LEONARDO DA VINCI

..IL PURO GENIO...

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  1. gheagabry
     
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    LA SCAPIGLIATA





    scheda di lettura: testa di fanciulla detta la scapigliata. 1490-1500 ca.
    materiale terra di ombra, ambra inverdita e biacca su tavola di pioppo cm 24,7 X 21
    Parma Pinacoteca Regionale.

    Fa parte dei tanti disegni attribuiti a Leonardo da Vinci (Vinci 1452 - Cloux 1519) pittore scultore architetto e scrittore. Il disegno non è molto conosciuto fra i non addetti ai lavori e la sua attribuzione al nostro artista è stata oggetto di dibattito critico.

    In un inventario del 1627 di casa GONZAGA si trova un'importante notizia che chiarisce alcuni dubbi in relazione all'opera che risulta cosi elencata "nel quadro dipintovi la testa di una donna bozzata opera di Leonardo da Vinci".

    Ci coinvolgono e allo stesso tempo ci attraggono i capelli sciolti e ad un'attenta comparazione (andate a guardare l'immagine!) l'opera presenta delle affinità stilistiche con il volto dell' angelo della VERGINE DELLE ROCCE (seconda versione) della NATIONAL GALLERY DI LONDRA.

    Ancora non ho chiarito a cosa servisse questa opera che poi è uno studio preparatorio,qui ci muoviamo nel campo delle ipotesi: era forse il disegno preparatorio per una Madonna richiesta dal re di Francia nel 1508? O potrebbe trattarsi di un abbozzo per la Madonna richiesta da Isabella d'Este?

    Ancora dopo secoli dalla sua nascita quest'opera d'arte porta con sé il fascino del mistero circa l'identità e la sua stessa destinazione.




    dal web
     
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  2. gheagabry
     
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    .. l’Autoritratto di Leonardo da Vinci, realizzato a sanguigna negli ultimi anni di vita dell’artista, morto ad Amboise (Loira, Francia) nel 1519.

    Il maestoso volto è attorniato da altri disegni come il Ritratto di fanciulla, riconducibile al viso dell’angelo nel dipinto della Vergine delle Rocce, lo Studio preparatorio per la battaglia di Anghiari, che testimonia la precisione anatomica e la forza che Leonardo sapeva conferire al segno grafico, il prezioso Codice sul volo degli uccelli, opera di straordinario valore scientifico, in cui il maestro indaga i principi che regolano il movimento dei volatili al fine di realizzare la macchina volante. Completano il percorso espositivo alcuni fogli di allievi e seguaci di Leonardo, tra i quali il recente acquisto della Biblioteca Reale, l’inedito Profilo di vecchia, mai esposto al pubblico.

    Per la prima volta, le opere della Biblioteca Reale vengono affiancate da prestiti provenienti da prestigiose istituzioni museali internazionali rappresentate da disegni di Leonardo e della sua cerchia. Negli ultimi anni della sua vita, in Francia, Leonardo si dedicò ad insegnare agli allievi, come è documentato da una lettera del 10 ottobre 1517 del segretario del Cardinale Luigi d’Aragona, scritte dopo una visita allo studio di Leonardo nel castello di Amboise. Da qui l’importanza degli studi grafici degli allievi, a conferma di una pratica, quella del disegnare, voluta da Leonardo e da lui raccomandata nei “precetti”: lavori che possono conservare tracce del suo intervento diretto, oltre a rispecchiare gli insegnamenti del maestro e costituire pertanto, nel rispetto e nell’uniformità di adesione ai suoi dettami tecnici e stilistici, documenti importanti per la diffusione dei modelli leonardiani.

    Nel suo testamento, Leonardo, lasciò tutti i suoi scritti all'allievo preferito: Francesco Melzi, mentre all'altro discepolo, Salai, lasciò i dipinti che si trovavano ancora nel suo studio, tra i quali la Gioconda.

    Attraverso i suoi disegni Leonardo da Vinci realizza quella sperimentazione di forme e soluzioni compositive che accomuna i diversi ambiti della sua attività artistica: pittura, scultura, architettura. Il disegno diventa anche uno strumento attraverso il quale condurre e registrare, nelle sue carte, le indagini scientifiche rivolte ai campi più disparati del sapere, una pratica dunque in cui l'intento della rappresentazione è inscindibile dal processo della conoscenza e riflette ricerche, esperienze, invenzioni, riflessioni, seguendo i processi creativi e conoscitivi della sua mente. Il corpus dei disegni di Leonardo che ci è stato tramandato attraverso la raccolta tavole, taccuini e quaderni di appunti da lui compilati durante tutta la vita, rappresentano una testimonianza di quest'uomo straordinario. Leonardo fu un disegnatore instancabile: non furono molti i dipinti che completò, mai soddisfatto del proprio lavoro, ma i disegni e gli schizzi sono giunti a noi in numero consistente.




    «Vi prego priore, lasciatemi solo con il maestro». La frase era formulata come una cortese richiesta, ma il tono era quello di un ordine. Che fosse l’uno o l’altra poco importava quando a Milano le parole uscivano dalla bocca di Ludovico il Moro. Il priore Vincenzo Bandello fece due passi, camminando all’indietro, senza distogliere lo sguardo da Leonardo da Vinci che, compiaciuto, osservava la sua opera. Padre Vincenzo si girò di scatto attraversando la mensa con passo deciso. Era infastidito dal fatto che, in casa sua, nel suo monastero, dovesse prender ordini da Ludovico Sforza che voleva restar solo con quell”imbratta muri...




     
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  4. gheagabry
     
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    ...non solo pittore......



    I disegni leonardeschi sono la testimonianza di un periodo straordinario quale fu il Rinascimento italiano, ricco di cultura e grandi progetti. Una testimonianza che narra degli uomini e di ciò che essi esprimevano e producevano, delle macchine da loro create e usate per le costruzione di chiese, palazzi, fortezze, delle macchine per la guerra, per il lavoro, per la produzione e il commercio delle merci la cui disponibilità condizionava la vita dei potenti e delle loro corti.
    Con i suoi disegni di straordinaria chiarezza ed efficacia Leonardo ci dà un'immagine di se stesso, dell'uomo che, formatosi in una delle città più vive e stimolanti del suo tempo quale era Firenze, iniziò a percorrere una strada autonoma di ricerca ed elaborazione di idee e di progetti che toccavano molti settori, dall'idraulica alla meccanica, dal volo all'anatomia, all'ottica.


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    Acciarino automatico a pietra focaia

    Il modello rappresenta una delle idee di Leonardo per accendere a ripetizione la carica di un'arma da fuoco. È uno dei più bei disegni di questo soggetto, ben definito e pieno di dettagli. Il dispositivo è costituito da una molla elicoidale collegata a una ruota superiore da una catena snodabile. La ruota, girando, strofina contro la pietra focaia (sulla sinistra) e provoca la scintilla. Il grilletto è sulla destra. La catena articolata a tre maglie è ingrandita e ricostruita a parte.
    Codice Atlantico, foglio 158 1497-1500

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    Affusto di cannone a code divaricabili

    Il modello rappresenta un affusto di cannone a code divaricabili molto innovativo e interessante perché consente di coprire notevoli settori di brandeggio (rotazione di una bocca da fuoco su di un piano orizzontale) e di assicurare la stabilità del tiro con la bocca da fuoco che può spostarsi velocemente sia in orizzontale, mediante un sistema a guida, che in verticale mediante un sistema a pioli.
    Codice Atlantico foglio 1110

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  5. tappi
     
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    GRAZIE GABRY
     
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  6. gheagabry
     
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    La Madonna del Garofano è un dipinto a olio su tavola (62x47,5 cm) di Leonardo da Vinci, databile al 1473 circa e conservato nell'Alte Pinakothek di Monaco.

    L'opera, tra le prime opere individuali del giovane Leonardo, è identificata con quella "Madonna della Caraffa" descritta da Giorgio Vasari nelle collezioni di papa Clemente VII, nato Medici. Scrisse lo storico aretino:
    « Fece poi Lionardo una Nostra Donna in un quadro, ch'era appresso papa Clemente VII, molto eccellente. E fra l'altre cose che v'erano fatte, contrafece una caraffa piena d'acqua con alcuni fiori dentro, dove oltra la maraviglia della vivezza, aveva imitato la rugiada dell'acqua sopra, sì che ella pareva più viva che la vivezza. »
    (Giorgio Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori, Vita di Lionardo da Vinci pittore e scultore fiorentino (1568).

