IL PESSIMISMO LEOPARDIANO

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    IL PESSIMISMO LEOPARDIANO





    Gli studiosi hanno distinto tre fasi del pessimismo leopardiano: una fase di "pessimismo storico" , una di "pessimismo psicologico" e una di "pessimismo cosmico" .


    1. Il "Pessimismo Storico" si basa sulla "Teoria delle Illusioni".

    Indagando sulla causa dell'infelicità umana, il Leopardi segue la spiegazione di Rousseau, e afferma, con la sua "Teoria delle Illusioni", che gli uomini furono felici soltanto nell'età primitiva, quando vivevano a stretto contatto con la natura, ma poi essi vollero uscire da questa beata ignoranza e innocenza istintiva e, servendosi della ragione, si misero alla ricerca del vero. Le scoperte della ragione furono catastrofiche: essa infatti scoprì la vanità delle illusioni, che la natura, come una madre benigna e pia, aveva ispirato agli uomini; scoprì le leggi meccaniche che regolano la vita dell'universo; scoprì il male, il dolore, l'infelicità, l'angoscia esistenziale.
    La storia degli uomini quindi, dice il Leopardi, non è progresso, ma decadenza da uno stato di inconscia felicità naturale, ad uno stato di consapevole dolore, scoperto dalla ragione. Ciò che è avvenuto nella storia dell'umanità, si ripete immancabilmente, per una specie di miracolo, nella storia di ciascun individuo. Dall'età dell'inconscia felicità, quale è quella dell'infanzia, dell'adolescenza e della giovinezza, allorché tutto sorride intorno e il mondo è pieno di incanto e di promesse, si passa all'età della ragione, all'età dell'arido vero, del dolore consapevole e irrimediabile .
    La ragione è colpevole della nostra infelicità, in contrasto con la natura madre provvida, benigna e pia, che cerca di coprire col velo dei sogni, delle fantasie e delle illusioni le tristi verità del nostro essere.

    2. Il "Pessimismo Psicologico". si basa sulla "Teoria del Piacere"

    Partendo dalla riflessione sull'infelicità, elabora la "Teoria del Piacere" che diventa il cardine del suo pensiero: secondo questa teoria, "l'amor proprio" porta l'individuo ad una richiesta di piacere infinito per intensità e per estensione; poiché questa richiesta non potrà mai essere soddisfatta interamente, l'individuo, anche nel momento di maggior piacere, continuerà a sentire l'assillo del desiderio non colmato. Questo assillo è di per sè patimento, sicché l'individuo, anche quando non soffre di mali materiali, è in stato di sofferenza per la sua stessa richiesta inappagata. Questo tipo di pessimismo è ben più radicale del primo, perché l'infelicità non è un dato occasionale, ma ormai è una costante della condizione umana.

    3. Il "Pessimismo Cosmico" si basa sulla "Teoria del Patimento".

    Un ulteriore aggiustamento della concezione di natura si ebbe quando il poeta spostò la sua attenzione dal tema del Piacere, che non si può avere, a quello della Sofferenza che non si può evitare. Anche se l'individuo potesse raggiungere il piacere, il bilancio della sua esistenza sarebbe comunque negativo, per la quantità dei mali reali (infortuni, malattie, invecchiamento, morte) con cui la natura, dopo averlo prodotto, tende a eliminarlo per dar luogo ad altri individui in una lunga vicenda di produzione e distruzione, destinata a perpetuare l'esistenza e non a rendere felice il singolo.
    In altri momenti il Leopardi approfondisce la sua meditazione sul problema del dolore e conclude scoprendo che la causa di esso è proprio la natura, perché è proprio essa che ha creato l'uomo con un profondo desiderio di felicità, pur sapendo che egli non l'avrebbe mai raggiunta: "0 natura, natura, perché non rendi poi quel che prometti allor ? Perché di tanto inganni i figli tuoi ?", dice il poeta nel canto "A Silvia".
    Così, di fronte alla natura, il Leopardi assume un duplice atteggiamento: ne sente allo stesso tempo il fascino e la repulsione, in una specie di "odi et amo" catulliano. L'ama per i suoi spettacoli di bellezza, di potenza e di armonia; la odia per il concetto filosofico che si forma di essa, fino a considerarla non più la madre benigna e pia (del primo pessimismo), ma una matrigna crudele ed indifferente ai dolori degli uomini, una forza oscura e misteriosa, governata da leggi meccaniche ed inesorabili .
    E' questo il terzo aspetto del pessimismo leopardiano che investe tutte le creature (sia gli uomini che gli animali).
    Ma in questo momento della sua meditazione il Leopardi rivaluta la ragione, prima considerata causa di infelicità. Essa gli appare colpevole di aver distrutto le illusioni con la scoperta del vero, ma è anche l'unico bene rimasto agli uomini, i quali, forti della loro ragione, possono non solo porsi eroicamente di fronte al vero, ma anche conservare nelle sventure la propria dignità, anzi, unendosi tra loro con fraterna solidarietà, come egli dice nella "Ginestra", possono vincere o almeno lenire il dolore







