PARAFRASI

tutte quelle che servono sono qui!!!

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    analisi poesie
    Il Gelsomino Notturno e Temporale (Giovanni Pascoli)

    Temporale

    È una miniatura nella quale troviamo concentrati gli elementi significativi del lavoro poetico pascoliano; nell'ordine:

    L'onomatopea: "bubbolìo" (il rombo lontano del tuono);
    La sintassi breve: c'è un solo verbo, "rosseggia";
    Le parole del lessico quotidiano: "pece", "stracci";
    Il tema della casa, metonimia della famiglia ma soprattutto della madre, intese come rifugio e fuga dal mondo. È il marchio poetico pascoliano, legato da un lato al trauma infantile della perdita drammatica di entrambi i genitori, e dall'altro al costante tentativo di ricostituire il mondo perduto che ispirò tutta la sua esistenza.
    L'analogia: "un'ala di gabbiano", qui scelto per la sua qualità di volatile capace di contrastare alla violenza della bufera. È da sottolineare l'efficacia di questa locuzione che si staglia, nella brevità di un singolo verso, a suggellare l'idea della forza protettiva.

    In questo percorso i versi "Rosseggia l'orizzonte" "Nero di pece a monte", e "Stracci di nubi chiare" descrivono l'ambiente attraverso tre colori: il Rosso, il Nero e il Bianco. I due primi colori danno sensazioni sia di violenza, il rosso che di paura il nero; mentre il terzo, il bianco, inserisce una nota positiva rafforzata subito dopo, sia dal casolare, simbolo di sicurezza, che dal gabbiano, immagine della fuga. E' possibile cogliere un collegamento con S. Martino di G. Carducci dove l'autore parla di: "Ceppi accesi.. rossastre nubi... uccelli neri".
    "A mare" e "un casolare" creano rima per cui i due versi sono uniti molto saldamente .La sensazione che trasmettono è quella dell'oppressione e dell'angoscia soprattutto per i termini: "affocato" e "nero". Il tema della casa viene ripreso dal poeta anche nella poesia " Il lampo" con analoghe caratteristiche di rifugio rispetto allo scatenarsi terrificante degli elementi.


    PARAFRASI
    Il brontolio di un tuono lontano…
    L’orizzonte si accende si rosso,
    come se fosse di fuoco, verso il mare;
    sui monti il cielo è nero come la pece,
    in mezzo vi sono cirri bianchi:
    tra le nuvole nere c’è un casolare:
    un’ala di gabbiano.






    Il Gelsomino Notturno

    ANALISI DEL TESTO:
    IL GELSOMINO NOTTURNO


    COMPRENSIONE COMPLESSIVA:

    Qual è il tema fondamentale della lirica, scritta in occasione del matrimonio dell’amico?

    Il tema fondamentale della lirica è la prima notte di nozze dell’amico Gabriele Briganti, notte in cui è stato concepito il piccolo Dante Gabriele Giovanni.

    Quali sensazioni e impressioni vuole suggerire?

    Con quest’opera, il poeta ci descrive la prima notte di nozze e parla del rito di fecondazione, visto dal poeta come una violenza inferta alla carne. Egli ci trasmette la sua inquietezza e la sua infelicità nei confronti del sesso, rivelando un misto di attrazione e repulsione per il corpo femminile.

    Ci sono metafore significative? Di che tipo? E cosa stanno a significare?

    Nel testo vi sono molte metafore significative, la più evidente è la figura del gelsomino notturno, infatti questo fiore viene paragonato al rito di fecondazione proprio per la sua caratteristica di schiudersi la notte e di esalare il suo profumo penetrante ed inebriante, inoltre il suo colore rosso, simbolo della passione, si fonde con il suo profumo dolce ed invitante, ma all’alba i petali del fiore si chiudono un po’ gualciti: è proprio questa l’idea che il poeta ha del sesso e che ha voluto trasmetterci con quest’opera.

    C’è ricorso al simbolismo? Con quale funzione?

    Quest’opera è uno dei grandi esempi del simbolismo pascoliano. In essa vi è descritta una magica notte ricca di esistenze, movimenti ed eventi, ma le sensazioni che essa sprigiona sono legate da corrispondenze ed allusioni, le quali creano un clima ambiguo in cui viene esaltata la sensualità, il vagheggiamento del fiorire della vita, il senso di solitudine ed il ricordo dei morti. Il ricorso al simbolismo è maggiormente evidente soprattutto in due punti: quando parla dell’ape tardiva e quando parla dell’aia del cielo su cui si muove la chioccia seguita dal suo pigolio di stelle. Nel primo caso, l’ape tardiva, esclusa dall’alveare che si aggira nella sua più totale solitudine, rappresenta ed impersonifica la figura del poeta: solo, chiuso nel suo nido familiare e destinato a non avere una sua famiglia dove poter essere un sereno e appagato padre di famiglia. Nel secondo caso, invece, il cielo è l’aia su cui si muove la chioccia e le stelle sono i pulcini che la seguono pigolando.

    ANALISI DEL TESTO:

    Il testo, a livello metrico-ritmico, è diviso in quartine, i versi sono dei novenari, le rime sono alternate e vi sono molti enjambements, come per esempio: “Dai calici aperti si esala l’odore di fragole rosse.”, “Per tutta la notte s’esala l’odore che passa col vento.”.
    Quale rapporto esiste tra i primi due versi e gli altri di ogni strofa?

    Nei primi due versi di ogni strofa sono presenti le metafore più significative dell’opera, mentre nel resto di ogni strofa sono rappresentati i sentimenti dell’autore; inoltre nei primi due versi sono presenti, di norma, degli enjambements.

    La lirica comincia con la congiunzione “e”. Quale valore assume, a tuo avviso, la congiunzione?

    La congiunzione “e”, a mio avviso rappresenta il proseguimento di un discorso iniziato precedentemente, dato che di solito non è corretto iniziare un componimento con una congiunzione, anche se in quest’opera la congiunzione rappresenta la frantumazione del testo.

    Cosa suggerisce il verbo “bisbiglia” riferito ad una casa?

    In quest’opera, il verbo “bisbiglia” si riferisce al rumorio ed al bisbiglio di voci che provengono dalla casa.
    Questo verbo vuole, dunque, sottolineare la presenza di qualcuno ancora sveglio all’interno della casa; il tutto nel silenzio della notte dove solo quella casa è ancora illuminata.

    Evidenziate le sinestesie presenti nella lirica.

    La sinestesia più evidente di questa lirica è il pigolio di stelle, dal quale possiamo notare che una sensazione ottica, data dalla luminosità delle stelle, evoca una sensazione fonica, quale il pigolio dei pulcini.
    Altrettanto visibile è la sinestesia riguardante il gelsomino che si schiude durante la notte, poiché una sensazione ottica, data dalla corolla del gelsomino che si apre, evoca una sensazione olfattiva, quale l’odore inebriante di fragole notturne.

    “Sotto l’ali dormono i nidi” che valore assume il termine nido? Può essere contrapposto a casa? E perché?

    Il termine “nido”, in questo caso, non indica il rifugio in cui vivono gli uccelli, esso indica la protezione che gli uccelli trovano dormendo sotto le ali protettrici dei genitori. Questo termine può essere sicuramente contrapposto alla casa nuziale in quanto il nido, un tema fondamentale del poeta, è inteso come l’immagine chiusa, gelosa e rassicurante dove i piccoli sono protetti dal calore dei grandi, in cui vi sono solo i rapporti affettivi tra genitori e figli ed il sesso inquietante è assente, mentre la casa nuziale è il luogo in cui si consuma il rito amoroso, quindi è vista dal poeta come un luogo inquietante che contraddice l’ideologia che egli ha del nido.

    Quali aspetti della sensualità vengono evidenziati nella lirica?

    I sensi maggiormente evidenziati sono l’udito e l’olfatto, come per esempio il rumore proveniente dalla casa, l’esalazione del profumo di fragole rosse e l’odore di gelsomini schiusi portato dal vento.

    APPROFONDIMENTI:

    Riflettere sul significato del nido nella poesia del Pascoli con precisi riferimenti ad altre opere lette dell’autore.

    Il nido rispecchia perfettamente l’idea pascoliana della famiglia, esso è infatti uno dei temi centrali della sua poesia. Egli ha un legame morboso e ossessivo nei confronti del suo nido ormai distrutto dalla morte del padre, della madre, dei due fratelli e della sorella.
    Questo tipo di attaccamento alla famiglia non ha permesso all’autore di avere relazioni amorose poiché egli pensava che le due sorelle che gli erano rimaste avrebbero potuto soddisfare tutte le sue esigenze affettive; egli, infatti, era morbosamente legato alle sorelle, in modo talmente ossessivo che quando una delle due si sposò reagì con una crisi depressiva vedendolo come un tradimento personale.
    Una delle poesie che rispecchia maggiormente questa sua visione della famiglia è “X agosto”, giorno in cui avvenne l’uccisione del padre e che portò alla frantumazione del nido. In quest’opera l’analogia tra la rondine ed il padre non riguarda solo la loro morte, avvenuta per entrambi il giorno di S. Lorenzo, ma anche nel fatto che sia la rondine sia il padre vengano violentemente esclusi dal nido.
    I legami ossessivi nei confronti della famiglia proteggono il poeta dal mondo esterno, colmo di insidie e di cattiverie, escludendolo dalla vita sociale e spingendolo verso una fedeltà ossessiva nei confronti dei morti.

    Contestualizzate il testo in rapporto alla cultura del decadentismo.

    Quest’opera di Pascoli ha, naturalmente, molti elementi in comune con il decadentismo, in particolare: la fedeltà ossessiva nei confronti dei morti, la musicalità del verso, le metafore, le sinestesie, le onomatopee, in numerosi enjambements, il simbolismo, l’esclusione dell’io del poeta all’interno dell’opera e l’esaltazione della natura.
     
