LEONARDO DA VINCI

..IL PURO GENIO...

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  1. gheagabry
     
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    Battaglia di Anghiari, clamorosa scoperta sul capolavoro di Leonardo.
    Pigmento dietro un Vasari ha composizione simile al nero della Gioconda. Clamorosa scoperta nella 'caccia' alla Battaglia di Anghiari, capolavoro perduto di Leonardo: un campione di colore nero trovato dietro un affresco del Vasari a Firenze ha composizione chimica compatibile con il nero usato nella Gioconda e nel S.Giovanni Battista al Louvre. Lo rende noto il direttore della ricerca Maurizio Seracini. Dietro la parete est del Salone dei 500 di Palazzo Vecchio a Firenze c'é un vuoto che cela un muro preesistente e sul quale si vedono macchie di colore nero, rosso e beige attribuibili alla Battaglia di Anghiari, l'affresco perduto di Leonardo da Vinci. Emerge dai risultati del team diretto da Maurizio Seracini presentati oggi a Firenze e frutto dello studio di fine 2011 fatto con indagini radar e una sonda endoscopica che saggiò la parete. "Sono dati incoraggianti - sostiene Seracini -. Stiamo cercando nel posto giusto". La scoperta suggerisce che Vasari - che fu pittore ed architetto, e che venne incaricato di ristrutturare Palazzo Vecchio - potrebbe aver voluto preservare il lavoro di Leonardo erigendo una parete di fronte all'affresco di Leonardo, come a voler proteggere un'opera considerata dai suoi coevi come la più maestosa del Rinascimento. Nessun'altra parete nel Salone dei 500 presenta un vuoto come in questo caso. Inoltre il muro retrostante è senza pietre a vista come se Vasari avesse conservato l'intonaco su cui Leonardo potrebbe aver dipinto la Battaglia di Anghiari. Il team di Seracini ha operato con il supporto e la collaborazione di National Geographic, Università di San Diego e Comune di Firenze, e affiancato dalla Soprintendenza al Polo Museale fiorentino e dall'Opificio delle Pietre Dure, dopo il via libera del ministero per i Beni Culturali. "Anche se siamo ancora alle fasi preliminari della ricerca e anche se c'é ancora molto lavoro da fare per poter risolvere il mistero - è il commento di Seracini -, le prove dimostrano che stiamo cercando nel posto giusto". La sonda endoscopica, dotata di una microcamera, venne immessa a fine 2011 in sei fori praticati nell'affresco di Vasari visibile oggi sulla parete. Seracini aveva chiesto di esplorare la parete est in 14 punti, cioé crepe e cretti naturali del muro, ma a seguito di consultazioni con gli esperti dell'Opificio, i fori dove far passare la sonda vennero ridotti a sei. "Sono fori periferici rispetto alla nostra iniziale area di interesse - sostiene ancora Seracini -. Ecco perché i risultati che abbiamo ottenuto sono particolarmente incoraggianti". Il pigmento nero è composto in gran parte da manganese e, in parte, da ferro ed è stato individuato con analisi chimiche su materiali estratti durante i sondaggi dentro la parete est del Salone dei 500 di Palazzo Vecchio dietro cui Seracini ipotizza che ci siano resti della Battaglia di Anghiari. Trovati anche frammenti di materiale rosso, associabili a lacca. Inoltre, immagini ottenute con una sonda endoscopica mostrano uno strato beige: per i ricercatori può esser stato messo solo con un pennello. "Nella ricerca in corso nel Salone dei Cinquecento che, è bene ribadirlo, si sta svolgendo sulla parete "giusta", il mio intervento si è sempre svolto nella salvaguardia della tutela del bene culturale e tenendo informati i vertici del Ministero per i Beni e le Attività culturali". Lo sostiene il soprintendente di Firenze, Cristina Acidini, commentando lo studio per la Battaglia di Anghiari di cui sono stati resi noti stamani i risultati dell'ultima fase della ricerca. Acidini ha evidenziato "il coinvolgimento dell'Opificio delle Pietre Dure, che solitamente interviene solo quando è parte attiva di un determinato e condiviso programma di ricerca o di restauro, da me sollecitato e predisposto, ha incrementato il livello della tutela, assicurando alle operazioni una vigilanza assidua e competente". Inoltre ha affermato, "l'invasività del progetto è stata sicuramente molto più limitata rispetto ad altri tipi di indagini diagnostiche davvero "distruttive": in taluni casi queste comportano prelievi di micro-campioni della pittura originale. Si tratta di procedure che vengono tuttavia comunemente impiegate in Italia e all'estero nella diagnostica delle pitture su tela, su tavola e murali, senza suscitare reazioni particolari".
    (ansa)
     
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  2. gheagabry
     
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    Leonardo: Sant'Anna ritrova il suo blu