    Gli studiosi hanno distinto tre fasi del pessimismo leopardiano: una fase di "pessimismo storico" , una di "pessimismo psicologico" e una di "pessimismo cosmico" .

    1. Il "Pessimismo Storico" si basa sulla "Teoria delle Illusioni".
    In questa I FASE, dal 1816 al 1818, inizia il pessimismo storico. La natura è positiva, in quanto crea gli uomini felici, nascondendo ad essi la loro obiettiva infelicità. La ragione è negativa; progresso e civiltà infatti uccidono le illusioni e sostituiscono al fantastico il certo.

    Indagando sulla causa dell'infelicità umana, il Leopardi segue la spiegazione di Rousseau, e afferma, con la sua "Teoria delle Illusioni", che gli uomini furono felici soltanto nell'età primitiva, quando vivevano a stretto contatto con la natura, ma poi essi vollero uscire da questa beata ignoranza e innocenza istintiva e, servendosi della ragione, si misero alla ricerca del vero. Le scoperte della ragione furono catastrofiche: essa infatti scoprì la vanità delle illusioni, che la natura, come una madre benigna e pia, aveva ispirato agli uomini; scoprì le leggi meccaniche che regolano la vita dell'universo; scoprì il male, il dolore, l'infelicità, l'angoscia esistenziale.
    La storia degli uomini quindi, dice il Leopardi, non è progresso, ma decadenza da uno stato di inconscia felicità naturale, ad uno stato di consapevole dolore, scoperto dalla ragione. Ciò che è avvenuto nella storia dell'umanità, si ripete immancabilmente, per una specie di miracolo, nella storia di ciascun individuo. Dall'età dell'inconscia felicità, quale è quella dell'infanzia, dell'adolescenza e della giovinezza, allorché tutto sorride intorno e il mondo è pieno di incanto e di promesse, si passa all'età della ragione, all'età dell'arido vero, del dolore consapevole e irrimediabile .
    La ragione è colpevole della nostra infelicità, in contrasto con la natura madre provvida, benigna e pia, che cerca di coprire col velo dei sogni, delle fantasie e delle illusioni le tristi verità del nostro essere.

    2. Il "Pessimismo Psicologico". si basa sulla "Teoria del Piacere"

    Partendo dalla riflessione sull'infelicità, elabora la "Teoria del Piacere" che diventa il cardine del suo pensiero: secondo questa teoria, "l'amor proprio" porta l'individuo ad una richiesta di piacere infinito per intensità e per estensione; poiché questa richiesta non potrà mai essere soddisfatta interamente, l'individuo, anche nel momento di maggior piacere, continuerà a sentire l'assillo del desiderio non colmato. Questo assillo è di per sè patimento, sicché l'individuo, anche quando non soffre di mali materiali, è in stato di sofferenza per la sua stessa richiesta inappagata. Questo tipo di pessimismo è ben più radicale del primo, perché l'infelicità non è un dato occasionale, ma ormai è una costante della condizione umana.

    La II FASE,1819, comprende la conversione filosofica. Solo la ragione può venire in nostro aiuto, recuperando il primitivo che c'è in noi (il valore dell'infanzia e del ricordo), e suggerendo delle soluzioni storiche e sociali per risolvere l'infelicità dell'uomo: lo scopo sarebbe quello di ottenere una società più giusta e più vicina alla natura, un progetto irrealizzabile, che porterà il poeta alla cosiddetta "delusione storica".
    Tra il 1819 e il 1820, vedranno la luce "Gli Idilli", nei quali la concezione della natura è ancora benigna, ma comincia a profilarsi l'idea di "natura matrigna": la quale esclude l'uomo [Infinito v.3]. La ragione è nemica della natura, anche se non è quella ragione primitiva di cui si serve l'uomo nello stato naturale, è nemico della natura quell'uso eccessivo della ratio tipico dell'uomo corrotto. Si intravede qui una prima rivalutazione del ruolo salvifico della ragione.