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    Parafrasi "San Martino", di Giosue Carducci


    Prima di passare ad un esame dettagliato della lirica, conviene farne la parafrasi, perché non si possono cogliere i significati connotativi se non si è compreso quello denotativo. E' pur vero che il significato più profondo si consegue dopo aver esperito tutte le analisi, ma è altrettanto corretto partire già con un'idea abbastanza precisa dei contenuti del componimento. Per questo, sarebbe opportuno, a livello didattico, ritornare, esaurita ogni analisi, a rivedere la parafrasi, a correggere, eventualmente, o a precisare l'interpretazione precedente.

    Il componimento di Carducci appare come un brano la cui comprensione è immediata e facile; ed in effetti per molti aspetti lo è; ma, come l'analisi successiva dimostrerà, ci sono alcuni elementi che non possono essere compresi a prima lettura. Per questo ritengo che prima di avviarci alla riflessione critica occorra presentare la trasposizione in prosa dei versi carducciani:

    «La nebbia, sciogliendosi in una leggera pioggerella, risale per le colline rese quasi ispide dalle piante ormai prive di fogliame e, spinto dal vento freddo di nordovest, il mare rumoreggia frangendosi sulla scogliera, con onde dalla bianca spuma. Ma per le vie del piccolo paese contadino si diffonde, dai tini dove fermenta il mosto, l’odore aspro del vino nuovo che rallegra i cuori. E intanto sulla brace del focolare scoppiettano le gocce di grasso che cadono dallo spiedo su cui cuoce la cacciagione; e il cacciatore se ne sta sull'uscio a guardare stormi di uccelli che, a contrasto con le rosse nubi del tramonto, sembrano neri, come quei pensieri che si vorrebbe mandar via lontano».



    Parafrasi "S'i fossi foco, arderei 'l mondo", di Angiolieri Cecco

    arderei il mondo se fossi fuoco
    lo tempesterei se fossi vento
    lo annegherei se fossi acqua
    lo manderei nel profondo se fossi Dio
    giocherei se fossi Papa
    e tutti i cristiani imbroglierei
    sai che farei se fossi imperatore?
    a tutti taglierei il capo
    andrei da mio padre se fossi morte
    fuggirei da lui se fossi la vita
    e ugualmente farei con mia madre
    se fossi Cecco, come sono e sono stato
    le donne giovani ed eleganti prenderei
    e le anziane e laude le lascerei agli altri



    Parafrasi "Sogno d'Estate", di Giosué Carducci




    Il Carducci, mente stava leggendo il canto XVI dell’Iliade di Omero, si abbandonò al sonno e ritrovò immagini care di anni lontani. L’afa del primo pomeriggio fece addormentare il poeta, mentre leggeva l’Iliade in cui si sente il fragore delle battaglie sotto le mura di *****; il capo gli si chinò sulla riva dello Scafandro in lotta con Achille, ma il suo sogno corse sul tirreno, nella Maremma, tra Bolgheri e Castagneto dove visse la fanciullezza. Vide in sogno le cose serene dell’infanzia. Sparirono i libri e la stanza rumorosa per il traffico dei carri ruzzolanti sul selciato si allargò (per accogliere le immagini del tempo lontano); apparvero intorno al poeta le colline della sua terra, gli amati aspri colli che aprile riempiva nuovamente di fiori. Una polla d’acqua scendeva attraverso la spiaggia con un borbottio piacevolmente freddo a poco a poco trasformandosi in ruscello, su di esso passeggiava la madre del poeta ancora nel fiore degli anni, tenendo per mano un fanciullo sulle cui bianche spalle brillavano riccioli d’oro. Il bambino andava superbo di essere per mano alla sua mamma, orgoglioso dell’affetto materno e commosso dal canto trionfante che la natura madre spiegava a gran voce. Infatti le campane annunziavano dal castello di Bolgheri la risurrezione di Cristo per l’indomani, giorno di Pasqua e dovunque si sentiva l’alito vitale della primavera ed i peschi ed i meli erano tutti fioriti di bianco e di rosso e l’erba sorrideva con i suoi fiori gialli e turchini ed il trifoglio rosso rivestiva i poggi dei prati e le colline si adornavano di tenere ginestre gialle come l’oro e dal mare veniva una brezza leggera che faceva muovere i fiori ed i profumi; nel mare ondeggiavano lentamente quattro vele bianche ed il sole avvolgeva in un unico sfolgorio il mare, la terra ed il cielo. La giovane madre del poeta guardava serena nel sole, il poeta guardava la madre ed il fratello pensieroso, sospeso tra sogno e realtà. Guadava assorto il fratello, morto nel 1857 e sepolto in Val d’Arno, la madre che riposava nel solitario e maestoso cimitero della città di Bologna, pensando se ancora essi vivessero o ritornassero, pietosi della sua pena, dall’Oltretomba, ove tra gli spiriti dei famigliari che li avevano preceduti, rivivevano gli anni della loro passata esistenza. Svanirono ad un tratto, con il sonno, anche le immagini care della madre e del fratello. Lauretta riempiva con il canto le stanze, Bice era intenta al ricamo. Era stato dolce il sogno, ma era dolce anche la realtà del presente.


    <b>[size=14][color=red][font=papyrus] Parafrasi "Solo e pensoso", di Francesco Petrarca


    [size=7][color=gray]Solo e pensoso percorro lentamente
    i più deserti campi,
    e volgo gli occhi attentamente per fuggire i luoghi
    in cui il suolo è segnato da impronte umane.

    Non trovo un altro riparo che mi eviti
    che la gente mostri di accorgersi della mia sofferenza,
    perchè nei gesti senza gioia
    da fuori si capisce come io dentro sia consumato dalla fiamma dell'amore:

    ormai credo che monti e campi
    e fiumi e boschi sappiano di quale genere
    sia la mia vita, che è nascosta agli altri.

    Tuttavia non riesco a trovare luoghi così impervi
    nè così deserti da impedire che Amore continui a seguirmi,

    Parafrasi: Sono Una Creatura, Ungaretti

    Come questa pietra
    del S. Michele
    così fredda
    così dura
    così prosciugata
    così refrattaria
    così totalmente
    disanimata

    Come questa pietra
    è il mio pianto
    che non si vede

    La morte
    si sconta
    vivendo

    Parafrasi

    Come questa pietra di S.Michele cosi fredda, cosi dura, cosi prosciugata, cosi resistente, cosi totalmente priva di vita.
    Come questa pietra è il mio pianto che non si vede.
    La morte si paga vivendo.



    Parafrasi "Tanto gentile e tanto onesta pare", di Dante Alighieri



    Tanto gentile e tanto onesta pare… La mia donna si mostra tanto gentile e tanto onesta quando porge agli altri il suo saluto al punto che ogni lingua ammutolisce per il tremore e gli sguardi non osano rivolgersi a lei. Ella procede,sentendosi elogiare,con quell’atteggiamento di umiltà che ispira benevolenza;e appare come un essere sceso dal cielo sulla terra a manifestare la potenza divina. Si mostra con una tale bellezza a chi la guarda che dona, attraverso gli occhi, una dolcezza al cuore che può capirla solo chi la prova:e sembra che dal suo viso emani una soave ispirazione amorosa che suggerisce all’anima:<<sospira!>>



    Parafrasi "Temporale", di Giovanni Pascoli

    Il brontolio di un tuono lontano…
    L’orizzonte si accende di rosso, come se fosse di fuoco, verso il mare; sui monti il cielo è nero come la pece, in mezzo vi sono nubi bianchi: tra le nuvole nere c’è un casolare: un’ala di gabbiano.


    Parafrasi "Trionfo di Bacco e Arianna", di De medici Lorenzo


    Questi sono Bacco e Arianna belli ed innamorati l'un dell'altro:
    dato che il tempo scorre veloce, stanno sempre insieme.
    Queste ninfe ed altre genti sono tuttavia allegre.
    Chi vuole essere felice, lo sia: non c'è alcuna sicurezza del domani.
    Questi allegri piccoli satiri innamorati delle ninfe,
    hanno organizzato contro di loro
    cento agguati nelle caverne e nei boschetti;
    ora, scaldati dal vino di Bacco, nonostante tutto, ballano e si divertono.
    Chi vuole essere felice, lo sia: non c'è alcuna sicurezza del domani.
    Queste ninfe amano essere raggirate dai satiri;
    nessuno può rifiutare l'amore se non la gente non nobile e rozza;
    ora, mescolate a loro, nonostante tutto, suonano e cantano.
    Chi vuole essere felice, lo sia: non c'è alcuna sicurezza del domani.
    Re Mida li segue:
    tutto ciò che tocca diventa oro.
    Ma a che cosa serve avere un tesoro, se gli altri non sono felici?
    E poi, che piacere della riocchezza vuoi che senta un uomo come Mida, che ha sete perché non può bere: l'acqua si trasforma in oro?
    Chi vuole essere felice, lo sia: non c'è alcuna sicurezza del domani.
    Donne e giovani amanti, viva Bacco e viva Amore!
    Ognuno suoni, balli e canti! Il cuore diventi dolce!
    Nessuna fatica! Nessun dolore!
    Ciò che deve accadere è bene che accada.
    Chi vuole essere felice, lo sia: non c'è alcuna sicurezza del domani.
    Com'è bella la giovinezza che comunque se ne va!
    Chi vuole essere felice, lo sia: non c'è alcuna sicurezza del domani.
     