    Nel suo laboratorio della Scuola del Louvre, a Parigi, Cinzia Pasquali ha appena terminato il restauro della ''Sant'Anna, la Vergine e il Bambino'', il capolavoro di Leonardo che la prossima settimana tornera' nelle sale del museo dopo aver ritrovato una nuova giovinezza. Nel corso della pulitura e' emerso a sorpresa l'intenso blu della veste della Vergine. Sono spuntate alcune piccole onde che si infrangono ai piedi della Santa, un dettaglio che era andato perduto. Sono comparse anche le impronte digitali del pittore che, probabilmente, con le dita stemperava la pittura, tanto da non lasciare alcuna traccia del pennello. Sono sui capelli della Vergine, sui bordi superiori, sul blu del mantello.
    ''In quest'ultimo anno e mezzo ho vissuto in una bolla. Lei, la Sant'Anna, e' diventata la mia ossessione, la sognavo di notte. Ora e' il momento di lasciarla andare. E' doloroso come separarsi da un figlio'', racconta all'ANSA la restauratrice romana, che ha gia' diretto i restauri della Galleria degli Specchi di Versailles. Mentre parla, scosta dal viso i lunghi capelli neri e porta un ultimo, rapido, ritocco all'opera, poi posa il bastoncino di cotone: ''Secondo me potevamo pulirla di piu', ma sono i conservatori del Louvre a decidere'', afferma. Leonardo dipinse la Sant'Anna negli ultimi 20 anni della sua vita e, nel 1516, la porto' con se' in Francia, senza mai finirla (i lavori hanno confermato l'incompiutezza dell'opera). Poi, dall'ultimo restauro, nel XIX secolo, ad oggi si erano formate chiazze scure e le vernici non originali si erano alterate. Alcuni sollevamenti erano apparsi lungo un'asse di pioppo della struttura. Sui 54 micron di spessore iniziale delle vernici non originali (misurate con strumenti all'avanguardia), ne sono stati lasciati tra gli 8 e i 12. ''Io le avrei portate a 4 - aggiunge la Pasquali -. Dal momento in cui il quadro non e' stato sverniciato, e' inutile per me lasciare strati invecchiati che cambiano sempre un po' la percezione cromatica''.
    Cinzia Pasquali ha ripulito tutta la superficie dell'opera due volte. ''E' stato un momento magico - racconta -. Non ci aspettavamo un blu cosi' luminoso. La scoperta delle impronte digitali e' stata emozionante. Diciamo che le ho cercate. Ne sono state trovate molte su altri quadri di Leonardo, quindi me le aspettavo. Che siano del pittore non ci sono dubbi - precisa -, ma bisognerebbe fare uno studio trasversale per dimostrarlo''. La fase di alleggerimento delle vernici ha sollevato una querelle tra gli esperti e due membri della commissione scientifica hanno abbandonato l'operazione. Se il Louvre ha scelto Cinzia Pasquali non e' solo per la sua competenza, ma anche per la sua forza di carattere. Intervenire su un Leonardo e' sempre delicato e c'era bisogno di una professionista in grado di affrontare le pressioni. ''Le polemiche? Non hanno intaccato ne' il mio lavoro ne' la mia concentrazione'', sostiene determinata. ''E' troppo facile dire: attenzione, stiamo rovinando un Leonardo, senza avanzare prove tangibili. Il Louvre ha dimostrato con analisi chimiche che il quadro non correva alcun rischio. Che interesse avrebbe a rovinare uno dei suoi capolavori? Sono intimamente sicura - conclude poi, sorridendo - che la Sant'Anna piacera' a tutti. Chi la guardera' non potra' non amarla. Lo dico un po' con l'orgoglio di una madre''.(Ansa)
     
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  3. gheagabry
     
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    Cinquecento anni fa moriva Leonardo, ma la memoria passa e nessuno lo ricorda..Il 2 maggio del 1519, quasi mezzo millennio fa, moriva Leonardo da Vinci, in Francia, in una casa che il re Francesco I gli aveva assegnato, vicino al castello di Amboise…Leonardo aveva 67 anni. Ora, quel che si crede sia rimasto di lui giace sepolto, come chiesto da lui stesso, nella cappella del castello. Una lastra di marmo bianco e un tondo di bronzo col suo ritratto sono quanto ce lo ricorda, oltre a due cartelli che spiegano…..” Tutta l'opera di Leonardo pittore e teorico della pittura, e quindi ogni manifestazione con la quale avrebbe dato corpo all'idea che l'arte debba intendersi come forma di conoscenza creativa, e quindi come scienza e filosofia, tutto dunque, in Leonardo, è un insegnamento che ancora oggi si riceve come in presa diretta, immediata, sia con mezzi tradizionali - quelli che nell'indagine storica sono ancora insuperati - sia con le nuove tecnologie elettroniche: impareggiabile sussidio anche alla ricerca storica ma che solo ora comincia ad affermarsi nella sua effettiva valenza ed efficacia, superando una prima, inevitabile fase ludica…Del resto anche Leonardo giocava. Se n'era accorto Sigmund Freud già nel 1910: "Il grande Leonardo, a ben vedere, rimase tutta la vita per più versi infantile; si dice che tutti i grandi uomini conservano qualcosa di infantile. Continuò a giocare ancora in età adulta e anche per questo apparve talora inquietante e incomprensibile agli occhi dei suoi contemporanei"…E tale - inquietante e incomprensibile - appare ancora di più oggi, a distanza di cinque secoli, e si può dire proprio perché più studiato che capito. Si è ritrovato il genio e si è perduto l'uomo. Durante una visita a Pavia nel gennaio 1490 in compagnia dell'architetto senese Francesco di Giorgio Martini per un consulto sui lavori di quella cattedrale, Leonardo, allora trentottenne, fu attratto dall'ingegnosa disposizione delle stanze di una celebre casa di tolleranza in quella città, e ne disegnò la pianta come modello di "lupanare". Questo si trova sulla pagina di un suo manoscritto di quel tempo. [...]Nello stesso foglio, allo stesso tempo, Leonardo annota: "catena aurea", che è il titolo della grandiosa silloge tomista sui vangeli. Piccoli ma sicuri indizi di come il vero Leonardo, in presa diretta, potrà finalmente riemergere nel nuovo millennio. Era morto una prima volta in Francia il 2 maggio 1519, e tante volte ancora negli scritti dei posteri. Quelli che ne proclamavano l'immortalità.
    (Carlo Pedretti, 2 maggio 2010)