    Tra il 1820 e il 1822 si assiste alla transizione verso il pessimismo cosmico. La dialettica natura vs ragione è sostituita dalla dialettica natura vs fato. La natura è si bella e poetica ma esclude il poeta da sé stesso; il fato invece è responsabile del destino dell'uomo.

    3. Il "Pessimismo Cosmico" si basa sulla "Teoria del Patimento".

    Nella III FASE, 1823-1824, la natura è matrigna: ha creato l'uomo al dolore ed è indifferente al suo destino. La ragione è qui vista come un'arma per distruggere le illusioni umane sulla felicità, e per indagare freddamente la tragica verità del destino umano.
    Tra il 1823 e il 1829 c'è un affievolimento della dialettica natura vs ragione e si fa strada la pietà. La natura viene accomunata al dolore dell'uomo, la ragione viene superata dal sentimento, che a sua volta vince l'indifferenza filosofica, ma non da spazio al trionfo delle illusioni.
    Nei "Grandi Idilli" 1828-30, ritorna lo sdoppiamento (già citato nei "Piccoli Idilli") della natura: 1)in quanto realtà naturalistica è messa in rapporto al dolore dell'uomo; 2) in quanto forza imperscrutabile e regolatrice del destino dell'uomo è vista come matrigna indifferente. Anche riguardo alla ragione c'è uno sdoppiamento: 1) da un lato non ci fornisce la spiegazione ultima dell'esistenza [Canto notturno…]; 2) dall'altro ci fornisce almeno una consapevolezza: che la felicità è impossibile [Quiete dopo la tempesta e Sabato del villaggio].

    La IV FASE, dal 1830 al 1837, l'ultima evoluzione: la natura è l'unica responsabile dell'infelicità dell'uomo, che ha radici naturali e biologiche nel corpo e nella inevitabilità della vecchiaia e nella morte. La ragione è l'unico strumento per sgominare ogni falsa credenza nell'ottimismo psicologico-spirituale (cattolicesimo) e nell'ottimismo politico-sociale (liberalismo). Vediamo qui come il Leopardi giunge ad una posizione nettamente contrapposta a quella iniziale del 1816- 1818.

    Un ulteriore aggiustamento della concezione di natura si ebbe quando il poeta spostò la sua attenzione dal tema del Piacere, che non si può avere, a quello della Sofferenza che non si può evitare. Anche se l'individuo potesse raggiungere il piacere, il bilancio della sua esistenza sarebbe comunque negativo, per la quantità dei mali reali (infortuni, malattie, invecchiamento, morte) con cui la natura, dopo averlo prodotto, tende a eliminarlo per dar luogo ad altri individui in una lunga vicenda di produzione e distruzione, destinata a perpetuare l'esistenza e non a rendere felice il singolo.
    In altri momenti il Leopardi approfondisce la sua meditazione sul problema del dolore e conclude scoprendo che la causa di esso è proprio la natura, perché è proprio essa che ha creato l'uomo con un profondo desiderio di felicità, pur sapendo che egli non l'avrebbe mai raggiunta: "0 natura, natura, perché non rendi poi quel che prometti allor ? Perché di tanto inganni i figli tuoi ?", dice il poeta nel canto "A Silvia".
    Così, di fronte alla natura, il Leopardi assume un duplice atteggiamento: ne sente allo stesso tempo il fascino e la repulsione, in una specie di "odi et amo" catulliano. L'ama per i suoi spettacoli di bellezza, di potenza e di armonia; la odia per il concetto filosofico che si forma di essa, fino a considerarla non più la madre benigna e pia (del primo pessimismo), ma una matrigna crudele ed indifferente ai dolori degli uomini, una forza oscura e misteriosa, governata da leggi meccaniche ed inesorabili .
    E' questo il terzo aspetto del pessimismo leopardiano che investe tutte le creature (sia gli uomini che gli animali).
    Ma in questo momento della sua meditazione il Leopardi rivaluta la ragione, prima considerata causa di infelicità. Essa gli appare colpevole di aver distrutto le illusioni con la scoperta del vero, ma è anche l'unico bene rimasto agli uomini, i quali, forti della loro ragione, possono non solo porsi eroicamente di fronte al vero, ma anche conservare nelle sventure la propria dignità, anzi, unendosi tra loro con fraterna solidarietà, come egli dice nella "Ginestra", possono vincere o almeno lenire il dolore.





