COLORI

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  1. gheagabry
     
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    “...il colore è molto di più ciò che si pensa e di ciò che si vede”
    (Manlio Brusatin)



    IL VERDE..in due libri
    "Storia di un colore" di Michel Pastoureau
    "Verde. Storie di un colore" di Manlio Brusatin


    Colore ambiguo e capriccioso, il verde: da un lato simbolo di speranza, fortuna, natura e libertà, dall’altro tinta associata al veleno, al denaro e addirittura al diavolo. Giudizi altamente contrastanti, che si sono avvicendati nel corso dei secoli e che sono lo specchio di un cambiamento dell’orizzonte culturale della società che li ha prodotti.

    La risposta non può essere certo univoca per un colore così discusso come il verde. Secondo una ricerca recente, in Europa sarebbe proprio il verde il colore preferito da una persona su sei; ma c’è anche chi lo detesta e chi ritiene porti sfortuna. Difficilissimo da indossare, sia da donne sia da uomini; eppure è il colore più diffuso in natura. Se chiedessimo a un fisico: perché si vede il verde? Ci risponderebbe: perché in un prato, nelle foglie degli alberi, nelle “cose” della natura, tutti i colori sono assorbiti, mentre il verde è respinto. Per questo il nostro occhio lo vede. Il colore non è solo una lunghezza d’onda, o una sensazione, ma anche un’idea e un pensiero. Meglio: un sistema complesso di percezioni e convinzioni condivise in una cultura. La storia del verde lo illustra in modo evidente. Nelle caverne istoriate e dipinte dai primi uomini il verde non c’è; poiché è un colore della vegetazione, lo avrebbero escluso. Ci sono rossi, neri, marroni, ocra; niente verde e niente blu, e poco bianco. Parecchi secoli dopo i Greci mostrano un lessico cromatico molto limitato... ci sono due soli termini fissi e definiti: bianco (leukós) e nero (mélas); poi il rosso, in una gamma abbastanza ampia.
    Eppure il verde è un colore che gode di grande nomea e valore presso un altro popolo contemporaneo dei Greci: gli Egizi. Figura nella loro pittura, e ha significati positivi: fertilità, fecondità, gioventù, crescita, rigenerazione. Tutta la passione per il verde, per il verde smeraldo, che attraversa anche la cultura medievale, e soprattutto l’esoterismo rinascimentale e moderno, risale ai costruttori delle piramidi, alla figura mitica di Osiride. I Padri della Chiesa ne parlano solo come colore della vegetazione. Poi accade un evento che ne condizionerà la stima nei secoli a seguire. Un papa, Innocenzo III, il più importante papa del Medioevo, quando è ancora cardinale scrive un trattato sull’uso dei paramenti sacri, e decide che il verde è un colore medio, fra il rosso, il bianco e il nero: lo si utilizzerà, scrive, quando non si usano gli altri tre. Tutto rimonta ad Aristotele e alla sua idea di colore mediano. Non c’è solo Sacra Romana Chiesa, e il suo dominio culturale e spirituale. Nel Nord Europa ci sono i “verdi barbarici”, poi le tuniche dei pirati che assalgono chiese e monasteri. I vichinghi preferiscono senza dubbio il verde, forse in contrasto con il blu delle distese marine e il bianco della neve, che copre quelle terre. Il colore degli ecologisti, Grünen, proviene da lì, dal mondo nordico e pagano. Poi c’è il verde dell’Islam, che oggi garrisce al vento nelle bandiere di vari stati arabi e dei gruppi terroristici della jihad. Verde è il turbante del Profeta Maometto, anche se le testimonianze dirette sono incerte, visto che vestiva di bianco e amava anche il nero. Brusatin ci spiega che è il verde del Paradiso Terrestre dell’Islam, mentre quello cristiano è di color celeste. Nei paesi islamici tuttavia lo possono portare solo coloro che sono nati nel periodo del Ramadan, mentre per gli altri è quasi d’obbligo la veste bianca.
    Dopo aver ricevuto quella collocazione media, in Occidente il verde non si è più mosso di posizione. Anzi, da un certo punto in poi è stato definito persino pericoloso. Nel momento in cui i colori sono diventati tinture – la tintura era attività lucrosa nell’età medievale e all’inizio della modernità determinava il costituirsi di ingenti ricchezze –, il verde appare chimicamente instabile, abbinato a tutto ciò che è mutevole, capriccioso, come la giovinezza, la fortuna e il destino. Da quel periodo viene anche l’espressione “essere al verde”, che non riguarda il verde dei dollari, bensì il tronchetto dei ceri nelle celebrazioni liturgiche: quando la candela si consuma si vede il colore della base che lo regge (Brusatin).

    Colore delle streghe, del veleno, del male, del Diavolo, cade dunque in disgrazia per diversi secoli, anche se i pittori lo usano; lo si ottiene mescolando blu e giallo, e perciò la coppia rosso/verde compare ancora. Ma la sua considerazione – “colore” è quello che riteniamo tale, dice un filosofo – scende di molto. La storia del verde diventa perciò quella di una componente pittorica, di una materia, e non più di un colore che ha una valenza culturale. Non scompare nei vestiti, ma è un’eccezione. Il blu si afferma alla fine del Medioevo come il colore principale, racconta Pastoureau in Blu (Ponte alle Grazie). L’Illuminismo lo impone. Per Goethe, che fa vestire Werther di una giacca blu e pantaloni gialli – abbinamento diventato di gran moda tra i giovani romantici –, il verde sarebbe il colore dei borghesi, dei mercanti, mentre il rosso è per la nobiltà, il nero per il clero e il blu per artigiani e operai (tanto da farci pensare che il profeta dei blue jeans sia proprio lui). Tuttavia nella sua casa di Weimar Goethe tinteggia la camera da letto di verde scuro. Da quel momento artisti, poeti e scrittori diventano i nuovi arbitri del colore. Le teorie percettive, a partire dall’Ottocento, lo collocano vicino al rosso, di cui è il complementare. Si parla di “mescolanza ottica”, e Michel-Eugène Chevreul, che dirige la Manifatture dei Gobelins a Parigi, pubblica nel 1839 uno studio che avrà una grande influenza nell’ambito pittorico e non solo lì: De la loi du contraste simultané des couleurs. Dall’Ottocento la chimica e la fisica, la scienza in generale, assumono un ruolo decisivo anche nella vita quotidiana. Il verde perde il suo posto di colore primario. A produrlo è la coppia occhio-cervello; materialmente non esiste più, diventa una specie d’illusione: l’unione con blu e giallo nell’occhio.
    È l’epoca dell’Impressionismo: si usa il verde, ma per dipingere gli spazi aperti; ai pittori successivi tuttavia non piace. Mondrian scrive: “Un colore inutile”. Continua a essere pericoloso, corrosivo, tossico; non gli riesce neppure a staccarsi dalla definizione di colore frivolo, dal quale è meglio tenersi alla larga. Fino agli anni Cinquanta del XX secolo è quasi assente negli oggetti, ma anche nelle decorazioni e negli arredi; i designer non lo usano. Solo il kaki, il “verdastro”, come lo chiama Brusatin, che unisce marrone, giallo, grigio e verde quale gamma estesa, ha un qualche successo.

    In Francia diventa invece il colore della burocrazia, ricorda Pastoureau. E oggi? Torna di moda, in modo alterno, prima di tutto come colore politico. Dal verde nordeuropeo, irlandese, proviene il verde della Lega; ci sono poi i Verdi tedeschi, anche se in questo momento in ribasso dal punto elettorale. Ma certo hanno reso di nuovo consueto nel linguaggio politico, e non solo, questo colore. Lo acquisisce, a seguire, il settore dell’agroalimentare ecologico e della salute, nuovo valore massimo. Il verde come garanzia del brand è presente nel packaging, nelle insegne delle farmacia, e poi negli ospedali, dove è il più utilizzato per camici e pareti. A questo punto risale nei sondaggi: al secondo posto dopo il blu in Europa, quale colore preferito. Una bella foto di Jane Fonda vestita di verde chiude il libro di Pastoureau e indica il cambiamento in corso. Il verde resta sospeso tra positivo e negativo: invidia, avarizia, gelosia, da un lato; e calma, armonia, gioventù, simpatia, naturalezza, amicizia, fiducia, dall’altro. Per quanto l’indicatore si sposti sempre più verso il positivo: è diventato un colore messianico, dice lo studioso francese. Salverà il mondo, scrive Pastoureau. Sarà vero? (Marco Belpoliti, www.doppiozero.com)