    In una stanza scura, rischiarata da due bifore sullo sfondo aperte sul paesaggio, si trova Maria in piedi, rappresentata a mezzobusto, davanti a un parapetto su cui sono appoggiati un vaso vitreo con fiori, un ampio lembo del manto della Vergine e, su un soffice cuscino, il paffuto Gesù Bambino, ritratto nudo.
    Maria, dall'espressione leggermente malinconica, guarda il figlio e gli porge un garofano rosso, il cui colore ricorda il sangue della Passione, ma anche del matrimonio mistico tra madre e figlio, cioè Cristo e la sua Chiesa; il Bambino, seduto, allunga le mani verso il fiore, quasi contorcendosi, ma il suo sguardo è assente, verso il cielo, quasi a simboleggiare l'accettazione della sua tragica sorte e il rimettersi nelle mani del Padre.
    La Vergine è riccamente abbigliata, con una veste rossa di tessuto leggerissimo, forse seta, e un mantello azzurro foderato di giallo che le lascia scoperte le maniche, producendo alcune ampie pieghe. Il mantello è chiuso sul petto da una spilla con zaffiro circondato da perle, simboleggianti castità, pudicizia e purezza. La sua acconciatura è elaborata, con trecce che incorniciano la fronte e reggono un velo semitrasparente, dal quale ricadono riccioli dorati ai lati del volto.


     
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  7. gheagabry
     
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    ....non solo pittore....ma

    ...scienziato....





    « So bene che, per non essere io letterato, che alcuno prosuntuoso gli parrà ragionevolmente potermi biasimare coll'allegare io essere omo sanza lettere. Gente stolta! Non sanno questi tali ch'io potrei, sì come Mario rispose contro a' patrizi romani, io sì rispondere, dicendo: ”Quelli che dall'altrui fatiche se medesimi fanno ornati, le mie a me medesimo non vogliono concedere”. Or non sanno questi che le mie cose son più da esser tratte dalla sperienza, che d'altrui parola, la quale fu maestra di chi bene scrisse, e così per maestra la piglio e quella in tutti i casi allegherò »
    (Codice Atlantico a 119 v)


    "Omo sanza lettere" sta per uomo che non conosce il latino: ma non gli occorre la conoscenza del latino perché «Io ho tanti vocaboli nella mia lingua materna, ch'i' m'ho piuttosto da doler del bene intendere le cose, che del mancamento delle parole, colle quali bene esprimere il concetto della mente mia»; e se il volgare ha piena capacità di esprimere ogni concetto, il problema resta quello della verità di ciò che si argomenta.
    Secondo il pensiero di Leonardo, una prima verità si trae dall'esperienza diretta della natura, dall'osservazione dei fenomeni: «molto maggiore e più degna cosa a leggere» non è allegare l'autorità di autori di libri ma allegare l'esperienza, che è la maestra di quegli autori. Coloro che argomentano citando l'autorità di altri scrittori vanno gonfi «e pomposi, vestiti e ornati, non delle loro, ma delle altrui fatiche; e le mie a me medesimo non concedano; e se me inventore disprezzeranno, quanto maggiormente loro, non inventori, ma trombetti e recitatori delle altrui opere, potranno essere biasimati». Se poi costoro lo criticano sostenendo che «le mie prove esser contro all'alturità d'alquanti omini di gran riverenza appresso a' loro inesperti iudizi», è perché non considerano che «le mie cose esser nate sotto la semplice e mera sperienza, la quale è maestra vera».
    « Io credo che invece che definire che cosa sia l'anima, che è una cosa che non si può vedere, molto meglio è studiare quelle cose che si possono conoscere con l'esperienza, poiché solo l'esperienza non falla. E laddove non si può applicare una delle scienze matematiche, non si può avere la certezza. »
    Se l'esperienza fa conoscere la realtà delle cose, non dà però ancora la necessità razionale dei fenomeni, la legge che è nascosta nelle manifestazioni delle cose: «la natura è costretta dalla ragione della sua legge, che in lei infusamene vive» e «nessuno effetto è in natura sanza ragione; intendi la ragione e non ti bisogna sperienza», nel senso che una volta che si sia compresa la legge che regola quel fenomeno, non occorre più ripeterne l'osservazione; l'intima verità del fenomeno è raggiunta.
    Le leggi che regolano la natura si esprimono mediante la matematica: «Nissuna umana investigazione si può dimandare vera scienza, s'essa non passa per le matematiche dimostrazioni», restando fermo il principio per il quale «se tu dirai che le scienze, che principiano e finiscano nella mente, abbiano verità, questo non si concede, ma si niega, per molte ragioni; e prima, che in tali discorsi mentali non accade sperienza, senza la quale nulla dà di sé certezza».
    Il rifiuto della metafisica non poteva essere espresso in modo più netto. Anche la sua concezione dell'anima consegue dall'approccio naturalistico delle sue ricerche: «nelle sue [della natura] invenzioni nulla manca e nulla è superfluo; e non va con contrapesi, quando essa fa li membri atti al moto nelli corpi delli animali, ma vi mette dentro l'anima d'esso corpo contenitore, cioè l'anima della madre, che prima compone nella matrice la figura dell'uomo e al tempo debito desta l'anima che di quel debbe essere abitatore, la qual prima restava addormentata e in tutela dell'anima della madre, la qual nutrisce e vivifica per la vena umbilicale» e con prudente ironia aggiunge che «il resto della difinizione dell'anima lascio ne le menti de' frati, padri de' popoli, li quali per ispirazione sanno tutti i segreti. Lascio star le lettere incoronate [le Sacre Scritture] perché son somma verità».
    Ma ribadisce: «E se noi dubitiamo della certezza di ciascuna cosa che passa per i sensi, quanto maggiormente dobbiamo noi dubitare delle cose ribelli ad essi sensi, come dell'essenza di Dio e dell'anima e simili, per le quali sempre si disputa e contende. E veramente accade che sempre dove manca la ragione suppliscono le grida, la qual cosa non accade nelle cose certe».
    Riconosce validità allo studio dell'alchimia, «partoritrice delle cose semplici e naturali», considerata non già un'arte magica ma «ministratrice de' semplici prodotti della natura, il quale uffizio fatto esser non può da essa natura, perché in lei non è strumenti organici, colli quali essa possa operare quel che adopera l'omo mediante le mani», ossia scienza dalla quale l'uomo, partendo dagli elementi semplici della natura, ne ricava dei composti, come un moderno chimico; l'alchimista non può però creare alcun elemento semplice, come testimoniano gli antichi alchimisti, che mai «s'abbatero a creare la minima cosa che crear si possa da essa natura» e sarebbero stati meritevoli dei massimi elogi se «non fussino stati inventori di cose nocive, come veneni e altre simili ruine di vita e di mente».
    È invece aspramente censore della magia, la «negromanzia, stendardo ovver bandiera volante mossa dal vento, guidatrice della stolta moltitudine». I negromanti «hanno empiuti i libri, affermando che l'incanti e spiriti adoperino e sanza lingua parlino, e sanza strumenti organici, sanza i quali parlar non si pò, parlino e portino gravissimi pesi, faccino tempestare e piovere, e che li omini si convertano in gatte, lupi e bestie, benché in bestia prima entran quelli che tal cosa affermano».
    Leonardo è conosciuto soprattutto per i suoi dipinti, per i suoi studi sul volo, probabilmente molto meno per le numerose altre cose in cui è stato invece un vero precursore, come ad esempio nel campo della geologia. È stato tra i primi, infatti, a capire che cos'erano i fossili, e perché si trovavano fossili marini in cima alle montagne. Contrariamente a quanto si riteneva fino a quel tempo, cioè che si trattasse della prova del diluvio universale, l'evento biblico che avrebbe sommerso tutta la terra, Leonardo immaginò la circolazione delle masse d'acqua sulla terra, alla stregua della circolazione sanguigna, con un lento ma continuo ricambio, arrivando quindi alla conclusione che i luoghi in cui affioravano i fossili, un tempo dovevano essere stati dei fondali marini. Anche se con ragionamenti molto originali, la conclusione di Leonardo era sorprendentemente esatta.
    Il contributo di Leonardo a quasi tutte le discipline scientifiche fu decisivo: anche in astronomia ebbe intuizioni fondamentali, come sul calore del Sole, sullo scintillio delle stelle, sulla Terra, sulla Luna, sulla centralità del Sole, che ancora per tanti anni avrebbe suscitato contrasti ed opposizioni. Ma nei suoi scritti si trovano anche esempi che mostrano la sua capacità di rendere in modo folgorante dei concetti difficili; a quel tempo si era ben lontani dall'aver formulato le leggi di gravitazione, ma Leonardo già paragonava i pianeti a calamite che si attraggono vicendevolmente, spiegando così molto bene il concetto di attrazione gravitazionale. In un altro suo scritto, sempre su questo argomento, fece ricorso ad un'immagine veramente suggestiva; dice Leonardo: immaginiamo di fare un buco nella terra, un buco che l'attraversi da parte a parte passando per il centro, una specie di "pozzo senza fine"; se si lancia un sasso in questo pozzo, il sasso oltrepasserebbe il centro della terra, continuando per la sua strada risalendo dall'altra parte, poi tornerebbe indietro e dopo aver superato nuovamente il centro, risalirebbe da questa parte. Questo avanti e indietro durerebbe per molti anni, prima che il sasso si fermi definitivamente al centro della Terra. Se questo spazio fosse vuoto, cioè totalmente privo d'aria, si tratterebbe, in teoria, di un possibile, apparente, modello di moto perpetuo, la cui possibilità, del resto, Leonardo nega, scrivendo che «nessuna cosa insensibile si moverà per sé, onde, movendosi, fia mossa da disequale peso; e cessato il desiderio del primo motore, subito cesserà il secondo».
    Anche nella botanica Leonardo compì importanti osservazioni: per primo si accorse che le foglie sono disposte sui rami non casualmente ma secondo leggi matematiche (formulate solo tre secoli più tardi); è una crescita infatti, quella delle foglie, che evita la sovrapposizione per usufruire della maggiore quantità di luce. Scoprì che gli anelli concentrici nei tronchi indicano l'età della pianta, osservazione confermata da Marcello Malpighi più di un secolo dopo.
    Osservò anche l'eccentricità nel diametro dei tronchi, dovuta al maggior accrescimento della parte in ombra. Soprattutto scoprì per primo il fenomeno della risalita dell'acqua dalle radici ai tronchi per capillarità, anticipando il concetto di linfa ascendente e discendente. A tutto questo si aggiunse un esperimento che anticipava di molti secoli le colture idroponiche: avendo studiato idraulica, Leonardo sapeva che per far salire l'acqua bisognava compiere un lavoro; quindi nelle piante, in cui l'acqua risale attraverso le radici, doveva compiersi una sorta di lavoro. Per comprendere il fenomeno tolse la terra, mettendo la pianta direttamente in acqua, e osservò che la pianta riusciva ancora a crescere, anche se più lentamente.
    Si può trarre un conclusivo giudizio sulla posizione che spetta a Leonardo nella storia della scienza citando Sebastiano Timpanaro: «Leonardo da Vinci attinge dai Greci, dagli Arabi, da Giordano Nemorario, da Biagio da Parma, da Alberto di Sassonia, da Buridano, dai dottori di Oxford, dal precursore ignoto del Duhem, ma attinge idee più o meno discutibili. È sua e nuova la curiosità per ogni fenomeno naturale e la capacità di vedere a occhio nudo ciò che a stento si vede con l'aiuto degli strumenti. Per questo suo spirito di osservazione potente ed esclusivo, egli si differenzia dai predecessori e da Galileo. I suoi scritti sono essenzialmente non ordinati e tentando di tradurli in trattati della più pura scienza moderna, si snaturano. Leonardo (bisogna dirlo ad alta voce) non è un super-Galileo: è un grande curioso della natura, non uno scienziato-filosofo. Può darsi che qualche volta vada anche più oltre di Galileo, ma ci va con un altro spirito. Dove Galileo scriverebbe un trattato, Leonardo scrive cento aforismi o cento notazioni dal vero; mentre Galileo è tanto coerente da diventare in qualche momento conseguenziario. Leonardo guarda e nota senza preoccuparsi troppo delle teorie. Molte volte registra il fatto senza nemmeno tentare di spiegarlo».