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    Parafrasi "Ultimo Canto Di Saffo", di Giacomo Leopardi


    Oh placida notte e trasparente raggio della tramontante luna; e tu stella di venere che annunci il giorno fra la silenziosa selva da sopra la rupe; voi foste ai miei occhi dilettose e care sembianze, fino a quando non vissi le furie dell’amore e il mio spietato destino; il dolce spettacolo della natura non rallegra gli animi infelici. Una felicità inconsueta ravviva noi (animi infelici), quando l’onda dei venti turbina nell’aria limpida, e quando il tuono, tuonando sopra di noi, squarcia l’aria tenebrosa del cielo. A noi piace stare tra le nebbie e ci piace andare per le colline e per le profonde valli, a noi piace vedere la disordinata fuga delle greggi impaurite, a noi piace sentire il fragore e il movimento dell’onda di un fiume in piena presso la pericolosa sponda.

    Il tuo manto è bello, o divino cielo, e tu, o terra rugiadosa, sei bella. Ahi gli Dei e la sorte crudele non fecero partecipare in alcun modo alla povera Saffo di così tanta infinita bellezza. Io, addetta ai tuoi supremi regni, come una vile e fastidiosa ospite, e come un’amante disprezzata, o natura, rivolgo invano e supplichevole il mio cuore e i miei occhi alle tue belle e graziate forme. Il soleggiato luogo e il mattutino albore non mi sorride; né il canto dei colorati uccelli né il mormorio dei faggi mi sorride; né un luogo mi sorride dove il chiaro rivo fa scorrere le sue limpide acque e sottrae, mostrando sdegno, le sue serpeggianti acque al mio malfermo piede che nella fuga urta le profumate rive.

    Di quale colpa, di quale misfatto gravissimo mi resi colpevole prima della mia nascita, così che il cielo e la sorte mi mostrarono un volto tanto ostile? In che cosa peccai bambina, quando la vita è priva di misfatti, quando poi privata della giovinezza e del fiore della vita, così che il filo oscuro della mia vita fosse filato nel fuso dell’implacabile Parca? La tua bocca fa domande inspiegabili; una legge misteriosa muove i predestinati eventi; tutto ciò che accade nell’universo è misterioso, tranne il nostro dolore. Noi uomini siamo una specie disprezzata e nascemmo per dolerci e la ragione del nostro dolore è posta sulle ginocchia degli Dei. Oh desideri, oh speranze, della mia più verde gioventù! Giove ha dato dominio duraturo sulle genti alle forme, alle belle forme; e la virtù non appare nelle grandi imprese, né nella dotta poesia né nel canto, se posta in un corpo disadorno.

    Morirò. E dopo che il mio corpo indegno rimarrà a terra, la mia anima nuda fuggirà verso Dite, dio degli inferi, e correggerà il tremendo e crudele errore del cieco dispensatore dei casi. E tu, Faone, a cui un lungo amore e una lunga fedeltà e una inutile passione mai appagata mi tenne legata, vivi felice se mai un uomo mortale è vissuto felice sulla terra. Giove non mi ha bagnata con il suo prezioso liquore conservato nella piccola ampolla, cosi ché le illusioni e i sogni della mia fanciullezza perirono. Ogni giorno più lieto della nostra età per primo fugge. La malattia, la vecchiaia ed infine la gelida morte subentra. Ecco, adesso, solo il Tartaro mi resta, fra i tanti sognati onori e i lusinghevoli sogni della giovinezza ora troncati dalla realtà e, qui, dalla morte imminente; e la tenaria Proserpina e la buia notte e la silenziosa riva già posseggono il mio alto e raro ingegno.



    Parafrasi "Un dì si venne a me Malinconia", di Dante Alighieri


    Un giorno venne da me Malinconia
    e disse: <<io voglio stare un po' con te>>;
    e mi parve ch'essa portasse con sé
    come compagni Dolore e Cordoglio.

    E io le dissi: <<allontanati, va via>>;
    ed essa mi rispose superbamente:
    e mentre discorreva con me molto comodamente,
    guardai e vidi Amore, che veniva

    stranamente vestito d'un drappo nero,
    e portava sul capo un cappello; (segni di lutto)
    e di sicuro piangeva davvero.

    Ed io gli dissi: <<che hai, infelice?>>.
    Ed egli rispose: <<io ho sventura e dolore,
    perché la nostra donna (Beatrice) muore, dolce fratello>>
     
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    Parafrasi: Veglia, Ungaretti


    Un'intera nottata
    buttato vicino
    a un compagno
    massacrato
    con la sua bocca
    digrignata
    volta al plenilunio
    con la congestione
    delle sue mani
    penetrata
    nel mio silenzio
    ho scritto
    lettere piene d'amore

    Non sono mai stato
    tanto
    attaccato alla vita

    Parafrasi

    Un’intera nottata ha buttato vicino a un compagno massacrato con la sua bocca contratta, rivolta alla luna piena, con le mani rese gonfie e livide dalla morte, penetrano nel mio silenzio; ho scritto lettere piene d’amore.
    Non sono mai stato tanto attaccato alla vita.



    Parafrasi: Viola, Giovanni Papini

    Viola vestita di limpido giallo,

    che festa, che amore a un tratto scoprirti
    venire innanzi con grazia di ballo
    di tra i ginepri e l'odore dei mirti!

    La ricca estate si filtra e si dora
    sopra il tuo piccolo volto rotondo;
    ad ogni moto dell'iride mora
    bevi nel riso la gioia del mondo.

    Par che la terra rifatta stamani
    più generosa, più fresca di ieri
    voglia specchiarsi negli occhi silvani
    tuoi, risplendenti di casti pensieri.

    Al tuo venire volante s'allieta
    questo mio cuore e con Dio si rimpacia,
    l'arida bocca del padre poeta
    torna a pregare allor quando ti bacia. Viola = è la figlia del Poeta; limpido giallo = un colore così netto e scandito prepara un clima di ariosa euforia; che festa = che gioia; a un tratto scoprirti = vederti improvvisamente come per la prima volta; con grazia di ballo = con la grazia delle ballerine classiche.

    si filtra = si purifica – la luce dell’estate sembra diventare più limpida e più dorata sul viso della bambina (si dora dà una tonalità dorata, per il suo caldo splendore); ad ogni moto = ogni movimento degli occhi bruni (iride mora) di Viola; bevi nel riso = ridendo assapora tutta la gioia del mondo

    Par…pensieri = basta la presenza di una innocente bambina come Viola per far sparire l’egoismo e il male dalla terra la quale più generosa e più fresca può rispecchiarsi in quegli occhi (silvani: la cui purezza richiama la freschezza del bosco) puri e virginali.

    venire volante = sottolinea ancora, come prima con la grazia di ballo, del v.3, l’incedere leggero di Viola, che pare volare; si rimpacia = si riconcilia; arida = inaridita perché non sa più pregare; non conosce quell’acqua che sola, secondo il Vangelo, può togliere ogni sete.


    Tema: Questa lirica fu composta il 15 settembre 1924 e pubblicata in Pane e vino nel 1926 e nel 1932 in Poesia in versi. Il padre vede ad un tratto venirgli incontro nella splendente luce del mattino d’estate, la figlia diletta. L’apparizione è improvvisa e la commozione e la gioia sgorgono subitanee dal cuore del poeta che ringrazia Iddio di avergli concesso il dono della paternità.


    Metrica: quartine di versi endecasillabi risultanti dall’unione di un quinario con un senario. Schema: ABAB.




    Parafrasi "X Agosto", di Giovanni Pascoli



    San Lorenzo, io lo so perché un così gran numero
    di stelle nell’aria serena
    s’incendia e cade, perché un così gran pianto
    risplende nel cielo.


    Una rondine ritornava al suo nido:
    l’uccisero: cadde tra rovi spinosi:
    ella aveva un insetto nel becco:
    la cena per i suoi rondinini.



    Ora è là, morta, come se fosse in croce, che tende
    quel verme a quel cielo lontano;
    e i suoi rondinini sono nell’ombra, che attendono,
    e pigolano sempre più piano.



    Anche un uomo tornava alla sua casa:
    lo uccisero: disse: Perdono;
    e nei suoi occhi sbarrati restò un grido:
    portava con sé due bambole per le figlie...



    Ora là, nella solitaria casa,
    lo aspettano, aspettano invano:
    egli, immobile, stupefatto mostra
    le bambole al cielo lontano.



    E tu cielo, dall’alto dei mondi
    sereni, che sei infinito, immortale
    inondi con un pianto di stelle
    quest’atomo opaco del male!



    X AGOSTO

    CARATTERISTICHE DOMINANTI DELLA POESIA:

    COMPONIMENTO METRICO : La poesia è composta da sei quartine in cui si alternano endecasillabi e novenari piani in rime alternata. (ABAB CDCD…)

    FIGURE RETORICHE D’ORDINE DI SIGNIFICATO : metonimia (il suo nido che pigola)e (al suo nido), similitudine (come in croce) personificazione del Cielo; parallelismo tra la rondine e il padre

    FIGURE RETORICHE D’ORDINE: anafora ( ora è la, ora è là; aspettano aspettano), Ritornava una rondine al tetto = iperbato,

    Nella prima strofa : troviamo nei primi due versi una consonanza della lettera L e un’assonanza tra le parole “arde e cade”. Nel primo verso invece troviamo un enjambement.

    Nella seconda strofa : contrariamente troviamo in tutta la strofa una consonanza della lettera "R" e nel secondo verso si ha una cesura ad " uccisero".

    Nella terza strofa: Nel primo verso si ha un enjambement

    Nella quarta strofa: Nel secondo verso ci sono due cesure e una rima interna (mondi/inondi).

    In tutta la poesia si ha un climax ascendente ed è circolare.

    Titolo: Dall’analisi delle poesie pascoliane, per quanto riguarda la funzione del titolo, c’e una forte prevalenza di titoli con fine informativo attraverso i quali il poeta fornisce informazioni riguardanti il tema della poesia stessa. Si può notare anche l’uso non raro di titoli a scopo interpretativo, mediante i quali il Pascoli agevola al lettore la comprensione di ciò che la poesia vuole comunicare.