    "Per lungo tempo difficile da produrre, e ancor più da fissare, il verde non è soltanto il colore della vegetazione: è anche, e soprattutto, quello del destino. Chimicamente instabile nella pittura come nella tintura, è stato associato nel corso dei secoli a tutto ciò che era mutevole, effimero e volubile: l’infanzia, l’amore, la speranza, la fortuna, il gioco, il caso, il denaro. Solo nell’epoca del Romanticismo è divenuto definitivamente il colore della natura, e in seguito quello della libertà, della salute, dell’igiene, dello sport e dell’ecologia. La sua storia in Occidente è anche quella di un capovolgimento di valori. Dopo essere stato a lungo in disparte, malvisto o respinto, oggi si vede affidare l’impossibile missione di salvare il pianeta." (Storia di un colore di Michel Pastoureau)

    "Il verde è il colore più diffuso in natura nonostante sia la mescolanza di due colori che stanno uno per la luce (il giallo) e l’altro per l’ombra (il blu). Verde è il contrario di rosso. Tutto il mondo sa che verde vuol dire “via libera” e il rosso “fermati”, ma non sa che tutto questo prima delle luci del semaforo è avvenuto con lo sventolamento di bandiere, prima in mare che in terra.....Artù in abiti regali azzurri, armato di falcione, è davanti alla regina Ginevra vestita di verde. In basso è la scena del Cavaliere verde nell’attimo in cui gli salta la testa con un getto di sangue che schizza da questa e dal tronco e sulla destra appiedato, casacca rossa e brache verdi, sta il cavaliere Gawain [...](Manlio Brusatin, Verde. Storie di un colore)
     
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  2. gheagabry
     
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    scatto di Agio85, JUZAPHOTO

    “Vediamo a colori e pensiamo in bianco e nero.”
    (Stephen Littleword)

     
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  4. gheagabry
     
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    Portami il girasole ch'io lo trapianti
    nel mio terreno bruciato dal salino,
    e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti
    del cielo l'ansietà del suo volto giallino.
    (Eugenio Montale)


    IL GIALLO


    Il giallo, antagonista dell’oro, è un colore che, solitamente è caratterizzato da un significato simbolico negativo. Rispetto al colore aureo è un colore spento, che ricorda l’autunno con le sue foglie appassite. Le associazioni del giallo alla malattia sono frequenti: un “colorito giallo” è indice di cattiva salute, i neonati affetti da ittero sono gialli e giallo è il colore della bile, il “riso giallo” è una risata convulsa scatenata dalla follia, la febbre gialla, la malaria, e nei secoli passati la bandiera gialla sul ponte delle navi segnalava "peste a bordo". In tutto l’Occidente, nel Medioevo, il giallo era il colore dei bugiardi, dei truffatori, di coloro venivano esculsi dalla società. Nell’iconografia medievale i traditori avevano vesti gialle; gli abiti di Giuda e dei cavalieri felloni dei romanzi, gli abiti o le cravatte dei mariti traditi nelle caricature del XIX secolo erano gialli. Nei testi medievali si legge di una casa dove abitava un falsario tinteggiata di giallo. Gli indumenti fatti indossare dai condannati al rogo erano gialli. Persino nei manuali per fabbricare i colori si dedicavano solo poche righe al giallo e solo a fondo libro, e i pittori del XVI e XVII secolo lo usavano pochissimo. Il giallo era il colore dei reietti, degli esclusi. Fu la stella gialla degli ebrei, che i nazisti obbligavano a puntarsi sui vestiti.

    In Spagna è un colore positivo perché presente nella bandiera e nella divisa della nazionale di calcio. Il giallo simboleggia il calore del sole negli Stati Uniti, l’infedeltà in Francia, è associato alla gelosia in Russia e al contrario è un colore estremamente apprezzato in Cina, dove è un simbolo di buon gusto e rappresenta il colore dell’imperatore; nelle dinastie Ming e Quing, fatta eccezione che per il suo significato di huang, “giallo” è riferito alla prostituzione in uso nell’area di Honk Kong. Nella lingua araba il giallo ha principalmente connotazioni negative legate soprattutto alla malattia. Nel mondo islamico dall’VIII secolo in poi si associa agli ebrei e ai cristiani.
    In Oriente il giallo rappresenta la terra, “terra gialla, primavera gialla, suolo giallo”; per i coreani è l’equivalente dell’italiano “tornare alla terra”, cioè morire. Nel Feng Shui se la terra che deve ospitare la sepoltura è gialla, il sito è considerato di buon auspicio per il passaggio nell’aldilà.

    Il giallo è odiato, amato, bistrattato, sdoganato; nel mondo naturale è un segnale di pericolo, un segnale ripreso anche dagli uomini per la sua luminosità e immediata riconoscibilità, tanto che gialli sono gli scuolabus, i taxi, i semafori. Di contro, il giallo era uno dei colori prediletti dagli impressionisti come Matisse e Gauguin, dai Fauves e da rappresentanti dell’arte astratta come Mirò. Se i primi lo mischiavano e declinavano in decine di tonalità differenti, per gli ultimi il giallo predominante era quello saturo, puro, immune da qualsiasi contaminazione cromatica.

    Il pigmento più utilizzato per ottenere il giallo era il giallorino. Il giallo di piombo e stagno si trova indicato nei trattati di tecnica della pittura del XV secolo seguenti, sotto i termini di "giallorino", "giallolino", "gialdolino" o "zaldolino". La sua scoperta fu nel tardo medioevo. Nel suo Libro dell’Arte, Cennino Cennini menziona tra gli altri un colore giallo, avvertendo che «Giallo è un colore che si chiama giallorino, el quale è artificiato, e è molto sodo e greve come pietra, e duro da spezzare (…) però ti dico sia colore artificiato, ma non d’archimia», ossia, un giallo chiaro evidenziato anche dal diminutivo, un colore tenue, pallido non molto stabile. Nell’età dei "lumi", i dibattiti furono infiniti. Il color giallorino o giallolino, che in un momento della sua storia si identifica con il famosissimo Jaune de Naples, diventa uno dei componenti essenziali nella decorazione della ceramica e della porcellana. Pittori come Domenichino o Orazio e Artemisia Gentileschi usarono questo pigmento nelle loro opere prodotte nell’Urbe, ma non in quelle realizzate all’estero, il che testimonia la loro ignoranza sui componenti. Claudio Seccaroni indaga e controlla, con un rigore filologico inappuntabile, le fonti scritte sul giallo artistico, passando dai trattati di Plinio il Vecchio ai manoscritti della British Library di Londra e di altre biblioteche, confrontandoli ai risultati dei laboratori americani europei e orientali, riproducendo i procedimenti e gli ingredienti descritti in ricette antiche e dimenticate. (tratto liberamente da un articolo di Antonio Forcellino)

    Il “giallo di Napoli”, o “giallo egiziano”, è una varietà cromatica la cui composizione chimica è a base di piombo e antinomio. Presenta una tonalità chiara, tendente al camoscio, tanto versatile da prestarsi alle sfumature più luminose e delicate che hanno reso la tinta indispensabile sulla tavolozza di qualsiasi pittore. Anticamente lo si credeva provenire dal tufo. Ferrante Imperato, farmacista e naturalista partenopeo del XVI secolo, offrì una delle prime testimonianze sull’uso del pigmento: “Il giallolino si prepara da bianco di piombo e imita il colore della ginestra; è un giallolino che diventa rosso intenso per forte riscaldamento" Nella sua “Breve Istruzione per dipingere a fresco”, il pittore e teorico dell’arte Andrea Pozzo indicò il “giallolino di fornace”, che “chiamasi a Roma giallolino di Napoli”, come un ingrediente necessario per l’affresco. Ma la consacrazione del “giallo di Napoli” avvenne con l’ Impressionismo. La pastosità delle pennellate di Monet o il tocco morbido e la “gioia del colore” di Renoir erano il frutto di un cocktail cromatico in cui il giallo di Napoli era la garanzia della buona riuscita, di quella luminosità diffusa avrebbero proiettato le loro tele. Dalle parole di Cèzanne: “Dov'è il vostro giallo di Napoli? Il nero pece, la terra di Siena, il blu cobalto, la lacca bruciata? È impossibile dipingere senza questi colori!".
    In cromoterapia il giallo è il colore della distensione, un’iniezione esplosiva contro il nervosismo, la tensione e la paura, il colore del cambiamento. Il miglior auspicio, dunque, per il destino di una città troppo spesso martoriata, vittima indifesa di torti e sciagure.

    “Fiume giallo, giallo farfalle, cinese giallo, giallo su evacuazione di massa, il giallo cinese,
    giallo nel piatto, giallo cava, giallo chiamano, giallo scontr, giallo tufo”.
    (Camillo Ripaldi)


    ... storia ...


    Dal punto di vista storico, come avviene per molti altri colori, le materie coloranti gialle impiegate nella pittura e della decorazione hanno subìto una grande evoluzione a partire dalla preistoria, il più delle volte scomparendo poi, per ragioni economiche, tecnologiche o semplicemente igieniche (quando, ad esempio si trattava di prodotti velenosi), soppiantate da altri coloranti moderni, anche se esistono delle eccezioni.