    .... L'inventore.....



    Il 25 novembre 1796 i manoscritti di Leonardo sottratti alla Biblioteca Ambrosiana giungevano a Parigi e dalla loro analisi il fisico italiano Giovanni Battista Venturi, allora in Francia, traeva un Essai sur les ouvrages physico-mathématiques de Leonard de Vinci, escludendo da questo gli studi vinciani sul volo, giudicandoli probabilmente solo una bizzarria chimerica.
    Nel 1486 Leonardo aveva espresso la sua fede nella possibilità del volo umano: «potrai conoscere l'uomo colle sue congegnate e grandi alie, facendo forza contro alla resistente aria, vincendo, poterla soggiogare e levarsi sopra di lei». Dal 14 marzo al 15 aprile 1505 scrive parte di quello che doveva essere un organico Trattato delli uccelli, dal quale avrebbe voluto estrarre il segreto del volo, estendendo nel 1508 i suoi studi all'anatomia degli uccelli e alla resistenza dell'aria e, verso il 1515, vi aggiunge lo studio della caduta dei gravi e i moti dell'aria.
    Chiama moto strumentale il volo umano realizzato con l'uso di una macchina: individua nel paracadute il mezzo più semplice di volo: «Se un uomo ha un padiglione di pannolino intasato, che sia di 12 braccia per faccia e alto 12, potrà gittarsi d'ogni grande altezza sanza danno di sé». Dall'analogia col peso e l'apertura alare degli uccelli cerca di stabilire l'apertura alare che la macchina dovrebbe avere e quale forza dovrebbe essere impiegata per muoverla e sostenerla.
    La fede di Leonardo nel volo umano sembra essere rimasta immutata per tutta la sua vita, malgrado gli insuccessi e l'obiettiva difficoltà dell'impresa: «Piglierà il primo volo il grande uccello sopra del dosso del suo magno Cecero (il monte Ceceri, presso Firenze), empiendo l'universo di stupore, empiendo di sua fama tutte le scritture e gloria eterna al loco dove nacque». Un esperimento in tale senso si svolse veramente e fece da cavia il suo amico Tommaso Masini.
    I suoi appunti contengono numerose invenzioni in campo militare: gli scorpioni, una macchina «la quale po' trarre sassi, dardi, sagitte» che può anche distruggere la macchine nemiche; i cortaldi, cannoncini da usare contro le navi; le serpentine, adatte contro le «galee sottili, per poter offendere il nimico di lontano. Vole gittare 4 libre di piombo»; le zepate, zattere per incendiare le navi nemiche ormeggiate in porto, e progetta navi con spuntoni che rompano le carene nemiche e bombe incendiarie composte di carbone, salnitro, zolfo, pece, incenso e canfora, un fuoco che «è di tanto desiderio di brusare, che seguita il legname sin sotto l'acqua».
    Un altro progetto avrebbe compreso il palombaro - vi è chi ha pensato addirittura al sottomarino - a proposito del quale scrive però di non volerlo divulgare «per le male nature delli omini, li quali userebbono li assassinementi ne' fondi mari col rompere i navili in fondo e sommergerli insieme colli omini che vi son dentro». Pensa all'attuale bicicletta, all'elicottero, un modello del quale è stato realizzato nel parco del castello di Clos-Lucé, a un apparecchio a ruote dentate che è stato interpretato come il primo calcolatore meccanico, a un'automobile spinta da un meccanismo a molla e a un telaio automatico, ricostruito dal Museo nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano, che tesse 2 centimetri di tela al minuto.
    Negli anni trascorsi in Vaticano ideò un uso industriale dell'energia solare, mediante l'utilizzo di specchi concavi per riscaldare l'acqua.



    ....Gli studi d'anatomia...