    Il pessimismo leopardiano



    Il pessimismo di Leopardi ha radici, oltre che nella sua difficile vicenda esistenziale, in quel razionalismo illuministico che volle porre nella ragione ogni verità della vita. L'ipersensibilità del poeta unita all'idealismo è causa d’amarissime disillusioni, convincendolo troppo presto che la realtà è la morte di tutto ciò che l'intelletto sogna ed il sentimento idealizza.

    Inizialmente il pessimismo di Leopardi è personale, in seguito, agli esordi della sua attività, il poeta crede che gli ideali ormai perduti abbiano illuminato la vita degli antichi e che soltanto la corruzione del tempo abbia svuotato gli uomini d’ogni ideale. Da tale concezione viene il rimpianto per le età antiche. Ben presto però il contrasto tra ideali e realtà, tra aspirazioni e limiti imposti dalla vita, porta il poeta a concludere che l'infelicità non è conseguenza del progresso, bensì stato naturale di ogni essere vivente e che la natura è nemica dell'uomo. Leopardi afferma che si insegna all’uomo che la morte prematura è un bene, ma egli la teme, la vita è fragile cosa e più che dono è disgrazia, ma l'uomo teme la morte. La virtù morale è più preziosa della bellezza, ma un'anima sublime in un corpo sgraziato è derisa e misconosciuta (Ultimo canto di Saffo). L’uomo aspira a cose infinite ed eterna, ma vivere è un continuo morire (infinito).

    L'uomo è destinato a non godere d’alcun bene, si dispera, è afflitto da un tedio mortale che lo spinge al suicidio, dal quale lo trattengono la paura della morte e la superstizione religiosa. l'aspirazione all'irraggiungibile verità è il massimo tormento della vita ed è senza speranza, infatti, l'uomo è destinato a non sapere perché sia nato, viva, soffra, dove vada (Canto notturno di un pastore errante nell'Asia) e tale forzata cecità uccide l'anima umana (L'infinito: "...e il naufragar m’è dolce in questo mare"), poiché questa è la legge inesorabile dell’universo.

    La posizione filosofica del Leopardi consiste nel drammatico sviluppo della constatazione dell'infelicità umana che non trova sbocco nella Fede. La poesia di Leopardi è mirabilmente intessuta di sogni ed illusioni, nonostante la disperazione totale che avrebbe potuto soffocarne il lirismo o renderla mortalmente gelida.

    Il pensiero di Leopardi sul pessimismo si basa su due presupposti:

    L’uomo non può conoscere la verità (scetticismo).

    La realtà coincide con la Natura (senza idealità o provvidenzialità), ed è moto eterno e meccanico (materialismo, illuminismo)

    Fasi del pessimismo leopardiano:




    Dolore personale - La vita è stata spietata con Leopardi (esperienza personale/dolore personale), ma altri possono essere felici.

    Dolore storico - Questi due punti generano l’ironia ed il sarcasmo di Leopardi contro i filosofi idealisti e neocattolici, che esaltano "le magnifiche sorti e progressive dell’umanità" (Ginestra) e contro l’ottimismo illuministico (Ginestra).

    La vita è dolore, il male è nella razionalità. La Natura benigna ha creato l’uomo come creatura semplice che, nella sua ignoranza, trova piacere nelle illusioni. Gli uomini, con la ragione, fugarono le illusioni e scoprirono la verità, quindi il male ed il dolore, uscendo così dalla loro infanzia felice. La storia della civiltà è la scoperta dell’infelice condizione umana (gli uomini primitivi furono felici: il tragico destino umano nasce dal contrasto tra la provvida Natura, che vuol celare la dolorosa verità agli uomini, e la ragione, che tale verità scopre nel momento dell’esperienza personale del dolore).

    L’origine dell’infelicità umana è nella contraddizione tra il desiderio di felicità e l’impossibilità di conseguirla (Leopardi: teoria del piacere). Dolore storico: non la natura, bensì la società è nemica dell’uomo. L’uomo comune si consola del male quando lo riconosce necessario, l’uomo superiore non si rassegna, piuttosto si uccide, non maledicendo la vita, bensì lasciandola con rimpianto (Saffo).