     
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  4. gheagabry
     
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    IL CAOS CREATIVO FAVORIVA IL GENIO

    leon

    "L'aria è piena d'infinite similitudini delle cose: tutte si rappresentano in tutte in ciascuna" Le parole di Leonardo, e secondo l'americano Michele Gelb, uno dei massimi esperti di genialità e pensiero creativo, rivelano la vera ragione delle incredibili performance dei geni rinascimentali: Leonardo e colleghi facevano uso del pensiero analogico, un metodo cognitivo ereditato dal Medioevo e che verrà poi praticamente abbandonato nei secoli successivi, con la nascita dei saperi settoriali. Conoscere tante cose me in tanti campi diversi permetteva di mettere in relazione tra loro, favorendo intuizioni nuovi.

    I taccuini leonardeschi, in effetti, erano in origine un'accozzaglia di appunti sui temi più disparati, senza un ordine apparente. I codici come li conosciamo oggi sono frutto dell'arbitraria riorganizzazione di Pompeo Leoni (1531-1608) che separò i disegni artistici da quelli tecnici, le pagine letterarie da quelle scientifiche. Snaturando, di fatto, lo spirito leonardesco del "tutto in tutto".

    I modo di procedere di Leonardo, tuttavia, non è stato del tutto abbandonato, ed è per esempio alla base di una tecnica di pensiero molto in voga nelle aziende moderne, basata sul libero flusso di idee, il brainstormimg. Per ottenere risultati originali, si lascia che le idee si intreccino una con l'altra, esprimendo spontaneamente tutto ciò che passa per la testa, senza filtro (spesso limitante) della razionalità. (m.e.)



    leonardo_da_vinci_08

     
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  5. gheagabry
     
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    Varcando la soglia del Castello di Amboise, portando con sé la "Gioconda" e gli inseparabili appunti, Leonardo trepidava di gioia. Era il 1517 e alla veneranda età di 65 anni aveva finalmente trovato un mecenate che cercava: il re di Francia Francesco I di Valois lo aveva nominato "premier peintre, architecte, et mecanicien du Roi", cioè " primo pittore, architetto e ingegnere reale". Il che significava uno stipendio annuo di un paio di migliaia di scudi, oltre a vitto e alloggio. Era il degno coronamento di una vita di viaggi e di lavori disparati, al servizio degli uomini più potenti. Lavori il cui unico scopo era finanziare i propri studi in tutti i possibili campi del sapere.

    La fame di conoscenza che la portò a sfruttare ogni occasione di lavoro che la vita gli offrì (e lo spinse a cercarne sempre di nuove) caratterizzò Leonardo fin da piccolo. Leonardo non si cimentò solo nella pittura, ma anche nel disegno tecnico, reinterpretando con nuove applicazioni le macchine della tradizione medioevale e, ancora prima, romana (come leve, carrucole e piani inclinati). E si lanciò in progetti visionari, come sollevare il battistero di Firenze per aggiungervi alla base una scalinata.




    Fra tante commissioni, cominciò a lasciare a metà diverse opere. Nel 1478 gli fu chiesto di realizzare la pala dell'altare della cappella di San Bernardo in Palazzo Vecchio, che non portò mai a termine. E incompiuti rimasero sia San Gerolamo sia l'Adorazione dei Magi, commissionatagli dai monaci di San Donato a Scopeto, che fu poi abbandonata con altri oggetti in caca Benci. Tanta inconcludenza si deve, secondo i biografi, al fatto che Leonardo, ormai stufo di Firenze, stava cercando nuovi lidi. Nel 1482 Lorenzo de' Medici decise di madarlo a Milano, alla corte di Ludovico il Moro. Forse come segno di buoni rapporti tra le due corti, forse per il timore di essere travolto dalla politica espansionistica del duca di Milano. Per Leonardo la possibilità di entrare in contatto con quella che stava diventando una delle più importanti corti d'Europa fu un'occasione d'oro. Mila si trovava al centro di una regione nella quale non mancavano le opportunità di mettere in pratica le sue conoscenze tecniche, per esempio nella regolazione delle acque convogliate nella estesa rete di canali che il Moro stava facendo costruire per alimentare le tante tessiture. A Milano la sua personalità indipendente si andò definendo. Sperimentò anche quando dal Moro ricevette l'incarico di dipingere, su una parete del grande refettorio del convento della Basilica di Santa Maria delle Grazie, un affresco dell'ultima cena. A Leonardo la tecnica dell' affresco, che prevedeva di lavorare velocemente nell'intonaco "a fresco", non piaceva. Per cui se ne inventò una che gli permettesse di andare ogni tanto a dare anche una sola pennellata, continuando a seguire in contemporanea i suoi studi e lavori.. Troppo tardi scoprì che il dipinto, così, si deteriorava molto rapidamente: quando ancora Leonardo era in vita, complice l'umidità dell'ambiente, il Cenacolo era ridotto a una macchia indistinta.