    Gli scritti di anatomia precedenti l'opera leonardesca, come quelli di Mondino de' Luzzi o di Guy de Chauliac, riproponevano la tradizione di Galeno ed erano pertanto privi di ogni verifica sperimentale.
    L'insaziabile desiderio di conoscere, di capire tutto ciò che vedeva, portava Leonardo ad esplorare ogni cosa. Anche il corpo umano lo affascinava quale macchina perfetta e ben più complicata delle macchine fatte di ingranaggi. Leonardo voleva capire cosa c'era dentro, come funziona e cosa succede quando si ferma definitivamente con la morte. Per questo, prima a Milano, alla fine del Quattrocento, e poi a Firenze, agli inizi del Cinquecento, era solito recarsi negli obitori e usando forbici e bisturi sezionava cadaveri; almeno trenta, secondo quanto riportano i suoi contemporanei. Nei suoi disegni mostra anche gli strumenti allora usati dai chirurghi, seghe e divaricatori. L'anatomia era ai primordi, le idee sul corpo umano erano molto confuse. Egli può a buon diritto essere considerato il fondatore di tale scienza, unitamente almeno con il belga Andrea Vesalio (1514-1564), la cui opera De humani corporis fabrica doveva apparire nel 1543.
    È noto l'appunto su una di queste sue esperienze fiorentine: «questo vecchio, di poche ore innanzi la sua morte, mi disse lui passare i cento anni, e che non si sentiva alcun mancamento ne la persona, altro che debolezza; e così standosi a sedere sopra uno letto nello Spedale di Santa Maria Nova di Firenze, sanza altro movimento o seguito d'alcuno accidente, passò di questa vita. E io ne feci notomia, per vedere la causa di sì dolce morte».
    Leonardo studiò anatomia in tre distinti periodi: a Milano, tra il 1480 e il 1490, se ne occupò, interessandosi in particolare dei muscoli e delle ossa, in funzione della propria attività artistica; successivamente a Firenze, tra il 1502 e il 1507, si applicò in particolare della meccanica del corpo, e infine, dal 1508 al 1513, a Milano e a Roma, s'interessò allo studio degli organi interni e della circolazione del sangue.

    Leonardo fu il primo a rappresentare l'interno del corpo umano con una serie di disegni; si trattava anche di un modo del tutto nuovo per "guardare dentro" il corpo, rompendo tra l'altro antichi tabù. Sono centinaia i disegni conservati oggi al Castello di Windsor e di proprietà della regina d'Inghilterra, che visualizzano quello che prima era soltanto descritto a parole e in modo poco chiaro. Scrisse Leonardo: «Con quali lettere descriverai questo core, che tu non empia un libro, e quanto più lungamente scriverai alla minuta, tanto più confonderai la mente dello uditore, e sempre avrai bisogno di sponitori o di ritornare alla sperienzia, la quale in voi è brevissima e dà notizie di poche cose rispetto al tutto del subbietto di che desideri integrar notizia».
    Leonardo inventò l'illustrazione anatomica. Inventò anche un modo di illustrare che ancora oggi viene usato dai moderni disegnatori, la cosiddetta "immagine esplosa": un esempio si ha guardando come Leonardo rappresentava una testa sezionata, disegnando il cranio e il cervello in sequenza in modo da mostrare come entrano l'uno dentro l'altro. Studiò le ossa, i muscoli, le arterie, le vene, i capillari; riuscì a capire le alterazioni senili e persino ad intuire l'arteriosclerosi. Gli sfuggì invece il ruolo del cuore, studiato a Roma fino al 1513: «Tutte le vene e arterie nascano dal core, e la ragione è che la maggiore grossezza che si trovi in esse vene e arterie è nella congiunzione che esse hanno col core, e quanto più se removano dal core, più si assottigliano e si dividano in più minute ramificazioni» e questa convinzione gli deriva dall'analogia con le piante, le quali hanno le radici nella loro parte inferiore ingrossata: «è manifesto che tutta la pianta ha origine da tale grossezza, e per conseguenza le vene hanno origine dal core, dov'è la lor maggior grossezza»
    Allo stesso modo i suoi studi di botanica lo sviarono, facendogli ritenere che la circolazione sanguigna funzionasse come la linfa delle piante, con una linfa ascendente e una discendente. Del cuore aveva bensì individuato la natura di muscolo: «il core è un muscolo principale di forza, ed è potentissimo sopra li altri muscoli» ma anche come equivalente di una stufa per dare calore al corpo: «Il caldo si genera per il moto del core; e questo si manifesta perché, quando il cor più veloce si move, il caldo più multiplica, come c'insegna il polso de' febbricitanti, mosso dal battimento del core»
    Tra i suoi disegni anatomici, i più spettacolari ed impressionanti rimangono quelli che mostrano un feto prima della nascita: erano immagini del tutto nuove per l'epoca e, certamente, sconvolgenti.
    Leonardo studiò anche i meccanismi dell'occhio per capire come funziona la visione tridimensionale, dovuta alla sovrapposizione di due immagini leggermente sfalsate. Fece bollire un occhio di bue in una chiara d'uovo, in modo da poterlo sezionare e vedere ciò che si trova all'interno. Scoprì così la retina e il nervo ottico, e riportò queste osservazioni nei suoi disegni.



    .....Le opere idrauliche.....



    Nel Seicento, Francesco Arconati, figlio del conte Galeazzo, trasse dagli scritti vinciani da questi donati alla Biblioteca Ambrosiana, un trattato che intitolò Del moto e misura dell'acqua, che tuttavia verrà pubblicato solo nel 1826.
    Leonardo si dedicò a studi idraulici a partire dalla sua permanenza a Milano, già ricca di navigli, e in Lombardia, solcata da un'ampia rete di canali.
    Collaborò con la Repubblica di Venezia per la sistemazione dell'assetto del fiume Brenta, per evitarne le inondazioni e renderlo navigabile, ma non si conoscono opere realizzate su suoi progetti, alcuni dei quali, particolarmente grandiosi, sono attestati dai suoi scritti: un canale che unisca Firenze con il mare, ottenuto regolando il corso dell'Arno; il prosciugamento delle Paludi Pontine, nel Lazio, che si sarebbe dovuto realizzare deviando il corso del fiume Ufente; la canalizzazione della regione francese della Sologne, con la deviazione del fiume Cher, presso Tours.
    Leonardo progettò anche macchine per l'uso dell'energia idraulica, per il prosciugamento e per l'innalzamento delle acque. Secondo il suo costume, egli studia la natura dell'acqua: «infra i quattro elementi il secondo men grieve e di seconda volubilità. Questa non ha mai requie insino che si congiunge al suo marittimo elemento dove, non essendo molestata dai venti, si stabilisce e riposa con la sua superfizie equidistante al centro del mondo», la sua origine, il movimento, certe caratteristiche, come la schiuma: «l'acqua che da alto cade nell'altra acqua, rinchiude dentro a sé certa quantità d'aria, la quale mediante il colpo si sommerge con essa e con veloce moto resurge in alto, pervenendo a la lasciata superfizie vestita di sottile umidità in corpo sperico, partendosi circularmente dalla prima percussione».
    Osserva gli effetti ottici sulla superficie dell'acqua e trova che «il simulacro del sole si dimostrerrà più lucido nell'onde minute che nelle onde grandi» e che «il razzo del sole, passato per li sonagli [le bolle] della superfizie dell'acqua, manda al fondo d'essa acqua un simulacro d'esso sonaglio che ha forma di croce. Non ho ancora investigato la causa, ma stimo che per cagion d'altri piccoli sonagli che sien congiunti intorno a esso sonaglio maggiore».
    Si occupa dei fossili che si trovano sui monti e ironizza con coloro che credono nel Diluvio universale: «Della stoltizia e semplicità di quelli che vogliono che tali animali fussin in tal lochi distanti dai mari portati dal diluvio. Come altra setta d'ignoranti affermano la natura o i celi averli in tali lochi creati per infrussi celesti [...] e se tu dirai che li nichi [ le conchiglie ] che per li confini d'Italia, lontano da li mari, in tanta altezza si vegghino alli nostri tempi, sia stato per causa del diluvio che lì li lasciò, io ti rispondo che credendo che tal diluvio superassi il più alto monte di 7 cubiti - come scrisse chi 'l misurò! - tali nichi, che sempre stanno vicini a' liti del mare, doveano stare sopra tali montagne, e non sì poco sopra la radice de' monti».
    È convinto che con il tempo la terra finirà con l'essere completamente sommersa dall'acqua: «Perpetui son li bassi lochi del fondo del mare, e il contrario son le cime de' monti; séguita che la terra si farà sperica e tutta coperta dall'acque, e sarà inabitabile».



    .....L'ingegneria civile e l'architettura di Leonardo...