    Dolore cosmico - Pessimismo universale. Se l’uomo è creatura della Natura, è evidente la contraddizione fra tale affermazione e la reale condizione umana. Tale contraddizione è spiegata da Leopardi affermando che in ciò sta la perfidia della natura (Natura matrigna). Non è infelice la società “adulta”, ma ogni società, in ogni tempo. L’infelicità non è retaggio solo dell’uomo, bensì di tutte le creature (esiste solo la legge della continuità della specie). Il dolore è fatale all’uomo che è dotato di intelligenza e quindi avverte il tedio ed il “senso della morte”. Tutto quello che è, è male (Zibaldone). Pur su tali posizioni, Leopardi vagheggia l’azione e le illusioni eroiche, creando il “mito della giovinezza” e quasi confutando le accuse di fatalismo e di misantropia, sogna un’azione concorde di tutti gli uomini, uniti dalla solidarietà, per tentare di vincere la Natura ostile (Ginestra). Leopardi rifiuta il suicidio (che in precedenza aveva considerato lecito), poiché lo considera una diserzione da tale disperata battaglia (dialogo di Plotino e Porfirio).

    La condizione fondamentale dello spirito di Leopardi è la totale incapacità di aderire alla vita, che gli appare come uno spettacolo remoto ed alieno. Tale atteggiamento porta il poeta al “taedium vitae (la noia lo fa sentire estraneo al mondo). L’intima dialettica di Leopardi oscilla tra la necessità di appartarsi orgogliosamente da un mondo che sente estraneo, per immergersi nel proprio universo interiore, ed il bisogno di consolare ed essere consolato.

    Leopardi ed il suicidio

    Leopardi pur giudicando irrazionale il rassegnarsi alla vita e ragionevole il suicidio, inteso come liberazione dalla sofferenza, tuttavia ritiene che l'uccidersi sia atto inumano, poiché non tiene conto del dolore altrui e sebbene sia proprio del sapiente non piegarsi al sentimento e non lasciarsi vincere dalla pietà, tale forza d'animo deve essere usata per sopportare la triste condizione umana, usarla per rinunciare alla vita ed alla compagnia delle persone care è un abuso, non soffrire al pensiero di lasciare nel dolore le persone care è indegno del saggio. Il suicidio è un atto d’egoismo, poiché il suicida cerca solo la propria utilità, disprezzando l'intero genere umano (dialogo di Plotino e Porfirio) ed agisce come un disertore, che abbandona i compagni impegnati in una lotta impari contro la natura nemica (La ginestra).

    Il problema della legittimità del suicidio, tormenta Leopardi fin dalla crisi esistenziale del 1819, ed ancora nel 1824 (Ultimo canto di Saffo), egli sostiene la tesi della legittimità del suicidio, ma già in quello stesso anno si notano nel poeta le prime affermazioni sul dovere di subire il destino con animo forte, trovando conforto nella bellezza delle creazioni dello spirito umano. Infine nel 1827, Leopardi scrive il dialogo di Plotino e Porfirio. Nel dialogo, Leopardi ripercorre il cammino spirituale lungo il quale la propria concezione pessimistica della vita è giunta all’affermazione delle ragioni più alte dell’esistenza Porfirio è il Leopardi del 1821 – 1824, mentre Plotino è il poeta più maturo. Porfirio difende il suicidio sostenendo che, se la Natura destina gli uomini al dolore, se tutto ciò che esiste è male, l’uomo ha diritto di sottrarvisi, scegliendo la morte volontaria (1822), anche se la vita, in quel momento, non è particolarmente sventurata, poiché la vita è tedio, i mali sono vani, il dolore stesso è vano, quindi l’uomo ha il diritto di sottrarsi al male dell’esistenza. Solo la noia, poiché nasce dalla coscienza della realtà, non è vana né ingannevole. L’evoluzione spirituale di Leopardi lo conduce a posizioni più equilibrate (Plotino) e svincolate dalle situazioni contingenti, infatti, l’uomo è condannato alla sofferenza, ma una legge di natura vuole che egli viva nonostante tutto. Solamente pochi si rendono conto della realtà, tutti gli altri combattono vanamente contro la natura. Tale lotta deve affratellare gli uomini, quindi il suicidio è una diserzione inammissibile. Inoltre la vita è degna di essere vissuta non perché sia felice, ma perché sia spiritualmente elevata. L’uomo deve prendere coscienza della propria vita interiore. Nel dialogo Leopardi ripercorre il proprio cammino spirituale.
     
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