andò davanti al portone del palazzo tutto imbandierato e volle parlare con il ministro per levarsi la curiosità di sapere cosa era successo.
    Ci furono molte liti con i carabinieri, intervenne infine Don Circostanza, che accompagnò tutti nel palazzo per parlare con l’impiegato del ministero, poichè il ministo era partito.
    Seppero che la questione del Fucino era stata risolta, "come" non si sapeva.
    I Fontamaresi, usciti dall'ufficio governativo, vennero ancora presi in giro dai cittadini di Avezzano, ma non ebbero più la forza di reagire e lasciarono perdere.
    Arrivarono a Fontamara a notte fonda e poco dopo erano di nuovo in piedi per andare a lavorare i campi.
    Intanto nel paese arrivarono dei camion con i militi fascisti che fecero rientrare tutte le donne, bambini e anziani in casa, portarono via tutte le armi e si scatenarono su una donna, lasciandola in terra rantolante.
    Poco dopo uscirono di nuovo in piazza, mentre tornarono dal lavoro gli uomini che vennero interrogati sul Governo.
    Nessuno diede risposte soddisfacenti , ma la fila dei camion andò via.
    L’indomani mattina la madre di Berardo cercò suo figlio, che la sera prima non era rincasato.
    Il narratore di tutta la vicenda afferma quindi di aver incontrato Berardo dietro al campanile del paese e di avergli comunicato che la madre era in pensiero per lui. Discussero quindi sul problema di Berardo di trovare terra.
    Decisero, inoltre, di andare a parlare con Don Circostanza, da cui erano a credito per un reimpianto di viti, per chiedergli consiglio e aiuto per trovare un’occupazione in città per il povero Berardo.
    L’avvocato gli promise aiuto, dopo averli ingannati con la discussione sulle nuove leggi in vigore, allo scopo di non ridare il denaro ai cafoni.
    Berardo, quando uscì dalla casa di Don Circostanza, tornò a sorridere per la prima volta dopo tanto tempo, credendo alle parole dell’avvocato, che era riuscito ad illuderlo.
    Intanto nel paese si stava facendo una colletta per poter far arrivare Don Abbacchio a Fontamara e finalmente poter celebrare la messa.
    Vi partecipò anche Berardo, attirato dalla notizia che, durante la messa, ci sarebbe stata la solita predica, che ormai tutti sapevano ma che riusciva sempre ad attirare tutti i cafoni a messa.
    Don Abbacchio però ebbe la malaugurata idea di rimproverare i cafoni per il mancato pagamento delle tasse e questo fece scatenare fra i cafoni una discussione generale, dopo di chè Don Abbacchio dovette partire.
    Pochi giorni dopo i cantonieri finirono di scavare il nuovo letto per il ruscello e giunse l’ora della spartizione dell’acqua fra i cafoni di Fontamara e l’impresario.
    Arrivarono sul posto tutte le autorità seguite dai carabinieri e e arrivarono anche i cafoni, che dovevano nominare un capo fra gli anziani, che guardasse l’operazione e riferisse agli altri.
    Purtroppo i Fontamaresi videro che il livello dell’acqua, che avrebbero potuto utilizzare, scendeva sempre di più e capirono che sotto vi era l’inganno.
    Don Circostanza, per non far scatenare i cafoni, intervenne e avanzò una proposta: l’acqua sarebbe tornata ai Fontamaresi dopo dieci lustri, ma nessuno dei cafoni poteva sapere quanti mesi o anni fossero.
    Alla spartizione dell’acqua era mancato Berardo e questo i Fontamaresi lo considerarono un tradimento, senza sapere che ormai l’uomo pensava solo più ad emigrare e far fortuna in America.
    Il figlio del narratore e Berardodecisero così di partire l’indomani.
    Partirono la mattina presto e Berardo era di cattivo umore.
    Raggiunsero Fossa per prendere il treno per Roma, ma furono raggiunti dalla notizia che uno dei cafoni di Fontamara era stato impiccato al campanile.
    I due partirono lo stesso con l’autorizzazione di Don Abbacchio e a Roma soggiornarono in una locanda indicata sempre dal curato.
    L’indomani si presentarono all’ufficio, che doveva mandarli a lavorare in bonifica, ma seppero che ci voleva una tessera speciale per poter lavorare.
    Pagarono dunque questa nuova "tassa" e furono iscritti presso l’ufficio di collocamento, ma questo non bastò, dovevano tornare al loro paese e portare la domanda di lavoro.
    Stanchi, ormai, di viaggiare avanti e indietro, si consultarono con un avvocato che era ospite presso la locanda, dove loro soggiornavano.
    L’avvocato chiese tutto il denaro che i due cafoni avevano con loro e inoltre spedì un telegramma a Fontamara per chiedere di mandare a Roma tutto ciò che il padre di Berardo, ormai morto da anni, potesse mandare, così gli avrebbe trovato lavoro.