    Per gli antichi Egizi come in diverse civiltà, il giallo fu un colore indice di preziosità e associato al divino. Rappresentava l'oro e la carne degli dei. Solitamente venivano dipinte in giallo le divinità femminili. La preziosità del giallo dipendeva dal costo, perchè uno dei componenti che ne costituivano il pigmento, l'orpimento, era un minerale molto raro, importato in Egitto dai paesi asiatici. Il pigmento veniva ottenuto mescolando le ocre gialle derivate dagli idrossidi di ferro con il trisolfuro di arsenico o orpimento. Fu molto utilizzato come fondo nelle pitture murali tebane della XIX dinastia. Durante il regno di Tutmosi III, nelle tombe reali venne utilizzato una qualità di giallo molto intenso, ricavato dall'orpimento puro. Ma nella civiltà egizia il giallo poteva essere anche ottenuto per sintesi chimica. L'antimoniato di piombo giallo, chiamato anche "fritta egizia", si otteneva dalla trasformazione dei carbonati come il gesso o la malachite in ossidi. I minerali, con un procedimento simile a quello per l'ottenimento del blu e del verde, venivano portati ad alte temperature per liberare biossidi di carbonio, e ottenere il pigmento giallo sintetico.

    Le Ocre gialle e le Terre gialle, ad esempio, impiegate per le pitture rupestri di Altamira o per le grotte di Lescaut o per le decorarazioni dei corpi degli aborigeni australiani o di altri popoli primitivi, e impiegate dagli Egizi, dai Greci, dai Romani nell’architettura e negli oggetti d’uso ecc., sono ancora attualmente impiegate per i restauri delle facciate storiche.Nei secoli, le Ocre gialle e le Terre gialle hanno assunto diversi nomi a seconda dei luoghi di estrazione come la Terra gialla di Verona, l'Ocra romana, l'Ocra di Oxford, l'Ocra di Ru, l'Ocra gialla di Roussillon. Altri gialli antichi, oltre all’Ocra o Sil attico, furono: il Giallo d’Antimonio, noto come Giallo di Napoli o come Giallo egiziano, impiegato da oltre 2500 anni in Babilonia e in Egitto, il Massicotto o Litargirio (Giallo ottenuto dalla calcinazione del piombo), conosciuto già nell’Egitto predinastico, che Plinio identifica come Spuma argenti, e l’Orpimento. Quest’ultimo, l’Auripimentum o Arrhenicum, veniva usato dagli Egizi e dai Romani, per le brillanti prestazioni cromatiche, pur essendo velenoso, in quanto contenente arsenico. In epoca medioevale, tra i gialli, il Cennini cita l’Ocria, il Giallorino o Giallo di piombo e stagno, l’Orpimento, il Risalgallo, lo Zafferano (nella miniatura), e l’Arzica (Massicotto); il Giallo indiano ( Piuri, Purree o Peori), il Giallo di Marte o Ocra artificiale e il Giallo di Napoli .
    Nel Rinascimento, come gialli vennero impiegati il Giallo di Piombo e Stagno, l’Oro, e l’ Oromusivo. L’Orpimento, dopo aver avuto una certa fortuna a Venezia tra il ‘500 e il ‘700, a poco a poco cadde in disuso, mentre il Giallo di antimonio venne reintrodotto nel 1700. Dopo il 1700 e soprattutto nell’800 il giallo comincia ad essere prodotto in laboratorio, come il Giallo di Marte, il cui nome deriva dal Crocus Martis; il Giallo di cromo, scoperto dal Vaquelin nel 1797; il Giallo di cadmio, simile al Giallo di cromo; il Giallo di zinco, chiamato anche Giallo marigold o Giallo limone o Giallo botton d’oro; il Giallo di cobalto, detto anche Giallo trasparente o Aureolina; il Giallo di bario; il Giallo minerale, detto anche Giallo di Turner, Giallo di Montpellier, Giallo di Cassel, Giallo di Verona, Giallo inglese o Giallo Merimée.
    Questi gialli entrano a far parte dei manuali di pittura, che si sviluppano in modo diffuso, a partire dalla metà dell’800.
    Nel manuale Roret dedicato al Coloriste, del 1856, i colori gialli citati sono il Giallo paglia (Cromato di zinco), il Giallo cromo (Cromato di piombo), il Giallo oro, Orpino o Orpimento e Realgar giallo (Solfuro d’arsenico), il Giallo all’iodio (Ioduro di piombo), il Giallo minerale, il Giallo di Napoli, il Giallo di Colonia, il Giallo di cadmio (Solfuro di cadmio); l’ Ocra gialla naturale come lìOcra di Saint Gorge sur la Prée, l’Ocra di Berjaterie, l’Ocra di Rue, la Terra d’Italia; l’ Ocra gialla artificiale come il Giallo di Marte, la Gomma-Gutta (Giallo oro trasparente), le Lacche gialle (Lacca gialla di grana di Persia, Lacca gialla di Gaude), lo Stil-di-grano, il Giallo indiano (Giallo oro brillante), la Lacca di Gomma-Gutta, la Terra di Siena naturale , la Pietra di fiele (giallo-bruna), il Cicoria (Giallo-rossastro):
    Tra le infinità di sfumature di giallo vi sono le Ocre gialle come l'Ocra romana, l'Ocra dorata, l'Ocra bruna, l'Ocra di Oxford, l'Ocra gialla, ilGiallo minerale; il Giallo di cadmio come ilGiallo Oriente, ilGiallo aurora, ilGiallo giunchiglia, il Cadmio arancio, il Solfato di cadmio, il Giallo brillante, il Giallo di cadmio; e ancora l’Aureolina (Giallo cobalto), il Giallo limone come ilGiallo di barite, il Cromato di bario, il Giallo oltremare, il Giallo permanentem; Giallo di Cambogia (Gomma gutta); il Giallo indiano (Piuri, Purree, Peori); il Giallo di Marte (Ocra artificiale); la Lacca gialla come il Rosa bruno,la Lacca citrina, la Lacca di quercitrone, la Robbia gialla, il Rosa italiano, il Rosa olandese).
    In epoca ancora più recente, i nomi dei nuovi colori perdono a volte qualunque riferimento rispetto alle materie da cui hanno avuto origine o i riferimenti fantasiosi o personalizzati del passato, per assumere la denominazione di freddi codici studiati a tavolino, quasi si fosse esaurita la fantasia dei primi inventori.