    Nel frattempo Leonardo cercava di riscattarsi dalla sua condizione di "omo senza lettere" (non aveva seguito particolari corsi di studio) e per risponde ai "trombetti" (così definiva chi recitava a pappagallo il sapere altrui) che lo deridevano, affermò che la regola della vera "scienza"era quella di basarsi sull'esperienza, e che "nessuna certezza è dove non si può applicare una delle scienze matematiche"



    Dopo il 1494, però, gli eventi precipitarono. Carlo VIII, re di Francia, varcò le Alpi mentre i Medici vennero cacciati da Firenze. Leonardo, che aveva appena finito di realizzare gigantesche strutture per fondere il colossale cavallo che avrebbe dovuto celebrare la casata degli Sforza, vide il bronzo destinato alla statua dirottato verso usi militari. Il Moro fu costretto a fuggire in Germania e Leonardo annotò con amarezza " Il duca perse lo Stato e la roba e la libertà, e nessuna sua opera si finirà per lui" Bisognava trovarsi un nuovo datore di lavoro. La prima tappa di Leonardo fu Mantova, dove Isabella d'Este, che lo conosceva per aver reso bellissima l'amica Cecilia Gallerani, gli chiese di farle un ritratto. Lui accettò. Ma per non perdere lavoro Leonardo non esitò a tenere il piede in due scarpe: si avvicinò ai francesi, mise a punto i sistemi difensivi contro i turchi per conto della Repubblica di Venezia, ma intanto offrì i suoi servigi al sultano Bayazid II progettando un ardito ponte sul Bosforo a Istanbul.



    Alla fine lo trovò il vero mecenate: il terribile Cesare Borgia detto il Valentino condottiero spietato e crudele. Per conto suo viaggiò, tra il 1502 e il 1504, fra Toscana, Emilia, Romagna, Marche e Umbria, visitando fortezze e tracciando mappe.

    Tanto talento non passo inosservato e i francesi lo chiamarono a Milano. Qui, nel 1508, progettò una "villa di delizie" per Carlo II d'Amboise: un giardino con zampilli, strumenti musicali azionati dall'acqua e altre meraviglie meccaniche, come il colossale orologio idraulico con automa che batteva le ore.

    Cinque anni dopo, quando gli Sforza tornarono a Milano con Massimiliano, figlio del Moro, Leonardo era troppo compromesso con i francesi e dovete fuggire. Stavolta andò a Roma, chiamato da Giuliano de' Medici, figlio di Lorenzo. Qui entrò al servizio del fratello Giovanni, diventato papa con il nome di Leone X. Si aprì un nuovo filone di studi e progettò di prosciugare le paludi pontine e il porto di Civitavecchia. Ma si fece anche la fama di stregone, per i suoi studi di anatomia per trovare "la sede dell'anima"..Leonardo, allora fece, l'ultimo viaggio. Verso la Francia.



    Nel castello di Amboise, Leonardo trovò finalmente la pace. Ed ad Antonio de Beatis, segretario del cardinale Luigi d'Aragona, che nel 1517 andò a trovarlo, raccontò dei suoi mille progetti. Tra questi una città ideale e le scene per la festa di nozze del nipote del papa. Nonostante l'emiparesi destra che gli rendeva difficile parlare, era felice. Il suo committente gli dava lavoro, ma soprattutto lo rispettava come uomo. Come riportò Benvenuto Cellini, anch'egli al servizio di Francesco I, il re, dopo la morte del genio di Vinci nel 1519, disse " non credeva mai che altro uomo fusse nato al mondo che sapessi tanto quanto Lionardo, non tanto di scultura, pittura e architettura, quanto che egli era grandissimo filosofo"

    (Daniele Venturosi, Focus)

     
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  6. gheagabry
     
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    Montefeltro alle spalle della Gioconda?
    Secondo una ricerca non e' il Valdarno, come si e' ipotizzato, o un paesaggio alpino. Il paesaggio che s'intravvede alle spalle della Gioconda non e' il Valdarno, come si e' ipotizzato, o un paesaggio alpino, o una veduta idealizzata, ma il Montefeltro, l'antico Ducato di Urbino visto dalle alture della Valmarecchia, un territorio che oggi abbraccia Marche, Emilia Romagna e in parte la Toscana. Ne sono convinte due ricercatrici, una geomorfologa dell'Universita' di Urbino, Olivia Nesci, e la pittrice-fotografa Rosetta Borchia. Le due ''cacciatrici di paesaggi'', come amano definirsi, hanno raccolto le loro indagini in un libro, 'Codice P' (Electa Mondadori), che sara' presentato ufficialmente a dicembre, ma le conclusioni sono state anticipate oggi dal 'Corriere Adriatico'.