    In questo caso il titolo è informativo e dà il tema

    Ambientazione: L’ambientazione è il passato con particolare riferimento alla morte del padre

    INTENZIONE COMUNICATIVA

    Questa poesia rievoca uno degli eventi più dolorosi della vita di Pascoli. Infatti il giorno di San Lorenzo, ovvero il 10 agosto Pascoli, ricorda la morte del padre assassinato mentre tornava a casa. Attraverso essa il poeta, infatti, vuole comunicare al lettore la sua tristezza per la mancanza del padre assassinato e la accentua mettendo a confronto una rondine abbattuta col cibo nel becco per i suoi rondinini e il padre che ritornava a casa portando due bambole alle figlie, in modo tale da sottolineare l’ingiustizia e il male che prevalgono su questa terra .

    Il nido e la casa, per di più svolgono il ruolo di metafora degli unici rapporti d'amore possibili in un mondo d'insidie e di contrasti.

    A partecipare a questa tragica situazione vi è, non solo Pascoli in persona, ma anche il Cielo che con, appunto, la notte di San Lorenzo famosa per il fenomeno delle stelle cadenti, raffigura il pianto.

    Successivamente la figura del cielo si contrappone a quella della terra. Il cielo è infinito, immortale, immenso, mentre la terra non è altro che un piccolo atomo di dolore.

    In conclusione, secondo Pascoli, il cielo di fronte a questo triste fatto invade la terra con un pianto di stelle.

    Secondo me, emergono in questa poesia i tre grandi temi di Pascoli su cui, incentrava la sua poesia: il simbolo del nido, la sofferenza e il mistero del male.

    Il nido che intendeva Pascoli era il nucleo familiare, la protezione dei conoscenti più stretti dove ogni uomo può rifugiarsi. Nella poesia il nido è evidenziato bene perché, oltre al padre che tornava alla propria casa, c’è un paragone con una rondine che torna al suo “nido” ; ma entrambi sono aspettati invano dai familiari: questi versi sono, secondo me molto autobiografici perché descrivono una sensazione che lui ha provato veramente. Subentra in questo tema, anche l’amore familiare, la tenerezza e la gioia di un padre che torna a casa con doni, ma per Pascoli, quella sera, c'è stata una mancanza, una delusione, che si riflette sul suo senso di giustizia e nel mistero del male.

    PROBLEMATICA AFFRONTATA

    I temi che prevalgono in tutte queste poesie sono in primo luogo:

    - la morte in parallelo alla forte sofferenza;

    - il sentimento di tristezza nei confronti del presente .

    Detto ciò, dopo aver quindi, analizzato alcune poesie del Pascoli, possiamo affermare che nella maggior parte dei casi il poeta esprime un profondo desiderio di morte in parallelo alla voglia di rincontrare i suoi cari e di sentirsi per la prima volta finalmente un po’ felice. Infatti come afferma in numerose sue opere, egli non lo è mai stato, e vorrebbe per questo ripararsi dal mondo che lo circonda per aspettare in piena tranquillità la sua pace eterna. Quindi si può dire, che fa riferimento ai ricordi del passato,e soprattutto delle sofferenze e delle pene dell’infanzia. Con questa poesia il poeta vuole trasmettere la sua sofferenza per la morte del padre, evento improvviso, passato, lontano, ma forte ricordo che spinge il poeta a rimanere ancora legato all’illusione di rivedere il genitore un giorno ritornare a casa (sottolineata dall’anafora di “aspettano” e dall’enumerazione per asindeto, la quale crea un’atmosfera di attesa) e, quindi, a non rassegnarsi alla sua perdita. La rassegnazione, infatti, è sostituita dalla necessità del poeta di trovare un colpevole.
     
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    Parafrasi:Canto XIII de La Gerusalemme Liberata



    Io fui Clorinda, e non sono il solo spirito umano che ha sede in questa pianta rozza e dura, ma anche tutti gli altri che hanno lasciato i loro corpi ai piedi delle alte mura di Gerusalemme, franchi, cioè crociati, o pagani sono costretti, da un incanto sconosciuto, io non so se in un corpo o in una tomba. I rami e i tronchi sono quindi animati e tu che percuoti il legno procuri sofferenza.



    Parafrasi " I Canto Inferno", di Dante Alighieri


    NOTA: i numeri che vedi sono il numero dei versi non li ricopiare!!


    Nel mezzo del cammino della mia vita,

    mi ritrovai in una selva oscura,

    3 poiché la retta via era smarrita.



    Ahi quanto è duro descrivere com’era

    quella selva selvaggia e intricata e inaccessibile

    6 che a ripensarci rinnova la paura!



    Tanto è angosciosa che poco di più lo è la morte;

    ma per trattare del bene che io vi trovai,

    9 dirò delle altre cose che io vi ho visto.



    Io non so riferire bene come vi entrai

    tant’ero pieno di sonno nel momento

    12 che abbandonai la retta via.



    Ma quando giunsi ai piedi di un colle,

    là dove terminava quella valle

    15 che m’aveva trafitto il cuore di paura,



    guardai in alto e vidi i suoi alti pendii

    già rivestiti dei raggi dell’astro

    18 che guida tutti per ogni strada.



    Allora si acquietò un poco la paura

    che nel profondo del cuore mi aveva afflitto

    21 durante la notte che avevo passato con tanta angoscia.



    E mi sentii come colui che col respiro affannato,

    uscito fuori dal mare sulla riva,

    24 si rivolge all’acqua minacciosa e la riguarda,



    così il mio animo, che ancora fuggiva,

    si volse indietro a rivedere il percorso

    27 che non lasciò scampo a nessuno.

    Dopo aver riposato un poco il corpo stanco,

    ripresi il cammino lungo il pendio deserto,

    30 in modo che il piede fermo era sempre il più basso.



    Ed ecco, quasi al cominciare della salita,

    una lonza agile e molto veloce,

    33 che era ricoperta di pelo maculato;



    e non si scostava davanti a me,

    anzi mi impediva il cammino al punto,

    36 ch’io fui costretto a tornare indietro più volte.



    Era l’ora al principio del mattino,

    e il sole sorgeva insieme a quelle stelle

    39 che erano con lui quando l’amore divino



    in principio diede il moto agli astri;

    mi facevano sperare di aver ragione

    42 di quella fiera dalla pelle screziata



    l’ora del giorno e la dolce stagione;

    ma non al punto da evitare che mi facesse paura

    45 la vista di un leone che mi apparve.



    Questi sembrava che mi venisse contro di me

    con la testa alta e la fame rabbiosa,

    48 così da far sembrare che l’aria stessa tremasse.



    E una lupa, che di ogni brama

    sembrava piena per la sua magrezza,

    51 e che già fece vivere nella sofferenza molta gente,



    mi oppresse al punto di sgomento

    con la paura che suscitava il suo aspetto,

    54 che io persi la speranza della salvezza.



    E come per colui che facilmente acquista beni

    giunge il tempo che glieli fa perdere,

    57 e piange e si rattrista nei suoi pensieri;



    così mi rese quella bestia irrequieta

    che, venendomi incontro, a poco a poco

    60 mi respingeva là dove non arriva il sole.



    Mentre io precipitavo nel fondovalle,

    davanti agli occhi mi comparve

    63 uno che sembrava affievolito a causa di un lungo silenzio.



    Quando vidi costui in quel grande luogo deserto

    gli gridai; “pietà di me”,

    66 “ chiunque tu sia, o spirito o uomo reale!”.



    Mi rispose: “uomo non sono, ma lo fui,

    e i miei genitori furono lombardi,

    69 ambedue mantovani per nascita.



    Nacqui all’epoca di Giulio Cesare, sebbene alla sua fine,

    e vissi a Roma sotto il buon Augusto

    72 nel tempo in cui si credeva agli dei falsi e ingannevoli.



    Fui poeta, e cantai di quel giusto

    figliolo di Anchise che venne da Troia,

    75 dopo che Ilio superba fu bruciata.



    Ma perché scendi di nuovo in quel luogo angoscioso?

    Perché non sali il monte gioioso

    78 che è origine e ragione di tutte le felicità?”



    “Ma sei proprio tu, il famoso Virgilio, fonte

    che spargi un così largo fiume di eloquenza?”

    81 io risposi a lui abbassando la fronte.



    “O lume e Onore degli altri poeti,

    mi giovi il lungo studio e il grande amore

    84 che mi ha fatto leggere con passione tutte le tue opere.



    Tu sei il mio maestro e il mio autore preferito,

    tu sei il solo da cui appresi

    87 lo stile illustre che mi ha fatto onore.



    Guarda la bestia per la quale sono tornato indietro,

    salvami da lei, famoso saggio,

    90 che mi fa tremare le vene e le arterie.”



    “È necessario percorrere un’altra via”,

    rispose dopo avermi visto piangere,

    93 “se vuoi fuggire da questo luogo selvaggio;



    poiché questa bestia, per la quale invochi il mio aiuto,

    non lascia passare nessuno per la sua strada,

    96 ma lo ostacola fino ad ucciderlo;



    e ha una natura così malvagia e crudele,

    che non sazia mai il suo appetito,

    99 e dopo il pasto ha più fame di prima.



    Molti sono gli animali che contamina,

    e saranno ancora di più, fino a che verrà il veltro

    102 che la farà morire nel dolore.



    Questi non sarà avido di terre né di ricchezze,

    ma di sapienza, amore e virtù,

    105 e nascerà tra genti umili.



    Sarà la salvezza di quella misera Italia

    per la quale morirono di morte cruenta la vergine Camilla,

    108 Eurialo e Turno e Niso.



    Il veltro la caccerà di città in città,

    finché non l’avrà riportata nell’Inferno,

    111 dal quale la fece uscire l’invidia del demonio.