    Scrive il Vasari che Leonardo «nell'architettura ancora fe' molti disegni così di piante come d'altri edifizii e fu il primo ancora che, giovanetto, discorresse sopra il fiume Arno per metterlo in canale da Pisa a Fiorenza», testimonianza che, a parte che nell'occasione del progetto di deviazione dell'Arno, avvenuto nel 1503, Leonardo non era affatto "giovanetto", mostra che gli interessi di Leonardo o le richieste a lui rivolte riguardavano soprattutto progetti di idraulica o di ingegneria militare. In compenso, nella nota lettera indirizzata a Ludovico il Moro nel 1492, Leonardo vanta le sue competenze di natura militare ma aggiunge che in tempo di pace crede di «satisfare benissimo a paragone de omni altro in architectura, in composizione di edifici pubblici e privati, et in conducer acqua de uno loco ad un altro».
    A Milano avrà in effetti solo il titolo di "ingegnarius", mentre nel suo secondo soggiorno fiorentino potrà fregiarsi del titolo di architetto e pittore.
    È certo che per l'approfondimento delle nozioni ingegneristiche si giovasse della conoscenza personale del senese Francesco di Giorgio Martini e dei suoi scritti: possiede e postilla una copia del suo Trattato di architettura militare e civile; progetta fortificazioni con bastioni spessi e irti di angoli che possano opporsi alle artiglierie nemiche.
    Sono noti suoi disegni sia per la cupola del Duomo di Milano sia per edifici signorili, per i quali pensa a giardini pensili e a innovative soluzioni interne, quali scale doppie e quadruple e nell'interno delle case «col molino farò generare vento d'ogni tempo della state; farò elevare l'acqua surgitiva e fresca, la quale passerà pel mezzo delle tavole divise [...] e altra acqua correrà pel giardino, adacquando li pomeranci e cedri ai lor bisogni [...] farassi, mediante il molino, molti condotti d'acque per casa, e fonti in diversi lochi, e alcuno transito dove, chi vi passerà, per tutte le parti di sotto salterà l'acque allo insù».
    Ma si occupa anche della moderna ideazione di "una polita stalla", per giungere a immaginare una città ideale, strutturata su più livelli stradali, ove al livello inferiore scorressero i carri, e in quello superiore avessero agio i pedoni.
    Nel 1502 Leonardo da Vinci produsse il disegno di un ponte a campata unica di 300 metri, come parte di un progetto di ingegneria civile per il Sultano ottomano Bayazed II. Era previsto che un pilone del ponte sarebbe stato collocato su uno degli ingressi alla bocca del Bosforo, il Corno d'Oro, ma non fu mai costruito. Il governo turco, nei primi anni del XXI secolo ha deciso la costruzione di un ponte che segua il progetto leonardesco.


     
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  8. gheagabry
     
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    TRATTATO DELLA PITTURA



    È una raccolta di pensieri e appunti tratti dai manoscritti di Leonardo da Vinci, redatta circa il 1550 da un anonimo, probabilmente lombardo, a torto identificato con Francesco Melzi.

    È noto il proposito di Leonardo di comporre una grande opera sulla pittura: è però dubbio se essa sia mai stata interamente compiuta. Nella migliore redazione pervenutaci - quella del Codice Urbinato 1570 della Biblioteca Vaticana - il Trattato comprende 944 paragrati o capitoletti: l'ordinamento alquanto meccanico della materia si deve al compilatore. La prima edizione a stampa, curata da Rafael Du Fresne, apparve a Parigi nel 1651. Seguirono molte altre edizioni; tra le moderne, notevoli quelle di H. Ludwig (Vienna, 1882) e di Angelo Borzelli (Lanciano, 1914). Il Trattato si apre con una disputa, che ha sapore di esercitazione accademica, sulla preminenza della pittura rispetto alle altre arti. La distinzione dei mezzi e dei limiti delle arti (per cui per esempio la poesia agisce successivamente sull'immaginazione del lettore mentre la pittura rende tutte a un tempo sensibili all'occhio e come reali le cose rappresentate) è addotta da Leonardo, in modo talora ingenuamente empirico e sofistico, come prova di superiorità della sua arte prediletta. Così la pittura vince la scultura perché, a differenza di questa, può abbracciare e restringere in sé tutte le cose visibili, e deve conquistarsi, disponendo solo di una superficie piana, rilievo e profondità spaziale. Anche la musica è sorella minore della pittura giacché muore nel punto stesso che nasce, mentre il disegno resta nel tempo. La disputa (tema abusato nella posteriore letteratura artistica del Cinquecento) si giustifica e si conclude con un'esaltazione della pittura, concepita come scienza fondata dall'esperienza e su tutte mirabile, dai cui princìpi discende l'operazione manuale dell'artista. Mentre Leonardo da un lato accentua l'empirismo dei primi teorici toscani, del Quattrocento nel concepire la sua arte come conoscenza naturale e nel determinarne le leggi, dall'altro intende l'imitazione delle cose a cui quella conoscenza conduce come un "fare di fantasia", a mentale e interiore elaborazione del modello, e approfondisce la coscienza della spiritualità dell'arte quale espressa nella famosa La Pittura di Leon Battista Alberti. Rispecchiando nella sua opera la natura immensa e animata e moltiplicandone gli aspetti, il pittore supera la natura stessa e diviene quasi un Dio ("la deità ch'ha la scienza del pittore fa che la mente del pittore si trasmuta in una similitudine di mente divina"). Enunciati alcuni precetti generali di studio e di vita (necessità per il pittore di essere universale, capace cioè di rappresentare tutte le cose; di seguire la natura e non la maniera di altri; di giudicare severamente l'opera propria), segue la trattazione, non sempre ordinata, delle varie parti della pittura. Fondamenti di essa sono per Leonardo il rilievo, ottenuto per mezzo della luce e dell'ombra, il movimento e l'espressione psicologica. Molto minore importanza ha per lui il colorito; il suo ideale stilistico di una forma plastica immersa nell'atmosfera, di un chiaroscuro che trapassa in "sfumato", tende appunto ad assorbire il colore nell'ombra. Il suo interesse per quest'ultimo elemento, qualità artistica di ogni forma, si esprime, anche sotto specie di classificazioni scolastiche, in innumerevoli passi. Alla teoria delle ombre si riconnettono in parte gli acuti accenni all'effetto dei riflessi sui colori. Molto diffusamente Leonardo discorre anche del moto, legge della vita universale oltre che necessità dell'arte. Così le proporzioni non sono fissate secondo un canone statico ma indagate nel loro variare nel moto. Viva attenzione è rivolta al linguaggio dei gesti e alla fisiognomica, con particolare riguardo alle caratteristiche individuali. Anche la teoria della prospettiva è originalmente esposta da Leonardo, che distingue, accanto alla prospettiva geometrica e lineare (scientificamente elaborata dall'Alberti a Piero della Francesca, autore del trattato De prospectiva pingendi, quella "di colore", risultante dal variare dei colori che si allontanano dall'occhio, e quella "aerea", effetto della diversa densità dell'aria interposta. L'ultima parte del Trattato contiene ammirevoli osservazioni sul paesaggio - di cui Leonardo è il primo a riconoscere l'importanza come materia di opera d'arte in sé -, sugli alberi, le nuvole, l'orizzonte. Talune di esse descrivono effetti di luce solare e fenomeni atmosferici elaborati pittoricamente solo dai veneti del Cinquecento o perfino dagli impressionisti ottocenteschi, e che Leonardo osserva e annota senza però consigliarne l'applicazione alla pittura. Nel suo nucleo sostanziale, espresso in geniali e frammentarie intuizioni, il Trattato è un programma della pittura leonardesca (cosicché scritti, dipinti e disegni si illuminano a vicenda) e insieme del nuovo gusto figurativo del Cinquecento, in quanto Leonardo ne anticipa e fissa alcuni tratti essenziali. Il più intimo interesse dell'opera è in questo suo carattere autobiografico, per cui il cammino spirituale dell'artista in essa raffigurato si identifica con quello stesso dell'autore. Di tutto ciò che lo interessa pittoricamente, Leonardo è tratto a formulare le leggi, movendo dall'arte alla conoscenza scientifica e filosofica dell'universo. Ma la pittura resta sempre per lui il modo supremo di esprimere la realtà assoluta attinta attraverso tale conoscenza. In questo ideale di pittura cosmica, arte e filosofia si saldano profondamente nel cuore stesso della personalità leonardesca. Le idee vinciane sull'arte, nonostante il loro carattere fortemente personale, ebbero larga risonanza specie in Toscana e in Lombardia nella seconda metà del sec. XVI. Di esse si giovò in parte anche Alberto Dürer nei suoi scritti teorici sulle proporzioni.