    Dalla ricerca emerge anche che per raffigurare quel paesaggio cosi' misterioso e affascinante, Leonardo uso' la compressione, ovvero una tecnica di rappresentazione prospettica che 'sintetizza' lo scorcio, necessaria per racchiudere un territorio cosi' vasto in una tavola di appena 77 cm. per 53.

    La stessa tecnica, peraltro, era stata usata da Piero della Francesca nel dittico dei Duchi di Urbino, ma la compressione applicata da Leonardo appare molto piu' complessa, secondo le due studiose, perche' articolata per intervalli di distanza. Nesci e Borchia, per la loro ricerca, si sono basate anche su dati storici. Leonardo conosceva bene il Montefeltro: nel 1502 era al seguito di Cesare Borgia come soprintendente generale alle fortificazioni del paesaggio, e puo' essere passato da qui, come pure nel 1516, durante un viaggio da Roma a Bologna fatto insieme a Giuliano de' Medici e Papa Leone X.

    Ma sicuramente fondamentale per la ricostruzione dei paesaggi e' stata l'analisi geologica e geomorfologica, come decisive sono state le perizie sulle strutture viarie del Centro di ricerca di Archeologia medievale dell'Universita' di Urbino. Il libro-atlante 'Codice P' raccoglie ben 164 tra foto aeree, immagini satellitari panoramiche, schemi geomorfologici, Dem (digital elevation model) elaborati dal geologo Andrea Dignani di Jesi.(Ansa)

     
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  7. gheagabry
     
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    gioconda-leonardo264



    Psicologia: esperto, enigma sorriso Gioconda e' negli occhi di chi la guarda

    (Adnkronos Salute) - La soluzione dell'enigma del sorriso della Gioconda sta tutta negli occhi di chi la guarda. Ne è convinto uno studioso austriaco, Florian Hutzler, dell'Università di Salisburgo. Secondo l'esperto, infatti, grazie a una speciale tecnica pittorica usata da Leonardo da Vinci, Monna Lisa sorride solamente quando la si guarda negli occhi. Quando invece si guarda la bocca del soggetto ritratto, il cervello dello spettatore ne percepisce i contorni sottili e classifica l'espressione del suo viso come neutra. Una tesi sostenuta dalla psicologa Margaret S. Livingstone della Harvard Medical School (Usa), ma che Hutzler ha voluto verificare a livello sperimentale.

    Per farlo, ha riproposto 'l'effetto Monna Lisa' su un programma informatico e ha mostrato 100 fotografie che ritraevano giovani donne a un campione di persone, seguendo il movimento dei loro occhi con una speciale telecamera. Quando chi osservava fissava gli occhi del volto ritratto, la bocca accennava a un sorriso. Nella frazione di secondo impiegata dallo sguardo per spostarsi dagli occhi alla bocca del soggetto, il sorriso veniva modificato dai ricercatori e la bocca assumeva un'espressione neutrale. Nessuno si è accorto di nulla, ma tutti hanno classificato il sorriso delle donne ritratte come enigmatico. E questo, sottolinea lo studioso, senza aver mai visto direttamente il sorriso. Il che, sostiene, dimostra la tesi per cui il sorriso pieno di mistero di Monna Lisa sta tutto negli occhi, o meglio nel cervello, dello spettatore.

    "Sappiamo un po' meglio cio' che Da Vinci ha fatto, ma non abbiamo ancora completamente strappato a Monna Lisa il suo segreto", ha commentato Hutzler.

     
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  8. gheagabry
     
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    LEONARDO DA VINCI - Uno studio di un costume di drago per un intrattenimento (ca.1517-18)
    Gessetto nero, penna e inchiostro - 188 x 270 mm - Royal Library, Castello di Windsor

     
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  9. gheagabry
     
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    "la Bella principessa" il ritratto di Bianca Sforza



    Quando è stata presentata al mondo dell’arte, il 30 gennaio 1998, Bianca Sforza non ha attirato molti sguardi. Agli occhi del pubblico dell’asta organizzata da Christie’s a New York il suo era solo un bel volto incorniciato. Nessuno sapeva come si chiamasse, né chi fosse l’autore del suo ritratto.

    Il catalogo descriveva l’opera - un disegno su pergamena a gesso e inchiostro, pietra nera e rossa e biacca - come un’opera tedesca di inizio Ottocento con particolari di ispirazione rinascimentale. Una mercante d’arte newyorkese, Kate Ganz, l’ha acquistata per 21.850 dollari.