    Perciò penso e giudico per il tuo meglio

    che tu mi debba seguire, e io sarò la tua guida,

    114 ti trarrò di qui attraverso un luogo eterno;



    dove udrai grida disperate,

    vedrai gli spiriti che soffrono da tempi antichi,

    117 che invocano una seconda morte;



    e vedrai coloro che sono contenti pur

    nella loro pena, perché sperano di giungere

    120 prima o poi tra le genti beate.



    Se poi tu vorrai salire fino a quelle,

    ci sarà un’anima più degna di me per questo:

    123 con lei ti lascerò quando mi separerò da te;



    poiché quell’imperatore che regna lassù,

    dato che fui ribelle alla sua legge,

    126 non vuole che io entri nella sua città.



    In tutto l’universo regna, e lì esercita il suo dominio,

    lì si trova la sua città e il suo alto trono:

    129 o felice colui che egli sceglie di farvi risiedere.”



    E io a lui: “Poeta, io ti prego in nome

    di quel Dio che tu non conoscesti,

    132 affinché fugga questo male e altri ancora peggiori



    che tu mi porti là dove hai detto,

    così che io veda la porta di San Pietro

    135 e coloro che tu descrivi così infelici”.



    Allora si mosse, e io gli tenni dietro.
     
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    Parafrasi "II canto Inferno", di Dante Alighieri

    Il giorno finiva, e l’ oscurità faceva interrompere ai vivi in terra le loro fatiche; io solo mi preparavo a sostenere il travaglio fisico e morale (del viaggio), che la memoria, esatta nel trascrivere ciò che ha appreso, narrerà. O Muse, o mia forza intellettuale, soccorretemi; o memoria, che porti impressa in te la mia visione, qui apparirà il tuo valore. Io cominciai con queste parole: "Poeta, mia guida, guarda se le mie capacità sono sufficienti, prima di affidarmi all’arduo passaggio. (Nell’Eneide) tu narri che il padre di Silvio (cioè Enea, che generò Silvio da Lavinia), mentre era ancora in vita, andò nel mondo dei morti (immortale: perché in esso le anime hanno vita eterna), e fece ciò in carne e ossa. Ma, se Dio (l’avversario d’ogni male) fu con lui cortese, riflettendo sull’importanza dei risultati ( Roma, la sua storia, il suo impero) che avrebbero avuto in Enea la loro origine, e sulle sue qualità personali e sulla sua stirpe regale, la cosa non appare ingiustificata a chi ragiona; poiché egli fu prescelto da Dio come capostipite della nobile Roma e del suo impero: Roma e il suo impero, se vogliamo essere esatti, furono costituiti da Dio per preparare il luogo sacro dove ha sede il pontefice, successore del grande Pietro. A causa di questa discesa ( nel regno dei morti), di cui (nel tuo poema) lo hai considerato degno, apprese fatti (il padre Anchise gli pronosticò il felice esito dei suoi travagli e la grandezza di Roma) che furono le premesse della sua vittoria (nella guerra contro i Latini e i loro alleati) e dell’autorità papale. La seconda discesa nell’oltretomba è quella di San Paolo, l’eletto da Dio, il quale vi andò per trarne forza per la diffusione della fede cristiana, senza la quale la salvezza è impossibile. Ma qual è il motivo per il quale io devo intraprendere questo viaggio? chi mi autorizza a farlo? Non sono né Enea né San Paolo: né io mi ritengo all’altezza del compito, né qualcun altro me ne ritiene degno. Perciò, se, per quel che riguarda questo viaggio, m’induco ad acconsentire, temo che la mia venuta (nell’oltretomba) sia temeraria: sei saggio; sei in grado di comprendere meglio di quanto io non sia in grado di esprimermi E nello stato d’animo di chi cessa di volere ciò che ha voluto prima e cambia intento per il sopraggiungere di nuovi pensieri, in modo da scostarsi dal proposito iniziale, venni a trovarmi io su quel buio pendio (e scesa nel frattempo la notte), perché portai a termine, col pensiero ( prevedendone tutti gli ostacoli e rendendomi conto della sua folle temerarietà), l’impresa cui mi ero accinto con tanta baldanza. "Se ho capito bene il tuo discorso" rispose l’ombra di Virgilio, "il tuo animo è fiaccato dalla pusillanimità: essa molte volte ostacola l’uomo tanto da allontanarlo da un’impresa onorata, così come una ingannevole apparenza fa volgere indietro una bestia quando si adombra. Perché tu ti liberi da questo timore, ti esporrò il motivo per cui sono venuto (in tuo aiuto) e ciò che udii quando per la prima volta sentii pietà per il tuo stato. Mi trovavo (nel limbo) tra coloro che sono in una condizione intermedia tra i beati e i dannati al fuoco eterno, quando fui chiamato da una donna di tale bellezza e soffusa di tanta letizia, da essere indotto a pregarla di comandare. La luce dei suoi occhi vinceva quella delle stelle; e cominciò a parlarmi dolcemente e pacatamente, con voce d’angelo: "O cortese anima mantovana, la cui fama dura ancora fra gli uomini, ed è destinata a durare tanto a lungo quanto durerà il mondo, colui che è amato da me, ma non dalla sorte, ha trovato tali ostacoli sul deserto pendio del colle, che si è già volto indietro per la paura; il mio timore è che egli si sia a tal punto nuovamente perduto (nel buio del peccato), da rendere ormai tardivo (e quindi inutile) il mio aiuto, per quel che di lui mi è stato riferito in cielo. Va dunque, e aiutalo sia con la tua eloquenza sia con tutto ciò che altrimenti occorra per la sua salvezza, in modo da rendermi contenta. Io, che ti invito ad andare, sono Beatrice; vengo dal cielo, dove desidero tornare; sono stata spinta (fin qui) da amore e amore ha ispirato le mie parole. Quando sarò davanti a Dio, spesso Gli parlerò degnamente di te." Allora tacque, e poi io cominciai: "O signora di virtù, per la quale virtù soltanto il genere umano è superiore ad ogni altro essere contenuto dal cielo (quello della Luna) che compie (nel suo moto di rotazione intorno alla terra) i giri più piccoli, il tuo comando mi è così gradito, che, se anche avessi iniziato ad obbedirti, mi sembrerebbe pur sempre d’aver fatto tardi; più non occorre che tu mi manifesti: il tuo volere. Dimmi piuttosto il motivo per cui non temi di scendere qua in basso, nel centro dell’universo ( occupato appunto dall’inferno), dal luogo sconfinato (I’Empireo), dove bruci dal desiderio di ritornare." "Poiché vuoi penetrare tanto in profondità con la tua mente, ti dirò in breve perché non temo di scendere nell’inferno" mi rispose. Conviene temere soltanto quelle cose che possono arrecare danno; le altre no, poiché non sono temibili. Dio mi creò, per sua grazia,tale che la vostra miseria di peccatori non mi tocca, né possono attaccarmi le fiamme infernali. Nel cielo una donna gentile (la Vergine) ha compassione per queste difficoltà verso le quali io ti mando (a liberare Dante), tanto da mitigare la severità della giustizia divina. Questa chiamò Lucia e disse: "Il tuo fedele ha ora bisogno di te, ed io a te lo raccomando". Lucia, nemica di ogni crudeltà, si mosse, e venne dove io sedevo insieme all’antica Rachele. Parlò: - Beatrice, vera gloria di Dio (loda: lode, in quanto la sua perfezione torna a gloria di chi la creò), perché non aiuti chi tanto ti amò, colui che, per amor tuo, seppe elevarsi sulla turba dei mediocri? non odi il suo pianto angoscioso? non vedi il pericolo della dannazione che lo assale sul fiume (del peccato), sul quale il mare non può vantare la sua forza? Sulla terra non ci furono mai persone così pronte a perseguire il loro utile e a evitare ciò che potesse danneggiarle, come fui pronta io, dopo che tali parole mi furono dette, nello scendere fin quaggiù dal mio seggio di beata, confidando nella tua nobile eloquenza, che onora sia te sia quelli che l’hanno intesa (traendone profitto spirituale)." Dopo avermi dette queste cose, volse verso di me gli occhi lucidi di lagrime; e per questo mi rese più sollecito a venire (dove tu eri); e come Beatrice volle venni da te; ti portai via dal cospetto della lupa, che t’aveva impedito di raggiungere per la via più breve la cima del colle. Che hai dunque? perché, perché indugi ? perché accogli in cuore tanta pusillanimità? perché non hai coraggio e schietta fiducia in te stesso? dal momento che tre beate tanto potenti perorano la tua causa davanti al tribunale di Dio, e che le mie parole promettono (al tuo viaggio) un esito così felice? " Come i gracili fiori, prostrati a terra con le corolle serrate per difendersi dal freddo della notte, appena li rischiara all’alba il primo raggio di sole si ergono sui loro steli con le corolle tutte aperte, così mi ripresi dal mio precedente stato di abbattimento, e tanto coraggio entrò nel mio animo, che cominciai (a parlare) libero da ogni timore: "Oh misericordiosa colei che mi venne in aiuto! e te generoso, che non hai tardato a prestare obbedienza alle veritiere parole che ti indirizzo! Col tuo ragionamento mi hai a tal punto predisposto l’animo con desiderio al viaggio, che sono tornato ad avere l’intenzione che avevo in origine. Incamminati dunque, poiché un’unica volontà ci governa: siimi guida, padrone, maestro. " Cosi parlai; ed essendosi egli avviato, entrai (dietro a lui) nell’arduo e orrido cammino.