    Nella preistoria, non c’è una documentazione certa sull’uso di coloranti minerali come l’Ocra gialla, o vegetali. Solo nell’età neolitica si sa che i tessuti di lana o di lino erano tinti di blu, rosso, lilla e giallo e che per la tintura di quest’ultimo si suppone fosse impiegata l’Uva orsina e qualche altro vegetale, come il Cartamo (Carthamus tinctorius), la Curcuma e altre specie, impiegando vari fissativi.
    Nell’Asia Meridionale, dove non erano conosciuti il Cartamo e la Curcuma, si tingevano i tessuti in Giallo oro anche con i fiori di Nyctanthes arbor tristis e gli indiani d’America tingevano in giallo con altre piante, mentre colori gialli meno vivaci erano ottenuti con il Sommaco e la Reseda luteola (Wan), pianta spontanea del Marocco, e altri colori gialli vegetali dell’Africa si ricavavano dai fiori del cotone, dalle bucce della cipolla e da altre piante. In Egitto, i primi colori impiegati per tingere furono probabilmente le ocre, seguite da coloranti vegetali, le cui tracce sono state trovate nelle tombe risalenti al 1500 a.C., come il Cartamo, lo Zafferano (Crocus nativus, dall’arabo Za-faran), la Curcuma (Curcuma longa) e le bucce di melograno, usate per tingere i lenzuoli gialli di lino. Il Sommaco era destinato alla concia e alla tintura gialla del cuoio. Le bucce di melograno e il Sommaco eranougualmente erano usati dai Babilonesi per ottenere tinture gialle per i tessuti, mentre una pianta particolare, la Saba, forniva un prezioso colorante Giallo-oro. I persiani usavano le foglie di vite, lo zafferano, la reseda, le bucce di melograno, le bacche di susino selvatico per tingere in giallo o l’Isfarak, un’altra pianta per tingere del colore Giallo-oro. Per le Indie, il colore giallo è il Peori (Giallo indiano), una tintura costituita da urine di vacche nutrite di mango.
    Per tingere in giallo, il simbolo del sole, i cinesi usavano fiori della pianta di Lan o si servivano dei bottoni floreali della Sophora japonica o di un decotto di scorze di Phollodendron. Nell’America Precolombiana, si sono trovate stoffe risalenti al 2.500 a.C., la cui tintura gialla era ottenuta principalmente mediante un’erba denominata Chasca e con la corteccia, le foglie o il legno di piante coloranti (alcune specie di faggio, il boldo, il berbero o il lichene cileno ecc.).
    In epoca classica, durante la civiltà greca, anche grazie all’influenza dei popoli del Vicino Oriente, come i Fenici e i Cretesi, a loro volta influenzati dagli Egizi e degli altri popoli dell’Estremo Oriente, il giallo impiegato per la tintura della lana, del lino e del cotone era costituito dallo Zafferano (Crocus Sativus), dal Cartamo, dalla Reseda luteola, dalla Reseda dei tintori, dall’Arcanetto (Anchusa Tinctoria) e dalla Tapsia.
    Nell’epoca classica 600 a.C.- 400 d.C, i Romani furono influenzati dai Greci e dall’Oriente. Plutarco, per la tintura in giallo, cita il Crocus (Zafferano), coltivato in Abruzzo e Sicilia, e i crocotari erano i tintori che usavano il Crocus, mentre altri gialli erano ottenuti mediante la Guaderella (Reseda luteola o Herba luteola), la radice di Curcuma (Terra merita), importata dall’Oriente, l’Orcanetto (Anchusa tintoria) e la Tapsia (Thapsia asclepium), che cresceva in Libia e veniva anche usata per tingere i capelli delle donne, come la radice del loto (Diospyros lotos). In epoca medioevale, la tintura compie grandi progressi grazie all’eredità dell’epoca classica e alle influenze orientali, barbariche e arabe (con cui le Repubbliche di Venezia, Lucca e Genova hanno scambi, prima attraverso la Sicilia e poi con la Spagna). Con lo sviluppo della chimica, la tintura assume una consapevolezza quasi scientifica, che costituirà la base per le impostazioni future. In questo periodo, si assiste alla produzione di veri e propri manuali con ricette, che documentano lo stato dell’arte nel campo della tintura . Da questi manuali, si apprende che per ottenere il giallo nella tintura, oltre che la solita Curcuma o con il tradizionale Zafferano, veniva impiegato il Legno brasile (prima che il Brasile venga scoperto e che prenda il nome appunto dalla grande quantità di legno brazil che vi cresceva e non viceversa) o da Gomma di edera (Sinopsis de mellana). Nel 1243, a Venezia, viene pubblicato il primo regolamento sulla professione tintoria (Capitolaribus de Tinctorum), che introduce una normativa molto restrittiva. Ad esempio, per quanto riguarda il Giallo, si imponeva l’uso della sola Herba de Pulea, vietando la mescolanza con l’Erba laccia o Erba guada o Gualda o Goda, corrispondente alla Reseda luteola. Altra pianta che produceva il giallo è la Ginestra dei tintori. A seconda delle località, nel Medioevo, per produrre il giallo, si usavano anche altre soluzioni. In Europa Centrale, ad esempio, veniva impiegato il solfuro di arsenico, detto Auripigmentum, mescolato con allume e bollito in aceto, mentre un altro giallo veniva ottenuto dalla corteccia della radice di crespino (Berberis vulgaris), dal Cartamo dei tintori, dalla Corteccia del melo giovane, le Bacche di spincervino (Rhamnus Catharticus) ecc. I documenti sull’arte tintoria, a partire dal Quattrocento si moltiplicano a dismisura. Ad esempio, per il giallo, “che si fa in molti modi”, si citava la Radice della Curcuma oppure l’Erba dei tintori o Terramerita, il giallo derivato dallo Scòtano o Falso sommaco (Rhus cotinus) detta anche Erba di Provenza o Fustetto giovane o Fustetto di Zante, e lo Zafferano. Il Libro dell’arte scritto da Cennino Cennini nel 1437, pur riguardando essenzialmente la pittura, contiene un capitolo dedicato ai “dipinti in panno”, stabilendo un rapporto fra i due filoni
    manualistici, in cui si cita infatti lo Zafferano per stampare in giallo.
    Nel 1447, con la scoperta della stampa, la manualistica nel campo della tintura assunse uno sviluppo fino allora sconosciuto. Tra questi, il Plichto del arte de Tentori di Giovanventura Rossetti stampato a Venezia nel 1540, rivolto non solo ai tintori, ma anche alla gente comune.
    L’arte della tintura riceve un impulso imprevisto con la scoperta dell’America e si assiste alla diffusione del Giallo di quercitrone (Quercus tinctoria) o Lacca gialla o Stil-di-grano. Gli spagnoli introducono il Legno giallo dall’America Centrale, un gelso della specie Moris tintoria e altre essenze analoghe. Le provenienze più conosciute sono quelle di Maracaibo, Tuspan, Corinte, Cartagene ecc. e quella di Cuba è la più stimata. Nel 1671, sotto Luigi XIV, il Ministro Colbert, proveniente da una famiglia di fabbricanti e commercianti di stoffe di Reims fece compilare un dettagliato regolamento sulla tintura. Tra il Settecento e la prima metà dell’Ottocento, nella tintura avviene una evoluzione scientifica e si assiste al passaggio dalla produzione artigianale a quella industriale, grazie allo sviluppo della chimica. A Venezia, nel 1704, il "Nuovo Plico" menziona sostanze raramente citate per le tinture in giallo, come l’Erba tentorella, ma anche tutte le materie coloranti conosciute e in uso alla fine del ‘600. Nell’epoca industriale, in Inghilterra, con Boyle e Newton, e in Francia, con Du Fay de Cisternay, Jean Hellot e Eugène Chevreul, la chimica e la fisica dei colori ebbero notevoli sviluppi.
    Nel 1877, Caro, Roussin, Will e Poirrier scoprono una serie di coloranti gialli e aranci che vanno sotto il nome di “colori azoici”, che vengono prodotti da varie fabbriche, formando una scala tra lo scarlatto e il giallo zolfo.
    Nella seconda metà dell’800, le materie coloranti gialle in tintura sono di origine varia. Tra quelle minerali, Roberto Lepetit, autore del Manuale del tintore, edito dalla Hoepli nel 1875, quasi contemporaneamente a quello del Church e degli altri manualisti, annovera il Giallo al cromo, il Giallo ruggine al ferro e il Giallo al solfocianuro di potassio.
    Nel 1884, con la Crisamina, prodotta dalla Farben Fabrik, ha inizio una serie di “colori tetrazoici” derivati dalla benzidina, dalla tolidina ecc., molto pregevoli avendo una costituzione simile e presentando i tre colori fondamentali che possono produrre tutta la serie di colori composti, come il Jaune di Hesse, il Jaune brillant, la Crisamina o Flavofenina e alcuni di questi colori sono inseriti nell’“albero genealogico” dei colori organici derivati dal catrame di carbone, ricostruito da Philip Ball.(dal web)
     
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  5. gheagabry
     
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    Quando non ho più blu, metto del rosso.
    (Pablo Picasso)

    IL ROSSO



    In principio fu il rosso il re dei colori. Accadde quando l’uomo scoprì il fuoco e inventò l’arte; 30 mila anni fa, iniziò a decorare le sue grotte con figure bicolori, nere e rosse. Il nero era una scelta forzata, perché i pennelli più comuni erano i tizzoni dei falò. Invece il rosso era la scelta: i primi artisti lo usarono perché piaceva.
    Il rosso è uno dei colori dello spettro percepibile dall'occhio umano. Ha la frequenza minore e, conseguentemente, la lunghezza d'onda più lunga di tutti gli altri colori visibili, vanno fra i 730 e 630 nanometri, ciò provoca la formazione di molti tipi di rosso. Alcuni hanno acquisito così tanta importanza che l’uomo gli ha attribuito dei nome: porpora, cremisi, carminio, scarlatto, granata, amaranto, paonazzo. L’uomo della preistoria forse intese il rosso come la “tinta” per eccellenza. Michel Pastoureau, studioso della cultura dei colori afferma “Del resto tuttora in certe lingue c’è traccia di questa antica supremazia. In spagnolo “colorado” vuol dire sia colorato che rosso; in russo antico “krasnij” significa sia rosso che “bello”…” La prima pasta colorata usata dall’uomo fu una pasta ricavata dall’emanite, un minerale ferroso che quando si sfarina diventa un terriccio malleabile che prende il nome di “ocra rossa”. Già nel Neolitico l’arte rupestre scoprì robbia (Rubia trinctorum), una pianta affine al caffè, dalle cui radici si estrae l’alizarina, un’essenza rossa opaca.

    Quando si entrò nella Storia propria-
    mente detta, apparvero sul mercato nuovi rossi, più brillanti: uno era il “sangue di drago” tuttora usato dai liutai, estratto dalla Dracaena. Ma un rosso fu più importante di altri, era di origine animale, ricavato dalla murice, un mollusco dalla conchiglia, la Murex brandis. Nel XVII secolo a.C., i Cretesi scoprirono l'estrazione della porpora dalle "murex" e la tramandarono ai Fenici. Grigia, quasi incolore, la murice secerne un inchiostro indelebile rosso-viola. Era nota ai Romani come Purpura. La città di Tiro fece la sua fortuna con il porpora, ma non riuscì a difenderne il monopolio. Altri centri di produzione nacquero a Djerba, in Laconia e a Cartagine. La porpora era costosa, ogni murice ne poteva produrre pochissima, si fecero le stragi di questo mollusco poichè la preziosità nel possederla divenne un simbolo di potere come l’oro. Solo l’Egitto non usò il colore in quanto sacra a Seth perciò ritenuta una tinta negativa. Roma invece si ammalò di “febbre del rosso”, si ipotizza che una delle cause della rivalità con Cartagine fosse proprio dovuta alla porpora.