    Il prezzo non era cambiato quando, quasi dieci anni dopo, il collezionista canadese Peter Silverman ha visto il profilo di Bianca nella galleria della Ganz e l’ha subito comprato, pensando che potesse essere di epoca rinascimentale; anche la Ganz aveva menzionato Leonardo da Vinci a proposito delle possibili influenze. Silverman si è chiesto: e se fosse davvero opera del grande Leonardo?


    particolare
    foto di Gianluca Colla

    La “casa” originaria della Bella principessa è stata trovata nella Biblioteca Nazionale polacca a Varsavia, in un libro di cinque secoli fa. Le illustrazioni della Sforziade, commissionata dal Duca di Milano, rimandano alle nozze celebrate nel 1496 tra la figlia Bianca Sforza e un mecenate di Leonardo.

    L’analisi macrofotografica dei fogli di pergamena ha rivelato la scomparsa di alcune pagine; il ritratto della sposa doveva comparire sulla pagina in fondo.

    (Dall'articolo di Tom O'Neill pubblicato sul numero di National Geographic italia di febbbraio)


    La conferma dell’attribuzione a Leonardo da Vinci è venuta dallo storico dell’arte Martin Kemp, professore a Oxford, che ha convalidato la tesi di due ingegneri francesi: Jean Penicaut e Pascal Cotte della società Lumière Technology. Il disegno su pergamena, sottoposto dalla Eidgenössische Technische Hochschule di Zurigo all’analisi del carbonio 14 (che ne aveva svelato la realizzazione tra il 1440 e il 1650) era già stato stato studiato e attribuito nel 2008 dai più esperti studiosi di Leonardo (Nicholas Turner, Carlo Pedretti, Alessandro Vezzosi, Mina Gregori, Cristina Geddo).


    particolare
    foto Gianluca Colla

    È storicamente vero che nel dicembre 1493, un corteo sforzesco partito da Milano e diretto nel Tirolo sostò a Como. Ne facevano parte il duca Gian Galeazzo e la moglie Isabella d’Este, ma anche Ludovico il Moro, Beatrice d’Este, molti cortigiani, la giovane Bianca Maria Sforza unitasi in matrimonio per procura con l’imperatore Massimiliano d’Asburgo (da cui si recava) e forse Leonardo da Vinci, che a quel tempo risiedeva a Milano ed era legato alla corte ducale.

    "L’attesa era stata lunga ma ne era valsa la pena. Quando l’araldo annunciò che gli ospiti erano in vista della Cà Merlata, l’entusiasmo si diffuse come un contagio tra le fila del comitato civico uscito da Como per accogliere il corteo ducale. Alla vista del baldacchino sotto il quale avanzava la sposa, il giubilo si fece ancor più caloroso nonostante i rigori invernali. Parve allora che i capi delle famiglie nobili comasche, i membri del collegio dei dottori e delle principali corporazioni, le autorità ecclesiastiche, i maggiorenti e anche il popolino dei casali posti ai piedi del castello Baradello, saltassero fuori dalla pelle. Il loro gaudio era giustificato, non capitava tutti i giorni che un’altezza imperiale onorasse la città con la sua visita.

    L’emozione era dipinta sul volto di Benedetto Zobio, che aveva ventidue anni ed era lì col padre, il notaio e causidico Luigi, un patrizio originario dell’Isola Comacina già decurione del municipio di Como. I due avevano lo sguardo infisso sul magnifico corteo e si sforzavano di riconoscere le figure più importanti, che taluni additavano e osannavano. I loro nomi erano noti, acclarati. In quel superbo corteo partito da Milano il giorno precedente, il 3 dicembre 1493, e fermatosi per il pernottamento a Meda e al castello di Carimate, c’era il fior fiore della nobiltà e del potere sforzesco.


    foto Gianluca Colla

    C’era la graziosa Bianca Maria Sforza. Tre giorni prima, si era unita in matrimonio per procura con l’imperatore Massimiliano d’Asburgo nel Duomo di Milano. Era stata una festa sontuosa oltre che il coronamento dell’astuta politica del Moro. Adesso, Bianca Maria era in viaggio per il Tirolo, dov’era attesa dal marito. Como era una tappa iniziale del suo trasferimento in Germania.

    C’erano anche i signori di Milano con le loro consorti. Gli astanti non esitarono a riconoscere il duca Gian Galeazzo, sua moglie Isabella d’Aragona e il fratello Ermes. Si accorsero anche di Bona di Savoia, la madre della sposa e applaudirono con particolare calore Ludovico il Moro e sua moglie Beatrice d’Este. Intorno a loro si muovevano, compatti come acini di un grappolo, l’arcivescovo di Milano Guido Antonio Arcimboldi, il giureconsulto Giasone del Maino e una pletora di cortigiani, dignitari, gentiluomini e ambasciatori, fra cui Pietro Guicciardini, e i tre procuratori dell’imperatore: Melchiorre vescovo di Bressanone, il conte Wolkenstein e Gualtiero Stadio.

    Esauriti i convenevoli, il corteo ducale e quello comense imboccarono la Strada Regina e in prossimità della basilica di San Carpoforo iniziarono la discesa verso la città murata, che era pavesata a festa. L’imperatrice procedeva lentamente sotto il baldacchino, che avanzò in pompa magna, tra canti e manifestazioni di affetto, fino al cuore di Como, la piazza del Duomo. I cittadini erano in sollucchero e ciò che li mandò maggiormente in visibilio fu la vista di una lunga teoria di damigelle in sella a cavalli finemente bardati e paggi che indossavano una sgargiante veste di colore scarlatto.