    L’uomo, quando seppe che il padre di Berardo era morto da anni e che quindi non poteva mandargli niente, si infuriò e andò dai due cafoni.
    I poveri uomini, ormai senza soldi, avevano fame e stavano tutto il giorno nella loro camera della locanda a fissare il soffitto, sperando di essere chiamati a lavorare.
    Pochi giorni dopo, arrivò una lettera per Berardo che portava la notizia che a Fontamara gli era morto qualcuno.
    Furono inoltre mandati via dalla locanda e l’avvocato non li aiutò nella ricerca del lavoro, poiché da Fontamara non era arrivato niente di quanto richiesto dal telegramma da lui spedito al padre di Berardo.
    I due erano deboli per la fame e di tanto in tanto credevano di cadere per terra, quindi uscirono dalla locanda senza discutere.
    A pochi passi da lì incontrarono un giovanotto, che avevano conosciuto ad Avezzano e che offrì loro da mangiare. Intanto a Roma vi era la caccia al Solito Sconosciuto, un uomo che "metteva in pericolo l’ordine pubblico" con la fabbricazione e la diffusione della stampa clandestina, con cui denunciava gli scandali e incitava gli operai a scioperare e i cittadini a disubbidire. Dietro a lui corsero molti poliziotti, ma l’uomo era rimasto imprendibile. I militi entrarono nell’osteria dove vi erano i cafoni e controllarono i loro documenti, stavano per uscire, quando videro un pacco abbandonato in terra. I carabinieri presero allora Berardo e il figlio del narratore e li portarono in prigione. I due cafoni pensarono di essere stati scambiati per ladri e così cercarono di parlare con il commissario. Dopo alcuni giorni di attesa si costituì dicendo che il Solito Sconosciuto era lui e che il pacco trovato era suo e che conteneva stampa clandestina. A tutti sembrava strano che un cafone potesse essere i Solito Sconosciuto e così venne più volte interrogato, come avvenne per il figlio del narratore e per l’amico di Avezzano. Quest’ultimo fu liberato, mentre per i due cafoni le pene furono molto crude. Quando Berardo seppe che l’Avezzanese era uscito, decise di parlare e dire cosa gli aveva confessato il giovane, ma quando seppe dal commissario, tramite i giornali, che Elvira, la sua fidanzata, era morta, decise di non parlare più. Nella notte Berardo fu ucciso nella sua cella, ma i poliziotti dissero all’amico che si era ucciso, impiccandosi. I carabinieri dopo avergli fatto firmare numerosi fogli, lasciarono libero il figlio del narratore che tornò a Fontamara. Intanto i cafoni avevano gièà appreso le ultime notizie dal Solito Sconosciuto, l’unica che continuava a fare domande e a disperarsi fu la mamma di Berardo. I Fontamaresi decisero di scrivere allora un giornale con gli appunti lasciati dallo Solito Sconosciuto e fu intitolato "Che fare?". Bisognava trovare chi andasse a distribuirlo nel paese e anche al di fuori di Fontamara e questo compito fu dato all’autore ed a altri cafoni, che partirono presto e raggiunsero i vari paesi indicati, ma mentre si apprestavano a ritornare a Fontamara udirono degli spari. Era la guerra a Fontamara, chi aveva potuto era scappato, gli altri erano morti, da come raccontava un fontamarese incontrato per strada. Il narratore, il figlio e i pochi cafoni con loro si salvarono nascondendosi nei campi. Non ebbero più notizie di nessuno, nè del paese, loro vissero all’estero grazie all’aiuto del Solito Sconosciuto, ma non poterono restarci. Dopo tante pene, lutti, ingiustizie, odio, i cafoni superstiti si chiedono sempre
    "Che fare?". La storia dei fontamaresi vuol essere la denuncia dolorosa e forte di una miseria e di un sopruso sofferti dai poveri cafoni marsicani e in genere dai meridionali sottoil fascismo .
    Di questo movimento è evidenziato l'aspetto violento e beffardo, che sfrutta abbondantemente per estendersi e radicarsi .
    Dal racconto esce l'immagine di un'umanità primitiva e rozza ma capace di virtù eroiche.
    Vi è anche l'aspetto religioso della vicenda: nel saper ritrovare la coerenza con se stessi e nell'aprirsi alla realtà degli altri.
    L'ambiente, la Marsica, è sempre presente, come un quadro amaro, ritratto in linee dure, che è parte integrante della vita dei fontamaresi. Un tema importante di questo romanzo è l'ironia, con cui Silone esprime la contrapposizione tra l'ingenuità dei cafoni e la falsità degli altri, la paura di essere presi in giro da parte dei primi e l'intenzione di ingannare da parte dei secondi.
    Si sottolinea, anche, l'enormità dei provvedimenti che arrivano dall'alto, che assumono l'aspetto di beffe.
     
    Top
    .
0 replies since 15/11/2010, 18:02   864 views
  Share  
.