    “Da dove arriva il costo di quelle conchiglie, puzzolenti nel sugo e grigie come il mare in tempesta?..
    ...Questo colore da maestà alla giovinezza, distingue il senatore dal cavaliere,
    è usato per placare gli dei, fa brillare ogni veste e nei trionfi si mescola all’oro…
    ..perciò sia scusata la follia della porpora” (Plinio il vecchio,Storia naturale)


    La porpora diventò uno status symbol, era prerogativa esclusiva dei generali trionfanti, degli imperatori e dei magistrati, tanto che il codice di Giustiniano condannava a morte chi acquistava o vendeva stoffe di questo colore. Il culmine fu con il cristianesimo, Teodosio II, imperatore d’Oriente, noto per aver distrutto gli ultimi templi pagani e per aver varato un codice di leggi, diede istruzioni sull’uso del porpora

    “ Ogni persona, di ogni rango, sesso, mestiere o famiglia,
    si asterrà dal possedere quel prodotto,
    riservato solo all’Imperatore e famiglia”


    Tutto cambiò nel Medioevo. Nonostante, papa Innocenzo III codificò l’uso del rosso nella liturgia e che nel ‘200, i pontefici e i cardinali presero a vestirsi di porpora, il colore dei fenici declinò.
    L’importanza del colore rosso durante il Medioevo non si limitava alla sua affinità con la natura. Era apprezzato anche perché era relativamente raro. I tintori medioevali, estremamente abili e preparati, riuscivano a produrre molti colori ma il rosso era molto difficile da ottenere, almeno in forma duratura. Le radici che producevano la 'robbia', erano soggette a leggere variazioni derivanti dall' alcalinità e dalla temperatura. Tinture prodotte da insetti quali il chermes, il sangue di San Giovanni e il rosso armeno erano molto ricercate ma difficili da ottenere; in una tintoria medioevale in Firenze tingere una stoffa di rosso costava dieci volte di più che tingerla di azzurro. Il rosso fu un simbolo del guelfismo, l'aquila rossa che aggriffa il drago.

    Col tempo, alla porpora si affiancarono tinture meno care e il rosso migrò dagli abiti imperiali a quelli contadini. I pittori fiamminghi usarono il rosso per rappresentare l’inferno, una scelta azzardata solo fino a pochi secoli prima. Già nel 1180, il re di Francia Filippo II aveva “licenziato” il rosso, promuovendo a colore regale il blu, scelto a sfondo dello stemma. Un secolo dopo il re inglese Enrico III fece lo stesso. In quei tempi il rosso non era prodotto dalla nobile murice, ma era ricavato da un insetto, la cocciniglia. La scoperta dell’America portò alla scoperta di un mondo, pieno di ricchezze sconosciute all’Europa del tempo. Così comparve una altro rosso quello della cocciniglia, un insetto che se schiacciato ed essiccato, produce un colorante che dà origine ad una tonalità di rosso viva e duratura. Nell’Europa medioevale o del primo Rinascimento le corporazioni di tintori riuscirono a mantenere tra loro il segreto della loro arte del colore, spesso minacciando di morte coloro che ne violavano il codice.
    Nel XVII secolo però gli scienziati sperando di gettare luce sui misteri della luce e del colore, cercarono il modo di sviluppare nuove strategie per ottenere la preziosa tintura, svelando il segreto a tutti. Per i tintori era di vitale importanza mantenere tali i segreti ma non fu possibile, così già dal 1570 l’industria tessile europea si convertì all’uso della cocciniglia; l'Europa era diventata dipendente dal Messico unico produttore. Quando nel XIX secolo furono inventate le tinture artificiali a basso prezzo, cominciò a scomparire. Senza più un mercato, non ebbe più senso coltivarla e a metà del XX secolo la cocciniglia era diventata rara, anche nello stesso Messico.

    Il 17 luglio 1791, 79 anni prima nascesse Lenin, nacque la bandiera rossa. Il suo inventore fu un sindaco di Parigi che la issò per intimare lo scioglimento di un corteo anti-monarchico. Era in atto la rivoluzione francese e quel drappo era l’ultimo avvertimento prima di una carica della polizia. La folla continuò la protesta e la polizia uccise 50 manifestanti, i superstiti presero la bandiera e la usarono come simbolo di rivolta. Ci vollero 50 anni perché il rosso diventasse ovunque simbolo di antagonismo sociale. Nel 1797 fu issata sul Tamigi da dei marinai ammutinati; nel 1832 la scena si ripetè nel Galles; nel 1843 a Montevideo un italiano allora sconosciuto Giuseppe Garibaldi, usò il tessuto rosso, destinato ai macellai, per cucire le divise di 500 volontari contro il dittatore Juan Manuel de Rosas. Nel 1848, la divisa garibaldini sbarcò in Italia accompagnando tutto il Risorgimento. Il colore rosso divenne vessillo sia in Italia che in Francia, diventò uno dei colori componenti la bandiera. Nel 1922 nacque l’Unione Sovietica la cui bandiera è completamente rossa.

    ..miti e leggende..



    Sulla scoperta della porpora si narrava una leggenda, tramandata dall’autore latino Cassiodoro. Un giorno il dio fenicio Melqart stava corteggiando la ninfa Tiro su una spiaggia, quando il suo cane trovò la murice che addentò e si macchiò la bocca. Il dio si spaventò, pensando ad un’emorragia; ma la ninfa, ammaliata dal quel rosso vivo ami visto, promise che si sarebbe concessa a Melqart se lui le avesse donato una veste di quel colore. Il dio si ingegnò, inventò la porpora ed ebbe la ninfa. E i suoi fedeli scoprirono l’Eldorado in quanto la murice divenne la base della loro economia locale. Il nome del popolo fenicio deriva dall’aggettivo greco phoinix, che indica il rosso.
    Il rosso è spesso associato alle divinità della guerra, come attestano Marte nella mitologia romana, Morrigan in quella celtica, Ogun nei territori africani, ma anche l’Arcangelo Michele, il Santo Guerriero, principe delle armate divine, cavaliere celeste, rappresentato nell’iconografia cristiana con un rosso mantello

    ..significato..