    Il cardinale Antonio Trivulzio, vescovo di Como, accolse la sposa e i suoi familiari davanti alla porta maggiore del Duomo. Una messa fu officiata per celebrare l’evento, poi Francesco da Rho, podestà e commissario ducale di Como, si occupò degli aspetti logistici e organizzativi. Il corteo era fastoso e bisognava pensare agli alloggiamenti e alle feste che si sarebbero svolte nella serata e nel giorno seguente.

    Bianca Maria Sforza, sua madre Bona e i legati imperiali furono ospitati nel palazzo vescovile. Gli altri furono distribuiti nelle ricche dimore dei patrizi comaschi, che rivaleggiarono fra loro per accaparrarsi gli ospiti dai nomi più altisonanti. Il duca Gian Galeazzo e sua moglie Isabella d’Aragona furono accolti nel grande palazzo di Francesco Rusca. Ludovico il Moro e Beatrice d’Este trovarono ospitalità nella casa del ministro del sale, Giacomo degli Albricci.

    I familiari, gli altri ottimati e gli accompagnatori trovarono alloggio nelle case degli aristocratici lariani più in vista. Ogni famiglia importante si ritagliò la sua fetta di gloria: i Sangiuliani, i Mugiasca, i Pantera, i Tridi, i Bonanomi, gli Odescalchi, i Natta, gli Olginati, i Raimondi, i de’ Orchi, i Volpi, i Lucini, i Peregrini, i Muralto. Ogni casata fece la sua parte, com’era stato convenuto. Anche la famiglia di Luigi Zobio ebbe l’onore di accogliere nella propria dimora – un bel palazzo con la fronte di marmo bianco e nero e il giardino situato nella piazzetta di San Sisto, presso le mura orientali – gli ospiti che i maestri del protocollo ducale avevano assegnato loro.

    Fra essi, si distingueva Leonardo da Vinci, artista e ingegnere ducale la cui nomea era ormai consolidata....."

    (tratto da Il cantico del pesce persico, La profezia di Giuseppe Bresciani)



    www.giuseppebresciani.com/2013/11/l...nci-ignoro.html
     
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  10. gheagabry
     
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    Leonardo da Vinci - Trattato della Pittura



    Se la pittura e' scienza o no

    Scienza è detto quel discorso mentale il quale ha origine da' suoi ultimi principî, de' quali in natura null'altra cosa si può trovare che sia parte di essa scienza, come nella quantità continua, cioè la scienza di geometria, la quale, cominciando dalla superficie de' corpi, si trova avere origine nella linea, termine di essa superficie; ed in questo non restiamo satisfatti, perché noi conosciamo la linea aver termine nel punto, ed il punto esser quello del quale null'altra cosa può esser minore. Adunque il punto è il primo principio della geometria; e niuna altra cosa può essere né in natura, né in mente umana, che possa dare principio al punto.
    Perché se tu dirai nel contatto fatto sopra una superficie da un'ultima acuità della punta dello stile, quello essere creazione del punto, questo non è vero; ma diremo questo tale contatto essere una superficie che circonda il suo mezzo, ed in esso mezzo è la residenza del punto, e tal punto non è della materia di essa superficie, né lui, né tutti i punti dell'universo sono in potenza ancorché sieno uniti, né, dato che si potessero unire, comporrebbero parte alcuna d'una superficie. E dato che tu t'immaginassi un tutto essere composto da mille punti, qui dividendo alcuna parte da essa quantità di mille, si può dire molto bene che tal parte sia eguale al suo tutto.
    E questo si prova con lo zero ovver nulla, cioè la decima figura dell'aritmetica, per la quale si figura un O per esso nullo; il quale, posto dopo la unità, le farà dire dieci, e se ne porrai due dopo tale unità, dirà cento, e cosí infinitamente crescerà sempre dieci volte il numero dov'esso si aggiunge; e lui in sé non vale altro che nulla, e tutti i nulli dell'universo sono eguali ad un sol nulla in quanto alla loro sostanza e valore. Nessuna umana investigazione si può dimandare vera scienza, se essa non passa per le matematiche dimostrazioni; e se tu dirai che le scienze, che principiano e finiscono nella mente, abbiano verità, questo non si concede, ma si nega per molte ragioni; e prima, che in tali discorsi mentali non accade esperienza, senza la quale nulla dà di sé certezza.