    Il Trattato della pittura è il programma fondamentale dell'arte del sec. XVI... Leonardo è il caso forse unico di grande pittore, e a un tempo di forte pensatore, che abbia accentrato il suo pensiero, sotto pretesto della pittura in genere, sulla pittura ch'egli stesso faceva o che si preparava per l'avvenire. Egli presenta lo svolgimento ulteriore dello stile pittorico, come un bisogno per conquistare l'intera realtà, ma nello stesso tempo esprime, anche con le parole, il suo amore per un momento della visione, che gli permetteva di rispettare la tradizione fiorentina della forma. (L. Venturi)
     
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  11. gheagabry
     
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    Cento anni fa il furto che trasformò la Gioconda di Leonardo in leggenda.
    (Adnkronos) - Era la notte del 20 agosto 1911 quando l'italiano Vincenzo Peruggia, decoratore e imbianchino, rubò la Gioconda di Leonardo da Vinci dal Louvre. Originario di Dumenza, un paese del nord della provincia di Varese, emigrato in Francia giovanissimo, Peruggia aveva lavorato anche al Louvre e partecipato ai lavori per la sistemazione della teca di vetro dove era custodito il dipinto, allora nel Salon Carré. Conosceva quindi benissimo il luogo e le abitudini del personale del museo.

    Era la prima volta che un dipinto veniva rubato da un museo, per di più dell'importanza del Louvre. Uno smacco cui seguì un'attività investigativa di tre anni, non proprio brillante, e che trasformò presto il capolavoro di Leonardo da Vinci in una vera e propria leggenda.

    Ad oggi la Monna Lisa è il ritratto più celebre al mondo. Fu proprio Leonardo a portarla con sé in Francia, nel 1516, vendendola poi a caro prezzo al re di Francia Francesco I. Più tardi il dipinto fu trasferito a Versailles su richiesta di Luigi XIV e dopo la Rivoluzione francese giunse al Louvre. Ne uscì poi per approdare nella camera da letto di Napoleone Bonaparte che lo volle tenere lì per qualche tempo fino a quanto fece ritorno al museo parigino.

    Tornando al fatidico furto, oggi fa un certo effetto la facilità con cui venne messo a segno. Quella domenica notte precedeva il canonico giorno di chiusura del Louvre e l'imbianchino Peruggia dormiva sereno nel ripostiglio in attesa che arrivassero le sette del mattino quando, allentatasi la sorveglianza, tolse con facilità il dipinto dalla cornice e se lo infilò sotto il cappotto.

    Era stato lui stesso a inserirlo nella teca tempo prima e sapeva come agire. Poi con tutta calma si diresse verso l'uscita e chiese aiuto ad un idraulico perché gli aprisse il portone. In un baleno fu così su Rue de Rivoli e poco dopo in un comodo taxi. Erano le 8,30 del mattino.

    Le uniche misure di sicurezza allora consistevano nell'addestramento delle guardie al judo. E il furto dal Louvre rappresentava un'assoluta novità. Le ricerche, infatti, furono lente e condotte con difficoltà.

    Il primo sospettato fu il poeta francese Guillaume Apollinaire: aveva, infatti, dichiarato di voler distruggere i capolavori di tutti i musei per fare posto all'arte nuova. Così fu condotto in prigione. In realtà il suo arresto aveva come unica prova la testimonianza, falsa, dell'amante Honore Geri Pieret che lo accusò di aver ricettato statuette antiche rubate dal museo.

    Venne interrogato anche Pablo Picasso ma anche lui fu poi rilasciato. Ad un certo punto si ventilò l'ipotesi che si trattasse di un furto di Stato ad opera dell'Impero tedesco, nemico della Francia. Man mano, però, che il tempo passava la speranza andava scemando. Si fece spazio così la scelta di 'consolarsi' un po' e, dopo qualche tempo, per sostituire la Gioconda fu scelto il Ritratto di Baldassarre Castiglione di Raffaello.

    Nel 1913 accadde però qualcosa di inaspettato che diede una svolta alle indagini. Peruggia, infatti, tornato nel suo paese, Luino, per regalare la Gioconda all'Italia, con la garanzia che vi sarebbe rimasta (riteneva infatti, sbagliando, che l'opera fosse stata rubata durante le spoliazioni napoleoniche), si recò ingenuamente a Firenze, per rivendere l'opera.

    A Firenze l'antiquario Alfredo Geri ricevette una strana lettera firmata "Leonardo" in cui vi era scritto: 'Il quadro è nelle mie mani, appartiene all'italia perché Leonardo è italiano'. La missiva era accompagnata poi dalla richiesta di 500.000 lire in cambio dell'opera. Fu così che, incuriosito, Geri fissò un appuntamento nella sua stanza dell'Hotel Tripoli, accompagnato dal direttore degli Uffizi Giovanni Poggi. Era l'11 dicembre 1913. I due si accorsero che l'opera era originale e se la fecero consegnare per "verificarne l'autenticità".

    Nell'attesa il Peruggia se ne andò a serenamente a zonzo, ma poco dopo venne pizzicato e arrestato. Processato, fu definito "mentalmente minorato" e venne condannato a un anno e quindici giorni di prigione, poi ridotti a sette mesi e quindici giorni. La sua difesa si basò sul patriottismo e suscitò anche qualche simpatia. Si parlò persino di "peruggismo".

    Approfittando del clima amichevole che allora regnava nei rapporti tra Italia e Francia, il dipinto ormai ritrovato venne esibito in tutta la penisola: prima agli Uffizi di Firenze, poi all'ambasciata di Francia di Palazzo Farnese a Roma, infine alla Galleria Borghese. La Gioconda arrivò in Francia a Modane, su un vagone speciale delle Ferrovie italiane, accolta in pompa magna dalle autorità d'oltralpe, per poi giungere a Parigi dove, nel Salon Carre', l'attendevano il Presidente della Repubblica francese, Raymond Poincare', e tutto il Governo.

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  12. tomiva57
     
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    Leonardo, una mostra da due
    miliardi di euro

    Assicurazione da record in caso di furto o danni
    per la rassegna che si inaugura mercoledì




    LONDRA - Cinquanta disegni, nove dipinti: un tesoro mai ammirato in una volta sola e ora assicurato per 1,5 miliardi di sterline (oltre un miliardo e 700 milioni di euro). Nella malaugurata ipotesi che le opere di Leonardo da Vinci raccolte dalla National Gallery dovessero essere rubate o distrutte, è questo l'indennizzo che, rivela il «Sunday Telegraph», il governo di sua maestà sarebbe chiamato a pagare. Cifra da capogiro per una collezione da capogiro.

    Sarà inaugurata mercoledì la mostra-evento dell'anno e durerà fino al 5 febbraio 2012: «Leonardo un artista-pittore alla corte di Milano». Da ammirare i lavori eseguiti dal genio vinciano fra il 1481 e il 1492 quando fu al servizio di Ludovico Sforza il Moro.


    La National Gallery ha compiuto un vero e proprio miracolo mettendo assieme dipinti e bozzetti appartenenti a istituzioni culturali pubbliche e a fondazioni private sparse per il mondo (Parigi, Cracovia, Milano, Venezia, New York, Vaticano, il patrimonio dei Windsor, San Pietroburgo) e costruendo un catalogo di eccezionale valore (firmato dal capo delle ricerche alla National, Luke Syson con Larry Keith, Antonio Mazzotta, Minna Moore Ede, Arturo Galansino, Per Rumberg e Scott Nethersole).

    A Londra arrivano il «Ritratto di un musico» (dalla Biblioteca Ambrosiana) che apre l'itinerario leonardesco, il «Ritratto di Cecilia Gallerani» (la «Dama con l'Ermellino»), il «San Gerolamo». E si affiancano alla «Vergine delle Rocce», al «Salvator Mundi», che attribuito per secoli a un allievo di Leonardo fu venduto nel 1958 per 45 sterline dai discendenti di sir Herbert Cook a un consorzio americano e infine attribuito al grande maestro. Si ritiene che Leonardo abbia completato in vita 20 dipinti, 15 sopravvissuti ai giorni nostri. Di questi, nove saranno alla National Gallery. Sette sale. E un pubblico (prenotazione via internet o per telefono) da record per il Leonardo «milanese» in trasferta londinese.