    In natura il rosso ha funzione di avvertimento come nel serpente corallo. Anche convenzionalmente al rosso viene attribuito il significato di allarme per la sua intrinseca capacità di attirare l’attenzione esattamente come avviene in natura. Per questo motivo il rosso ha significato universale di “stop” nella segnaletica stradale di tutto il mondo, di espulsione dal campo da gioco (il cartellino rosso mostrato dall’arbitro), di scarsità di carburante nelle auto, di acqua calda nei rubinetti, di tensione negli interruttori elettrici. Il rosso è anche uno dei colori più utilizzati per le pubblicità dei prodotti. È un colore che attira l’attenzione, scelto dai brand monolitici come Coca-cola e MacDonald, che dà una sensazione di energia, di azione e dinamismo, di estroversione. Non a caso per gli spot televisivi di utilitarie vengono scelte auto di colore rosso perchè percepita come un’auto veloce, scattante, ne è l’emblema la Ferrari in
    Formula 1.
    Lo storico Pastoureau narra che negli anni Settanta, in Francia, il binomio rosso-velocità giustificò la scelta delle Società assicurative di far pagare un premio più alto ai possessori di auto rosse, adducendo a motivazione il fatto che le auto rosse erano scelte dai giovani ovvero da persone che rimangono coinvolte in incidenti con una frequenza più alta rispetto alla media. Il rosso assume significati diversi in base alla cultura di riferimento. In Sud Africa il rosso simboleggia il lutto, mentre in Nepal e in India il rosso è propiziatorio, le spose vestono frequentemente in rosso e rosso è anche il colore del rubino, pietra che viene tradizionalmente regalata alla donna in occasione del quarantesimo anniversario di matrimonio. Anche in Cina il rosso è il colore più amato, il Drago Rosso simboleggia prosperità e rinascita, e il rosso ed è usato nei matrimoni perché attrae la fortuna ed è il colore della felicità. Le spose vestono un abito rosso, propiziatorio di felicità e gli addobbi nei matrimoni, celebrazioni e festività sono costituiti da lanterne rosse. Gli affari seguono la stessa simbologia cromatica, nei mercati azionari orientali il rosso viene usato per identificare un rialzo delle quotazioni azionarie, al contrario in Occidente con il rosso si indicano le perdite finanziarie. In Cina il rosso è il colore preferito dai leader nelle occasioni importanti, vestire di rosso ad un’assemblea di azionisti o ad un consiglio di amministrazione è una scelta convenzionale. In Europa i capi di abbigliamento rossi hanno sempre simboleggiato tentazione, trasgressione, qualcosa che andava contro il “buon costume” e che quindi tradizionalmente non si indossano se non in occasioni mondane. Il rosso tentatore è un retaggio della riforma protestante e trae la sua origine dal passo dell’apocalisse in cui si narra della famosa prostituta di Babilonia che, vestita di rosso, cavalca una bestia emersa dalle acque del mare. I riformatori protestanti vanno oltre e la associano alla Roma dei Papi vestiti di rosso e, nel tentativo di cacciarli dal tempio, bandiscono il rosso dall’abbigliamento. Questo ebbe una curiosa conseguenza: dal XVI secolo i maschi non vestono più in rosso, colore tradizionale del potere, e iniziano a vestire di blu, mentre le donne, che tradizionalmente indossavano abiti del colore del manto della Madonna, iniziano a vestirsi di rosso, colore che fino al XIX secolo sarà anche quello tradizionale dell’abito da sposa.
    Il rosso mantiene nei secoli il duplice significato di amore divino e carnale, in Francia in passato le prostitute erano obbligate a vestire di rosso per farsi riconoscere per strada e sempre in Francia, negli anni Sessanta, era addirittura vietato indossare abiti rossi nelle scuole. Il divieto ministeriale era tacito, ma aveva forza di legge, tanto da causare l’espulsione degli alunni che osavano indossare dei pantaloni rossi. In molti Paesi occidentali il rosso è il colore che rappresenta la mascolinità, ed è anche il colore del sesso e della pornografia vedi la definizione dei “quartieri a luci rosse”. In molte regioni africane è il colore della blasfemia e della morte, mentre in Giappone ha significato di rabbia e di pericolo, ma i bambini giapponesi usano il rosso per disegnare il sole. Nei Paesi Arabi il gradimento del rosso può essere diverso tra maschio e femmina, nell’abbigliamento ad esempio il rosso è un colore ricercatissimo dalle donne, ma
    completamente rifiutato dagli uomini. In arabo la “morte rossa” non è riferita solo ad una malattia renale, ma si usa per identificare un avvenimento orribile. In Sud Africa, in lingua zulu, si dice che è una persona arrabbiata è Wa–vuka inja ebomvu ossia “è diventata un cane rosso”.
    In Cina il rosso è considerato tradizionalmente il colore della prosperità e della buona sorte, simboleggia la morte nel momento in cui è riferito al terrorismo o ai prigionieri condannati a morte. Quando un prigioniero viene condannato a morte il suo nome viene cerchiato in rosso e gli vengono fatti indossare abiti rossi. L’uso dell’inchiostro rosso per attestare la morte è anche un’usanza dei Buddisti Coreani. Il fatto che l’uso dell’inchiostro rosso sia riservato al mondo dei morti, causa non pochi incidenti di comunicazione interculturale quando gli insegnanti occidentali usano la penna rossa per correggere i compiti degli alunni buddisti. In Corea è il colore temuto dagli spiriti maligni, K una credenza popolare marra che tingere le pareti esterne di rosso o spargere del terreno rosso intorno alla propria casa faccia fuggire i demoni.

    Tutt’ora la tinta prediletta dei pittori rupestri spicca negli stemmi di 76 (su 117) capoluoghi d’Italia e nelle bandiere di 32 su 47, Stati Europei. Eppure, nonostante un favore così diffuso, oggi il rosso è un nobile decaduto. Nei secoli passati era il segno di potere regale, come lo scettro e la corona. Con la rivoluzione, il simbolo delle classi privilegiate aveva cambiato classe sociale. Questo giro di walzer si identifica in tre date: nel 1360 nasce il bellicoso Amedeo VII di Savoia, passato alla storia come il “conte rosso”; nel 1697 Charles Perrault pubblica la fiaba “il cappuccetto rosso” (Chaperon rouge), dove il colore simbolo di Amedeo passa a una bimba, imbelle e sciocchina.; nel 1908 la tinta cara a Chaperon torna a un uomo d’armi immaginario: il salgariano Corsaro Rosso.
    (focus storia, la storia dei color, web)

    "Sarà perché è il colore del sangue, della vita che nasce e spesso della morte; sarà perché è il colore dei tramonti e dei papaveri, delle rose più belle ma anche dello spavento e del pudore che inietta le gote degli adolescenti; sarà perché, più del bianco, è il contrario del nero e del lutto; sarà perché è sensuale, impudico, intrepido e ribelle che il rosso è un colore diverso dagli altri, è un'altra cosa....Il bello del rosso è che attraversa l'occhio, il cuore e la mente di tutti: dei poveri e dei ricchi, dei colti e degli incolti, degli ultimi e dei primi. E' un riferimento simbolico perenne dell'immaginario collettivo universale in grado di attraversare razze e culture, a prescindere dalle epoche storiche...."
    (Roberto Gramiccia)


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  6. gheagabry
     
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    Bello, stupendo il color sabbia, simile all'avorio, è un colore dolce, sa di biscotto caldo, di sabbia pulita, mi ricorda la corda per saltare, che mi comprò mia nonna. Sono color sabbia i cesti di vimini, anche i pannelli di sughero per fare i presepi, il compensato , supporto indispenabile per mille lavoretti, anche i fogli dei vecchi quaderni ingialliti dal tempo, con su scritto poesie d'amore, sono color sabbia ed anche i gusci della frutta secca, quella che si mangia a Natale... e la carta delle vecchie buste del pane, e la crosta del parmigiano che si bolliva, alla fine, quando si era grattuggiata proprio tutta, oramai quando era diventata solo una sfoglia sottile...mia madre la metteva insieme alla pastina, nella minestra e mio padre se la "gustava teneramente"... come fosse una prelibatezza, mentre io bambina lo guardavo stupita, incredula: impossibile che fosse buona, pensavo, io non l'avrei davvero mai mangiata!

    Mio padre... ricordo ora che...

    color sabbia era la sua sahariana, il cappello di panana...
    ..la canna da pesca, le scarpe di corda...i pantaloni estivi...

    Il color sabbia è quasi più bello del bianco,
    perchè sa di nocciola, di gelato alla nocciola!



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    dal web
     
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  7. gheagabry
     
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    ... IL COLORE …
    ... Lasciare traccia e non passare mai inosservato. Destino impegnativo, sapere di non essere mai banale, di dover ogni volta passare sotto gli occhi ed i giudizi di tutti. Una volta preso dalla tristezza e dal peso di quella responsabilità si ritirò in una caverna scura su un monte altissimo. Alla sua scomparsa tutto cambiò. Un mondo privo della sua presenza non era possiblie; impazziti gli uomini si sparsero ovunque per andare a cercarlo. Passarono anni ma le ricerche non diedero risultati postitivi, così l’umanità cercò di abituarsi a quella assenza. Una mattina un bambino che giocava col suo aquilone su un prato vicino alla grotta, incuriosito da quel foro nella montagna, si avvicinò ad esso. “Non entrare, ti prego”, una voce da dentro quella caverna lo fermò un attimo; il bambino curioso come si è a quella età, non esitò un attimo e non seguì l’invito dato da quella voce, ed entrò. Stupore ed un sorriso luminoso, questo fu l’impatto del bambino appena lo vide. “Chi sei?” disse il bambino; “non mi conosci, quindi mi avete dimenticato!”. Sono “il colore” disse con un pò di orgoglio; il bambino si fermò a pensare un attimo ed una lacrima scese dal suo viso. “Nessuno ti ha dimenticato! Sono nato quando tu eri già sparito, ma non c’è persona, libro o momento in cui non si parli di te e della tua assenza”, fu questa la risposta del bambino. “Puoi immaginare quanto dolore ha causato la tua assenza? Immagina una mattino senza i colori del cielo, un prato senza i colori dei fiori, un pittore che bagna il suo pennello nel nulla”; il Colore rimase in silenzio, nella sua mente scorrevano gli esempi che il bambino aveva fatto. Un mondo senza di me non è un mondo; è questo che devo pensare? La responsabilità che lo schiacciava in realtà era la felicità degli alri nel vederlo nel viverlo. “Un libro che danno nelle scuole dice che un mondo senza colore è come un volto senza sorriso”, il bambino incalzava. “Carezzami, vediamo cosa succede” fu questa l’ultima richiesta del bambino. Il colore si avvicinò lentamente, la mano tremante si sollevò e sfiorò il volto del bambino; fu il miracolo! Il bambino non aveva mai visto il colore della sua pelle; il colore non ricordava più la sensazione del colorore tutto ciò che sfiorava. Piansero entrambi per la gioia; poco intensamente. Quel pianto si trasformò in risata gioiosa, in felice condivisione; il Colore prese per mano il bambino e lentamente uscirono dalla caverna. Appena fecero un passo fuori da quell’antro, tutto iniziò lentamente a colorarsi, il cielo, gli alberi, ogni singola cosa che il Colore sfiorava anche solo con lo sguardo. Il bambino aveva perso la parola per lo stupore, solo un continuo costante sorriso e una voglia infinita di abbracciare il suo amico Colore. Ovunque iniziarono le feste, ogni paese, villaggio, ogni essere umano, ogni oggetto, o forma di vita iniziò a festeggiare. Arrivarti sulla porta di entrata del paesino dove viveva il bambino il Colore lo prese in braccio. “Grazie piccolo amico mio; oggi mi hai insegnato che le attenzioni non sono pressioni, che le carezze sono colore e che il cuore di un bambino è più luminoso e colorato di ogni immaginazione”.… (Claudio)






    Colori
    Sio riposo, nel lento divenire
    Degli occhi, mi soffermo
    Alleccesso beato dei colori;
    qui non temo più fughe o fantasie
    ma la penetrazione mi abolisce.
    Amo i colori, tempi di un anelito
    Inquieto, irresolvibile, vitale,
    spiegazione umilissima e sovrana
    dei cosmici perché del mio respiro.
    La luce mi sospinge ma il colore
    Mattenua, predicando limpotenza
    Del corpo, bello, ma ancor troppo terrestre.
    Ed è per il colore cui mi dono
    Sio mi ricordo a tratti del mio aspetto
    E quindi del mio limite.