    Esempio e differenza tra pittura e poesia

    Tal proporzione è dalla immaginazione all'effetto, qual è dall'ombra al corpo ombroso, e la medesima proporzione è dalla poesia alla pittura, perché la poesia pone le sue cose nella immaginazione di lettere, e la pittura le dà realmente fuori dell'occhio, dal quale occhio riceve le similitudini, non altrimenti che s'elle fossero naturali, e la poesia le dà senza essa similitudine, e non passano all'impressiva per la via della virtù visiva come la pittura.
    Quale scienza è piú utile, ed in che consiste la sua utilità. Quella scienza è più utile della quale il frutto è più comunicabile, e così per contrario è meno utile quella ch'è meno comunicabile. La pittura ha il suo fine comunicabile a tutte le generazioni dell'universo, perché il suo fine è subietto della virtù visiva, e non passa per l'orecchio al senso comune col medesimo modo che vi passa per il vedere. Adunque questa non ha bisogno d'interpreti di diverse lingue, come hanno le lettere, e subito ha satisfatto all'umana specie, non altrimenti che si facciano le cose prodotte dalla natura. E non che alla specie umana, ma agli altri animali, come si è manifestato in una pittura imitata da un padre di famiglia, alla quale facean carezze i piccioli figliuoli, che ancora erano nelle fasce, e similmente il cane e la gatta della medesima casa, ch'era cosa maravigliosa a considerare tale spettacolo.
    La pittura rappresenta al senso con più verità e certezza le opere di natura, che non fanno le parole o le lettere, ma le lettere rappresentano con più verità le parole al senso, che non fa la pittura. Ma dicemmo essere più mirabile quella scienza che rappresenta le opere di natura, che quella che rappresenta le opere dell'operatore, cioè le opere degli uomini, che sono le parole, com'è la poesia, e simili, che passano per la umana lingua.





    Delle scienze imitabili, e come la pittura è inimitabile, però è scienza

    Le scienze che sono imitabili sono in tal modo, che con quelle il discepolo si fa eguale all'autore, e similmente fa il suo frutto; queste sono utili all'imitatore, ma non sono di tanta eccellenza, quanto sono quelle che non si possono lasciare per eredità, come le altre sostanze. Infra le quali la pittura è la prima; questa non s'insegna a chi natura nol concede, come fan le matematiche, delle quali tanto ne piglia il discepolo, quanto il maestro gliene legge. Questa non si copia, come si fa le lettere, che tanto vale la copia quanto l'origine.
    Questa non s'impronta, come si fa la scultura, della quale tal è la impressa qual è l'origine in quanto alla virtù dell'opera. Questa non fa infiniti figliuoli come fa i libri stampati; questa sola si resta nobile, questa sola onora il suo autore, e resta preziosa e unica, e non partorisce mai figliuoli eguali a sé. E tal singolarità la fa più eccellente che quelle che per tutto sono pubblicate. Ora, non vediamo noi i grandissimi re dell'Oriente andare velati e coperti, credendo diminuire la fama loro col pubblicare e divulgare le loro presenze?
    Or, non si vede le pitture rappresentatrici le immagini delle divine deità essere al continuo tenute coperte con copriture di grandissimi prezzi? E quando si scoprono, prima si fanno grandi solennità ecclesiastiche di varî canti con diversi suoni. E nello scoprire, la gran moltitudine de' popoli che quivi concorrono, immediate si gittano a terra, quelle adorando e pregando per cui tale pittura è figurata, dell'acquisto della perduta sanità e della eterna salute, non altrimenti che se tale idea fosse lí presente ed in vita. Questo non accade in nessuna altra scienza od altra umana opera, e se tu dirai questa non esser virtù del pittore, ma propria virtú della cosa imitata, si risponderà che in questo caso la mente degli uomini può satisfare standosi nel letto, e non andare, ne' luoghi faticosi e pericolosi, ne' pellegrinaggi, come al continuo far si vede. Ma se pure tali pellegrinaggi al continuo sono in essere, chi li muove senza necessità? Certo tu confesserai essere tale simulacro, il quale far non può tutte le scritture che figurar potessero in effigie e in virtù tale idea. Adunque pare ch'essa idea ami tal pittura, ed ami chi l'ama e riverisce, e si diletti di essere adorata più in quella che in altra figura di lei imitata, e per quella faccia grazie e doni di salute, secondo il credere di quelli che in tal luogo concorrono.



    Come la pittura abbraccia tutte le superficie de' corpi, ed in quelli si estende

    La pittura sol si estende nella superficie de' corpi e la sua prospettiva si estende nell'accrescimento e decrescimento de' corpi e de' lor colori; perché la cosa che si rimuove dall'occhio perde tanto di grandezza e di colore quanto ne acquista di remozione.
    Adunque la pittura è filosofia, perché la filosofia tratta del moto aumentativo e diminutivo, il quale si trova nella sopradetta proposizione; della quale faremo il converso, e diremo: la cosa veduta dall'occhio acquista tanto di grandezza e notizia e colore, quanto ella diminuisce lo spazio interposto infra essa e l'occhio che la vede.
    Chi biasima la pittura, biasima la natura, perché le opere del pittore rappresentano le opere di essa natura, e per questo il detto biasimatore ha carestia di sentimento.
    Si prova la pittura esser filosofia perché essa tratta del moto de' corpi nella prontitudine delle loro azioni, e la filosofia ancora lei si estende nel moto. Tutte le scienze che finiscono in parole hanno sí presto morte come vita, eccetto la sua parte manuale, cioè lo scrivere, ch'è parte meccanica.




    segue.....
     
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39 replies since 14/11/2010, 01:17   16953 views
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