    Parafrasi "III Canto Inferno", di Dante Alighieri



    «Attraverso me si entra nella città dolorosa, nel dolore che mai avrà termine, tra le anime dannate. Dio, mio eccelso creatore, fu mosso dalla giustizia: sono opera del Padre (la divina potestate), del Figlio (la somma sapienza) e dello Spirito Santo ('I primo amore). Prima di me non fu creata nessuna cosa se non eterna, e io durerò fino alla fine dei tempi. Abbandonate, entrando, ogni speranza ». Vidi questa sentenza dal minaccioso significato. incisa in cima a una porta; per cui mi rivolsi a Virgilio: « Maestro, ciò che essa dice per me è terribile ». Ed egli, da persona perspicace qual era: « A questo punto occorre abbandonare ogni esitazione; ogni forma di pusillanimità deve ora sparire. Siamo giunti dove ti dissi che avresti veduto le anime doloranti che hanno perduto la speranza di vedere Dio ». Ivi echeggiavano nell'aria senza luce gemiti, pianti e acuti lamenti, tanto che (udendoli) per la prima volta ne piansi. Differenti lingue, orribili pronunce, espressioni di dolore, esclamazioni di rabbia, grida acute e soffocate, miste al percuotersi delle mani l'una contro l'altra creavano nell'aria buia, priva di tempo, una confusione eternamente vorticante, così come (rapida vortica) la sabbia quando soffia un vento turbinoso. E io che avevo la testa attanagliata dall'orrore, esclamai: "Maestro, che significano queste grida? che gente è questa, che appare così sopraffatta dal dolore ?" E Virgilio: "Questa infelice condizione è propria delle anime spregevolì di quelli che vissero senza meritare né biasimo né lode. Sono mescolate alla malvagia schiera degli angeli che (in occasione della rivolta di Lucifero) non si ribellarono né rimasero fedeli a Dio,
    ma fecero parte a sé. Perché il loro splendore non ne sia offuscato, i cieli li tengono lontani da sé, né in sé li accoglie la voragine infernale, perché i colpevoli (gli angeli che parteggiarono per Lucifero) avrebbero di che vantarsi rispetto ad essi " . Ed io: "Maestro, cosa riesce loro così insopportabile, da farli prorompere in così disperati lamenti?" Rispose: "Te lo dirò in pochissime parole. Costoro non possono sperare in un completo annullamento del loro essere (cioè nella morte dell'anima) e (d'altra parte) la loro vita senza scopo è tanto miserabile, da renderli invidiosi di qualsiasi altro destino. Il mondo non lascia sussistere alcun ricordo di loro; Dio non li degna né della sua pietà né di una sentenza di condanna non parliamo di loro, ma osserva e va oltre ". E io, guardando con maggiore attenzione, scorsi un vessillo che girava correndo così velocemente, da sembrare incapace di una qualsiasi forma di quiete; e dietro ad esso avanzava una tale moltitudine, quale mai avrei immaginato fosse stata annientata dalla morte. Dopo aver ravvisato qualcuno nella folla, vidi e riconobbi l'anima di colui che per pusillanimità rifiutò il trono papale (fece per viltà il gran rifiuto). Compresi allora d'un tratto e fui sicuro che questa era la turba dei vili, sgraditi a Dio non meno che ai suoi nemici (i diavoli). Questi miserabili, che vissero come se non fossero vivi (in quanto non seppero affermare la loro personalità), erano nudi, continuamente punti da mosconi e da vespe che si trovavano lì. Esse rigavano il loro volto di sangue, che, misto a lagrime, era succhiato ai loro piedi da vermi nauseabondi. E dopo aver spinto il mio sguardo più in là, vidi sulla riva di un gran fiume una folla; perciò interpellai Virgilio: "Maestro, consentimi di apprendere chi sono queste genti, e quale consuetudine le fa apparire così ansiose di passare sull'altra riva, come intravedo attraverso la debole luce". Virgilio mi rispose: « Le cose ti saranno note (conte: conosciute) quando fermeremo i nostri passi presso il doloroso fiume Acheronte ». Allora, con gli occhi abbassati per la vergogna, temendo che il mio discorso gli riuscisse fastidioso, cessai di parlare finché arrivammo al fiume. E (dopo essere qui giunti) ecco dirigersi alla nostra volta, su un'imbarcazione, un vecchio, canuto (bianco per antico pelo), che gridava: « Sventura a voi, anime malvage ! Non illudetevi di poter più vedere il cielo: vengo per traghettarvi sull'altra riva nel buio eterno, nel fuoco e nel ghiaccio. E tu che, ancora in vita, ti trovi con loro, allontanati dalla turba dei già morti». Ma dopo aver visto che non me n'andavo, continuò: « Attraverso vie e luoghi di imbarco diversi giungerai alla riva, che non è questa, da dove sarai traghettato (per passare): una barca più leggiera ti dovrà trasportare ». E Virgilio gli disse: « Non te n'avere a male, o Caronte: si vuole così là dove si può fare tutto ciò che si vuole (è la decisione divina presa nel cielo Empireo, dove tutto ciò che è voluto può avere immediata attuazione), e non chiedere altro ». Da questo istante si calmarono le gote ricoperte di fluente barba del traghettatore del buio fiume (livida palude: livido è, per antonomasia, il colore della morte), che aveva intorno agli occhi cerchi di fuoco. Ma quelle anime, che erano affrante e inermi, trascolorarono e batterono i denti, non appena ebbero udite le crudeli parole: maledicevano Dio e i loro genitori, il genere umano e il luogo e il tempo (in cui erano state generate) e l'origine della loro stirpe e della loro nascita. Poi si adunarono tutte insieme, piangendo dirottamente, sulla riva del fiume del male che aspetta tutti coloro che non temono Dio. II demonio Caronte, con occhi fiammeggianti, facendo loro segni, le accoglie tutte (nella barca); percuote col remo chiunque tarda (ad obbedirgli). Come in autunno le foglie si staccano l'una dopo l'altra (dal ramo), finché questo vede sparsa a terra tutta la sua veste frondosa, allo stesso modo la corrotta progenie di Adamo si precipita da quella riva, anima dopo anima, a un cenno (di Caronte), come il falco (auge!) al richiamo (del falconiere). Avanzano così sull'acqua buia, e prima che questa moltitudine sia sbarcata sulla riva opposta, un'altra già s'accalca nel punto d'imbarco. « Figlio mio », spiegò cortesemente Virgilio, « tutti coloro che muoiono in stato di peccato (nell'ira di Dio) si radunano qui (venendo) da ogni luogo della terra: e sono (spiritualmente) disposti a varcare il fiume, poiché la giustizia di Dio li stimola, in modo che il timore (delle pene) si converte in loro nel desiderio (di affrontarle). Di qui non passano mai anime virtuose: e perciò, se Caronte si lamenta della tua presenza, puoi ben comprendere ormai quale significato hanno le sue parole.» Appena Virgilio ebbe finito di parlare, la terra buia tremò con tanta violenza, che il ricordo (la mente: la memoria) dello spavento provato m'inonda ancora di sudore. Dalla terra bagnata dalle lagrime dei dannati uscì un vento, che si convertì in un lampo sanguigno il quale mi fece perdere i sensi; e caddi come chi cede al sonno.
     
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  9. tappi
     
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    GRAZIE
     
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  10. tomiva57
     
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    grazie lussy
     
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    Parafrasi "Solo fra i mesti miei pensieri" -


    Solo, fra i miei pensieri tristi, sto in riva, là dove il fiume Toscano (Arno) sfocia, con Fido, il mio cavallo, piano piano passeggio; e il fragore del mare evoca un'atmosfera tempestosa. Quel lido solitario e il grande fragore del mare mi riempivano il cuore (che è arso da una passione inestinguibile) di malinconia, ma dolce, e priva di quel suo piangere, che continuamente nuoce. Dolce era l'oblio delle mie pene e di me stesso che nella mia fantasia; e senza affanno sospirava spesso: quella, che ho sempre desiderato, sembrava ancora venire verso di me cavalcando… nessuna illusione mi rese mai tanto felice.
     
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  12. gheagabry
     
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    Il mezzogiorno - La vergine cuccia
    Giuseppe Parini


    parafrasi

    Muoia colui che per primo osò alzare la mano armata contro l'agnella innocente e il bue tranquillo: non gli impietosirono il cuore crudele ne i teneri belati, ne i pietosi muggiti, ne le morbide lingue che leccavano tutta intorno la mano che, ahimè, stringeva in pugno il loro destino. (vv. 503-509)

    Così parla quella persona, o Signore; e intanto per il suo discorso compassionevole sgorga dagli occhi della tua dama una piccola delicata lacrima, simile alle gocce tremolanti e brillanti che a primavera trasudano dalle viti del dio Bacco, scosse al loro interno dal tiepido soffio dei primi venti primaverili che fecondano la natura. Ora la dama si ricorda di quel giorno; ahi, giorno terribile! Quel giorno la sua cagnetta, che era tanto aggraziata da sembrare una alunna delle Grazie, giocherellando come fanno i cuccioli lasciò un piccolo segno con il dente d'avorio sul piede del servo plebeo; l'uomo, con sfrontatezza, le diede un calcio con il piede sacrilego, e la cagnetta rotolò per tre volte; per tre volte scosse il pelo scompigliato, e dalle sensibili narici soffiò via la polvere irritante. (vv. 510-526)

    Poi, lanciando dei gemiti, sembrava che dicesse: aiuto, aiuto; e dalle volte dorate le rispose la ninfa Eco impietosita; dalle stanze inferiori salirono tutti i servi tristi, e dalle stanze superiori si precipitarono le damigelle pallide e tremanti. Tutti accorsero; il volto della tua dama fu spruzzato di essenze, e alla fine la donna rinvenne; la rabbia e il dolore la agitavano ancora; gettò sguardi fulminanti sul servo, e con voce debole chiamò per tre volte la sua cagnetta; questa le corse in braccio; e nel suo linguaggio sembrò chiedere vendetta alla dama: e venni vendicata, cagnetta alunna delle Grazie. (vv. 527-541)

    Il servo infame tremò; ascoltò la sua condanna con gli occhi rivolti per terra. A lui non servì nulla il merito di aver servito per vent'anni; a lui non servì nulla la premura dimostrata nell'eseguire incarichi riservati; invano pregò e promise; l'uomo se ne andò nudo, spogliato della veste grazie alla quale un tempo era rispettato e ammirato dal popolo. Invano sperò di trovare un nuovo padrone; perchè le dame pietose inorridirono, e odiarono l'autore per la sua terribile azione malvagia. Il povero uomo rimase così, con i miseri figli e con la moglie povera al lato di una via chiedendo inutilmente la carità; e tu, cagnetta, idolo placato dalle vittime umane, andasti superba. (vv. 542-556) "

    Il cane, oggetto d'amore sostitutivo e simbolo di decadenza. La dama mostra per la cagnetta infatti sentimenti istintivi materni, come la protezione. Sentimenti che sono repressi e negati per gli essere umani (il servo). La cagnetta ha una dignità nobiliare mentre l'uomo della plebe viene trattato come un oggetto.
     