    I versi sono polvere chiusa
    Di un mio tormento damore,
    ma fuori laria è corretta,
    mutevole e dolce ed il sole
    ti parla di care promesse,
    così quando scrivo
    chino il capo nella polvere
    e anelo il vento, il sole,
    e la mia pelle di donna
    contro la pelle di un uomo.

    Ah se almeno potessi,
    suscitare lamore
    come pendio sicuro al mio destino!
    E adagiare il respiro
    Fitto dentro le foglie
    E ritogliere il senso alla natura!
    O se solo potessi
    Toccar con dita tremule la luce
    Quella gagliarda che ci sboccia in seno,
    corpo astrale del nostro viver solo
    pur rimanendo pietra, inizio, sponda
    tangibile agli dei
    e violare i più chiusi paradisi
    solo con la sostanza dellaffetto.

    No, non chiudermi ancora nel tuo abbraccio,
    atterreresti in me questalta vena
    che mi inebria dalloggi e mi matura.
    Lasciamo alzare le mie forze al sole,
    lascia che mi appassioni dei miei frutti,
    lasciami lentamente delirare
    e poi coglimi solo e primo e sempre
    nelle notti invocato e nei tuoi lacci
    amorosi tu atterrami sovente
    come si prende una sventata agnella.
    (Alda Merini)
     
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  8. gheagabry
     
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    "Tiffany ha in negozio una cosa che non si può comperare per nessuna cifra,
    si può solo ricevere in regalo: una delle sue scatole"



    Blu Tiffany

    Il blu Tiffany è la varietà di colore blu associata all'azienda statunitense Tiffany & Co.

    La società esiste dal 1837 ed è stato selezionato dal fondatore Charles Lewis Tiffany per la copertina del Blue Book, la collezione annuale di gioielli lavorati a mano di Tiffany. Il suo numero Pantone è 1837, anno di fondazione di Tiffany. Il marchio è stato registrato solo nel 1998.



    Dalla fine dell'Ottocento, le uova azzurre sono conosciute anche come “uova di pettirosso”, nome dovuto proprio al colore azzurro delle uova del pettirosso americano (Turdus migratorius, parente del pettirosso europeo). È proprio dalle uova azzurre di pettirosso che è derivato il famosissimo blu Tiffany, che ne ha adottato una gradazione leggermente più pallida. Il colore – è, dice il sito di Tiffany, un «robin’s-egg blue» o un «forget-me-not blue»: “blu uovo di pettirosso” o “blu nontiscordardimé”.



    Il colore fu scelto come prima cosa per finire sulla copertina del catalogo annuale dei prodotti Tiffany, pubblicato per la prima volta nel 1845. A sceglierlo fu Charles Lewis Tiffany, fondatore della società, e pare lo fece perché a quel tempo andavano molto di moda le gemme turchesi. Dalla copertina il colore passò ai gioielli e ai pacchetti dei gioielli.

     
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    Cennino Cennini – Il libro dell’arte – CAPITOLO LXII.

    Il modo di fare dell’azzurro oltramarino.

    Azzurro oltramarino si è un colore nobile, bello, perfettissimo oltre a tutti i colori; del quale non se ne potrebbe nè dire nè fare quello che non ne sia più. E per la sua eccellenza ne voglio parlare largo, e dimostrarti appieno come si fa. E attendici bene, però che ne porterai grande onore e utile. E di quel colore, con l’oro insieme (il quale fiorisce tutti i lavori di nostra arte), o vuoi in muro, o vuoi in tavola, ogni cosa risprende.

    Prima, togli lapis lazzari. E se vuoi cognoscere la buona pietra, togli quella che vedi sia più piena di colore azzurro, però che ella è mischiata tutta come cenere. Quella che tiene meno colore di questa cenere, quella è migliore. Ma guar’ti che non fusse pietra d’azzurro della Magna, che mostra molto bella all’occhio, che pare uno smalto. Pestala in mortaio di bronzo coverto, perché non ti vada via in polvere; poi la metti in su la tua prìa profferitica, e triala sanza acqua; poi abbia un tamigio coverto, a modo gli speziali, da tamigiare spezie; e tamigiali e ripestali come fa per bisogno: e abbi a mente, che quanto la trii più sottile, tanto vien l’azzurro sottile, ma non sì bello e violante e di colore ben nero; chè il sottile è più utile ai miniatori, e da fare vestiri biancheggiati. Quando hai in ordine la detta polvere, togli dagli speziali sei oncie di ragia di pino, tre oncie di mastrice, tre oncie di cera nuova, per ciascuna libra di lapis lazzari. Poni tutte queste cose in un pignattello nuovo, e falle struggere insieme. Poi abbi una pezza bianca di lino, e cola queste cose in una catinella invetriata. Poi abbia una libra di questa polvere di lapis lazzari, e rimescola bene insieme ogni cosa, e fanne un pastello tutto incorporato insieme. E per potere maneggiare il detto pastello, abbi olio di semenza di lino, e sempre tieni bene unte le mani di questo olio. Bisogna che tegni questo cotal pastello per lo men tre dì e tre notti, rimenando ogni dì un pezzo; e abbi a mente, che lo puoi tenere il detto pastello quindici dì, un mese, quanto vuoi. Quando tu ne vuoi trarre l’azzurro fuora, tieni questo modo. Fa’ due bastoni d’un’asta forte, nè troppo grossa, nè troppo sottile; e sieno lunghi ciascuno un piè, e fa’ che sieno ben ritondi da capo e da piè, e puliti bene. E poi abbi il tuo pastello dentro nella catinella invetriata, dove l’hai tenuto; e mettivi dentro presso a una scodella di lisciva calda temperatamente; e con questi due bastoni, da catuna mano il suo, rivolgi e struca e mazzica questo pastello in qua e in là, a modo che con mano si rimena la pasta da fare pane, propriamente in quel modo. Come hai fatto che vedi la lisciva essere perfetta azzurra, trannela fuora in una scodella invetriata; poi togli altrettanta lisciva, e mettila sopra il detto pastello, e rimena con detti bastoni a modo di prima. Quando la lisciva è ben tornata azzurra, mettila sopra un’altra scodella invetriata, e rimetti in sul pastello altrettanta lisciva, e ripriemi a modo usato. E quando la lisciva è bene azzurra, mettila in su un’altra scodella invetriata: e per lo simile fa’ così parecchi dì, tanto che il pastello rimanga che non tinga la lisciva; e buttalo poi via, chè non è più buono. Poi ti reca dinanzi da te in su una tavola per ordine tutte queste scodelle, cioè prima, seconda, terza, quarta tratta, per ordine seguitando ciascuna: rimescola con mano la lisciva con l’azzurro che, per gravezza del detto azzurro, sarà andato al fondo; e allora cognoscerai le tratte del detto azzurro. Dilìberati in te medesimo di quante ragioni tu vuoi azzurri, di tre, o di quattro, o di sei, e di quante ragioni tu vuoi: avvisandoti che le prime tratte sono migliori, come la prima scodella è migliore che la seconda. E così se hai diciotto scodelle di tratte, e tu voglia fare tre maniere d’azzurro, fa’ che tocchi sei scodelle, e mescolale insieme, e riducile in una scodella: e sarà una maniera. E per lo simile delle altre. Ma tieni a mente, che le prime due tratte, se hai buon lapis lazzari, è di valuta questo tale azzurro di ducati otto l’oncia, e le due tratte di dietro è peggio che cendere. Sì che sie pratico nell’occhio tuo di non guastare gli azzurri buoni per li cattivi: e ogni dì rasciuga le dette scodelle delle dette liscive, tanto che gli azzurri si secchino. Quando son ben secchi, secondo le partite che hai, secondo le alluoga in cuoro, o in vesciche, o in borse. E nota, che se la detta pría lapis lazzari non fusse così perfetta, o che avessi triata la detta pría che l’azzurro non rispondesse violante, t’insegno a dargli un poco di colore. Togli una poca di grana pesta, e un poco di verzino; cuocili insieme; ma fa’ che il verzino o tu ’l grattugia, o tu il radi con vetro; e poi insieme li cuoci con lisciva, e un poco d’allume di rocca; e quando bogliono, che vedi è perfetto color vermiglio, innanzi ch’abbi tratto l’azzurro della scodella (ma bene asciutto della lisciva), mettivi su un poco di questa grana e verzino; e col dito rimescola bene insieme ogni cosa; e tanto lascia stare, che sia asciutto senza o sole, o fuoco, e senz’aria. Quando il truovi asciutto, mettilo in cuoro o in borsa, e lascialo godere, chè è buono e perfetto. E tiello in te, chè è una singulare virtù a sapello ben fare. E sappi ch’ell’è più arte di belle giovani a farlo, che non è a uomini; perchè elle si stanno di continuo in casa, e ferme, ed hanno le mani più dilicate. Guar’ti pur dalle vecchie. Quando ritorni per volere adoperare del detto azzurro, pigliane quella quantità che ti bisogna: e se hai a lavorare vestiri biancheggiati, vuolsi un poco triare in su la tua pría usata: e se ’l vuoi pur per campeggiare, vuolsi poco poco rimenare sopra la pría, sempre con acqua chiara chiara, bene lavata e netta la pría: e se l’azzurro venisse lordo di niente, piglia un poco di lisci- va, o d’acqua chiara, e mettila sopra il vasellino, e rime- scola insieme l’uno e l’altro: e questo farai due o tre mute, e sarà l’azzurro bene purgato. Non ti tratto delle sue tempere, però che insieme più innanzi ti mostrerò di tutte le tempere di ciascuni colori in tavola, in muro, in ferro, in carta, in pietra, e in vetro.