    Fabio Cavalera
     
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  13. gheagabry
     
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    Leonardo, il volto del Genio.

    Evento mondiale alla Reggia di Venaria, migliaia di prenotazioni da tutta Europa. Il volto del Genio, in un evento mondiale dedicato al piu' grande mito italiano di tutti i tempi che, ancor prima di cominciare, ha incassato piu' di 20.000 prenotazioni da ogni parte d'Italia e d'Europa. La Reggia di Venaria apre le maestose Scuderie Juvarriane a Leonardo da Vinci e alla rassegna clou dei festeggiamenti per i 150 dell'Unita' d'Italia: ''Leonardo. Il genio, il mito''. Una mostra straordinaria dedicata all'uomo di Vinci e alle sue opere, che diventa unica con l'esposizione del celebre ''Autoritratto'' di Leonardo. Il capolavoro e' custodito con grande perizia nel caveau della Biblioteca Reale di Torino e di la' non si e' mai spostato, se non per qualche rara esposizione (nel 1929 e nel 2006) nella stessa Biblioteca. Per mesi si e' discusso sull'opportunita' del suo trasferimento alla Reggia, poi il Ministro dei Beni culturali, Giancarlo Galan, ha deciso di concedere il via libera, cosi' da permettere al pubblico di apprezzare l'Autoritratto per la prima volta in un'altra sede rispetto a quella in cui e' abitualmente conservato. Per questo e' stata realizzata un'incredibile teca hi-tech, con vetro extra-chiaro e un complesso software che controlla temperatura, umidita' e altri parametri 24 ore su 24. Pr la mostra, questo autentico gioiello dell'arte e della storia dell'umanita' e' stato assicurato per 50 milioni di euro. La rassegna - allestita nell'ambito delle iniziative del Comitato Italia 150 - e' un viaggio nell'opera di Leonardo tra arte, multimedialita' ed effetti speciali, attraverso 25 disegni autografi originali, decine di scritti e una serie di opere dal XV al XX secolo che raccontano di come artisti dell'eta' moderna e contemporanea si siano ispirati al genio di Leonardo. Il tutto arricchito dallo spettacolare allestimento dello scenografo e premio Oscar, Dante Ferretti, che ha riprodotto alcune delle macchine leonardiane come contenitori delle opere: la ''macchina cimatrice'' e la testa di cavallo concepita nel 1482 per il monumento a Francesco Sforza. Il viaggio inizia con l'introduzione alla figura del genio di Vinci, anche grazie a un video di Piero Angela che ricostruisce il volto del Maestro da giovane. Si entra nel vivo con la sezione dedicata ai disegni, che hanno come comune denominatore i temi del volto, della natura, dell'anatomia umana e delle macchine. Ci sono il ''Codice sul volo degli uccelli'', il ''Ritratto di giovinetto'', lo studio della ''Vergine delle Rocce'' e altri fogli autografi (tutti custoditi alla Biblioteca Reale di Torino) che introducono a vero gioiello della mostra. L'Autoritratto ''a sanguigna'' mostra il volto di un uomo canuto, con capelli e barba lunga. Viene fatta risalire ai primi anni del Cinquecento e si trova a Torino dal 1839, quando re Carlo Alberto l'acquisto' da un collezionista, insieme ad altri disegni di artisti famosi, entrando cosi' a far parte delle collezioni Savoia in seguito confluite alla Biblioteca Reale. E' affiancato da due ritratti dello stesso Leonardo eseguiti da due suoi allievi (uno dei quali e' Francesco Melzi). E' il preludio alla sezione dedicata alle opere di artisti di un periodo che va dalla fine del Quattrocento all'Ottocento, in cui viene analizzata la figura di Leonardo nelle arti e nella cultura, evidenziando come la fisionomia stessa del Maestro diventi icona del genio rinascimentale. Si passa quindi al mito e alla presenza di Leonardo nell'arte contemporanea. C'e' l'omaggio-sfregio di Marcel Duchamp che mette i baffi alla ''Gioconda'', c'e' l'''Ultima cena'' interpretata da Andy Warhol, ci sono i contributi di Spoerri, Nitsch, Recalcati, fino all'''Uomo Vitruviano'' rivisto da Mario Ceroli. L'Ultima Cena ritorna nel finale con una riproduzione digitale animata in scala 1:1 in alta definizione che consente di analizzare nel dettaglio lo studio della fisionomie e delle espressioni. Si chiude con una rassegna di filmati, commentati dallo scrittore Arnaldo Colasanti, che evidenziano l'influenza di Leonardo sulla cultura e sul cinema.

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  14. gheagabry
     
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    Leonardo di multiforme ingegno
    di Luca Ferrari



    Un gesto. Un’intuizione. Un fulmine illumina l’atelier. O forse nulla di tutto questo. Semplicemente si sedeva e dipingeva. Progettava. Studiava. Musicava. Realizzava. Dalla realtà all’immaginazione, e ritorno. Potrebbe essere questa in sintesi, la storia di Messer Rinascimento, Leonardo da Vinci (1452-1519).

    A Milano, il genio soggiornò per il periodo più lungo della sua vita. Diciott’anni. Dal 1482 al 1500. Una statua (ma non solo) ne tramanda i multiforme ingegno. Questa si trova n Piazza della Scala, il cui nome si rifà alla Chiesa di Santa Maria alla Scala, eretta nel 1381 e così chiamata in onore della committente, Regina della Scala moglie di Bernabò Visconti.

    A realizzare il monumento a lui dedicato fu Pietro Magni (1817-1877) La statua, inaugurata il 12 settembre 1872, venne realizzata in marmo bianco e fatta poggiare su un piedestallo ottagonale in granito rosso. Su quattro degli otto lati vi sono dei bassorilievi che hanno per tema Leonardo pittore, scultore, architetto e stratega, e genio idraulico.

    Il Leonardo quindi che dipinge il Cenacolo, che scolpisce la statua di Francesco Sforza, che dirige le fortificazioni, che si occupa dei canali navigabili in Lombardia.

    Il Da Vinci arrivò abbandona la Toscana all’età di trent’anni, si trasferì nelle terre nel Ducato di Milano, da Ludovico il Moro. Vi arrivò dopo aver già partorito alcuni capolavori come L’Annunciazione (olio e tempera su tavola. 1472-75; Galleria degli Uffizi, Firenze); la Madonna del garofano (olio su tavola, 1478; Alte Pinakotek, Monaco)l’Adorazione dei Magi (olio su tavola, 1481-82; Galleria degli Uffizi, Firenze).

    Fu pittore, architetto, scultore, ingegnere, anatomista, matematico, letterato, musicista e inventore. Forse oggi sarebbe ignorato uno come lui. In Italia, per lo meno. Forse nel 2008 il “Leo” se ne starebbe in qualche centro super-moderno negli States o in Germania. Ma all’epoca c’erano i mecenati. C’era un mondo da far evolvere.

    La lezione che Leonardo ci ha lasciato (molto ben documentata) è l’arte della ricerca. L’arte di imparare. Poteva essere solo un artista. Voleva di più. Quasi che fosse una sua urgenza interiore. Quella di comprendere. Di trovare soluzioni. Di toccare sentieri che l’uomo non aveva ancora calcato.



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  15. gheagabry
     
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    LA GIOCONDA DI LEONARDO DA VINCI (1452-1510)



    Quadro dipinto ad olio su legno di pioppo. Misura cm. 77 x cm. 53. Appartiene alle collezioni del Museo del Louvre di Parigi.
    In Italia si preferisce chiamarlo "La Gioconda", come lo nominò per primo, nel 1625, Cassiano del Pozzo. All'estero si conosce meglio col nome di "Monna Lisa", come lo intitolò Giorgio Vasari, nel 1550.