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    PARAFRASI DI CITTà VECCHIA DI U. SABA


    Città vecchia
    Spesso, per ritornare alla mia casa
    spesso per tornare a casa mia
    prendo un'oscura via di città vecchia.
    prendo una via buia della città vecchia
    Giallo in qualche pozzanghera si specchia
    il color giallo di qualche fanale si specchia in qualche pozzanghera
    qualche fanale, e affollata è la strada.
    e la strada è piena di persone

    Qui tra la gente che viene che va
    qui tra il via vai della gente
    dall'osteria alla casa o al lupanare,
    tra l'osteria e la casa o a donne di malaffare
    dove son merci ed uomini il detrito
    dove gli uomini sono merci e sono come il detrito
    di un gran porto di mare,
    di un grande porto di mare
    io ritrovo, passando, l'infinito
    io qui trovo quando passo l'infinito
    nell'umiltà.
    nell'umiltà

    Qui prostituta e marinaio, il vecchio
    qui prostitute, marinai e il vecchio che
    che bestemmia, la femmina che bega,
    bestemmia la ragazza che litiga
    il dragone che siede alla bottega
    l'uomo che siede alla bottega
    del friggitore,
    del friggitore
    la tumultuante giovane impazzita
    la giovane agitata e impazzita
    d'amore,
    d'amore
    sono tutte creature della vita
    sono tutte creature della vita
    e del dolore;
    e del dolore
    s'agita in esse, come in me, il Signore.
    in loro e in me che le vedo c'è il Signore

    Qui degli umili sento in compagnia
    qui sento la compagnia delle persone più umili
    il mio pensiero farsi
    e il mio pensiero si fa più puro
    più puro dove più turpe è la via.
    più puro è il pensiero dove la vita è più turpe














    MARZO 1821


    ODE

    parafrasi


    Soffermandosi sulla sponda arida, rivolto lo sguardo al Ticino appena attraversato, pensando intensamente a ciò a cui stavano andando incontro, rassicurati nel cuore dall'antico valore [dell'Italia romana], hanno giurato: che non accada mai più che questo fiume segni il confine tra due rive straniere: non ci sian più barriere all'interno dell'Italia!

    Lo hanno giurato: altri valorosi hanno risposto a quel giuramento provenienti da altre parti d'Italia, affilando di nascosto le spade che ora levano alla luce del sole. Si sono già stretti le mani e hanno pronunciato il giuramento: insieme moriremo, o insieme vinceremo.

    Solo chi fosse in grado di dividere le acque della Dora Baltea, della Dora Riparia, del Tanaro e il suo affluente Bormida, del Ticino, dell'Orba le cui sponde sono ricche di vegetazione, quando si confondono confluendo nel Po; chi riuscirà a distinguere le rapide correnti del Mella e dell'Oglio quando al Po si mischiano e così i molti torrenti che già confluiscono nell'Adda,

    quello solo potrà dividere le genti insorte e farle ridiventare un volgo disprezzato, riportandolo al passato, infliggendogli gli antichi dolori: un popolo che sarà completamente libero solo se libero tutto dalle Alpi al mare; unito nelle armi, nella lingua, nella religione, nelle memorie, nel sangue e nei sentimenti.

    Con lo stesso volto sfiduciato e dimesso, con lo sguardo abbattuto e intimorito con il quale un mendicante tollerato per pietà sta in una terra straniera, allo stesso modo doveva stare in Lombardia il lombardo. Quello che volevano gli altri era legge per lui; il suo destino era un segreto di altri; il suo ruolo era servire e tacere.

    Oh stranieri, l'Italia ritorna a vendicare quel che gli compete, e si riprende la propria terra; oh stranieri, andatevene via da una terra che non vi ha dato i natali. Non vedete che tutta la gente insorge dal Cenisio fino alla Sicilia? non la sentite vacillare infida sotto il peso dell'oppressione straniera?

    Oh stranieri, sulle vostre bandiere sta il disonore di un giuramento tradito; un giuramento da voi pronunciato vi porta ad una guerra ingiusta; voi che tutti insieme avete gridato in quei giorni: Dio rifiuta il dominio straniero; tutte le genti siano libere e che muoia la ragione ingiusta all'origine della guerra.

    Se la terra dove avete portato sofferenze si rivolta ai vostri oppressori, se la faccia degli stranieri tanto amata vi appariva in quei giorni, chi vi ha detto che le sofferenze degli italiani non avrebbero portato mai a niente? chi vi ha detto che Dio che ha ascoltato i vostri lamenti, non avrebbe ascoltato anche i nostri?

    proprio quel Dio che chiuse le acque del Mar Rosso sui crudeli Egiziani che inseguivano gli Ebrei, quel Dio che aveva messo nelle mani della forte Giaele il martello e che aiutò a dare il colpo [a Sisara]. Quello che è il padre di tutte le genti, che non ha mai detto ai Tedeschi: andate, raccogliete i frutti che non avete coltivato, stendete la mano: vi do l'Italia.

    Cara Italia! ovunque il grido di dolore della tua schiavitù è arrivato; ovunque l'umanità ha ancora speranza: ovunque la libertà è già fiorita, o dove ancora nel segreto matura, in ogni dove gli uomini piangono la loro sventura, lì non c'è nessun cuore che non batta per te.

    Quante volte hai aspettato sulle Alpi l'arrivo di una bandiera amica! quante volte hai voltato lo sguardo ai due mari deserti! ecco, infine, le tue stesse genti, tutte unite intorno alla tua bandiera, forti e spinte dalle loro sofferenze, si sono levate pronte a lottare.

    Adesso, o forti, vediamo sul vostro viso la rabbia che avete tenuto nascosta dentro di voi: si combatte per l'Italia, vincete! La sorte dell'Italia dipende da voi. O grazie a voi la vedremo libera, seduta accanto agli altri popoli liberi, o di nuovo si troverà sotto il dominio straniero, più vile, più sottomessa e più derisa di prima.

    Oh giornate della nostra rivincita! oh sventurato chi le udirà da lontano, come un uomo straniero che le sente raccontate da altri! chi narrerà questi fatti ai propri figli dovendo aggiungere sospirando: io non ero lì; chi la bandiera vincitrice quel giorno salutato non avrà.







    ORFANO

    parafrasi


    ORFANO (=interpretativo)

    PARAFRASI

    Lenta la neve fiocca, fiocca, fiocca. A

    Lentamente la neve cade.

    Senti: una zana dondola piano piano. B

    Ascolta: una culla lentamente dondola.

    Un bimbo piange, il piccolo dito in bocca; A

    un bambino piange e tiene il ditino in bocca;

    Canta una vecchia, il mento sulla mano. B

    Anta un’anziana, poggia il mento sulla sua mano.

    La vecchia canta: intorno al tuo lettino C

    Un’anziana canta: intorno alla tua culla

    C’è rose e gigli, tutto un bel giardino. C

    C’è un bel giardino con rose e gigli.

    Nei bel giardino il bimbo si addormenta D

    In questo giardino il bambino dorme tranquillo.

    La neve fiocca lenta, lenta, lenta. D

    La neve cadde lentamente.
     
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    La vergine cuccia

    Parafrasi


    Così il vegetariano parla, o signore; e intanto sorge, a causa delle sue parole piene di sentimento, una dolce lacrima dagli occhi della tua dama, simile alle goccioline tremolanti e luccicanti che in primavera stillano dai tralci della vite eccitati al loro interno dal tepido soffio dei venti primaverili, portatori di fecondità. Ora le viene in mente quel giorno, ah terribile giorno! Quando la sua bella cagnolina allevata dalle Grazie, giocando come fanno i cuccioli, morse con il dente bianco il piede del servo: ed egli, impertinente, con un calcio la lanciò: e quella rotolò per tre volte; tre volte scosse gli scompigliati peli e da le deboli narici soffiò la polvere irritante. Poi lamentandosi: sembrava dicesse “aiuto, aiuto”; e da le volte dorate l’ Eco rispose all’invocazione d’aiuto rimandando di stanza in stanza il grido della cagnetta: dai locali posti a livello più basso tutti i servi tristi salirono e dalle stanze padronali dei piani nobili le damigelle pallide e tremanti si precipitarono. Accorsero tutti; il volto della tua dama fu spruzzato di profumi e alla fine rinvenne: l’ira e il dolore l’agitavano ancora; lanciò sguardi fulminanti al servo, e con voce dolce chiamò per tre volte la sua cagnetta: e questa le corse al suo seno; a modo suo le sembrava chiedere vendetta: e tu vendetta avesti vergine cagnolina allevata dalle grazie. L’empio servo tremò; con lo sguardo basso ascoltò la sua condanna. A lui non servirono i meriti accumulati in vent’anni di onorato servizio, a lui non servì la scrupolosità dimostrata nell’eseguire incarichi riservati: in vano lui supplico e promise; lui se ne andò spogliato della livrea che un tempo lo rendeva rispettabile agli occhi del popolino. In vano sperò di poter lavorare per un altro padrone, perché le dame, impietosite per la cagnetta, non nascosero il loro odio per il responsabile di così crudele delitto. Il poveraccio rimase per la strada, con i figli pallidi e affamati e con a fianco la moglie, tentando inutilmente di impietosire i passanti: e tu vergine cagnolina, placato, come gli antichi idoli, dal sacrificio di vittime umane, ti potesti gloriare della compiuta vendetta.


    parafrasi della poesia I PASTORI di gabriele d'annunzio


    Parafrasi

    E' settembre, è il tempo di migrare da un luogo ad un altro, il tempo nel quale i pastori abruzzesi lasciano gli alti pascoli e scendono verso il mare verde come i pascoli lassù sulla monta-gna.