    lapissuite

     
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    Ecco perché i colori più intensi del mondo naturale sono blu e verde

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    Il mondo animale ci regala alcuni dei colori più incredibili che si possono ammirare sulla Terra. Che siano le piume di un uccello esotico, il carapace di un coleottero, le delicate ali di una farfalla, molti degli esempi più sgargianti e ipnotici di colori naturali non sono dovuti a pigmenti, ma a un tipo di colorazione che viene definita strutturale, dovuta cioè alla struttura nanoscopica del materiale in questione, e dal modo in cui questa disperde la luce. Un fenomeno che segue regole complesse, ma assolutamente ineluttabili: è impossibile, ad esempio, ottenere colori strutturali omogenei che cadano nello spettro del rosso. O, in altre parole: come dimostra matematicamente uno studio di Cambridge, appena pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences, blu e verde sono i colori (strutturali) più intensi presenti nel mondo naturale.

    Per capire la ragione è bene fare un passo indietro. Esistono due metodi principali in cui piante e animali possono ottenere i loro colori. Il più conosciuto è legato alla presenza di pigmenti, particelle che assorbono la luce in una determinata lunghezza d'onda, che ne determina così il colore. L'alternativa, come dicevamo, sono i colori strutturali, in cui la colorazione che percepiamo non è dovuta all'assorbimento della radiazione elettromagnetica, ma da nanostrutture poste sulla superficie di un materiale che interferiscono con la riflessione della luce, rifrangendola.

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    Questo può avvenire in due modi: attraverso una struttura nanoscopica ordinata o cristallina, che produce colori iridescenti o metallici (pensate alle famose piume di pavone), che cambiano continuamente in base all'angolo da cui arriva la luce; o in alternativa (ben più di rado) per via di una struttura disordinata o amorfa, che produce colori omogenei e particolarmente intensi.

    Il secondo caso è quello che offre maggiori potenzialità commerciali: una vernice priva di pigmenti in grado di fornire una colorazione non iridescente potrebbe trovare applicazione un po' ovunque, garantendo colori intensi, ecologici e duraturi, che non sbiadiscono col tempo e non contengono sostanze tossiche o potenzialmente dannose per l'ambiente. Come spesso capita di questi tempi, insomma, l'idea è quella di ispirarsi alla natura per ottenere una nuova tecnologia innovativa. Unico limite, in questo caso, è il range di colori disponibili. "La maggioranza degli esempi di colori strutturali presenti in natura sono iridescenti", spiega Lukas Schertel, uno dei coautori della ricerca. "Per ora, esempi di colori strutturali naturali non iridescenti esistono solamente sui toni del blu e del verde. E in effetti, quando noi abbiamo provato a ricreare artificialmente colori strutturali omogenei rossi o arancio abbiamo ottenuto risultati pessimi in termini di saturazione e purezza del colore".

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    Incuriositi dalle difficoltà incontrate, i ricercatori - guidati dall'italiana Silvia Vignolini - hanno deciso di studiare la questione più a fondo, realizzando un modello matematico che permette di simulare il comportamento delle strutture nanoscopiche che producono i colori strutturali. Arrivando a una conclusione: è impossibile creare un colore strutturale omogeneo nella parte rossa dello spettro visibile, e per via di fenomeno fisici secondari è estremamente complesso anche ottenere il giallo e l'arancione. È per questo che in natura, questi colori estremamente intensi si limitano a toni blu e verdi.



    www.repubblica.it/scienze/2020/09/16/news/
     
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    YInMn Blue

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    Dopo oltre 200 anni è stata scoperta una nuova tinta del colore blu.
    Si chiama YInMn Blue e prende il nome dai tre elementi chimici che lo costituiscono: ittrio (Y), indio (In) e manganese (Mn). La scoperta è stata fatta nel 2009 da un team di ricerca dell’Università dell’Oregon che stava cercando di ottenere una fibra da utilizzare nell’elettronica. L’esperimento è fallito ma, in compenso, si sono accorti di aver accidentalmente prodotto una nuova varietà di colore!
    Nel 2020 l’EPA (Environmental Protection Agency) ha ufficialmente approvato questo nuovo pigmento e lo ha reso commercializzabile. Le sue eccezionali proprietà comprendono un’elevata stabilità chimica - questione piuttosto spinosa per gli altri pigmenti blu - e l’assenza di tossicità - a differenza, ad esempio, del blu cobalto.
    La tinta brillante di questo materiale è legata alla sua capacità di assorbire le radiazioni corrispondenti ai colori rosso e verde e, inoltre, il materiale è in grado di riflettere le radiazioni infrarosse e di assorbire i raggi UV, diminuendo il riscaldamento degli oggetti verniciati con questo colore. (www.facebook.com/geologiapop/)



    Lo YInMn Blue (Y per l'ittrio, In per l'indio e Mn per il manganese), noto anche come Mas Blue, è un pigmento inorganico blu scoperto per caso dallo studente ricercatore Andrew Smith nel laboratorio del professor Mas Subramanian presso l'Università statale dell'Oregon nel 2009. Crayola, attraverso un concorso indetto nel 2017, lo ha rinominato e commercializzato come Bluetiful.

    Si tratta dell'ultima tonalità blu ad essere stata sintetizzata, a distanza di più di tre secoli dal blu di Prussia (o di Berlino) del 1706, di due dal blu cobalto (o blu di Dresda) del 1802 e circa 150 anni dopo il blu di Brema del 1858. Lo YInMn Blue è considerato a tutti gli effetti un colore puro, ovvero un colore senza aggiunta di pigmenti neri o bianchi. L'eccezionale intensità del colore è paragonabile a quella dell'International Klein Blue.

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    La pittura era un passatempo popolare e onorato tra le classi superiori in Egitto.
    Questa scatola di pittura conserva ancora le sue torte originali di pigmento: una torta ciascuna di rosso (rosso ocher), blu (blu egiziano), verde (un misto di blu egiziano, giallo ocher e orpimento) e due di nero (nero carbonio, carbone). Apparteneva ad Amenemope, visir, o primo ministro, sotto Amenhotep II. Amenemope probabilmente ha usato la sua scatola di pittura per ricreazione.

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    Scatola dipinta di Visir Amenemope c. 1427-1401 a.C.
    Egitto, Nuovo Regno, Dinastia 18 (1540-1296 a.C., regno di Amenhotep II
    ritrovamento a Tebe, Egitto
    Museo d'arte di Cleveland

     
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    L’inclinazione del blu all’approfondimento è così grande
    che proprio nelle tonalità più profonde
    diventa più intensa e acquista un effetto interiore più caratteristico.
    Quanto più il blu è profondo, tanto più fortemente richiama l’uomo verso l’infinito,
    suscita in lui la nostalgia della purezza e infine del sovrasensibile.

    (Wassily Kandinsky)

     
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    Come gli antichi romani nominavano i colori

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