    Leonardo cominciò a dipingerlo nel 1503 a Firenze, vi lavorò fino al 1506, con interruzioni, secondo la sua abitudine, e non lo terminò mai, secondo la sua opinione.
    Rappresenta forse la signora Lisa Gherardini, moglie del commerciante fiorentino Francesco del Giocondo, o forse è una misteriosa signora fiorentina, il cui ritratto gli fu incaricato da Giuliano de' Medici, fratello di Lorenzo il Magnifico.
    O si tratta di una sconosciuta signora napoletana? Molto probabilmente non lo sapremo mai.
    Vasari scrisse che "La Gioconda" era bellissima e che Leonardo dipingendola aveva contattato musici, cantanti e buffoni, affinché la divertissero e la facessero sorridere, per far scomparire così la malinconia che generalmente appare nei ritratti tradizionali.
    Col passar del tempo la Gioconda si convertì nel ritratto tipico per eccellenza e, per uno di quei misteriosi capricci del destino, nel quadro più famoso del mondo.



    Infatti esistono 62 copie antiche della Gioconda (incluso alcune che la rappresentano nuda), delle quali le più conosciute si trovano nei musei di Roma, Madrid,Londra, Innsbruck, Monaco, Baltimora, Tours, Bourg-en-Bresse, e in collezioni private soprattutto inglesi. (Una copia si attribuisce a Bernardo Luini, un'altra al Salaino, altre si basano su cartoni di Joos van Cleeve, un'altra copia è d'uno spagnolo anonimo del 1500).

    Il quadro rappresenta una signora rinascimentale. Il suo viso appare quasi frontalmente, il corpo di tre quarti da un'impressione di movimento giratorio, una delle sua braccia riposa su uno dei braccioli della poltrona dove è seduta e la sua mano destra si posa delicatamente sull'altra.
    Contrariamente ai ritratti femminili dell'epoca la donna non porta gioielli, né altri ornamenti. D'accordo con la moda rinascimentale ha depilate le sopracciglia e parte dei capelli appena sopra la fronte, il petto stretto da un busto e il velo, che le avvolge i capelli, si distingue chiaramente per linea nera che ha sulla fronte.

    Un sorriso, sul quale tanto s'è scritto e discusso, sfiora le sue labbra. Sorriso che sembra venire da una luce interiore, dato che non si nota contrazione alcuna dei muscoli facciali. Sorriso enigmatico, misterioso, ma che potrebbe anche essere triste e tenero, compassionevole e dolce o, forse, ironico.

    Leonardo usò tecniche pittoriche diverse e strane miscele di agglutinanti, dato che le mani della donna si sono conservate ottimamente, mentre il viso appare screpolato. La luce che illumina il viso, il petto, le braccia e le mani viene dall'alto, alla sinistra di chi l'osserva, mentre la parte inferiore del quadro resta in ombra.



    Un'altra fonte d'illuminazione proviene dall'orizzonte, illumina il paesaggio e risalta il contorno della sua capigliatura. La bellezza della Gioconda non va ricercata nei suoi lineamenti facciali, ma nell'armonia degli elementi pittorici, nell'originalità meravigliosa dell'insieme e di ogni singolo particolare, nella saggia distribuzione dei colori ed anche nel perfetto accordo sorriso-paesaggio, che emana una sensazione misteriosa e irreale, come una sfida all'intelligenza e allo spirito di chi l'osserva.

    In secondo piano appare un paesaggio alpino dirupato, o meglio, sembrano due paesaggi diversi, separati dal ritratto della Gioconda, dato che i loro livelli non corrispondono con la linea dell'orizzonte. In tutti e due si possono scorgere picchi e rocce scoscese, fiumi sinuosi, vegetazione rada, laghi e un ponte.
    La composizione è studiata scrupolosamente seguendo regole e concetti geometrici, collocati armoniosamente. La figura della Gioconda corrisponde a un cono tronco, mentre le linee verticali dei picchi e delle rocce e del ritratto stesso si equilibrano con quelle orizzontali delle sue mani e braccia, della balaustrata della terrazza e del bracciolo visibile della poltrona, uniti dalle sinuosità dei fiumi, dalle pieghe del vestito e dalla stessa ondulazione del corpo.

    Leonardo faceva sempre numerosi bozzetti prima di cominciare i suoi quadri. Malgrado ciò, tutto quello che fu realmente studiato meticolosamente appare come una visione spontanea e naturale. Il paesaggio, per esempio, è irreale e scaturisce dall'immaginazione del pittore col suo inconfondibile stile. Infatti, come tutti i grandi artisti, Leonardo non imita la natura, ma la ricrea organizzando gli elementi naturali d'accordo con la sua interpretazione personale, il suo senso estetico ed espressivo, infondendole un accento poetico.
    Il paesaggio e la stessa Gioconda sono reinterpretati secondo concetti rinascimentali. Infatti tutto sembra reale e irreale, conosciuto e misterioso. Doppio mistero donna-natura. Identità misteriosa della donna, paesaggio misterioso, che oscilla tra il reale e l'irreale. Due aspetti dello stesso appassionate mistero che invita a investigarlo, interpretarlo, svelarlo. A questo punto sembrano udirsi le parole di Leonardo bambino, quando un giorno giunse sulla soglia d'una grotta oscura: "pervenni all'entrata d'una gran caverna, dinanzi alla quale restai alquanto stupefatto e ignorante di tal cosa... E stato alquanto, subito salse in me due cose: paura e desiderio: paura per la minacciante e oscura spilonca, desiderio per vedere se là entro fusse alcuna miracolosa cosa".
    L'ombra e la luce, che secondo il "Trattato della Pittura" di Leonardo, sono le prime delle otto parti che formano quest'arte, proporzionano vitalità e dimensione alla figura della Gioconda. Attenuando il chiaroscuro, grazie a una saggia graduazione, il pittore utilizza lo sfumato. Le ombre sono colorate, come le dipinsero gli impressionisti tre secoli più tardi.
    Nello stesso Trattato si legge che l'azzurro che si vede nell'atmosfera non è un colore intrinseco, ma è prodotto dal vapore caldo che evapora in atomi minuscoli e sensibili.



    D'accordo con ciò notiamo che Leonardo dipinse il paesaggio con toni azzurrognoli ed evanescenti, mentre più ci avviciniamo alla terrazza tanto più questi toni si tramutano in rosati e definiti. La stessa atmosfera è più densa quando avvolge il paesaggio, ma diventa più chiara e trasparente elevandosi dal suolo.
    La mente di Leonardo, così sistematica, lo spinge verso l'investigazione, la sperimentazione, ad un empirismo meticoloso, ma la sua sensibilità e la sua indole artistica riuscirono ad umanizzare la scienza trasformandola in poesia.

    [Traduzione dallo Spagnolo in Italiano del prof. Giancarlo Von Nacher , autore del libro "Las Artes" (Le arti).]






    La Dama è inserita in una loggia architettonica, e lo stacco con il paesaggio è netto: lo sfondo è un ampia distesa paesaggistica che mi ricoda certi ambienti onirici. L'acqua è presente in molteplici forme, sembra un fiume inquieto nella parte in ombra del quadro, e poi sembra quasi filtrare depurata dal passaggio metafisico dietro la gioconda, tanto da apparire come un placido e quieto lago dove prosegue il suo cammino languido rituffandosi dentro i pensieri della bella Monna Lisa per allontanarsi verso un orizzonte che la vede armonizzare con un cielo le cui sfumature sembrano identiche. La vegetazione che si scorge ha profili ruvidi, che stridono con la serena armonia delle forme della dama. Anche il cielo è un cielo cupo, invernale, eppure quella luce esterna si posa sulla Dama quasi come se fosse un'aureola che sottolinea l'immacolato concetto di purezza del pensiero cosmico che sembra essere nella sua coscienza.
    La Gioconda è enigmatica, la sua espressione è indefinibile, pare abbozzare un sorriso, ma non sorride apertamente, trapela dal suo sguardo l'intensità della sua vita interiore ma non un sentimento in quanto impulso istintivo....
    Quasi fosse attraversata da un'idea bizzarra.
    La bellezza della Gioconda è purezza altissima ed ambiguità conflittuale allo stesso tempo, sembra un essere ermafrodita in cui l'indeterminatezza della figura racchiude il segreto di tutta l'umanità.
    Il suo sorriso è un non sorriso, non c'è alcuna contrazione muscolare, sembra un'espressione che emerge dall'intimo, resa ancor più efficace dal sapiente utilizzo dei chiaro-scuro di Leonardo. Lo sguardo della Gioconda è mobile, non siamo noi, passeggeri su questo treno in corsa, a guardare lei nella ariosa sala del Louvre, ma è lei a guardare noi, immortale in quel piccolo ritaglio di spazio tra i due mondi.(dal web)



     
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