    Hanno molto bevuto alle sorgenti native, affinchè il sapore di quell'acqua duri nei loro cuori e li conforti nel forzato esilio; hanno con sè il bastone di nocciolo su cui si appoggiano durante il cammino e con cui guidano le greggi .

    Scendono per la via larga come fiume verdeggiante, calcando le orme dei padri e degli avi che hanno sempre percorso le stesse vie. Oh, esultanza di colui che per primo scorge il mare e ne grida l'annuncio ai compagni !

    Ora il gregge costeggia il mare. Nulla turba l’aria.
    Sotto il sole la lana bionda delle pecore non si differenzia dal biondo colore della sabbia.
    Sciacquio d'onde, echi di passi e di canti si fondono in una sola armonia:

    ed io (il poeta), lontano dalla mia terra, mi rammarico perchè non sono in compagnia dei pastori.

    Spiegazione in prosa della poesia.
    Era settembre ed era il tempo di andare via.
    Ora nella terra degli Abruzzi i suoi pastori lasciavano i recinti e si dirigevano verso il mare: scendevano nel mare Adriatico che era tempestoso e che era di color verde come i pascoli che si trovavano nei monti.
    Avevano bevuto nelle sorgenti dei monti; perchè il sapor dell'acqua natale rimanga nei cuori deboli a confronto, e anche per non fare venire sete ai pastori lungo il cammino.
    Rinnovato avevano il bastone di nocciolo.
    Camminavano lungo il sentiero antico, che assomigliava ad un silenzioso fiume di erba, sopra le orme dei padri antichi.
    In seguito Gabriele D'Annunzio si immagina di sentire la voce di quella persona che per primo vede il mare con la superficie increspata.
    Ora nella spiaggia camminava la greggia.
    Non tirava vento e il sole illuminava la lana delle pecore che non si distingueva neanche dalla sabbia.
    Poi il poeta si immaginava il rumore provocato dal mare e il calpestìo che in questo momento il poeta li considera dei rumori dolci.
    Alla fine il poeta esprime la sua tristezza domandandosi perchè non si trovava nel suo paese con i suoi pastori.
    Con questa poesia Gabriele D'Annunzio vuole esprimere la sua tristezza e solitudine perchè desiderava (come narra l'ultima strofa della poesia) stare nel suo paese ma che purtroppo era stato costretto ad andare via.
    Questo mi fa capire quanto può essere importante per una persona il suo luogo natale per i bellissimi ricordi che una volta andato via, ti lasci dietro le spalle.
     
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    FRATELLI E IN MEMORIA


    "Fratelli"



    Di che reggimento siete

    Fratelli?

    Parola tremante

    Nella notte

    Foglia appena nata

    Nell’aria spasimante

    Involontaria rivolta

    Dell’uomo presente alla sua

    Fragilità

    Fratelli



    Parafrasi

    Di che reggimento siete fratelli?

    La parola fratelli trema nella notte(perchè priva di senso

    per la crudeltà della guerra)

    La parola fratelli nella sua fragilità (come foglia appena nata)

    esprime un desiderio di pace e di speranza

    Nell’aria piena di sofferenza degli uomini

    nasce un'istintiva rivolta alla guerra dell’uomo

    posto davanti alla sua debolezza

    Fratelli





    Commento






    Nella poesia, Ungaretti esprime la sua sofferenza e amarezza per la sua condizione di soldato; Infatti, la parola fratelli è un augurio di pace ed esprime la speranza che la guerra finisca.

    Struttura:


    Versi liberi; è presente il solo segno di interpunzione usato da Ungaretti: il punto interrogativo. Rispetto alla prima versione la scansione dei versi nelle strofe viene scardinata, forse per sottolineare la telegraficità, la fugacità e la musicalità del messaggio, pur nella sua pregnanza. Si confrontino le due varianti, che testimoniano la ricerca instancabile della parola "scavata" nel segreto dell’anima. Se i Futuristi propongono le "parole in libertà", Ungaretti va in una direzione opposta: l’aderire alla parola si traduce in una fioritura di varianti per trovare la "parola pura" e per costruire una musicalità; non basta scendere nell’abisso e risalire, bisogna cogliere la musica che è dentro le parole (questa disposizione ungarettiana rimanda al suo amore per la musicalità del verso proprio della tradizione italiana, ma anche alla sua passione per la poesia araba, che è musicale per eccellenza).





    Temi e figure retoriche

    In questa lirica il fante-poeta esprime il senso della fragilità dell’esistenza dei soldati. E’ notte. L’aria è squarciata dai lampi e dai suoni della battaglia in corso. Due reparti di combattenti si incontrano sulla linea del fronte. Forse si salutano e si scambiano notizie flash. Il termine chiave della poesia è, però, la parola fratelli, che allude ad uno dei temi fondamentali del primo Ungaretti, dal poeta stesso indicato: la "fraternità degli uomini nella sofferenza". La poesia si snoda come una sorta di commento alla domanda iniziale, che tuttavia rimane senza risposta, perché ciò che conta non è la domanda, bensì la definizione…non il reggimento, ma l’appellativo fratelli. Il cosmopolita soldato Ungaretti, che fin da bambino ha avuto contatti con persone di ogni nazionalità, partito volontario per la guerra, riconosce, a contatto con altri commilitoni, che portano sui volti la sua stessa sofferenza e l’angoscia dei disagi della guerra, l’uomo che è nel soldato e sente pulsare nel suo cuore quel senso di fraterna solidarietà, che lega particolarmente gli esseri umani sradicati ed esposti alle bufere della vita. Quando il buio avvolge tutte le cose e soprattutto le persone, la voce del fante-poeta si leva ad ammonire e a ricordare ciò che molti sembrano aver dimenticato: l’amore per l’uomo…la sola legge che renda fratelli.

    Bellissima è la metafora in forma di analogia del termine "fratelli" al 5° verso per indicare la delicatezza fragile, ma anche la speranza della crescita.





    "In memoria"





    Si chiamava

    Moammed Sceab

    Discendente

    Di emiri di nomadi

    Suicida

    Perché non aveva più

    Patria



    Amò la Francia

    E mutò nome



    Fu Marcel

    Ma non era Francese

    E non sapeva più

    Vivere

    Nella tenda dei suoi

    Dove si ascoltava la cantilena

    Del Corano

    Gustando un caffè



    E non sapeva

    Sciogliere

    Il canto

    Del suo abbandono



    L’ho accompagnato

    Insieme alla padrona dell’albergo

    Dove abitavamo

    A Parigi

    Dal numero 5 della rue des Carmes

    Appassito vicolo in discesa



    Riposa

    Nel camposanto d’Ivry

    Sobborgo che pare

    Sempre

    In una giornata

    Di una

    Decomposta fiera



    E forse io solo

    So ancora

    Che visse

    Parafrasi



    Si chiamava Moammed Sceab

    Figlio di emiri arabi

    Si suicidò perché non aveva più una patria



    Amò la Francia e si cambiò il nome in Marcel

    Ma non era francese e non riusciva più a vivere nella tenda dei suoi genitori

    E non sapeva parlare della sua sofferenza

    Ho accompagnato Marcel al cimitero

    Con la padrona dell’albergo dove abitavamo a Parigi

    Al numero 5 di rue des Carmes

    Un vicolo povero in discesa

    Riposa nel cimitero di Ivry

    Sobborgo sempre disordinato

    Come in un giorno di mercato

    E solo io sapevo che visse



    Commento

    Ungaretti parla di un suo amico arabo di nome Moammed. Egli emigrò in Francia e si cambiò il nome in Marcel. Ma era triste, e non parlandone, si suicidò, per ritrovare se stesso.

    Ungaretti scrive questa poesia in ricordo del suo amico Moammed Sceab.

    Questa poesia non è dedicata ad un eroe e non è l’esaltazione di pregi e virtù del suo amico ma un omaggio ad una persona cara e alla sua vita. Il poeta inoltre parla del tema dell’esilio, e nel caso specifico di Moammed, del dramma del suo amico che non si riconosce nella sua vecchia cultura originaria ma neanche nella nuova cultura che ha di fronte. Ungaretti è l’unica persona che può ricordarlo e questo si capisce dai suoi versi “ e forse io solo so che ancora visse”. Secondo il poeta, la poesia fa rivivere il passato, il suo passato fatto di persone scomparse. Lui parla di persone care che non verranno mai ricordate dalla storia ma vivranno nel suo cuore, come il suo amico Moammed e la sua storia che ci trasmette il poeta, unico ad aver conosciuto il suo dramma.

    Nella poesia vengono utilizzati i verbi al passato per evidenziare il ricordo e il distacco, attraverso cui viene sublimata poeticamente la vicenda tragica dell'amico.I versi si presentano frantumati con forti pause e silenzi che accentuano il tono malinconico della composizione; ogni parola è essenziale ed esprime le immagini dominanti e i motivi principali della poesia.
     
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181 replies since 11/11/2010, 13:34   260056 views
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